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La politica di collaborazione italo-libica

3. I RAPPORTI CON LA LIBIA

3.5 La politica di collaborazione italo-libica

Gli stretti contatti tra l’Italia e la Libia, e in particolare l’accordo sui rifornimenti militari tra i 2 paesi, non erano visti di buon occhio da Washington. Oltreoceano, tuttavia, venne compresa l’utilità di “lasciare al governo libico una porta aperta con l’occidente attraverso la collaborazione con l’Italia”300. A rendere

difficili le trattative tra Roma e Tripoli contribuirono alcuni episodi legati al terrorismo, come l’arresto a Roma, nel settembre 1973, di 5 libici in possesso di alcuni missili o l’attacco da parte di un aereo libico ad una corvetta della Marina Militare italiana che causò il ferimento di 2 marinai301. Le richieste di scuse pubbliche dal parte

del ministro degli Esteri Moro non ottennero risposta302.

Nonostante tutti i contrattempi, alla fine di settembre le trattative tra l’Italia e la Libia erano a buon punto: era stato raggiunto un accordo sulla cooperazione culturale ed in fase di perfezionamento

298

S. Romano, Guida alla politica estera italiana.., op. cit., p. 165

299 R. J. B. Bosworth, S. Romano (a cura di), La politica estera italiana / 1860-1985, il Mulino

Bologna 1991, p. 355

300

A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa di Gheddafi.., op. cit., p. 260

301

Ivi, p. 263

302

un accordo economico e finanziario303. La guerra dello Yom Kippur

determinò uno stop delle negoziazioni.

Sul finire dell’anno la tensione tra le due sponde del Mediterraneo tornò a crescere, Il primo episodio riguardò un articolo uscito su La Stampa del 6 dicembre, a firma di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, che non fu gradito da Gheddafi, il quale arrivò a chiedere il licenziamento dei due giornalisti e del direttore del giornale minacciando di “rivedere lo status della FIAT nei paesi arabi”304. L’ambasciatore Gaja espresse a Gheddafi,

tramite l’ambasciatore italiano a Tripoli, il proprio rammarico ma sottolineò che in un paese democratico la stampa era libera ed autonoma305. Il secondo episodio di attrito fu determinato

anch’esso da un articolo di giornale, questa volta del The Times del 4 gennaio 1974306, che rivelava i finanziamenti di Gheddafi al

terrorismo, attraverso i proventi del petrolio, e il coinvolgimento del Colonnello nell’attentato all’aeroporto di Fiumicino del 17 dicembre 1973307. Nonostante la smentita del governo libico, la

notizia suscitò indignazione nell’opinione pubblica308.

La ripresa dei colloqui tra i due governi coincise con la visita a Roma del primo ministro libico Jallud, che si svolse dal 21 al 25

303 A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa di Gheddafi.., op. cit., p. 273 304

A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 483

305

A. Varvelli, L’Italia e l’ascesa di Gheddafi.., op. cit., p. 281

306

A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 483

307 Nel dicembre 1973 un commando di 5 palestinesi sequestrò, nell’aeroporto di Fiumicino,

alcuni agenti di servizio e un operaio. Riuscirono a salire su un aereo tedesco e a decollare: fecero tappa ad Atene, Beirut, Damasco e finirono la fuga in Kuwait, unico paese che fu disposto ad accogliere i sequestratori. V. Ianari, L’Italia e il Medio Oriente.., op. cit., p. 391

308

febbraio 1974309. Durante quell’occasione Jalllud, che aveva

sostituito Gheddafi alla guida del governo il 10 luglio 1972, ebbe colloqui con il Presidente del Consiglio Rumor e con il ministro degli Esteri Moro. Il 25 febbraio, a Villa Madama, fu firmato un accordo di cooperazione economica, tecnica e scientifica, che prese il nome di “protocollo Jallud-Rumor”310. L’accordo prevedeva la fornitura di

30 milioni di tonnellate di petrolio all’anno all’Italia, garantendo così un terzo del fabbisogno italiano311. Inoltre, da parte italiana vi

era l’impegno a fornire petroliere e navi da carico, costruire impianti petrolchimici e siderurgici, realizzare impianti per la realizzazione di fertilizzanti e sviluppare progetti di bonifica agraria312. Quando l’accordo quadro fu firmato erano molte le

imprese italiane che già lavoravano in Libia, dall’ENI alla MONTEDISON, senza tralasciare le varie imprese di costruzioni impegnate in diversi progetti313. Dopo pochi giorni, il 26 febbraio,

fu firmato un importante accordo tra l’ENI e il governo libico che assegnava alla società italiana una concessione di ricerca su quattro nuove aree, due in mare e due in Cirenaica, per un totale di quasi 150 mila chilometri quadrati314.

L’anno successivo, il 28 febbraio 1975, fu firmato un altro importante accordo in campo petrolifero: la SNAM Progetti, società

309

M. Cricco, Aldo Moro e la cooperazione economica.., op. cit., p. 636

310 M. Cricco, Aldo Moro e la cooperazione economica.., op. cit., p. 636 311

A Varvelli, L’Italia e l’ascesa di Gheddafi.., op. cit., p. 287

312

Ibidem

313

M. Cricco, Aldo Moro e la cooperazione economica.., op. cit., pp. 636-637

314

del gruppo ENI, ottenne l’incarico di costruire una grande raffineria a Tobruk315, in Cirenaica.

Il primo ministro libico tornò in Italia dal 25 al 28 aprile 1975 dove incontrò Moro e Rumor, questa volta rispettivamente Presidente del Consiglio e ministro degli Esteri316. Jallud propose la

stipula di un accordo che “[avrebbe potuto] prevedere investimenti libici in Italia [..], nuovi investimenti italiani in Libia ed investimenti comuni in paesi terzi”317. Proposte che ottennero il “vivo

apprezzamento del governo”318 italiano. L’8 luglio l’ENI firmò con il

Ministero del Petrolio libico un accordo di cooperazione economica per la “progettazione e realizzazione di altri impianti petrolchimici e di raffinazione”319. La società italiana, inoltre, in cambio

dell’assistenza tecnica, riceveva un serie di vantaggi, tali da assicurargli uno “status preferenziale”320. Le importanti commesse

fecero finire in secondo piano le rivendicazioni che periodicamente venivano avanzate da Gheddafi321.

Sul finire del 1976 si raggiunse il “momento di massima intesa fra i due paesi”322. Uno degli eventi maggiormente

significativi si verificò il primo dicembre, quando il governo libico acquistò, attraverso la Lybian Arab Foreign Bank, il 10% delle

315

A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 484

316

M. Cricco, Aldo Moro e la cooperazione economica.., op. cit., p. 637

317

Ivi, p. 638

318 Ibidem 319

A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 485

320

M. Cricco, Aldo Moro e la cooperazione economica.., op. cit., p. 638

321

A. Del Boca, Gli italiani in Libia.., op. cit., p. 485

322

azioni FIAT323. Le reazioni furono molte e contrastanti: a favore si

schierarono Agnelli, il presidente di Confindustria Guido Carli e Cesare Merzagora324; contrari invece La Malfa e Craxi, quest’ultimo

critico sul mancato coinvolgimento del governo325. Il maggior

timore era rappresentato dalla vulnerabilità di Gheddafi e possibili ripercussioni sulla FIAT. L’accordo fu difeso dalla Farnesina, che sottolineò “l’importanza di investimenti in un periodo di congiuntura negativa”326. Reazioni negative giunsero anche

dall’estero: in Israele si sospettava che dietro l’accordo ci fosse una richiesta di variazione dei rapporti tra l’Italia e lo Stato ebraico, mentre in Iran lo Scià escluse che la Fiat, a seguito dell’accordo con la Libia, potesse fare accordi con il suo paese327.

Nonostante i numerosi accordi economici e le commesse che legavano a stretto filo l’Italia e la Libia non fu raggiunta un’intesa sul piano politico.

323

I nuovi soci ottennero 2 dei 15 seggi del Consiglio d’amministrazione e 1 dei 5 del Comitato esecutivo. L. V. Ferraris (a cura di), Manuale della politica estera.., op. cit., p. 279

324

Cesare Merzagora, politico italiano, era senatore a vita dal 1963, nominato dal Presidente della Repubblica Antonio Segni.

325

P. Borusso, L’Italia e la crisi della decolonizzazione, in A. Giovagnoli, S. Pons (cura di), Tra

guerra fredda e distensione, Rubettino, Soveria Mannelli 2003, p. 400

326

Ivi, p. 401

327

4. I RAPPORTI CON IL MEDIO ORIENTE NEGLI ANNI