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Didattica nella formazione professionale e continua

Nel documento 229 00186 (pagine 118-121)

Gli ambiti della didattica

3. Didattica nella formazione professionale e continua

La formazione professionale e continua rappresenta un elemento strategico per la competitività delle imprese e degli individui nell’era dell’informazione e della globalizzazione. La formazione al (e sul) lavoro è una delle conseguen­ ze dei processi di industrializzazione che, in particolare dalla fine dell’O tto­ cento, con macchine e apparati produttivi sempre più potenti e complessi, ha

Caratteristiche della didattica universitaria Tecnologie e innovazione dell’università Ruolo della formazione nella società post-industriali

Politiche europee e formazione continua

imposto una maggiore specializzazione nelle lavorazioni e l’esigenza della gestione dei processi organizzativi (su queste tematiche cfr. Bonazzi, 1995). Gli studi sull’organizzazione scientifica del lavoro compiuti da Frederick Taylor inaugurarono l’esigenza per le imprese di aumentare la produzione e il rendimento di uomini e impianti mediante la razionalizzazione del lavoro e la gestione di linee di controllo. Iniziarono gli investimenti nella formazione dei dirigenti e dei quadri con mansioni organizzative, e all’ interno di aziende come Shell, Ford e Xerox furono istituite vere e proprie business school. Nella seconda metà del Novecento era ormai diffusa la convinzione che la cono­ scenza (know-how) e il controllo organizzativo fossero elementi determinan­ ti per il successo. Con il passaggio a un’economia basata sui servizi e sull’in­ formazione, il bisogno di formazione e di aggiornamento professionale diventarono infine un’esigenza diffusa tanto che oggi, nei paesi occidentali, non esiste praticamente alcun lavoro che possa fare a meno di percorsi forma­ li di formazione iniziale, né di continui momenti di aggiornamento. Le co­ noscenze sono ovunque complesse e mutevoli. L ’ informatica, l ’automazione e la robotica sono entrate nelle officine artigiane, nelle aziende agricole, nelle fabbriche, nei negozi. La sempre minore separazione tra lavoro intellettuale e lavoro fisico si accompagna alla crescente importanza della qualificazione a tutti i livelli. La competizione globale sottopone a un serrato confronto dei prezzi e della qualità dei prodotti, che richiedono investimenti e ricerca sul fronte del miglioramento produttivo. In questo quadro, gli organismi inter­ nazionali definiscono normative complesse (ambientali, igieniche, fiscali, produttive, antinfortunistiche ecc.) che, a loro volta, portano continuamente a esigenze di aggiornamento. Anche nelle imprese più tradizionali, laddove permane la divisione del lavoro e delle responsabilità, i concetti di flessibilità e di responsabilità distribuita sono ormai ineludibili: la vita delle organizza­ zioni dipende dall’ impegno e dalla valorizzazione delle conoscenze di ciascu­ no o, in altre parole, l’aggiornamento continuo è parte integrante dell’attivi­ tà lavorativa. Si parla di “apprendimento organizzativo” (Schon, Argyris, 1998) o “organizzazione che apprende” (Senge, 1991), a sottolineare la sem­ pre maggiore interconnessione tra le sorti degli individui e quelli delle realtà produttive di cui questi sono parte. In questo scenario è interessante notare come, a differenza della scuola che forma gli studenti senza averne indietro benefìci diretti, per le organizzazioni è proprio dall’apprendimento dei pro­ pri collaboratori che si determinano le condizioni per la sopravvivenza. Le politiche europee, come quelle nazionali, indicano nella formazione profes­ sionale e continua le forme migliori di tutela dei lavoratori. La formazione pro­ fessionale (o iniziale) persegue l’obiettivo di una qualificazione finalizzata al primo inserimento nel mondo del lavoro, mentre la formazione continua è tesa a rispondere alle esigenze di aggiornamento che oggi, in molti settori profes­ sionali, hanno assunto carattere di obbligatorietà (si pensi ai programmi di

nu-merosi strumenti e specifiche linee di finanziamento, destinate sia ai lavoratori sia ai soggetti privi di occupazione, allo scopo di promuovere, sostenere e fi­ nanziare l’accrescimento della formazione continua, la qualificazione e la ri­ qualificazione professionale. Il Fondo sociale europeo (f s e)*, che ha come scopi l’ incentivo della formazione continua dei lavoratori e l’evoluzione dei sistemi produttivi e delle trasformazioni industriali, cofìnanzia assieme alle Regioni corsi, prevalentemente gratuiti, che consentano l’acquisizione di qua­ lifiche e competenze in linea con le richieste dal mercato del lavoro. Le diffe­ renza con la didattica scolastica e universitaria sono marcate.

Il rapporto con l’ istituzione e con i docenti (qui tipicamente denominati “for­ matori”, “coach” o, a seconda delle situazioni, “team leader”) è meno formale: anche quando i corsi prevedono l’obbligo di frequenza, il clima è solitamente più disteso anche perché è meno pressante l’assillo della valutazione degli ap­ prendimenti; nella formazione professionale e continua spesso non è previsto un voto di merito, ma solo una certificazione di idoneità. L ’aspetto che più caratterizza la didattica in questo ambito è dunque la centralità della pratica. Gli aspetti teorici, come teoremi e formule (si pensi all’elettronica o alla mec­ canica) o leggi e regolamenti (si pensi alla normativa che accompagna ogni ambito professionale), vengono trattati e assumono consistenza all’interno del quadro applicativo.

Gli stessi luoghi della formazione sono, in questo contesto, orientati all’azione. Le aule, tipicamente, prevedono disposizioni non convenzionali per la scuola; tavoli e sedie sono mobili e funzionali a diverse tipologie di lavoro di gruppo: studio del caso, brain storming, focus group, metaplan. Nella formazione pro­ fessionale hanno uno spazio preminente laboratori, officine, atelier, teatri e gli stessi luoghi di lavoro. Momenti altamente formativi sono poi rappresentati da eventi, meeting, congressi, fiere e seminari, come pure lo scambio di idee tra colleghi davanti alla macchinetta del caffè. Le tecnologie multimediali e telematiche costituiscono un ulteriore supporto all’operatività. Gli strumenti di condivisione e di apprendimento collaborativo online rendono possibile il disimpegno dai vincoli di luogo e di tempo e una più ampia personalizzazio­ ne* dei percorsi formativi, valorizzando, al contempo, l’apporto individuale. Le principali modalità di lavoro sono quelle che si richiamano ai principi del costruttivismo (cfr. riquadro 2, c a p. i) . Tra le proposte che hanno riscos­ so maggiore interesse ci sono l’apprendimento esperienziale di David A. Kolb (1984) e l’action learning' di Reg Revans (1980; 1998). Si tratta di mo­ delli capaci di valorizzare la pratica, il lavoro attivo e autodeterminato, le dinamiche sociali e relazionali, la riflessività. N ell’apprendimento esperien­ ziale (experientiallearning’ ) l’ individuo impara attraverso l’azione e la spe­ rimentazione di compiti e ruoli in situazioni di incertezza. L ’enfasi è sullo sviluppo di capacità di problem solving attraverso l’osservazione e la rifles­ sione in una spirale ininterrotta di esperienza concreta, osservazione rifles­ siva, concettualizzazione astratta, sperimentazione attiva. Kolb sottolinea le

Cambiamento nei metodi didattici

Il primato della pratica

inestricabili connessioni tra educazione, lavoro e sviluppo della persona, ri­ conoscendone i fondamenti epistemologici nelle opere di illustri precursori: Dewey (il learning by doing), Kurt Lewin (dinamiche sociali e dei gruppi) e Piaget (schemi mentali e rappresentazioni cognitive). Similmente l ’action

learning, o apprendimento d ’azione di Reg Revans (1980; 1988) fa leva sui

problemi e sulle sfide che si riscontrano nell’ambiente lavorativo. In questa prospettiva il processo di crescita individuale si lega ai cambiamenti orga­ nizzativi e l’apprendimento avviene nel contesto attraverso l’ impiego atten­ to di domande perspicaci, di momenti di ascolto riflessivo, di ricerca delle informazioni disponibili, di generazione di idee e di consapevolizzazione del livello di conoscenza raggiunto. Un ulteriore modello a cui si fa spesso riferimento è quello del professionista riflessivo suggerito dai lavori di D o ­ nald A. Schon (1993; 2006); anche in questo caso c ’è la centralità del mo­ mento riflessivo e la valorizzazione delle specificità dell’adulto in formazio­ ne: autonomia, responsabilità, esperienza, tensione al miglioramento, capacità introspettiva.

Queste proposte suggeriscono, di fatto, l’emancipazione dal tradizionale corso di formazione per approdare a percorsi di sviluppo aperti, flessibili e partecipa­ tivi. Un modello suggestivo è in questo senso quello delle comunità di pratiche (Wenger, 1998; Wenger, McDermott, Snyder, 2002), che si sviluppa a partire da una serie di ricerche di taglio etnoantropologico sull’apprendimento nei conte­ sti sociali (Collins, Brown, Newman, 1995; Lave, Wenger, 1991; Resnick, 1995; Rogoff, 2006). Le comunità di pratica si basano sull’idea che l’apprendimento sia, primariamente, un processo di partecipazione progressiva e legittimata alle pratiche sociali di una comunità. Si apprende all’interno di situazioni concrete confrontandosi con i colleghi e le altre figure che ruotano attorno a un determi­ nato contesto lavorativo. In queste situazioni una fìtta rete di dinamiche relazio­ nali, talvolta anche conflittuali, giustificano, sostengono e rendono significative le azioni e le conoscenze che costituiscono l’esperienza stessa. Per l’apprendista, allora, la formazione è soprattutto quel processo di avvicinamento graduale al­ le pratiche degli esperti, al loro modo di guardare ai problemi, di applicare le conoscenze, di risolvere i problemi. Una formazione efficace, secondo questo modello, non può che basarsi sull’allestimento di situazioni concrete all’ inter­ no delle quali sperimentare attivamente quali sono le conoscenze necessarie e come queste debbano concretamente essere impiegate.

4. Didattica extrascolastica

Nel documento 229 00186 (pagine 118-121)