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Eticità del costume, cattiva coscienza e nichilismo

II. Genesi dello Stato e diritto in Aurora, La gaia Scienza e Così parlò Zarathustra

2. Eticità del costume, cattiva coscienza e nichilismo

Nell’aforisma 9 di Aurora Nietzsche discute il tema della eticità del costume (Sittlichkeit der

Sitte). Le riflessioni che Nietzsche svolge in questo passo, certamente uno dei più importanti di tutta

l’opera, da una parte ribadiscono le posizioni sul costume che erano state sostenute in Umano, troppo

umano ma, dall’altra, forniscono ulteriori e fondamentali elementi da analizzare. Eticità, si legge in

queste righe, è «obbedienza ai costumi di qualunque specie essi possano essere», cioè obbedienza alla tradizione. Come si ricorderà, una delle questioni che Nietzsche sollevava in Umano, troppo

umano riguardava proprio la modalità attraverso la quale la tradizione era nata e si era stabilizzata.

Nietzsche aveva rintracciato nella costrizione, dunque nella forza, l’elemento genetico dell’ethos. Ora, nell’aforisma 9 di Aurora, non solo questa posizione è ribadita, ma il filosofo vi aggiunge una importante precisazione: la forza, la quale impone la tradizione, cioè l’eticità, non lo fa secondo principi utilitari. In altri termini, il punto di vista dell’utilità, che qui va naturalmente intesa come utilità del gruppo sociale, non sembra – stando a questo passo – giocare un ruolo dirimente nella scelta e nella selezione dei comportamenti ritenuti etici, cioè di quei comportamenti che vengono normativamente prescritti e sanzionati all’interno della comunità:

Eticità non è nient’altro (dunque in particolare modo niente di più) che obbedienza ai costumi di

qualunque specie essi possano essere. I costumi peraltro sono il modo tradizionale di agire e di

valutare. In cose dove nessuna tradizione comanda, non esiste eticità: e quanto meno la vita è determinata dalla tradizione, tanto più piccolo diventa il circolo dell’eticità. L’uomo libero è privo di eticità, poiché egli vuole dipendere in tutto da sé e non da una tradizione: in tutti gli stati primordiali dell’umanità, ‘malvagio’ ha lo stesso significato di ‘individuale’, ‘libero’, ‘arbitrario’, ‘inconsueto’, ‘non previsto’, ‘incalcolabile’ […]. Che cos’è la tradizione? Un’autorità superiore, alla quale si presta obbedienza non perché comanda quel che ci è utile, ma soltanto perché ce lo

comanda [corsivo mio]49.

Dunque: il punto di vista dell’utilità sociale sembra ora non giocare alcun ruolo nello stabilirsi di una tradizione. Tale posizione è ribadita anche poche pagine dopo, nell’aforisma 16. Citando alcune abitudini dei popoli allo stadio primitivo, il filosofo si domanda infatti che utilità potrebbero avere alcune usanze che essi sono tenuti a rispettare meticolosamente, quali ad esempio «il non raschiare mai la neve dalle scarpe» oppure «non infilzare mai il carbone»50 con il coltello. Che tipo di utilità hanno per la comunità questo tipo di prescrizioni etiche? La risposta di Nietzsche è: nessuna. Eppure, esse hanno comunque un senso e un significato presso quelle popolazioni poiché, nonostante

49 M 9. 50 Cfr., M 9.

non siano direttamente utili come prescrizioni in sé, tuttavia «mantengono continuamente nella coscienza la continua vicinanza del costume, l’ininterrotta costrizione a praticare il costume medesimo»51. Così, il loro valore va rintracciato non in ciò che prescrivono ma nell’elemento simbolico e, soprattutto, mnemotecnico. Il loro scopo è quello di rammentare agli individui la necessità di norme prescrittive52 e di abituare gli uomini all’obbedienza, a prescindere dal contenuto dei comandi che vengono loro imposti. Infatti, il principio primo della civiltà, scrive Nietzsche, è: «un costume qualsiasi è meglio che l’assenza di costumi»53.

Nell’aforisma 9 di Aurora però, oltre a ribadire l’origine sostanzialmente arbitraria della tradizione e della legge, Nietzsche va ancora più avanti nella sua speculazione. Riprendendo le considerazioni sulla dialettica tra individuo e comunità che già aveva svolto in Umano troppo umano, le arricchisce ulteriormente, in un senso che anticipa gli sviluppi successivi della sua filosofia. Infatti, già nelle pieghe di Aurora sono adombrati (anche se non pienamente sviluppati) sia il tema della cattiva coscienza sia quello del nichilismo e ciò avviene, non a caso, all’interno di considerazioni che riguardano l’eticità e il diritto.

51 Ibidem.

52 Ciò che qui, in Aurora, sul piano etico-normativo, Nietzsche esprime come “principio primo di ogni civiltà”,

cioè il fatto che la civiltà sia costitutivamente legata a una serie di norme che la istituiscono e la regolano, è un punto di vista che in termini strettamente giuridici era stato espresso già nell’aforisma 459 di Umano, troppo umano, il quale non a caso s’intitola Necessario il diritto arbitrario. Lì Nietzsche scrive così: «I giuristi disputano se in un popolo debba vincere il diritto più completamente elaborato o quello più facile a capirsi. Il primo, di cui il modello più alto è quello romano, appare al profano incomprensibile e perciò non come espressione del suo sentimento del diritto. I diritti nazionali, come ad esempio quelli germanici, erano rozzi, superstiziosi, illogici, in parte sciocchi ma corrispondevano a costumi e sentimenti nazionali ereditari affatto determinati. Ma dove il diritto non è più come da noi tradizione, esso può essere solo imposto, solo costrizione; noi tutti non abbiamo più un senso tradizionale del diritto, perciò dobbiamo accontentarci di diritti arbitrari, che sono espressione della necessità che esista un diritto. Ciò che è più logico è comunque allora ciò che è più accettabile, perché è ciò che è più imparziale: anche concedendo che in ogni caso l’unità di misura minima nel rapporto fra reato e pena è fissata arbitrariamente». Nietzsche traccia qui una distinzione tra diritto romano e diritti germanici. In tale contesto, che riecheggia come si vede la querelle tra germanisti e romanisti all’interno della scuola storica del diritto, Nietzsche assume però una posizione peculiare: in entrambi i casi, sia quello del diritto romano, sia quello dei diritti germanici, la sfera giuridica non appartiene alla sfera del vero ma piuttosto alla dimensione del sentimento. In questo senso, ogni diritto è arbitrario, ma nello stesso tempo, necessario poiché parte costitutiva e insopprimibile della vita comunitaria.

53 Ibidem. Nella stessa direzione va anche l’aforisma 24 di Aurora, intitolato La dimostrazione di una

prescrizione: «In generale si dimostra che una prescrizione, per esempio quella di cuocere il pane, è buona o cattiva, a

seconda che il risultato di cui essa tratta si verifichi o no, nel presupposto che a tale prescrizione venga data precisa esecuzione. Per le prescrizioni morali le cose stanno diversamente: in questo caso, infatti, proprio i risultati non possono essere calcolati, oppure sono da chiarificare, e indeterminati. Queste prescrizioni si fondano su ipotesi dal valore scientifico assolutamente esiguo, la dimostrazione e confutazione delle quali, a partire dai risultati, è in fondo egualmente impossibile; ma una volta, nella originaria rudimentalità di ogni scienza e nelle tenui pretese che si avevano per ritenere dimostrata una cosa, – una volta, si stabiliva che una prescrizione del costume era buona o cattiva nello stesso modo in cui oggi lo si stabilisce per ogni altra prescrizione: mediante un rinvio al risultato. Se per gli indigeni dell’America russa vale la prescrizione: non gettare nel fuoco ossa di animali o non darle ai cani, – essa viene così dimostrata: “fallo e non avrai fortuna a caccia”. Ma in un certo senso non si ha quasi mai “fortuna a caccia”; non è facile la possibilità di confutare, per questa via, la bontà della prescrizione, specialmente quando una comunità, e non un singolo, è considerata la portatrice del castigo; interverrà sempre invece una circostanza che sembri dimostrare la prescrizione».

Per quello che riguarda il rapporto tra individuo e comunità, una delle argomentazioni centrali sostenute da Nietzsche in Menschliches allzumenschliches era che le mete più alte dell’umanità potevano essere raggiunte solo da quegli individui in grado di ribellarsi all’obbedienza cieca nei confronti dei dettami della legge. In queste anime degeneranti, come le descriveva in quell’opera, si trovava la possibilità di creare il nuovo, anche se ciò significava infrangere, almeno a livello potenziale, la pax sociale. Nell’aforisma Nobilitazione attraverso la degenerazione, il filosofo aveva sostenuto che erano appunto «gli individui più liberi, molto più insicuri e moralmente più deboli, quelli dai quali dipende, in tali comunità, il progredire intellettuale»54. Per questo motivo, uno degli scopi dello Stato era proprio quello di trovare un equilibrio produttivo tra l’elemento degenerante/innovatore e quello della durata e della stabilità della società. Un equilibrio che gli permettesse di assorbire il veleno di una necessaria «inoculazione nobilitante»55. Solo attraverso

quest’ultima, infatti, era possibile per tutta la società innalzarsi verso «mete più alte» e concepire la vita comunitaria non solo come sistema in grado di evitare il bellum omnium contra omnes ma come dimensione di ascesa verso le più alte potenzialità dell’umano. Riprendendo questo tipo di considerazioni in Aurora, Nietzsche fa notare come la cattiva coscienza sia sorta proprio sul terreno di quelle nature degeneranti, cioè in coloro che sono in grado di sottrarsi alla omologazione massificante della comunità e di creare nuovi valori e punti di vista.

Per come Nietzsche ha descritto l’eticità fino ad ora, essa è una forza conservatrice che inebetisce gli esseri umani «opponendosi all’origine di nuovi e migliori costumi»56. Eticità è infatti costrizione e obbedienza ad una serie di norme che vengono imposte, come si è visto, a prescindere dalla reale utilità che possono esibire e dimostrare. Essa è quindi, se si vuole, uno dei prodotti del linguaggio e dell’intelletto, un’immagine simbolica e arbitraria della realtà e dei rapporti causali che costituiscono l’universo. In senso proprio, l’eticità per Nietzsche è finzione poiché, lungi dal rispecchiare i nessi causali reali, è piuttosto un mero atto di imposizione che non ha nulla a che vedere con un calcolo razionale e oggettivamente fondato circa i comportamenti che potrebbero essere realmente utili. Infatti, anche se si riuscisse a stabilire il fine da raggiungere con un determinato sistema etico, i risultati di quelle prescrizioni «non possono essere calcolati, oppure sono da chiarificare e indeterminati»57. Il contenuto normativo dell’etica viene quindi imposto non perché

effettivamente utile ma solo in quanto «si presumeva utile e dannoso»58. Per questo motivo, il costume, se ben analizzato, mostra di essere il regno della irrazionalità piuttosto che quello del calcolo

54 MA 224. 55 Ibidem. 56 M 19. 57 M 24. 58 Ibidem.

razionale e della previsione59. Il fatto che, in seguito, alcune prescrizioni sembrino razionali, in quanto si dimostrano utili, è in realtà una costruzione a parte post e un’interpretazione arbitraria di tutto il processo. Infatti, l’utilità, e qui Nietzsche anticipa brevemente le considerazioni della Genealogia, non è la categoria ermeneutica che permette di ricostruire la storia evolutiva dell’etica poiché anche «se si è dimostrata l’altissima utilità di una cosa, non si è ancora, con ciò fatto un passo avanti per chiarire la sua origine: cioè non si può con l’utilità rendere comprensibile la necessità dell’esistenza»60. In altri termini, è certamente possibile che prescrizioni imposte nell’età arcaica si

siano dimostrate utili a qualche scopo in quell’epoca o in epoche posteriori, ma ciò non dice nulla della loro origine.

Questa dimensione irrazionale ma allo stesso tempo funzionale del costume, che seppur arbitraria è in grado di regolare i comportamenti umani e garantire la sicurezza della società, trova in un certo tipo di individui, il suo potenziale tallone d’Achille, il suo punto debole. Essi sono appunto coloro che rifiutano di essere inquadrati e inglobati passivamente nella omologazione etico-statale, sono quelle nature degeneranti di cui già si parlava in Umano, troppo umano. Ma proprio in virtù della ribellione intellettuale che esercitano, nasce in loro il sentimento della colpa e della cattiva coscienza:

Non è possibile calcolare quel che devono aver sofferto nell’intero corso della storia propria gli spiriti più rari, i più eletti, più originali, per il fatto che vennero sentiti come i malvagi e i pericolosi, per il fatto anzi che essi stessi si sentirono tali. Sotto il dominio dell’eticità del costume l’originalità di ogni specie ha acquistato una cattiva coscienza: fino a questo momento il cielo dei migliori ne è stato ancora più offuscato di quanto avrebbe dovuto esserlo61.

Per spiegare come nasca all’interno di questi spiriti disobbedienti e creativi il sentimento della colpa però non è sufficiente mettere in luce il contrasto tra individuo e comunità che da solo, di per sé, non è in grado di spiegare come sia nata la cattiva coscienza. Infatti, che un individuo si separi dal costume e che per questo suo comportamento venga sanzionato non è una dinamica che, da sola, permetta di spiegare l’arcano morale del senso di colpa. Per risolvere l’enigma, bisogna fare invece riferimento a quella che Peter Sedgwick ha chiamato «logica sacrificale dello scambio»62. Il punto

59 Cfr. M 149. Nietzsche scrive in questo aforisma che: «”Non è essenziale, se anche uno di noi fa quello che

tutti fanno e hanno sempre fatto!” – così si esprime il pregiudizio grossolano! Il grossolano errore! Poiché non c’è niente di più essenziale del fatto che ancora una volta sia riaffermato, attraverso l’azione di un uomo riconosciuto come razionale, quanto è già potente, tradizionale, e irrazionalmente riconosciuto: in tal modo esso riceve, agli occhi di tutti coloro che hanno notizia di questo fatto, la sanzione della ragione stessa».

60 M 37. 61 M 9.

62 Cfr. P. Sedgwick, Nietzsche’s Economy. Modernity, normativity and futurity, Palgrave, Basingstoke-New York

centrale da mettere in luce è che Nietzsche caratterizza la società arcaica come società organicistica. Essa, in altri termini, non è una società composta di individui ma da «membri di un tutto»63 e riesce a sopravvivere solo sacrificando le esigenze del singolo a quelle della maggioranza. In tempi remoti, infatti – ci ricorda Nietzsche nel passo che abbiamo riportato sopra – «malvagio ha lo stesso significato di ‘individuale’, ‘libero’, ‘arbitrario’, ‘inconsueto’, ‘non previsto’, ‘incalcolabile’»64. Ora, secondo la «logica dello scambio sacrificale» il potere stesso si legittima come ciò che, attraverso uno scambio con la divinità riesce a controllare le forze maligne che la possono mettere in pericolo.

In questo contesto, la disobbedienza di chi esce fuori dalla tradizione, anche se creativa e innovatrice, viene sentita come disobbedienza alla divinità e, quindi, come colpa. Una responsabilità enorme piomba sul singolo che non rispetta il dovere: la sua infrazione e la sua colpa ricadono, infatti, non solo su di lui ma su tutta la comunità. La disobbedienza alla prescrizione della eticità non rimane quindi un fatto atomistico e privato che interessa solo il soggetto agente, ma include tutta quanta la

comunità di cui esso fa parte. Infatti, in tempi remoti, quando la tradizione e il costume sono ritenuti

di origine soprannaturale e sono seguiti per paura, si crede «che la punizione per l’offesa del costume ricada soprattutto sulla comunità»:

La comunità può costringere il singolo a reintegrare a favore del singolo e della comunità il danno più immediato risultante dalla sua azione; essa può anche prendersi una specie di vendetta sul singolo, per il fatto che a causa sua, come supposta conseguenza del suo agire, le nubi e i fulmini dell’ira divina si sono adunati sopra la comunità; purtuttavia essa sentirà sempre la colpa del singolo soprattutto come propria colpa e porterà il castigo di questi come proprio castigo65.

È in base a tale supposizione che viene comminata la pena. In linea con le argomentazioni svolte in Umano, troppo umano, essa ha carattere eminentemente retributivo. Ma qui, appunto, Nietzsche aggiunge un elemento fondamentale rispetto alla concezione penale che abbiamo analizzato nelle pagine dedicate a Menschliches allzumenschliches. Mentre lì tutta la dinamica della pena era interna al mondo umano, qui Nietzsche estende la logica dell’equilibrio, cioè la logica tipicamente retributiva, anche al rapporto uomo-Dio. Si ripropone, quindi, su un piano diverso il modello del Gleichgewicht. D’alta parte, non potrebbe essere diversamente poiché è questa, come sappiamo, la logica originaria e arcaica del concetto di giustizia. Trattandosi in questo frangente proprio degli stadi arcaici dell’umanità, è chiaro che il concetto di giustizia è completamente determinato, ora più che mai, dalla logica dell’equilibrio. Eppure, a quest’altezza, nasce un nuovo

63 Cfr., MA 89. 64 M 9. 65 M 9.

problema. Infatti, sorge il dilemma di quale possa essere la merce da scambiare, nel momento in cui si deve ristabilire un equilibrio tra uomo e divinità, tra due piani tra loro estranei del cosmo. Sulla bilancia, questa volta, non si possono mettere i tradizionali oggetti di compensazione materiale o simbolica di cui si è parlato finora. La soluzione è semplice quanto geniale. È il dolore umano che, questa volta, sul piatto della bilancia ha il compito di riportare il braccio in posizione orizzontale, di riequilibrare il rapporto. Esso viene donato alla divinità da quegli stessi ‘colpevoli’ in base alla considerazione che, come merce di scambio, esso possa costituire un’adeguata retribuzione per il torto commesso:

Quanto più il loro spirito s’incamminava precisamente su vie nuove e di conseguenza era tormentato da rimorsi e paure, tanto più essi infuriavano contro il loro stesso corpo, contro i loro stessi desideri e la loro stessa salute, come per offrire alla divinità una compensazione di piacere, nel caso essa forse dovesse sentirsi amareggiata a cagione delle consuetudini abbandonate e avversate e delle nuove mete. Andiamo piano a credere che noi oggi ci si sia liberati pienamente da una tale logica del sentimento! Le anime più eroiche possono interrogare a riguardo se stesse. Ogni più piccolo passo in avanti nel campo del libero pensiero, della vita plasmata in una forma personale, è stato compiuto da tempo immemorabile a prezzo di martìri dello spirito e del corpo66.

A questo punto, nel ragionamento nietzschiano, va messa in luce, da una parte, un’ambivalenza di fondo e, dall’altra, una innovazione decisiva nelle argomentazioni. Com’è stato notato, rimane certamente ambigua la valutazione nietzschiana dell’intero fenomeno dell’eticità dei costumi. Se da una parte è vero che Nietzsche denuncia nella Sittlichkeit un elemento conservatore e sostanzialmente repressivo, dall’altra essa è ritenuta un elemento necessario e il principio irrinunciabile ed essenziale della sfera politico-comunitaria67. Essa d’altronde è, come si ricorderà, l’unica sfera di esistenza dell’umano68, costituendosi l’essere umano proprio attraverso il suo

inquadramento, anche violento e passivo, all’interno dello Stato. Per quanto riguarda invece

66 M 18.

67 Cfr., FP 25 [7], 1876-1878.

68 Per quanto riguarda quest’ultima contraddizione del pensiero nietzschiano tra Umano, troppo umano e Aurora

(ma estendibile anche alle opere successive) si veda quanto ha scritto Roberto Escobar: «la palese contraddizione è analoga ad altre tipiche del pensiero nietzschiano, a partire da quella fondamentale tra un radicale rifiuto del “sistema” e un altrettanto forte bisogno di averne o costruirne comunque uno. Si può dire che, in genere, in Nietzsche si trovano presenti contemporaneamente due impulsi opposti: il primo tende alla critica, e perciò alla distruzione, di ogni pretesa verità e di ogni dato culturale che si presenti come acquisito (“i pesanti gatti di granito”): l’altro presume di avere la capacità e il diritto di conservare tuttavia una solida e concreta immagine del mondo, di non condividere il destino del nichilista, del decadente, del Freigeist che vede annullarsi sotto il suo sguardo dissolvitore ogni concretezza e ogni stabilità. Per quel che riguarda più da vicino il rapporto fra tradizione diritto, meglio tra tradizione e società (che nel diritto trova il proprio momento coesivo), nell’opera di Nietzsche si sviluppa una diffusa analisi di entrambi i versanti della questione: da un lato la necessità di un elemento unificante sopraindividuale che si fondi nella tradizione, dall’altro l’indicazione che il progresso di una civiltà o anche solo di una comunità viene da quei momenti o da quegli uomini che sono capaci di (o sono necessitati a) infrangere tutto ciò che è, appunto, della tradizione», R.ESCOBAR, Nietzsche politico, cit., pag. 61.

l’elemento innovativo, rispetto alle opere precedenti Nietzsche compie uno scarto fondamentale che avrà notevoli sviluppi. Infatti, egli legge la dinamica retributiva della pena come forma mentis di tutta la vita umana, anche di quella extra-giuridica. In questo senso, non si esagera nel dire che ciò che Nietzsche chiama «il vaneggiamento di carcerieri e carnefici», cioè l’dea di controbilanciare la presunta colpa con la pena, diviene il generatore simbolico della intera vita umana. Infatti, come si è