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Il diritto come fondamento della morale

I. Diritto e giustizia in Umano, troppo umano

6. Le tesi di Nietzsche

6.2 Il diritto come fondamento della morale

La negazione dell’altruismo come istinto originario della natura umana è un aspetto fondamentale per seguire l’evoluzione delle tesi giuridiche di Nietzsche. Anche se a prima vista può sembrare che non sia così, data la distinzione tra morale e diritto, tuttavia è proprio a partire dallo studio sull’origine della morale che si apre a Nietzsche lo spazio per tematizzare ancora meglio il problema giuridico poiché, come ora vedremo, è proprio l’elemento del diritto – nella sua forma arcaica – che può essere identificato quale elemento genetico dei sentimenti morali. Da questo punto di vista, rimanendo nell’alveo della letteratura di stampo positivista che Nietzsche aveva presente nel periodo sorrentino, il filosofo è più vicino alle tesi dell’antropologo inglese John Lubbock piuttosto che a quelle di Paul Rée. Lo studioso anglosassone aveva infatti condotto ampi studi sulle popolazioni primitive e negava decisamente l’esistenza nell’uomo di un originario impulso altruista. Nietzsche cita questo autore nell’aforisma 111 di Umano, troppo umano nel quale si occupa, come indica il titolo, della origine del culto religioso. L’opera di Lubbock alla quale Nietzsche si riferisce per suffragare le sue ipotesi in questo passo è The origin of civilization and the primitive condition of

man edita nel 1870145. A Nietzsche, che ne consulta l’edizione tedesca del 1875, con buona probabilità non dev’essere sfuggita una delle ultime sezioni dell’opera, intitolata proprio Charachter

and moral, nella quale l’antropologo britannico nega decisamente l’esistenza originaria dell’istinto

altruista nei cosiddetti ‘selvaggi moderni’146. Scrive così John Lubbock:

145 J.LUBBOCK, The origin of civilization and the primitive condition of man, London, Longsman, Green & Co.,

1870. Nella biblioteca di Nietzsche: J. LUBBOCK, Die Entstehung der Civilisation und der Urzustand des

Menschengeschlechtes, Jena, H. Costenoble 1875. Per la traduzione italiana si è fatto riferimento a J.LUBBOCK, L’origine

dell’incivilimento, in I tempi preistorici e l’origine dell’incivilimento, trad. it. di M. Lessona, Unione tipografico editrice,

Torino 1875. L’edizione italiana riunisce in un unico volume due opere di Lubbock Preistoric Times (1865) e The Origin

of civilization and the primitive condition of man (1870).

146 L’opera di Lubbock è dedicata esplicitamente allo studio dei selvaggi moderni, cioè a quelle popolazioni che

durante il periodo vittoriano erano considerate essere ancora in uno stadio ancora arcaico di sviluppo. La tesi che sorregge le ricerche riportate nell’opera è che lo studio di queste popolazioni fosse utile per gettare luce sugli usi, i costumi e la morale dei popoli più completamente sviluppati. Un interesse che, come l’autore non omette di sottolineare, è utile anche a livello politico, per una nazione come l’Inghilterra che possiede un impero esteso su popolazioni ad un livello di sviluppo inferiore a quello britannico. Il testo si apre, infatti, con questa paradigmatica considerazione metodologica, tesa a illustrare l’utilità e il significato dello studio dei popoli più arretrati: «Lo studio delle razze umane in uno stadio poco inoltrato offre da molti puntidi vista un grande interesse. Questo interesse è notevolissimo in un Impero qual è il nostro. Infatti, la condizione sociale, i costumi e le abitudini dei popoli ancora selvaggi ricordano, per molti riguardi, quantunque non assolutamente, quelli dei nostri avi, in un’epoca molto lontana; spiegano, nelle nostre società moderne, molti costumi che non hanno nessun rapporto col nostro stato attuale; spiegano anche alcune idee che sono, per così dire, impresse nelle nostre menti come i fossili sono impressi nella roccia; e finalmente possiamo, grazie al paragone sollevare in qualche guisa un poco del fitto velo che separa il presente dal futuro. I selvaggi che abitano le varie parti del mondo offrono, invero, esempi di condizione sociale più rozza, più arcaica, che non qualsiasi di quelle, se dobbiamo prestar fede alla storia, le quali siano mai esistite tra quelle destinate a grandi progressi nella civiltà. Ma anche nelle nazioni più civili noi troviamo tracce dell’antica barbarie. Molto istruttivo è, per questo riguardo, lo studio del linguaggio; le leggi hanno pure molto sovente un’origine antichissima, e contengono simboli i quali non sono che reliquie di cose che furono reali nei tempi andati», J. Lubbock, L’origine, cit., pp. 441-442. Nietzsche sembra quasi parafrasare Lubbock nell’aforisma 43 di

Sul principio dei miei studi intorno alla vita selvaggia, credevo che nessuna razza umana fosse del tutto sprovvista del senso morale, e non fu che gradatamente e con stento che fui obbligato ad adottare un’opinione contraria. Tuttavia, fui costretto ad arrivare a questa conclusione non solo dalla testimonianza diretta dei viaggiatori, ma anche dal tenore generale delle loro osservazioni, e specialmente dalla mancanza di pentimento e di rimorso dalle razze inferiori147.

Se un senso morale innato, cioè un autentico sentimento altruista, non è innato, come si è sviluppato? La posizione di Lubbock è molto interessante perché, prendendo le distanze tanto dall’ipotesi darwiniana degli istinti sociali trasmessi per selezione naturale dagli animali all’uomo, quanto dall’ipotesi spenceriana di una derivazione del senso morale da esperienze di utilità sociale trasmesse come a priori dalla specie al singolo, mette in luce una terza possibile scaturigine di moralità: la costrizione. E, come abbiamo accennato, per quanto riguarda il problema della genesi dei sentimenti morali e in generale dei rapporti comunitari che si stabiliscono tra esseri umani, lo scarto tra Nietzsche e Rée avviene proprio a partire dalla accentuazione nietzschiana dell’elemento dei rapporti di potenza e di dominio, vale a dire dei rapporti di subordinazione. Lubbock procede così nella spiegazione della genesi del senso morale:

Qual è dunque l’origine del senso morale? Alcuni lo considerano come innato, come un istinto originale radicato nella mente umana. Herbert Spencer invece afferma che “le intuizioni morali sono gli effetti accumulati di esperienze di utilità; progressivamente organizzati ed ereditati, sono divenuti del tutto indipendenti da ogni conscia esperienza”. Io non posso condividere pienamente questo punto di vista. Senza dubbio il senso morale è ora intuitivo, me se le razze inferiori dei selvaggi non ne posseggono alcuno, allora esso non è stato posseduto in origine e non può essere considerato naturale per l’uomo. D’altra parte, non posso neanche accettare la teoria opposta. Mentre sono d’accordo con il signor Spencer che “vi sono state e vi sono tutt’ora certe intuizioni morali fondamentali, in via di sviluppo nella razza”, trovo, come dice il signor Hutton molta difficoltà a comprendere, con le parole del signor Spencer, “che queste intuizioni morali sono il risultato di esperienze di utilità”; vale a dire dell’utilità dell’individuo. Quando una volta sia ben riconosciuto che una data linea di condotta possa essere invariabilmente utile all’individuo, le si dà il nome di utile, non quello di virtuosa148.

residui di civiltà precedenti: la giogaia dell’umanità mostra qui per la prima volta apertamente le formazioni più profonde, che rimangono di solito celate. Sono uomini arretrati il cui cervello, per tutti i possibili casi del processo ereditario, non ha continuato a svilupparsi così delicatamente e molteplicemente. Essi ci mostrano come eravamo tutti, e ci fanno spaventare: me essi stessi sono così poco responsabili, quanto un pezzo di granito lo è per il fatto di essere un pezzo di granito. Nel nostro cervello devono trovarsi anche solchi e piegature che corrispondono a quel modo di sentire, così come si dice che nella forma di alcuni organi umani si trovino ricordi del nostro stato di pesci. Ma questi solchi e piegature non sono più il letto in cui scorre attualmente il fiume del nostro sentimento».

147 J.LUBBOCK, I tempi preistorici, cit., pag. 660. 148 Ibidem.

La perplessità di Lubbock investe la teoria spenceriana della genesi della morale a partire da esperienze di utilità sociale e riguarda, come si vede, un aspetto che verrà poi affrontato anche da Nietzsche e che era stato ampiamente dibattuto anche da Rée: il problema della dimenticanza. Per Lubbock, così come sarà per Nietzsche al tempo della Genealogia, l’interazione tra utilità sociale e oblio non riesce a spiegare la modalità con la quale le norme morali si inculcano nella coscienza del soggetto agente. Ora, l’aspetto più interessante della tesi dell’antropologo inglese è il tentativo, una volta che si sia rifiutato il punto di vista spenceriano, di dare un’altra spiegazione del sorgere della morale. Vediamo, allora, come prosegue il capitolo Carattere e morale. Notando subito che il principio di utilità (Utility) è stato comunque «inconsciamente scelto come base della morale», Lubbock si accinge a spiegarne la genesi, e lo fa con un esempio: il caso scelto è quello dell’onestà. L’onestà, valore morale indiscutibile nelle società moderne, ha certamente avuto una genesi, visto che non si danno intuizioni morali innate. Eppure, come comportamento umano non è divenuta un valore morale perché ritenuta utile in origine. Riprendendo le affermazioni di James Hutton, Lubbock spiega in questi termini come il comportamento onesto – di per sé in origine né buono né cattivo, cioè moralmente neutro – sia stato invece, ad un certo punto della storia umana, identificato col comportamento moralmente buono:

I nostri antenati hanno dovuto associare l’onestà con molte conseguenze fortunate o disgraziate; ma nello stesso tempo hanno dovuto notare che l’onestà degli altri rispetto ad essi non aveva che buoni effetti. Quindi, come osserva il sig. Hutton, l’idea che l’onestà sia la migliore delle politiche, “deve essere stata accettata molto tempo dopo di essere stata accettata come un dovere”. L’onestà non deve essere divenuta una virtù che quando il dovere divenne sacro per l’uomo.

E subito dopo Lubbock prosegue il ragionamento con una frase che non può non richiamare alla mente quello che Nietzsche stesso scriverà, anni dopo, nella Genealogia della Morale:

Appena venne introdotto l’uso di far contratti fra individui o fra governi, divenne evidentemente

interesse di ognuno che l’altro fosse onesto [corsivo mio], ogni mancanza per questo riguardo

doveva naturalmente venire biasimata dalla parte offesa. Siccome l’onestà talora è associata a conseguenze sfortunate, appunto per questo è considerata come una virtù. Se fosse sempre stata vantaggiosa a tutti, sarebbe stata classificata fra le cose utili e non fra le giuste: le sarebbe mancato l’elemento fondamentale che la rende degna di essere considerata come una virtù149.

La conclusione alla quale giunge Lubbock è che nell’essere umano non sia presente, come vorrebbe la teoria evoluzionistica darwiniana, alcun senso morale innato, derivante dagli istinti

sociali. La moralità è piuttosto legata al concetto di utilità sociale. Ma non come vorrebbe Spencer, vale a dire nel senso della utilità sociale che, una volta esperita, viene trasmessa come norma di condotta alle generazioni future. Secondo Lubbock, infatti, ciò che viene identificato con l’utile – proprio perché immediatamente appare come utile e quindi come vantaggioso – non può essere considerato giusto, in quanto un’azione che a tutti ed in modo inequivocabile appare utile non è classificabile come ‘buona’ ma semplicemente come ‘utile’. Affinché qualcosa sia considerato ‘bene’ e ‘giusto’ è invece necessario che un potere lo imponga come valore. Solamente dopo che un’autorità impone un comportamento e solo dopo che esso viene esperito come utile, la coercizione viene anche ‘sentita’ come dovere morale. In ogni caso, l’elemento che cronologicamente è all’origine di tutto il processo e la conditio sine qua non dell’emergere del senso morale è la costrizione. Il primum è il dovere, solamente dopo segue il sentimento morale. Il punto centrale è chiaramente nella chiusa di tutto il ragionamento e cioè nel far derivare la morale dalla costrizione, cioè non da una spinta altruistica o da sentimenti simpatetici – meccanismo che, sebbene problematico, funziona anche in Rée – ma dalla imposizione, poiché – come scrive Lubbock – «mi sembra che l’autorità e poi l’utilità sia l’origine della virtù»150.

Se la norma coattiva, la costrizione e il costume, fondano la morale, nel senso che è attraverso la forza coattiva del diritto che si inculcano i valori morali e, prima ancora, il senso stesso del dovere, allora ecco che la questione giuridica diviene una questione di prim’ordine in quanto è proprio nella dimensione del diritto – cioè dell’autorità che coercitivamente impone le leggi e che le fa rispettare – che sorgono i sentimenti morali. Questo schema argomentativo non solo è riscontrabile anche in Nietzsche ma è uno dei nuclei centrali di Menschliches allzumenschliches. Va certamente in questa direzione l’aforisma 96, Costume e costumato. In questo luogo, fondamentale per il discorso che stiamo tracciando, il filosofo sostiene infatti che la moralità deriva direttamente dalla sottomissione alla legge. Cronologicamente, quindi, la costrizione e il potere precedono la morale:

Essere morale, costumato, etico, significa portare rispetto a una legge o usanza anticamente fondata. Che ci si sottometta con sforzo o di buon grado, è qui indifferente, basta che lo si faccia. Si dice ‘buono’ colui che, dopo una lunga tradizione, fa quasi per natura, cioè facilmente e volentieri, ciò che è conforme al costume quale è di volta in volta (per esempio si vendica, se la vendetta appartiene, come presso gli antichi greci, al buon costume). Egli viene detto buono perché è buono ‘a qualcosa’; dato però che benevolenza, compassione e simili furono sentite, pur nel mutamento dei costumi, sempre come ‘buone a qualcosa’, come utili, si dice propriamente ‘buono’ il caritatevole. ‘Egoistico’ e ‘altruistico’ non sono la principale coppia

di contrari che ha portato gli uomini alla distinzione di morale e immorale, bene e male, bensì: l’essere legati a una tradizione, a una legge, e il separarsi da essa [corsivo mio]151.

Gioca qui, e questo potrebbe essere un elemento di vicinanza alle tesi dell’amico Rée, l’adozione del linguaggio utilitaristico: ciò che viene ritenuto morale e che quindi corrisponde alle prescrizioni del costume è ciò che, di volta in volta, è ritenuto utile. Ma, le ultime righe del passo, dove Nietzsche scrive espressamente che egoistico e altruistico non sono gli elementi fondanti la distinzione morale bene/male e che le distinzioni morali derivano dall’ «essere legati a una tradizione», mettono in evidenza tutta la distanza da Rée. Ancora più importante è comunque ciò che segue e che costituisce una spiegazione di quale sia, una volta che altruistico ed egoistico siano stati rimossi quali elementi genetici dei sentimenti morali, l’elemento originario della morale. Questo fattore viene identificato, in linea con le tesi espresse da Lubbock, nella obbedienza alla legge, cioè «l’essere legati a una tradizione» oppure nel «separarsi da essa». Ma come sorgono la legge e la tradizione?

Come la tradizione sia sorta, qui non interessa: in ogni caso essa non è nata avendo riguardo al bene e al male o a qualche imperativo categorico immanente, bensì soprattutto è nata allo scopo della conservazione di una comunità (die Erhaltung einer Gemeinde), di un popolo; ogni usanza superstiziosa, che sia sorta in seguito a un caso falsamente interpretato, determina una tradizione, seguire la quale è morale; staccarsi da essa è cioè pericoloso; per la collettività è ancor più dannoso che per il singolo (perché la divinità, nel punire il sacrilegio e ogni violazione dei suoi privilegi, colpisce la collettività e solo in questo senso anche l’individuo). Ora ogni tradizione diventa sempre più veneranda, quanto più la sua origine è lontana, quanto più questa viene dimenticata; l’ossequio tributatole si accumula di generazione in generazione, la tradizione diviene alla fine sacra e suscita venerazione; e così, in ogni caso, la morale della pietas è una morale molto più antica di quella che esige azioni altruistiche152.

In termini che non possono non ricordare il celebre passo della seconda dissertazione della

Genealogia, nel quale si discute del rapporto fra legge e antenati, Nietzsche insiste sul fatto che storicamente la legge acquisisce potere col passare del tempo e che la sua venerabilità è legata al

culto degli antenati. Nello stesso contesto scrive però che «come la tradizione sia sorta, qui non interessa» e specifica che essa non è sorta in seguito ad una valutazione morale e a una distinzione tra bene e male. Come fondamento della vita associata non c’è la direttiva, insomma, di un a priori morale. Ma questo non significa che il paradigma utilitario è in un certo senso insufficiente a

151 MA 96. 152 MA 96.

spiegarne completamente la genesi? In altri termini, se la legge nasce avendo come scopo la sopravvivenza della comunità, com’è possibile poi specificare che come essa sia sorta non interessa e che dunque tale origine trascende, per il momento, la portata dell’analisi? Evidentemente perché, se interpretiamo correttamente, Nietzsche è ben consapevole, rispetto a Rée, che il punto di vista utilitario – il fatto che una legge sia cioè seguita perché ritenuta utile alla sopravvivenza della comunità – è solo l’aspetto esteriore della questione. Potremmo dire, una genesi semplicistica e semplificatoria. A nostro avviso, per intendere la tesi nietzschiana in tutta la sua estensione e per godere della sua profondità di analisi è necessario mettere tutta l’argomentazione su tradizione, moralità e diritto in relazione al tema della potenza e della forza. Per comprendere allora quale sia la logica che Nietzsche sta seguendo è necessario leggere l’aforisma precedente almeno insieme ad altri due che il filosofo colloca nella stessa sezione dell’opera: gli aforismi 92 (Origine della giustizia) e 93 (Del diritto del più debole). In essi Nietzsche affronta proprio la questione dell’origine della legge e della tradizione cioè il problema che aveva lasciato in sospeso, come si è visto, nell’aforisma 96.