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I. Diritto e giustizia in Umano, troppo umano

7. Rudolph von Jhering: una lettura dell’estate 1879

7.1 Il Gleichgewicht in Jhering

Come abbiamo accennato poco sopra, quando parla di ‘scopo nel diritto’ Jhering non è desidera fare un’analisi dei possibili scopi contingenti che interessano il legislatore ma vuole capire la natura stessa del fenomeno giuridico. Per riuscire in questa impresa egli fa un’analisi a tutto tondo della vita umana e della società, individuando appunto gli scopi dell’una e le dinamiche dell’altra. Sebbene per Jhering l’essere umano non sia mosso solamente dall’egoismo, nel primo volume dell’opera egli traccia la storia evolutiva del diritto e della società spiegando questi fenomeni solo ed esclusivamente a partire da quelle che chiama le «molle egoistiche» della meccanica sociale: la

ricompensa e la coercizione. Rimanda infatti al secondo volume dell’opera la trattazione delle altre due spinte fondamentali della socialità umana che chiama le «molle altruistiche»: l’amore e la morale. Per capire in che modo Jhering identifichi nella ricompensa e nella coercizione le due forze fondamentali sulle quali si basa la vita associata del genere umano, è necessario dire che per lui l’intera storia della civiltà sottostà a quella che egli stesso definisce la «suprema legge storica dell’umanità». Essa esprime per Jhering una verità indiscutibile e cioè che «ognuno esiste a vantaggio del mondo»255. Il fatto che ognuno esiste a vantaggio del mondo significa che la vita umana è

costitutivamente comunitaria e che ogni essere umano si trova in una condizione di reciprocità con i

suoi simili. Su tale reciprocità si fonda tutto il progresso e lo sviluppo della civiltà poiché ognuno «per quanto insignificante sia la sua posizione, collabora allo scopo culturale dell’umanità»256. Anche se si immaginasse l’uomo più misero e all’estremo gradino della scala sociale, non si potrebbe non riconoscere che anche lui, già solo per il solo fatto di esistere e di avere rapporti con i suoi simili, contribuisce al progresso dell’umanità. Solamente esistendo e parlando la lingua del suo popolo, secondo Jhering, costui svolgerebbe infatti già il compito fondamentale di trasmettere, seppur inconsciamente, la sua lingua natìa257.

Quella di Jhering è chiaramente una visione ottimista della storia umana. L’uomo, lanciato in modo inarrestabile verso il progresso e lo sviluppo, si trova ricompreso con tutti i suoi scopi individuali in una progressiva eterogenesi dei fini la quale corrisponde, come si diceva prima, al disegno divino. In questo senso, per il giurista di Aurich, il completamento aureo della prima tesi, quella che dice «ognuno esiste a vantaggio del mondo», è la tesi opposta e cioè che, in fondo, il mondo esiste a vantaggio di ognuno. E questo è da intendersi nel senso secondo cui ogni essere umano gode, nel suo presente storico, di tutte le possibilità e di tutto il sapere che l’umanità ha accumulato fino a quel momento anche per lui258.

Ora, secondo Jhering, tale reciprocità che sta alla base dello sviluppo umano e grazie alla quale «nessuno esiste solo a vantaggio di sé stesso» può essere di due tipi: naturale o imposta. La prima forma è quella propria dei traffici e dei commerci e prende il nome di ricompensa; la seconda invece è quella garantita dallo Stato e dal diritto ed è la coercizione. Ricompensa e coercizione sono

255 Ivi, pag. 84. 256 Ibidem.

257 Cfr., ivi pag. 85 sgg.

258 Cfr., ivi, pag. 75: «Soltanto nella società s’invera il principio “il mondo esiste a mio vantaggio”. Ma ciò è

possibile soltanto grazie al principio antitetico “tu esisti per il mondo”, esso ha pieno diritto su di te, così come tu su di esso. La misura in cui il primo principio si realizza nella vita dei singoli coincide con ciò che si chiama posizione sociale: ricchezza, onori, potere, influenza. La misura in cui l’individuo realizza nella sua vita il secondo principio determina il valore della sua esistenza per la società, intesa nell’accezione più estesa di umanità». Poco oltre si legge ancora: «Concludendo, la società è la verità realizzata del principio “ognuno esiste a vantaggio del mondo” e del principio “il mondo esiste a vantaggio di ciascuno”», ivi, pag. 95.

quindi le «due molle egoistiche della meccanica sociale», cioè le due forze fondamentali che sono alla base della società poiché «senza di esse non è concepibile la vita sociale: senza ricompensa non esistono traffici e senza coercizione non esistono né diritto né Stato»259.

Per quanto riguarda la prima molla della meccanica sociale, la ricompensa, essa è posta da Jhering all’origine della vita economica di ogni società, di quella antica come di quella moderna. Infatti, con il termine ricompensa (der Lohn) è da intendersi qualsiasi forma di retribuzione, anche ideale od onorifica e non solo pecuniaria260. E a tale proposito, Jhering fa un’affermazione molto importante, soprattutto se considerata in relazione alle tesi che vedremo sviluppate da Nietzsche nella

Genealogia. Scrive infatti così:

Nella vita dei traffici, la rimunerazione è soltanto uno dei casi in cui trova applicazione un’idea generale che pervade tutto il mondo umano, cioè l’idea della retribuzione. Partendo dalla vendetta (retribuzione del male col male), l’idea della retribuzione esercita la sua influenza su impulsi sempre più elevati, finché, trascendendo l’esistenza umana, trova la sua somma conclusione nella retribuzione e nella giustizia divina261.

Queste appena citate sono parole che non possono non richiamare alla mente la tesi generale della seconda dissertazione della Genealogia della morale; le scrive Jhering ma avrebbe potuto scriverle Nietzsche. Su questo tema torneremo più avanti, quando nel terzo capitolo analizzeremo la

Genealogia. Per ora quello che va messo in luce è che la logica della ricompensa (Vergeltung) –

all’interno della quale la retribuzione è una sua declinazione particolare – è alla base di tutta la logica dello scambio commerciale. Essa naturalmente si fonda sull’egoismo umano che Jhering considera positivamente come spinta fondamentale verso il progresso e come origine del benessere e della vitalità della società moderna.

È proprio grazie alla ricompensa che, scrive, anche se l’impressione immediata che possiamo avere di fronte alla società è quella di essere «in una macchina poderosa di migliaia di cilindri, di

259 Ivi, pag. 102.

260 Jhering spiega in un lungo excursus sulla concezione romana del lavoro come nell’antica Roma il lavoro

intellettuale non venisse considerato sullo stesso piano del lavoro manuale. Solo quest’ultimo veniva infatti pagato, ma ciò non significava che il primo non fosse comunque in qualche misura retribuito. La retribuzione del lavoro intellettuale non era infatti una retribuzione pecuniaria bensì ideale: «Che cosa mai spingeva il romano a prestare gratuitamente i propri servizi? La benevolenza? L’altruismo? Solo chi sa ben poco dei romani potrebbe credere a ciò. Il romano, nell’effettuare la sua prestazione, non rinunciava alla ricompensa; essa, però, non consisteva in moneta sonante, ma in un bene che, per l’uomo dei ceti superiori, aveva una forza di attrazione non minore di quella che il denaro aveva per l’uomo dei ceti inferiori: questo bene era l’onore, il rispetto, la popolarità, l’influenza e il potere. Questa era la ricompensa che, di regola, l’uomo di elevata posizione sociale aveva presente, quando faceva qualche cosa per il popolo; su questa base egli calcolava il valore delle magistrature […]. Non quindi sull’abnegazione, ma sul ben noto egoismo si fondava in Roma la garanzia dei servizi indispensabili alla società e allo Stato; però la ricompensa cui si mirava era di natura non economica, ma ideale. Tuttavia, il fenomeno a noi così estraneo del sostituirsi di motivi ideali alla forza prosaica del denaro esercita su di noi una singolare attrattiva», ivi, pag. 90.

ruote e di cesoie» dove i diversi componenti «si muovono incessantemente, chi in una direzione chi in un’altra, apparentemente del tutto indipendenti l’uno dall’altro, quasi esistessero soltanto per se stessi, o addirittura in contrasto con l’altro», in realtà «tutti cooperano armonicamente e un unico piano regge il tutto»262. Ora, secondo Jhering, tale ordine si genera appunto spontaneamente grazie alla capacità che gli interessi opposti hanno di raggiungere un punto di equilibrio (Gleichgewicht). Ed è esattamente in base a tale ‘punto zero’, in cui gli interessi si bilanciano, che viene stabilito il

primo criterio della giustizia, o meglio, la sua forma originaria:

All’egoismo dell’uno si contrappone quello dell’altro; l’uno mira a prendere quanto più è possibile; l’altro a dare quanto meno possibile. Il punto di indifferenza o punto zero, in cui entrambi raggiungono l’equilibrio, è l’equivalente. Per equivalente si intende l’equilibrio – stabilito dall’esperienza – tra prestazione e controprestazione, cioè un ammontare del salario o della prestazione reale in cui entrambe le parti trovano il proprio vantaggio senza che nessuna delle due abbia a perdere alcunché. L’equivalente è la realizzazione dell’idea di giustizia

nell’ambito della vita dei traffici. Infatti, per dirla in parole semplici, la giustizia non è altro che

ciò che va bene a tuti e che consente a tutti di esistere263.

Leggendo Jhering, sembra quasi di leggere Nietzsche. Il concetto steso di Gleichgewicht e la sua utilizzazione nonché il fatto che da esso derivi una prima ed embrionale forma di giustizia sono tesi che richiamano, in maniera lampante, le affermazioni di Nietzsche che abbiamo analizzato sopra. In particolare, si evidenzia una strettissima vicinanza tra questi passi di Jhering e gli aforismi 92, 93 e 446 del primo volume di Menschliches allzumenschliches e gli aforismi 22, 26 e 28 di Der

Wanderer. Per Jhering, la dimensione originaria del diritto è lo scambio commerciale, nel quale

ognuno dei contraenti cerca di perseguire il proprio vantaggio egoistico. Questa tesi era stata, come si ricorderà, anche la tesi di Nietzsche. Egli poteva ritrovarla, ora, nell’idea jheringhiana secondo la quale il diritto sorge come risultato della forza contrattuale che due soggetti sono in grado di esibire. Come ora vedremo, analizzando più da vicino la dinamica tra forza e diritto in Jhering, Nietzsche poteva trovare in questo autore – oltre alla tesi di una strettissima relazione tra diritto ed economia – anche lo stesso ribaltamento tra forza e diritto che egli stesso aveva operato: non il diritto come limite della forza, ma la forza come limite del diritto.

262 Ivi, pp. 100-101. 263 Ivi, pag. 142.