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2. GLI ANNI SESSANTA

2.3 Guerra dei sei giorni

Nel 1966 la politica estera italiana verso il Medio Oriente continuò secondo uno schema ormai consolidato: mantenere buoni rapporti con i paesi arabi, ma senza infastidire Israele. In un colloquio, avvenuto a Roma in ottobre, il ministro degli Esteri

135

L. Riccardi, Il “problema Israele”.., op. cit., p. 196

136 B. Morris, Vittime. Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001, BUR Storia, Milano 2010,

p. 383

137

Ibidem

138

B. Morris, Vittime.., op. cit., p. 383

139

israeliano Abba Eban fece pressioni su Moro riguardo l’ipotetica associazione dello Stato ebraico alla CEE140. Il governo italiano, allo

stesso tempo, intratteneva buone relazioni con Il Cairo. In occasione della visita in Italia del vice Primo Ministro egiziano Mustafa Khalil, il Presidente della Repubblica Saragat invitò, in modo informale, Nasser a Roma141. La visita avrebbe dovuto

svolgersi alla fine di giugno del 1967. Nel marzo Fanfani svolse una lunga missione che lo portò in Libano, Giordania e Iraq, registrando una divergenza di vedute con il governo di Baghdad, a causa della volontà italiana di coniugare l’amicizia con i paesi arabi con il diritto di esistenza dello Stato d’Israele. Nei mesi di aprile e maggio la situazione in Medio Oriente si deteriorò: gli scontri tra l’esercito israeliano e siriano erano sempre più frequenti142. Il

governo italiano non prese iniziative particolari, preferendo continuare la politica di amicizia verso tutte le parti in causa. Il 17 maggio Nasser “trasformò un’ostentazione di forza in una crisi politico-militare”143 chiedendo e, sorprendentemente, ottenendo il

ritiro della forza di interposizione Onu presente nel Sinai. Due giorni dopo, Fanfani, in occasione della visita di congedo dell’ambasciatore egiziano, espresse la preoccupazione del

140 L. Riccardi, Il “problema Israele”.., op. cit., p. 203 141

L’invito non era ufficiale, in quanto tale atto era di competenza governativa. Ibid, p. 204

142

Il confine israelo-siriano fu la miccia della guerra dei giorni: la diffusione della notizia, non fondata, che Israele stesse ammassando truppe in vista di un attacco alle alture del Golan fece precipitare gli eventi. Inoltre, l’Egitto aveva schierato sette divisioni lungo il confine con Israele con un duplice scopo: rappresentava certamente una minaccia strategica, ma anche una sfida alla deterrenza israeliana. Infatti la mobilitazione della riserva a tempo indeterminato avrebbe avuto ripercussioni economiche negative per Israele. Cfr B.Morris, Vittime.., op. cit., p.382-386

143

governo, ma il diplomatico egiziano rispose che “[era] Israele che minaccia[va] la Siria”144. Il 22 maggio iniziò la crisi vera e propria,

con la decisione di Nasser di chiudere gli Stretti di Tiran, bloccando di fatto i collegamenti marittimi da e per lo Stato d’Israele. Il titolare della Farnesina nei giorni seguenti espresse il suo pieno sostegno all’azione di mediazione svolta del Segretario Generale delle Nazioni Unite U Thant, anticipando quella che sarà una costante nella politica italiana durante e dopo il conflitto. Dietro la volontà italiana di affidare all’Onu una funzione centrale nella soluzione del conflitto vi era il timore di rimanere esclusa dalle trattative diplomatiche, a vantaggio delle grandi potenze145.

Durante un incontro, avvenuto il 23 maggio tra Fanfani e l’ambasciatore israeliano Avriel, fu chiaro che il governo di Tel Aviv stava preparando un attacco preventivo contro lo schieramento egiziano nel Sinai146. Del resto l’Egitto aveva fatto quello che

Israele aveva sempre considerato un potenziale casus belli147.

Fanfani lo stesso giorno incontrò U Thant, al quale espresse, nuovamente, il proprio sostegno per l’opera di mediazione. A tal fine fece pressioni sul governo egiziano affinché agevolasse il compito del Segretario Generale148.

144

L. Riccardi, Il “Problema Israele”.., op. cit. p. 205

145

L. Tosi, L’Italia e la cooperazione internazionale nel Mediterraneo: aspirazioni, interessi

nazionali e realtà internazionale, in M. De Leonardis, Il Mediterraneo nella politica estera.., op.

cit., p. 184

146

VI, p. 207

147

B. Morris, Vittime.., op. cit., p. 387

148

Le grandi potenze occidentali cercarono di internazionalizzare la crisi, proponendo comitati ristretti di vario tipo149, ma senza risultati. Fanfani mantenne un atteggiamento

differente, cercando di presentare l’Italia come diversa rispetto al blocco occidentale, contro cui sembravano ricompattarsi gli Stati arabi. Nel frattempo la situazione stava degenerando: il 30 maggio re Hussein di Giordania aveva firmato al Cairo un trattato di alleanza con l’Egitto, e Israele aveva avviato la mobilitazione delle forze armate.150 Fanfani, dopo aver sollecitato il ministro degli

Esteri iracheno a recarsi all’Onu per cercare di scongiurare il conflitto, espose all’ambasciatore israeliano le proprie iniziative, ma quest’ultimo riteneva che Israele non avrebbe potuto aspettare troppo151. La divisione all’interno del governo riguardo

l’atteggiamento da assumere si fece sempre più forte, con i repubblicani e parte dei socialisti unitari schierati a favore dello Stato ebraico. Anche il vice presidente del Consiglio Nenni152 e il

Presidente della Repubblica Saragat erano solidali con il governo di Tel Aviv. La linea seguita da Fanfani, e avallata da Moro, non era condivisa neanche da alcuni esponenti moderati della Democrazia

149 La Francia propose la convocazione di una riunione dei quattro membri permanenti del

Consiglio di Sicurezza. La Gran Bretagna avanzò la proposta di una “Dichiarazione delle Potenze Marittime” e la preparazione di un “Piano di emergenza” per scortare le navi attraverso il Golfo di Aqaba. L. Riccardi, Il “Problema Israele”.., op. cit., p. 209

150 B. Morris, Vittime.., op. cit., p. 390-391 151

L. Riccardi, Il “problema Israele”.., op. cit. p. 211

152

La posizione di Nenni era influenzata anche da motivi di natura personale: la figlia Vittoria, durante la seconda guerra mondiale, fu deportata, e morì, nel campo di sterminio di

Cristiana153. Il governo, inoltre, doveva tenere conto

dell’orientamento dell’opinione pubblica italiana, che in larga parte sosteneva la causa di Israele154.

L’aviazione israeliana attaccò le divisioni egiziane la mattina del 5 giugno 1967, distruggendo al suolo quasi l’intera aviazione egiziana. Il conflitto, che durò fino al 10 giugno, coinvolse direttamente anche la Siria, la Giordania e l’Iraq. Al termine delle operazioni militari lo stato ebraico aveva quintuplicato il proprio territorio155, conquistando il Sinai, la Striscia di Gaza, Gerusalemme

est, la Cisgiordania e le alture del Golan. Il governo italiano fu informato dell’inizio delle operazioni militari da un messaggio del Primo Ministro israeliano Levi Eshkol. Nella missiva veniva criticata l’azione del Segretario Generale dell’Onu e, indirettamente, l’intera strategia di moral suasion messa in campo da Moro e Fanfani156. Il

Presidente del Consiglio, attraverso l’ambasciata israeliana, fu costantemente informato sull’evolversi del conflitto. L’azione messa in campo dalla Farnesina, e cioè cercare di internazionalizzare il conflitto coinvolgendo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, veniva contraddetta dalla strategia adottata dal governo di Tel Aviv. Infatti, fin dai primi giorni di combattimenti fu chiara

153

G. Calchi Novati, Mediterraneo e questione araba nella politica estera italiana, in AA.VV.

Storia dell’Italia repubblicana, volume II La trasformazione dell’Italia: sviluppo e squilibri, tomo

I Politica, economia, società, Giulio Einaudi editore, Torino 1995, p. 232

154

A favorire l’orientamento dell’opinione pubblica concorsero i sensi di colpa per le

persecuzioni passate, la campagna stampa portata avanti dai principali giornali e la solidarietà per un alleato dell’Occidente. Inoltre Israele veniva percepito come l’unico Stato democratico in Medio Oriente i mezzo a regimi islamici e autoritari. Cfr. G. Calchi Novati, Mediterraneo e

questione araba.., op. cit., p. 234

155

S. Romano, Guida alla politica estera.., op. cit., p. 114

156

l’intenzione di Israele di voler procedere ad una trattativa diretta con i paesi arabi, senza l’intermediazione di nessuno.

Fanfani, anche dopo lo scoppio delle ostilità, mantenne un atteggiamento equidistante, evitando di fare una scelta di campo157. Secondo alcune ricostruzioni, a determinare la posizione

di Fanfani concorsero forti pressioni dell’Eni sulla Farnesina e le preoccupazioni legate alle importazioni di petrolio158. Il titolare

della Farnesina, in un intervento al Senato il 7 giugno, ribadì la scelta del governo di non schierarsi a favore di uno dei due contendenti e affrontò la questione degli arabi palestinesi, parlando di “popolo”159. Il termine popolo, implicando il riconoscimento di

diritti anche politici, non fu gradito da molti e fu accusato, dal Corriere della Sera, di “microgollismo”160, imitando le posizioni filo-

arabe di De Gaulle. Il ministro si difese precisando di aver seguito le decisioni prese dalla collegialità del governo. La formulazione della politica estera fu influenzata dalla fragilità della formula di governo e dalla necessità di mediare tra le diverse posizioni, finendo per indebolire la posizione dell’Italia sulla scena internazionale.

157

G. Calchi Novati, Mediterraneo e questione araba.., op. cit., p. 233

158

L’Italia importava circa l’80% di petrolio dai Paesi arabi. D. Caviglia - M. Cricco, La

diplomazia italiana e gli equilibri mediterranei. La politica mediorientale dell’Italia dalla guerra dei Sei giorni al conflitto dello Yom Kippur (1967-1973), Rubbettino editore, Catanzaro 2006,

p. 23; Quando scoppiò la guerra dei Sei giorni l’Italia era fortemente coinvolta in Egitto: L’Italconsult stava bonificando 55.000 ettari di terre coltivabili, l’ENI controllava due società, alcune imprese italiane avevano ampliato raffinerie e costruito centrali elettriche, l’Olivetti e la Fiat avevano fatto importanti investimenti. S. Romano, Guida alla politica estera.., op. cit., p. 117

159

L. Riccardi, Il “problema Israele”.., op. cit. p. 218

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