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I. Diritto e giustizia in Umano, troppo umano

4. Storia: una parola ambigua

Se Nietzsche è certamente affascinato dall’approccio scientifico e materialista dell’amico, vanno comunque messi in luce alcuni aspetti fondamentali che impediscono di considerare, già in

Umano, troppo umano, le posizioni di Nietzsche come completamente aderenti a quelle di Rée. Come

avremmo modo di vedere tra poco – quando metteremo a confronto le posizioni sostenute da Rée circa lo Stato e il diritto nella sua opera e quelle sostenute da Nietzsche in Umano, troppo umano – le rispettive tesi hanno chiaramente dei punti di convergenza ma sotto altri aspetti, nonostante i loro autori considerassero i loro scritti come ‘opere sorelle’,– sono invece molto distanti. A monte della divergenza c’è una questione teorica della massima importanza. Una questione che riguarda la concezione della storia e, più in profondità, la gnoseologia. Paul Rée, che è stato definito un «positivista puro» ma anche «superficiale»98, è fiducioso di poter rinvenire attraverso l’analisi storica

l’elemento genetico primordiale che è alla base dei processi di sviluppo; per lui dunque la ricerca

storica è essenzialmente ricerca dell’origine (come dice bene il titolo della sua opera) e ricostruzione del processo evolutivo. Infatti, come si vedrà tra poco, egli individuerà due istinti innati nell’essere umano (quello egoista e quello altruista) e a partire da questi spiegherà tutti gli aspetti della socialità umana. Come abbiamo visto, Nietzsche ne condivide l’impostazione immanentista e storicizzante, ma vi aggiunge un elemento che, portato alle estreme conseguenze, segnerà un divario immenso tra

la sua posizione e quella dell’amico. Il problema fondamentale è che Nietzsche storicizza radicalmente non solo l’oggetto della conoscenza ma anche il soggetto del conoscere, creando un cortocircuito teorico che già in Umano, troppo umano apre alla concezione prospettica della verità. In termini che sono molto lontani dal positivismo dell’amico, così fiducioso nel potere ermeneutico della conoscenza umana, già nelle prime pagine di Umano, troppo umano, Nietzsche sostiene infatti il carattere illogico e incompleto di qualsiasi conoscenza, anche della conoscenza storica:

Tutti i giudizi di valore sulla vita sono svolti illogicamente e sono pertanto ingiusti. L’impurità del giudizio sta innanzitutto nella maniera in cui il materiale si presenta, cioè molto incompleto, poi nella maniera in cui viene da esso formata la somma e, terzo, nel fatto che ogni singola parte del materiale è a sua volta il risultato di un conoscere non puro, e quest’ultima cosa invero per necessità assoluta […]. Noi siamo già in partenza esseri illogici e perciò ingiusti e possiamo conoscere ciò: è questa una delle più grandi disarmonie dell’esistenza99.

Riprendendo sostanzialmente le tesi già svolte nello scritto del 1873 Su Verità e Menzogna in

senso extramorale, nel quale la verità era considerata niente di più che «un mobile esercito di

metafore»100, proprio nel periodo di Umano, troppo umano Nietzsche fa definitivamente cadere, come scrive D’Iorio, l’idea della verità come adaequatio, l’dea cioè «che esista la verità come adeguamento a una struttura data e immutabile fuori o dentro di noi»101. Ciò che riteniamo essere «il mondo – argomenta infatti Nietzsche – è il risultato di una quantità di errori e fantasie che sono sorti poco a poco nell’evoluzione complessiva degli esseri organici»102.

Com’è stato acutamente notato, dietro alla formazione del concetto di verità come prospettiva, che da tali tesi viene sostanzialmente anticipato, agisce in Nietzsche la consapevolezza della crisi del trascendentale kantiano che egli recepisce attraverso la filosofia di Schopenhauer103. Ma se

99 MA 32.

100 Nietzsche argomenta in questi termini la riduzione della verità a metafora, cioè a simbolizzazione formale

della realtà: «Che cos’è dunque la verità? Un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non più come monete», WL, pag. 233.

101 P.IORIO, La linea e il circolo. Cosmologia e filosofia dell’eterno ritorno in Nietzsche, Genova, Pantograf

1995. pag. 248. Sempre di Umano, troppo umano devono vedersi sullo stesso tema anche gli aforismi 11, 13,16.

102 MA 16.

103 Si vedano in particolare questi due passaggi del primo capitolo di Umano, troppo umano, contenuti

rispettivamente nell’aforisma 19 e 29: «Quando Kant dice che “l’intelletto non attinge le sue leggi dalla natura, ma le prescrive a questa”, ciò è pienamente vero riguardo al concetto di natura che noi siamo costretti a collegare con essa (natura=mondo come rappresentazione, cioè come errore) che è però il compendio di una moltitudine di errori dell’intelletto». Nell’aforisma 29, analogamente Nietzsche scrive: «Non il mondo come cosa in sé, bensì il mondo come rappresentazione (come errore) è così ricco di significato, così profondo e meraviglioso, e reca in seno tanta felicità e infelicità. Questo risultato conduce a una filosofia di negazione logica del mondo: la quale del resto si può conciliare altrettanto bene con una affermazione pratica del mondo quanto col suo contrario».

Schopenhauer, una volta appurata l’illusorietà delle strutture trascendentali del conoscere, finisce pessimisticamente per negare la realtà stessa, affermandola come mera illusione, secondo Cacciari «dalle opere dell’Aufklärung fino agli ultimi frammenti, Nietzsche intende appunto superare le aporie di questo pessimismo»104. Uno dei grandi elementi di svolta che a partire da Bayreuth si genera è infatti proprio questo: il tentativo di reagire esplicitamente al pessimismo schopenhaueriano a partire dal piano logico-epistemologico105. Partendo dal riconoscimento schopenhaueriano della crisi del trascendentale kantiano, cioè dall’assunzione tragica che non si danno più strutture trascendentali del conoscere, Nietzsche non accetta di degradare la realtà da fenomeno a illusione, come avviene in Schopenhauer, ma costruisce un concetto di verità in grado di rendere conto del carattere formale e non trascendentale della mente umana. Non più schematismo trascendentale dunque, ma mera formalizzazione operata della ragione. In questo contesto, ciò che chiamiamo ‘verità’ consiste nel processo di organizzazione della realtà, grazie al quale la realtà stessa si rende utilizzabile e disponibile al soggetto. In tal senso, la verità non esprime più la concordanza fra il soggetto e l’oggetto nel senso dell’adeguazione dell’uno all’altro, ma esprime piuttosto l’adeguazione dell’oggetto sul soggetto secondo la categoria dell’utilità. In questo senso, «verità è una forma di organizzazione del materiale sensibile tale da permettercene l’uso»106. Ma l’utilità, dal canto suo, non è un valore stabile

e determinato univocamente. Essa si costituisce di volta in volta secondo un giudizio, secondo una diversa prospettiva, dunque secondo ciò che Nietzsche chiama «un conoscere non puro». In questo senso, la conoscenza, paradossalmente, coincide con l’illogicità.

All’interno di questo contesto epistemologico, dove il problema della prospettiva preannuncia già il problema del valore che sta dietro a ogni visione prospettica, è chiaro che non c’è spazio per la posizione ingenuamente positivistica di Rée. Per questo motivo, la critica che diversi anni più tardi Nietzsche muove a Rée nelle pagine della Genealogia della Morale va presa molto sul serio. Non solo perché rende esplicita, e in maniera definitiva, la distanza teorica che sussiste tra i due, che è poi la differenza che sussiste, come ha scritto Luisella Battaglia, tra una semplice ricostruzione storico- archeologica e una genealogica107, ma anche perché ci permette di inquadrare meglio le posizioni che

104 M.CACCIARI, Krisis. Saggio sul pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein, Milano, Feltrinelli 1977, pag.

57.

105 Cfr. MA, 34 dove Nietzsche prende le distanze dalla negazione della realtà operata da Schopenhauer. «Tutta

la vita umana è profondamente immersa nella non-verità; il singolo non la può tirar fuori da questo pozzo senza con ciò prendersela per le più profonde ragioni col suo passato […]. È vero che resterebbe ancora un unico modo di pensare, che si porterebbe dietro come risultato personale la disperazione e come risultato teoretico una filosofia della distruzione? Io credo che la decisione circa l’effetto della conoscenza venga data dal temperamento di un uomo».

106 M.CACCIARI, Krisis, cit. pag. 64

107 Secondo Battaglia già nel periodo di Umano, troppo umano si mostra la differenza fra i due approcci di ricerca

dei due amici. Infatti, «quella di Rée è una genealogia naturalistica, con chiaro impianto descrittivo, basata sull’attenzione scrupolosa e ‘piatta’ ai fatti, in piena fedeltà al canone positivistico. L’intento è, come si è detto, puramente teorico. La preoccupazione genetica appare dominante sulla base della convinzione che per apprendere un fenomeno basti spiegarne

Nietzsche sostiene già qui, nel periodo di Umano, troppo umano. Nelle pagine della Genealogia in cui attacca Rée e i genealogisti della morale inglesi, vale a dire Darwin, Mill, Spencer e naturalmente lo stesso Rée, (un attacco portato avanti, si badi bene, ancora una volta in nome della storia)108, Nietzsche, in fondo, attacca la sua ingenuità giovanile che al tempo di Umano troppo umano gli fece condividere le loro tesi. Ma, e questo è l’elemento che desideriamo mettere in luce in questo momento, Nietzsche scrive anche che quella condivisione fu solamente parziale e che le tesi da lui sostenute all’epoca vanno analizzate con precisione per valutare la loro effettiva dipendenza o meno da quelle di Rée. In altre parole, ciò che Nietzsche intende fare con l’analisi retrospettiva del 1887 è rivendicare con forza l’originalità e l’indipendenza teorica delle tesi di dieci anni prima rispetto al «libriccino chiaro, pulito e accorto, pure saputello»109dell’amico Rée. Ed è lui stesso a indicarci dove rinvenire l’estraneità teorica di Umano, troppo umano rispetto a L’origine dei sentimenti morali:

Si confronti in particolare quel che dico in ‘Umano, troppo umano’, p.51, sulla doppia preistoria di bene e male (cioè secondo la sfera dei nobili e quella degli schiavi); e similmente (pp. 119 sgg.) sul valore e sull’origine della morale ascetica; come pure, pp. 78, 82; II, 35, sulla «eticità del costume», quella specie molto più antica e originaria di morale che si discosta toto caelo dalla maniera altruistica di valutazione (in cui il dottor Rée, al pari di tutti i genealogisti inglesi della morale, vede il modo della valutazione morale in sé); si veda pure pag. 74, in ‘Viandante’, p. 29, in ‘Aurora’ p. 99, quel che scrissi sull’origine della giustizia come compromesso tra potenti pressappoco uguali, l’equilibrio come presupposto di tuti i patti e conseguentemente di ogni diritto), e inoltre sull’origine della pena in «Viandante», pp.25 e 34, per la quale lo scopo intimidatorio non è né essenziale né originario (come crede il dottor Rée – esso invece è stato inserito in determinate circostanze e sempre come elemento accessorio, come qualcosa di aggiunto)110.

Ed è per questo motivo che, a nostro avviso, le tesi di Umano, troppo umano possono risultare per certi aspetti contraddittorie; ma ciò è normale se si tiene conto dell’intersecarsi in Nietzsche di due sensibilità: quella ‘réealista’ da una parte e, dall’altra, quella propriamente nietzschiana. Da

la genesi. Netto è altresì il rifiuto della metafisica e di ogni intento valutativo. La morale data è insieme punto di partenza e di arrivo dell’indagine». Al contrario quella di Nietzsche è «una genealogia demistificatrice basata sull’arte del sospetto, come principio euristico. L’intento è di svelare le origini segrete della morale per invalidarla e di portare alla luce le radici nichilistiche dei valori dell’Occidente. Dominante è pertanto in Nietzsche l’ambizione assiologica», L.BATTAGLIA, Due

genealogie della morale, Nietzsche e Rée, in Battaglia L. (a cura di) Itinerari nietzschiani, Napoli, Edizioni scientifiche

italiane 1983, pag. 93.

108 Cfr., GM I, 2: «Tutto il nostro rispetto per i buoni demoni che possono dominare in questi storici della morale!

Tuttavia è certo, purtroppo, che fa a essi difetto proprio il demone storico, che sono stati piantati in asso proprio da tutti i buoni demoni della storia! Tutti quanti costoro, com’è ormai antico costume dei filosofi, pensano in maniera

essenzialmente antistorica; di questo non v’è dubbio».

109 GM, Prefazione, 4. 110 GM, Prefazione, 4.

questo punto di vista, l’analisi della genesi dello Stato e del diritto, cioè il problema in sostanza della sovranità politica, è probabilmente il luogo privilegiato in cui far risaltare tale idiosincrasia poiché, proprio in riferimento alla questione del diritto positivo e della giustizia, essa viene maggiormente alla luce. Infatti, come vedremo tra poco, da una parte avremo una spiegazione della genesi dello Stato e del diritto di impronta utilitarista e ‘réealista’ che ricalca le tesi di Rée, dall’altra quegli stessi temi saranno risolti, in quelle stesse pagine, secondo un’ottica diversa. Un’ottica che fa riferimento all’ontologia della potenza e che rappresenta l’aspetto più autentico di Nietzsche o comunque quello che diverrà il protagonista della sua ricerca dopo Umano, troppo umano.