4. I RAPPORTI CON IL MEDIO ORIENTE NEGLI ANNI SETTANTA
4.1 La diplomazia italiana e gli sviluppi della situazione mediorientale
situazione mediorientale
La politica italiana negli anni Settanta fu caratterizzata dal “trasformismo come sistema di governo”328: la Dc rappresentava il
perno dei vari governi e cercava sostegno a destra o a sinistra per mantenere il potere. Il ministro degli Esteri, spesso, veniva scelto per riequilibrare il peso delle singole coalizioni. Secondo Romano era da ritenersi una sorta di “incarico onorifico”329.
Aldo Moro, definito dall’ambasciatore Gaja “diplomatico per ispirazione e per nascita”330, giunse alla Farnesina nell’agosto 1969
come ministro del governo Rumor, e come tale si fece promotore di una “politica di comprensione per il mondo arabo”331. Secondo la
diplomazia francese, Moro aveva un secondo fine interno: sfruttare il suo ruolo di ministro degli Esteri per conquistare l’appoggio, o quantomeno la “neutralità benevola”, del Pci per l’elezione alla Presidenza della Repubblica332. Parigi credeva che, per questo
motivo, avrebbe attuato una “politica estera meno vincolata
328
S. Romano, Guida alla politica estera italiana.., op. cit., p. 135
329
Ivi, p. 139
330
C. Meneguzzi Rostagni, La politica estera italiana e la distensione:una proposta di lettura, in F. Romero, A. Varsori (a cura di), Nazione, interdipendenza, integrazione. Le relazioni
internazionali dell’Italia (1917-1989), Carrocci editore, Roma 2005, p. 359
331
Gaja, L’Italia nel mondo bipolare.., op. cit., p. 187
332
L. Riccardi, Aldo Moro e il medio oriente (1963-1978), in F. Perfetti, A. Ungari, D. Caviglia, D. De Luca (a cura di), Aldo Moro nell’Italia contemporanea, Le Lettere, Firenze 2011, p. 566
all’Alleanza Atlantica”333. Anche se Moro avesse avuto questo
obiettivo non lo raggiunse, poiché il 21 dicembre 1971 fu eletto Presidente della Repubblica Giovanni Leone.
Riguardo al conflitto mediorientale, la linea d’azione del ministro Moro rispecchiava la politica portata avanti quando era Presidente del Consiglio, riassumibile in due punti: applicazione integrale della risoluzione 242 delle Nazioni Unite e mantenimento dell’equidistanza tra le parti in causa334. Lo statista pugliese era
consapevole che “non si poteva ipotizzare velleitariamente un ruolo da protagonista per la diplomazia italiana”335, ma solo di supporto
all’azione svolta dalle due superpotenze.
Agli inizi degli anni Settanta la situazione in Medio Oriente era molto instabile, a causa del protrarsi degli scontri tra Egitto e Israele336. Sul finire dell’anno precedente il segretario di Stato
americano, William Rogers, aveva presentato un Piano, il così detto “Piano Rogers”, che, sostanzialmente, si basava sull’applicazione della risoluzione 242, con l’aggiunta di particolari garanzie alla sicurezza di Israele337. Il progetto trovò la netta opposizione di
entrambe le parti coinvolte nel conflitto. L’assoluta intransigenza dello Stato d’Israele nel rifiutare qualsiasi accordo prevedesse il ritiro dai territori occupati, facendo affidamento sulla propria superiorità militare, fu “il principale errore del governo israeliano
333 L. Riccardi, Aldo Moro e il medio oriente, op. cit., p. 566 334
Ibidem
335
L. Riccardi, Il “problema Israele”.., op cit., p.324-325
336
B. Morris, Vittime.., op. cit., p.443-455
337
guidato da Golda Meir”338. Secondo il ministro degli Esteri italiano,
da una parte, Israele avrebbe dovuto ammorbidire le proprie posizioni, dall’altra, gli Stati Uniti avrebbero dovuto affrontare il problema dei profughi palestinesi come parte integrante della questione mediorientale339.
Moro sviluppò progressivamente una politica di equidistanza sbilanciata verso i paesi arabi, e in questa prospettiva va interpretata la visita che svolse in Egitto nel maggio 1970. Il ministro degli Esteri egiziano Riad, durante l’incontro, non escluse una possibile intensificazione dei rapporti con gli Stati Uniti. Allo stesso tempo ribadì che il ritiro dai territori occupati e la soluzione del problema dei profughi erano, per l’Egitto, condizioni indispensabili per intraprendere negoziati diretti con Israele340. La
posizione egiziana, seppur rigida, non escludeva eventuali aperture: per esempio, di fronte alla proposta di Moro di riconoscere formalmente lo Stato d’Israele come dimostrazione di buona volontà, Riad rispose che l’idea era prematura, ma sarebbe stato disponibile “a un riconoscimento de facto [..] entro le vecchie linee di demarcazione”341. Moro incontrò anche il Presidente
Nasser, il quale ribadì la volontà di ristabilire buone relazioni con gli Stati Uniti e che i rifornimenti militari sovietici erano indispensabili
338
L. Riccardi, Il “problema Israele”.., op. cit., p. 347
339
L. Riccardi, Aldo Moro e il medio oriente.., op. cit., p. 569
340
D. Caviglia - M. Cricco, La diplomazia italiana.., op. cit., p. 79-80
341
per compensare quelli statunitensi a Israele342. Dopo qualche
settimana, a Roma, il ministro degli Esteri italiano incontrò il suo omologo israeliano Abba Eban, in un momento in cui la politica estera italiana sembrava abbandonare la posizione di equidistanza. L’incontro non produsse alcun risultato, ma registrò solo la lontananza tra la posizione israeliana e quella egiziana343. Secondo
Moro, nonostante le divergenze, entrambi i Paesi “convergevano sulla necessità di un cessate il fuoco e del rilancio della missione Jarring”344. L’amministrazione statunitense condivideva le
conclusioni dello statista pugliese, come sottolineato da Joseph Sisco, sottosegretario di Stato per il Medio Oriente, all’ambasciatore italiano a Washington Ortona345. Sisco espose
anche la volontà di coinvolgere l’Italia in iniziative future nell’area mediterranea, ed in questa prospettiva il Dipartimento di Stato, il 10 giugno, inviò all’ambasciata italiana il nuovo Piano, segreto, per il Medio Oriente346. Se per l’amministrazione statunitense, ed in
particolare per Nixon, la politica estera italiana era molto apprezzata, lo stesso non valeva per il Foreign Office, che, al pari del Quai d’Orsay, riteneva che Moro agisse influenzato da motivazioni di politica interna347.
342 L. Riccardi, Il “problema Israele”.., op. cit., p. 354 343
Secondo la diplomazia francese l’intero viaggio era stato concepito come “un’operazione propagandistica” al fine di mostrare che la politica italiana dell’equidistanza non aveva subito correzioni. Ivi, p.357
344 D. Caviglia – M. Cricco, La diplomazia italiana.., op. cit., p. 81 345
Ibidem
346
L’ambasciatore Ortona definì il piano “illusorio”. E. Ortona, Anni d’America. La cooperazione.
1967-1975, il Mulino, Bologna 1989, p. 225
347
Il 19 giugno gli Stati Uniti presentarono ufficialmente il secondo Piano Rogers, il quale prevedeva un cessate il fuoco di 3 mesi, l’accettazione della risoluzione 242 e l’impegno israeliano ad accettare il negoziato con la Giordania e l’Egitto348. Amman e Il
Cairo accettarono per primi la proposta, mentre Tel Aviv attese un paio di mesi prima di dare il proprio assenso. Anche Moro, come gli Stati Uniti, esercitò una pressione su Israele affinché accettasse il Piano, sottolineando che “un eccessivo ritardo nel rispondere […] [avrebbe potuto] costituire un vantaggio tattico per gli arabi”349. La
ripresa dei colloqui Jarring, prevista dal Piano, durò pochi giorni, a causa delle continue violazioni del cessate il fuoco da parte dell’Egitto350. L’atteggiamento di Nasser provocò il rafforzamento
della linea massimalista all’interno del governo israeliano, rappresentata dal ministro della Difesa, ed eroe della Guerra dei sei giorni, Dayan351.
Nell’agosto 1970, a seguito di una crisi di governo, venne formato un nuovo esecutivo presieduto da Emilio Colombo, con Aldo Moro confermato al ministero degli Esteri. Dopo qualche settimana, il 9 settembre Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale e futuro segretario di Stato americano, informò l’ambasciatore Ortona dell’intenzione di Nixon di effettuare un viaggio in Italia per visitare la VI flotta, di stanza a Napoli. La
348
L. Riccardi, Il “problema Israele”.., op. cit., p. 357
349
L. Riccardi, Aldo Moro e il medio oriente.., op. cit., p. 569
350
B. Morris, Vittime.., op. cit., p. 456
351
difficile situazione in Medio Oriente e il timore di una “caratterizzazione militare del viaggio”352 spinsero il governo
italiano a cercare di dare un carattere privato alla visita. Il 17 settembre, mentre in Giordania scoppiava la guerra civile tra l’esercito e i fedayeen palestinesi353, fu annunciata ufficialmente la
visita di Nixon a Roma per la fine del mese354. Lo scoppio della
guerra civile in Giordania, e l’invasione di quest’ultima da parte della Siria, rappresentò il “momento di maggior tensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica in Medio Oriente”355. Il governo italiano,
che voleva rimanere il principale alleato di Washington nel Mediterraneo e al tempo stesso prendere le distanze dall’atteggiamento troppo filoisraeliano dell’amministrazione statunitense, chiese se ci fosse la possibilità che la visita di Nixon fosse annullata356. Nixon si recò in Italia, come previsto, il 27 e 28
settembre e fu accolto da manifestazioni di dissenso357. Durante
l’incontro con Colombo fu ribadita, da entrambi, l’importanza del ruolo della VI flotta nel Mediterraneo, mentre riguardo al conflitto mediorientale le posizioni dei due paesi si differenziarono, con l’Italia che continuò a insistere sul ruolo di mediatore delle Nazioni Unite358.
352
E. Ortona, Anni d’America. La cooperazione.., op. cit., p. 241
353
L. Riccardi, Il “Problema Israele”.., op. cit., p. 364
354 D. Caviglia-M. Cricco, La diplomazia italiana.., op. cit., p. 88 355
Ivi, p. 93
356
Ivi, p. 94-95
357
E. Ortona, Anni d’America. La cooperazione.., op. cit., p. 244
358
Nel frattempo la guerra civile in Giordania era finita, con la firma, il 27 settembre, di un accordo tra re Hussein e Yasser Arafat359, il capo dell’OLP. Il presidente egiziano Nasser, che
contribuì alla riuscita del suddetto accordo, morì improvvisamente il 28 settembre, lasciando un “incognita sull’andamento dei negoziati di pace”360 e sulla continuità della linea politica del
governo egiziano. Moro, dopo aver avuto incontri con esponenti politici egiziani, si convinse che questi volessero continuare “la politica da ultimo sostenuta da Nasser”361, nonostante il timore “di
essere scavalcati da militari o da forze meglio controllate da[i] sovietici”362. Il 7 ottobre la guida dell’Egitto fu assunta da Anwar El-
Sadat, il quale, ancor prima dell’insediamento ufficiale, confermò l’amicizia con Mosca.
Durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, convocata in ottobre per celebrare il venticinquesimo anniversario dell’Organizzazione, la questione mediorientale ebbe una posizione dominante nel dibattito. L’Egitto presentò, e chiese che fosse votato, un progetto di risoluzione in cui veniva ribadita la necessità di applicare integralmente la risoluzione 242 e il rispetto dei diritti dei palestinesi363. L’amministrazione statunitense, che giudicò
l’iniziativa “dannosa e pericolosa”364, riteneva che l’unica soluzione
359
D. Caviglia-M. Cricco, La diplomazia italiana.., op. cit., p. 96
360 E. Ortona, Anni d’America. La cooperazione.., op. cit., p. 250 361
L. Riccardi, Il “problema Israele”.., op. cit., p. 369
362 Ibidem 363 Ivi, p. 370 364 Ibidem
fossero delle “trattative confidenziali”365. Moro, azzardando una
sorta di mediazione, promise al segretario di Stato Rogers di intercedere presso il Cairo per rendere la posizione egiziana meno rigida, prospettando un ruolo analogo degli Stati Uniti presso Israele. Secondo il titolare della Farnesina, l’unico pregio del progetto egiziano era che avrebbe potuto rendere esplicito l’isolamento in cui si trovava Israele, e portare quest’ultima ad “ammorbidire la sua posizione”366. Lo scetticismo di Moro riguardo
un’uscita dalla situazione di stallo risultò evidente in un Rapporto inviato a Saragat e Colombo: dopo i colloqui avuti con il Primo Ministro israeliano Golda Meir e con il ministro degli Esteri egiziano Riad, lo statista pugliese riteneva che “un’amichevole azione per richiamare alla moderazione le due parti in conflitto [fosse] destinata all’insuccesso”367. Il titolare della Farnesina, in vista della
votazione sulla risoluzione dei Paesi afro-asiatici, diede istruzioni al rappresentante italiano presso l’ONU Vinci di astenersi, ma questi, il 4 novembre, votò a favore della proposta di risoluzione dei Paesi latino-americani, ritenuta più equilibrata. La risoluzione dei Paesi afro-asiatici fu approvata368, mentre quella presentata dai Paesi
latino-americani fu respinta369. L’obiettivo di Moro era prendere le
distanze dall’oltranzismo arabo, mantenendo però un buon
365
L. Riccardi, Il “problema Israele”.., op. cit., p. 370
366
Ivi, p. 371
367 Ivi, p. 372 368
Per il testo della risoluzione si veda:
http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/RES/2628(XXV)&Lang=E&Area=RE SOLUTION
369
rapporto con i Paesi più moderati del Medio Oriente. Il voto dell’ambasciatore Vinci, a favore della mozione patrocinata dagli Stati Uniti, fu un modo per dimostrare la fedeltà allo schieramento atlantico da parte dell’Italia. Come è stato giustamente notato, si trattò della “materializzazione della politica dell’equidistanza”370.
La posizione dell’Egitto iniziò a cambiare sotto la guida di Sadat, il quale, in un’intervista rilasciata al New York Times il 28 dicembre 1970, prospettò per la prima volta la possibilità di un “accordo di pace” con Israele371. La proposta, esposta prima in
maniera informale agli Stati Uniti, fu resa pubblica dallo stesso Presidente egiziano il 4 febbraio con un discorso al Parlamento e prevedeva il ritiro di Israele per qualche chilometro ad est del Canale, la riapertura di quest’ultimo e il rinnovo del cessate il fuoco372. La risposta israeliana al progetto fu negativa373: Golda
Meir, come altri membri all’interno del governo, volevano concludere un vero e proprio Trattato di pace, e non un “accordo parziale”374. Il governo di Tel Aviv non seppe cogliere questa
“storica possibilità”375 e questo ebbe conseguenze negative sugli
370
L. Riccardi, Il “problema Israele”.., op. cit., p. 373
371 B. Morris, Vittime.., op. cit., p. 489 372
Ibidem
373
La risposta ufficiale del governo Meir fu resa pubblica con un comunicato il 21 febbraio 1971. L. Riccardi, Il “problema” Israele.., op. cit., p.378
374 E’ interessante notare come questo giudizio non fosse condiviso da tutte le personalità
politiche israeliane: l’ambasciatore israeliano a Washington, e futuro Primo Ministro, Yitzhak Rabin, consigliò al proprio governo di prendere in considerazione la proposta egiziana. B. Morris, Vittime, op. cit., p. 490
375
equilibri regionali: Sadat, infatti, si convinse progressivamente che “la guerra fosse l’unica opzione”376.
La diplomazia italiana, di fronte all’ennesima situazione di stallo, continuò la sua “politica di contatti”377. Il 18 gennaio 1971
Moro incontrò a Roma Riad, il quale espresse la propria contrarietà a prolungare eccessivamente il cessate il fuoco, in quanto “avrebbe permesso a Israele di consolidare le proprie posizioni nei territori occupati”378. Moro fece pressioni sul suo omologo egiziano affinché
l’Egitto non richiedesse un intervento del Consiglio di Sicurezza, al fine di evitare un irrigidimento della posizione di Israele379. La
diplomazia italiana fece pressioni anche sull’amministrazione statunitense affinché convincesse Israele a dare prova di volere la pace. Durante la visita a Washington di Colombo e Moro, tenutasi in febbraio, la delegazione italiana ebbe numerosi incontri al vertice380, che confermarono una “convergenza di interessi” nel
Mediterraneo381.
Il 4 marzo, periodo in cui era prevista la fine del cessate il fuoco, iniziò il viaggio di Moro in Israele382. Durante la visita, che
ebbe molto risalto sulla stampa israeliana383, il titolare della
Farnesina ebbe modo di incontrare i maggiori esponenti dell’esecutivo israeliano, i quali gli esposero gli obiettivi
376
Ibidem
377
L. V. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera italiana.., op. cit., p. 267
378
D. Caviglia – M. Cricco, La diplomazia italiana.., op. cit., p. 105
379 L. Riccardi, Il “problema” Israele.., op. cit., p. 376 380
E. Ortona, Anni d’America. La cooperazione.., op. cit., p. 280-285
381
D. Caviglia- M. Cricco, La diplomazia italiana.., op. cit., p. 111
382
Ivi, p. 380
383
irrinunciabili di Tel Aviv: “sicurezza e pace”384. Di fronte
all’eventualità, prospettata da Moro, di “garanzie internazionali” in cambio di una riduzione delle pretese territoriali israeliane, il Primo Ministro Golda Meir, ricordando il precedente del 1967, non le ritenne sufficienti per la sicurezza di Israele385. Al termine del suo
viaggio il titolare della Farnesina era molto pessimista, in quanto credeva che Israele si trovasse in una “posizione di tale forza da poter resistere ad ogni pressione”386. Inoltre, riteneva che ci fosse
una “convergenza di fatto” tra la posizione israeliana e quella dell’Unione Sovietica: ad entrambe andava bene una situazione “come né guerra né pace”387.
L’unico obiettivo che la diplomazia italiana riteneva raggiungibile riguardava la stipula di un “accordo transitorio”, per il quale sarebbe stato comunque determinante il ruolo degli Stati Uniti388. Il governo italiano incaricò l’ambasciatore Ortona di
discutere di questi aspetti con il segretario di Stato Rogers e con Sisco389. Ortona fece pressioni affinché l’amministrazione
statunitense incoraggiasse Israele, il cui ministro degli Esteri si sarebbe recato in quegli stessi giorni a Washington, a prendere in esame la proposta egiziana390. Il dipartimento di Stato condivideva
il punto di vista italiano, ma Israele era irremovibile.
384
L. Riccardi, Aldo Moro e il Medio Oriente.., op. cit., p. 572
385
L. Riccardi, Il “problema” Israele.., op. cit., p. 381
386 D. Caviglia- M. Cricco, La diplomazia italiana.., op. cit., p. 116 387
L. Riccardi, Il “problema” Israele.., op. cit., p. 383
388
Ivi, p. 386
389
D. Caviglia – M. Cricco, La diplomazia italiana.., op. cit., p. 117
390
Sul finire del mese di marzo il ministro degli Esteri egiziano Riad incontrò Moro a Washington. Pur non entrando nei dettagli della crisi mediorientale, Riad sottolineò la buona volontà dell’Egitto di giungere ad un accordo e la necessità che gli Stati Uniti cambiassero atteggiamento verso Israele391. L’8 maggio Moro
incontrò il segretario di Stato Rogers, il quale, di ritorno da una missione in Medio Oriente, gli espose gli scarsi risultati del suo viaggio392: il negoziato era ormai in una fase di stallo393.
Dopo qualche mese, il 4 ottobre, Moro ebbe modo di affrontare la questione con il Presidente Nixon, durante un incontro al Palazzo di Vetro394. Il titolare della Farnesina tornò a sottolineare
uno degli aspetti che aveva sempre destato la preoccupazione dell’Italia: la presenza sovietica nel Mediterraneo. L’amministrazione statunitense, conscia dell’importanza dell’incontro alla luce delle imminenti elezioni presidenziali in Italia, non aveva però cambiato strategia riguardo al conflitto mediorientale395. La preoccupazione dei paesi arabi riguardo
all’effetto destabilizzante degli aiuti statunitensi a Israele apparve chiara a Moro durante il viaggio che svolse, nei primi giorni di dicembre, in Siria e Libano396. Gli Stati Uniti, da una parte,
391 Ivi, p. 118
392
L. Riccardi, Il “problema” Israele.., op. cit., p. 386
393
Il fallimento della missione in Medio Oriente indebolì molto il segretario di Stato. Iniziò gradualmente ad affermarsi il consigliere per la Sicurezza Nazionale Henry Kissinger, che assumerà successivamente la guida della diplomazia statunitense. D. Caviglia – M. Cricco, La
diplomazia italiana.., op. cit., p. 123
394
D. Caviglia – M. Cricco, La diplomazia italiana.., op. cit., p. 123
395
Dopo qualche settimana gli Stati Uniti ripresero a rifornire militarmente Israele. Ivi, p. 124
396
sostenevano che gli aiuti militari erano un mezzo per fare pressioni su Tel Aviv affinché giungesse ad un accordo con l’Egitto, dall’altra, ritenevano che la missione Jarring avesse possibilità di successo. Su quest’ultimo punto Ortona, sulla base di quanto riferitogli dall’ambasciata italiana a Tel Aviv, era scettico sul fatto che Jarring fosse ancora in grado di portare avanti il negoziato397. L’analisi
dell’ambasciatore italiano si rivelò giusta: il 13 giugno 1972 il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kurt Waldheim, dichiarò la fine della missione Jarring398. Il 18 luglio Sadat annunciò
l’espulsione di 17.000 consiglieri sovietici dall’Egitto399, con un
obiettivo duplice: migliorare le relazioni con gli Stati Uniti ed esercitare pressioni su Mosca al fine di ottenere armi sofisticate in grado di controbilanciare i rifornimenti statunitensi a Israele400.
Washington non seppe sfruttare questa opportunità, in quanto, insieme a Tel Aviv, ritenne “che Sadat avesse rinunciato all’idea di una nuova guerra”401.