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I. Diritto e giustizia in Umano, troppo umano

6. Le tesi di Nietzsche

6.1 La critica dell’altruismo

Come si è mostrato, uno degli assi portanti dell’argomentazione di Rée è la tesi, ripresa da Darwin, secondo la quale nell’uomo esisterebbe l’istinto altruista. Nietzsche al contrario, sebbene con notevoli oscillazioni, nega tale ipotesi. Questo aspetto è essenziale per comprendere tutta la trattazione del problema della giustizia, del diritto e della nascita dello Stato. Se per Rée non c’è il minimo dubbio che nell’uomo si trovi ereditato dagli animali inferiori il sozialer Instink, Nietzsche quando ne scrive, presenta questa tesi come una ipotesi probabile (scrive infatti, come vedremo tra poco «forse») ma non scientificamente provata, come invece credeva l’amico. Inoltre, la relazione fra piacere individuale e istinto sociale, che Nietzsche pone quando affronta l’argomento, rivela la sua lontananza da un’ipotesi di tipo darwiniano (la quale nega che l’istinto sociale abbia origine dal piacere) e tradisce la vera concezione nietzschiana sull’argomento. Infatti, nell’aforisma 98 di

Umano, troppo umano, Nietzsche scrive:

Dai suoi rapporti con gli altri uomini, l’uomo ricava un nuovo genere di piacere da aggiungere a quei sentimenti di piacere e di dolore che egli trae da se stesso; col che rende in genere notevolmente più vasta la sfera del sentimento del piacere in genere. In questa sfera forse egli ha già ereditato ogni sorta di cose dagli animali, i quali provano manifestamente piacere a giocare fra loro, specie le madri con i piccoli. Si pensi poi ai rapporti sessuali, che fanno apparire interessante a ogni maschio, in vista del piacere, pressappoco ogni femmina e viceversa. Il piacere che deriva dai rapporti umani rende in genere l’uomo migliore; la gioia comune, il piacere goduto insieme si moltiplicano, danno all’individuo sicurezza, lo rendono affabile, sciolgono la diffidenza, l’invidia: perché ci si sente bene e si vede che l’altro si sente bene allo stesso modo. Le stesse manifestazioni di piacere risvegliano la fantasia della simpatia, il senso di essere qualcosa di uguale: la stessa cosa fanno anche i dolori comuni, le comuni procelle, gli stessi

pericoli e nemici. Su di essi si costituisce quella che è la più antica alleanza: il cui senso è la difesa comune e l’eliminazione della minaccia di un dolore a beneficio di ogni individuo. E così dal piacere si sviluppa l’istinto sociale.

A prima vista tale argomentazione sembrerebbe condividere il punto di vista darwiniano. Le categorie della simpatia, della comunità e le richiamate cure parentali della madre verso i figli sembrano andare nella direzione della spiegazione darwiniana e réealista secondo la quale l’uomo erediterebbe l’istinto sociale dagli animali. Però la chiusa dell’aforisma, dove Nietzsche conclude il ragionamento scrivendo che «so wächst der sociale Instinct aus der Lust heraus», va in un’altra direzione. La questione centrale è la riconduzione dell’istinto sociale al piacere. In L’origine

dell’uomo Darwin aveva infatti presentato la relazione fra istinto sociale e piacere in ben altri termini

ed era stato critico sia con l’utilitarismo che con l’intuizionismo, il quale tendeva a leggere la sensazione piacevole collegata all’azione moralmente ‘buona’133. Dal punto di vista darwiniano non

è dal piacere che si sviluppa l’istinto sociale, come invece Nietzsche scrive. Anche Rée ribadisce nella sua opera questo concetto, sottolineando chiaramente che il sentimento di piacere accompagna l’azione non egoistica ma non è la sua causa. In questo senso, il giovane filosofo scrive che il «sentimento di piacere che si prova in occasione di un modo di agire benevolo o il timore che precede il sentimento spiacevole dei rimorsi di coscienza non è il motivo delle azioni non egoistiche»134. La posizione di Nietzsche era invece di altro tipo, in quanto stabiliva proprio un nesso causale tra il piacere e l’ipotetico istinto sociale.

Da questo punto di vista, l’affermazione nietzschiana secondo la quale «l’istinto sociale nasce dal piacere» mette quindi in rilievo un altro paradigma rispetto a quello darwiniano. Questo paradigma è quello che vede, proprio nel piacere, la causa e il movente originario di ogni azione umana. Così, ad esempio, nell’aforisma 104, dove il piacere è identificato con il piacere egoistico e individuale del «senso della propria potenza» e del «proprio forte eccitamento», viene affermato che «senza piacere non c’è vita» e che «la lotta per il piacere è la lotta per la vita»135. L’analisi della

133 Cfr. G.RAMETTA, Darwin e Nietzsche. Due paradigmi a confronto, in Gasparini L. (a cura di), Sulla

naturalizzazione della morale. Da Darwin al dibattito attuale, Padova, Il Poligrafo 2003, pag.256: «Darwin sviluppa

l’argomentazione in diretta opposizione alla teoria dell’utilitarismo, che fa del principio della “massima felicità” il movente delle azioni morali e quella del cosiddetto “intuizionismo”, secondo cui le nostre “buone azioni” sono sempre provocate o comunque associate ad una sensazione di piacere. Secondo gli utilitaristi vi sarebbe sempre una riflessione esplicita orientata a stabilire in anticipo il “motivo” dell’azione, e quest’ultimo sarebbe costituito dal principio suddetto. Al contrario, secondo Darwin siffatto principio dovrebbe essere considerato «come un criterio di valutazione e non come un motivo di condotta»; contro gli intuizionisti, egli sostiene invece che “l’uomo agisce spesso impulsivamente, cioè per istinto o per una lunga abitudine, senza alcuna coscienza di piacere”. In entrambi i casi, Darwin contesta l’idea che alla base delle azioni umana vi sia una consapevolezza esplicita di ciò che viene fatto, che il comportamento umano trovi la sua “causa” nella coscienza, nell’intenzione, nella sanzione o nella motivazione di un soggetto autocosciente».

134 P.RÉE, Der Ursprung, cit., pag.37. 135 MA 104.

compassione, fenomeno direttamente legato all’esistenza o meno dell’istinto altruista nell’uomo, ci consentirà di comprendere ancora meglio la posizione di Nietzsche.

Quando Nietzsche tratta del sentimento della compassione, esso non viene ricondotto ad un istinto sociale o a un sentimento simpatetico ma ad una forma mascherata di egoismo. Riprendendo le riflessioni di La Rochefoucauld, il quale individuava nella compassione, come Nietzsche scrive, un sintomo di «stupidità e carenza intellettuale, come una forma di turbamento intellettuale»136, il filosofo tedesco la interpreta addirittura come lo strumento che i deboli usano per poter esercitare, sebbene in una posizione evidentemente svantaggiata, la forza del «caro sé stesso». Dunque, l’interpretazione nietzschiana di questo sentimento morale è tale da escludere qualsiasi riferimento ad un ipotetico istinto altruista o a sentimenti simpatetici. D’altronde, che la compassione sia un’arma potentissima nelle mani di chiunque si trovi in una posizione di debolezza lo dimostrano anche i bambini i quali «piangono e strillano allo scopo di essere compassionati»137. Analizzata lucidamente,

senza il filtro dei pregiudizi morali, «la sete di compassione è una sete di godimento di sé», è uno «stimolante della vita» che aumenta «il senso della propria forza»138. Sono affermazioni che giocano non solo contro Rée ma anche, e probabilmente soprattutto, contro il vero bersaglio polemico di Nietzsche sul tema della compassione, Schopenhauer. È, infatti, proprio il filosofo del Mondo come

volontà e rappresentazione – stando a quanto lo stesso Nietzsche scrive nella Genealogia – «la

passione e la segreta opposizione di quel libro»139.

Come ha messo in luce Luisella Battaglia140, direttamente contro Rée è invece da leggere l’aforisma 57 dell’opera sorrentina. In quel luogo, Nietzsche discute della compassione che la madre (non) proverebbe nel vedere soffrire il figlio. L’esempio è tratto dallo stesso Rée il quale, dal canto suo, lo aveva utilizzato come indiscutibile evidenza a favore dell’esistenza dell’istinto altruista. Per Rée, il dolore che la madre prova alla vista della sofferenza del figlio è un dolore autenticamente non egoistico. Essa soffre, in altri termini, non perché si rappresenta la sofferenza del bambino ma già

136 MA 50.

137 Cfr. MA 50: «Si osservino piuttosto i bambini, che piangono e strillano allo scopo di essere compassionati, e

che perciò aspettano il momento in cui il loro stato può essere notato; si viva a contatto con malati e persone spiritualmente oppresse – e ci si domandi se l’eloquente lamentarsi e gemere, il mettere in mostra l’infelicità non persegua in fondo lo scopo di far male ai presenti: la compassione che poi questi attestano, in tanto è una consolazione per i deboli e i sofferenti, in quanto questi riconoscono da essa di aver per lo meno una forza, nonostante tutta la loro debolezza: la forza di far male. L’infelice ricava una specie di piacere da questo sentimento di superiorità che l’attestazione di compassione risveglia nella sua coscienza; la sua vanità si esalta, egli è ancora abbastanza importante per causare dolore al mondo. Pertanto, la sete di compassione è una sete di godimento di sé e, invero, a spese del prossimo».

138 Ibidem.

139 GM, Prefazione, 5.

solo per il fatto che un essere umano soffre141. Nietzsche giunge invece a negare che la sofferenza della madre per i dolori del figlio sia l’espressione di un’autentica spinta simpatetica verso un altro essere umano e, coerentemente col suo punto di vista, riconduce tutte le apparenti azioni altruistiche dell’amore materno nell’alveo dell’egoismo. Per lui, ciò che appare come altruistico è in realtà la soddisfazione di un piacere egoistico, di qualcosa che si ama di sé. Si tratta, scrive il filosofo, di una «inclinazione verso qualche cosa (desiderio istinto, aspirazione); assecondarla, con tutte le conseguenze, non è in ogni caso ‘altruistico’»142.

Una prima discrepanza tra Nietzsche e Rée la si ritrova, quindi, già al livello delle premesse e riguarda il nodo centrale degli istinti fondamentali della natura umana: se per Rée, come abbiamo visto, nell’essere umano sono due gli istinti fondamentali, quello altruista e quello egoista, Nietzsche cassa completamente l’esistenza del primo. Per lui, propriamente originario è solo l’istinto egoista mentre quello altruista è derivato. In un passo del Viandante e la sua ombra, questa posizione emerge esplicitamente insieme alla rivalutazione del filosofo svizzero Helvéthius – sostenitore dell’egoismo assoluto – che era stato proprio uno degli obbiettivi polemici di Rée sulla questione dell’istinto sociale in Der Ursprung der moralischen Empfindungen. Nell’aforisma 216, alla fine di un ragionamento che legge in continuità il moralismo di Kant, la filosofia di Rousseau e la riscoperta della romanità «con la quale i francesi hanno proseguito nel modo più degno il compito del Rinascimento», Nietzsche afferma che:

È da notare incidentalmente che il detto risveglio morale ha avuto come conseguenza per la conoscenza dei fenomeni morali, come si può quasi indovinare, solo svantaggi e movimenti retrogradi. Che cos’è tutta la filosofia morale tedesca, da Kant in poi, con tutti i suoi germogli e le sue ramificazioni francesi inglesi e italiane? Un attentato semiteologico contro Helvéthius, un

141 Cfr. P.RÉE, Der Ursprung, cit., pag. 36: «Alcuni filosofi, in particolare Helvéthius, affermano addirittura che

i sentimenti e le azioni di carattere non egoistico non appartengono alla natura umana, ma che piuttosto ciò che sembra non egoistico è solamente una forma mascherata della pulsione egoistica. Essi affermano: chi vede soffrire gli altri, si rappresenta involontariamente il loro dolore. La rappresentazione di questo dolore determina un sentimento di dispiacere, questo dispiacere è chiamato dolore. Questo tipo di compassione si riscontra spesso ma non è l’unico. Qualche volta noi sentiamo dolore non solo a condizione che ci rappresentiamo le sofferenze altrui, ma ci addoloriamo soprattutto per il fatto che qualcuno soffre: noi sentiamo in modo non egoistico; come per esempio una madre che vede soffrire suo figlio, non prova dolore per il fatto che si rappresenta la sofferenza del figlio – nel qual caso la persona del figlio le sarebbe indifferente – ma soprattutto prova dolore per il fatto che suo figlio soffre. Questa compassione non egoistica appare non solo nel caso dell’amore paterno o materno, ma anche in circostanze diverse».

142 MA 57. Nietzsche argomenta così: «La madre dà al figlio ciò che toglie a se stessa, il sonno, il miglior cibo,

e in certi casi la salute e gli averi. Ma sono, tutti questi, stati altruistici? Sono, queste azioni della morale, miracoli, in quanto sono, secondo Schopenhauer, “impossibili eppure reali”? Non è evidente che in tutti questi casi l’uomo ama

qualcosa di sé, un pensiero, un’aspirazione, una creatura, più di qualche altra cosa di sé, che egli, cioè, scinde il suo

essere e ne sacrifica una parte all’altra? Avviene forse qualcosa di essenzialmente diverso, quando un caparbio dice: “Preferisco farmi ammazzare che spostarmi di un passo davanti a quest’uomo?” In tutti i casi detti esisteun’inclinazione verso qualche cosa (desiderio istinto, aspirazione); assecondarla, con tutte le conseguenze, non è in ogni caso “altruistico”. Nella morale l’uomo tratta se stesso non come individuum, ma come dividuum».

rifiuto della libertà di prospettiva lentamente e faticosamente conquistata o delle indicazioni della retta via, che egli ha da ultimo ben espresse e riunite. Fino al giorno d’oggi Helvéthius è in Germania il più diffamato fra tutti i moralisti e uomini di valore143.

Come è stato opportunamente notato, nel corso degli anni Nietzsche cambierà giudizio sul filosofo francese in relazione alla critica, sempre più articolata, che condurrà contro l’egoismo, critica a sua volta connessa alla elaborazione del Wille zur Macht144. Ma qui, prima che la svolta teoretica

decisiva della filosofia di Nietzsche sia compiuta, e che la categoria dell’egoismo inteso quale ego- centrismo risulti anch’essa completamente inservibile, il movente dell’azione umana viene ricondotto tutto alla logica dell’egoismo assoluto e del piacere individuale. Si noti, inoltre, che la filosofia tedesca, nel passo appena riportato, è accusata di essere tutta «un’attentato semiteologico contro Helvéthius». Tutta: vale a dire, incluso Paul Rée. Sebbene, come sappiamo, Der Ursprung der

moralischen Empfindungen e Menschliches allzumenschliches siano state considerate dai loro stessi

autori come opere sorelle, frutto di un lavoro quasi collegiale, in realtà indagandone a fondo le premesse teoriche, quella così stretta parentela può essere messa in discussione. E, come ora mostreremo, anche sulla questione dello Stato e del diritto, per molti versi, i due amici sostengono tesi divergenti, se non assolutamente contrapposte.

143 WS 216.

144 Si veda a questo proposito G.CAMPIONI, “Gaya scienza” e “gai saber” nella filosofia di Nietzsche, in