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II. Genesi dello Stato e diritto in Aurora, La gaia Scienza e Così parlò Zarathustra

6. Lo Stato: il nuovo idolo

Nel capitolo di Also sprach Zarathustra intitolato Del nuovo idolo Nietzsche sviluppa una critica dura e diretta nei confronti dello Stato che definisce come «idolo» ma anche come «il più gelido di tutti i più gelidi mostri» e il luogo «dove tutti si perdono» e dove «il lento suicidio di tutti è chiamato ‘vita’». E ancora, lo Stato è chiamato «cavallo della morte» e «belva» inventata per i deboli, poiché in «troppi vengono a mondo»150. La nettezza di questi giudizi segna chiaramente un’evoluzione nelle considerazioni sul tema. Come abbiamo visto, nel periodo illuministico Nietzsche, evitando giudizi di valore, aveva definito lo Stato in modo piuttosto neutro come una «saggia istituzione» utile alla sospensione del Bellum omnium contra omnes151. È vero che la considerazione sull’utilità dello Stato era temperata dall’invito a non nobilitarlo eccessivamente come istituzione in sé, ma Nietzsche non aveva espresso giudizi così taglienti come avviene invece qui, all’altezza dello Zarathustra. Nell’opera sorrentina si metteva in luce l’origine sostanzialmente violenta dello Stato e soprattutto la repressione a cui esso dà luogo per garantire la sicurezza pubblica, ma la veemenza dello Zarathustra segna un’evoluzione e merita, dunque, un approfondimento.

Seguendo in parte l’interpretazione di Domenico Losurdo152, per comprendere l’evoluzione

del pensiero di Nietzsche circa la questione della critica allo Stato, può essere molto utile fare riferimento ad alcuni eventi politici della Germania dei primi anni Ottanta del secolo XIX. Infatti, proprio in quel periodo, la politica bismarckiana subisce una svolta radicale che, a partire dal 1881, dà vita alla prima forma al mondo di Stato assistenziale. È dunque contro una precisa forma di Stato,

148 Cfr., N.BOBBIO, Thomas Hobbes, cit., pag. 3.

149 D.DOMBOWSKY, Nietzsche’s Machiavellian Politics, cit., pag. 34. 150 ZA, Del nuovo idolo.

151 Cfr., MA 235.

quello liberale che ‘pericolosamente’ degenera in Stato democratico, che secondo Losurdo va letta la polemica nietzschiana. Accanto a questa dimensione ‘politica’ della questione, andranno considerati poi anche altri due elementi più generali che emergono già prima dello Zarathustra e che sono fondamentali per capire il discorso che Nietzsche fa ne Il nuovo idolo. Si tratta, da una parte, della questione della crisi dello Stato-nazione e, dall’altra, del correlato problema del destino dell’Europa. Prima di affrontare questi temi, che riteniamo fondamentali per una comprensione del passo dello

Zarathustra, isoliamo però all’interno di quest’ultimo quelle che sembrano essere le argomentazioni

principali del filosofo.

In primo luogo, va messo in luce come tutta l’argomentazione nietzschiana faccia uso di una categoria – quella dell’idolo – che è di chiara ascendenza teologico-religiosa. La caratteristica fondamentale del potere pubblico, il suo tratto distintivo, viene infatti ricondotto al fatto di essere un idolo, cioè un oggetto di venerazione religiosa. Dunque, in prima battuta, la questione dello Stato viene impostata come critica della statolatria; come critica dell’atteggiamento di religiosa venerazione nei confronti dell’entità politica. Ma per Nietzsche, il problema non si limita alla constatazione del fenomeno dell’idolatria/statolatria. Infatti, egli inserisce la questione dell’idolatria verso lo Stato – la statolatria appunto – all’interno di una visione dell’umano come essere essenzialmente venerante. In quest’ottica, la venerazione per lo Stato da parte dell’uomo apre a questioni ben più complesse. Infatti, Nietzsche sostiene che lo Stato è quell’idolo che storicamente è divenuto capace di colmare la morte dell’altro fondamentale idolo occidentale: dio. È proprio per questa ragione che lo Stato non è definito semplicemente ‘idolo’, ma ‘nuovo’ idolo. A tal proposito, si deve notare ciò che lo stesso Zarathustra dice: «Sì, anche voi esso sa scoprire, voi vincitori del vecchio dio! Stanchi siete usciti dal combattimento, e ora la vostra stanchezza presta servizio anche al nuovo idolo!»153.

L’analisi della statolatria che Nietzsche conduce nello Zarathustra trascende quindi il problema eminentemente politico e mette in luce la difficoltà che l’essere umano ha di staccarsi da una logica di venerazione: morto il dio della tradizione ebraico-cristiana, l’uomo trasla il suo bisogno di venerazione su altri oggetti e ne fa, appunto, degli ‘idoli’. Riteniamo allora che sia proprio questo il senso dell’affermazione nietzschiana secondo la quale lo Stato riesce a calamitare anche il consenso dei «magnanimi» e dei «distruttori del vecchio dio». Comprendere come ciò sia possibile – come i distruttori di dio siano stati in grado di liberarsi dell’oggetto di venerazione tradizionale ma non del bisogno di venerazione e, dunque, da una logica di sottomissione – richiede un breve

approfondimento della psicologia di quella figura particolare che Nietzsche chiama «uomo superiore». Esso è colui che, nello stesso tempo, abbatte un idolo ma ne edifica un altro. Come suggerisce Giuliano Campioni, nell’ideale percorso che l’umanità potrebbe percorrere dall’uomo al superuomo, l’uomo superiore si pone a metà strada. Dopo l’annuncio della morte di dio, l’umanità risulta infatti distinta in due sfere o almeno in due tipologie di uomini con sensibilità diverse: da una parte ci sono coloro che, ignari dell’evento epocale della morte di dio, continuano a vivere come prima, come se quell’evento epocale non fosse mai accaduto. Dall’altra, ci sono invece gli uomini superiori, i quali sono consapevoli dell’evento che li investe ma che sono ancora incapaci di generare un vero e proprio contro-movimento anti-nichilistico. Essi sono quindi la preparazione incompleta del superuomo. In altri termini, e visti da un’altra prospettiva, quella della loro manchevolezza, essi sono – scrive Campioni – «i ‘decadenti’ nelle loro varie situazioni, gli estremi prodotti di un’epoca di transizione, ancora incapaci di ordinare i molti istinti – tra loro in contraddizione – di cui sono costituiti come figli della modernità»154.

Ora, una delle contraddizioni che li determina è – e questo è il punto che in riferimento al problema della statolatria più ci interessa – il fatto che «gli uomini superiori ancora condizionati dai vecchi valori – scrive Campioni – non sanno rinunciare a nuove religioni senza Dio»155. Da questo punto di vista, possiamo dire che proprio la fede nello Stato ‘nuovo idolo’ è certamente una religione tipica della modernità: è una religione senza dio. O meglio, essa è una fede il cui oggetto di venerazione non è più il dio trascendente della tradizione ma è un idolo politico-istituzionale: lo Stato. In questa nuova fede traspare quindi tutta la crisi e il caos dell’epoca attuale intesa come momento di passaggio e di crisi. La fede nello Stato è quindi un fenomeno particolare che s’inserisce in un fatto più generale: quella insopprimibile necessità di divinizzazione e di fede che abita l’umano e che resiste, secondo Nietzsche, anche in un’epoca e in una sensibilità negatrice della trascendenza. In quanto momento di passaggio, secondo Nietzsche, essa è comunque destinata a scomparire. Anche se non è possibile stabilire quando, se ne può infatti immaginare un superamento. Un superamento che è strettamente legato all’avvento del superuomo poiché «là dove lo Stato finisce – dice

Zarathustra – comincia l’uomo che non è superfluo: là comincia il canto della necessità, la melodia

unica e insostituibile»156.

Sempre nel capitolo Del nuovo idolo, accanto a queste riflessioni, Nietzsche sostiene poi che lo Stato genera la «morte dei popoli». Tra Stato e popolo si dà quindi un rapporto di mutua esclusione

154 G.CAMPIONI, Nietzsche. La morale dell’eroe, Pisa, Ets 2008, pag. 137.

155 Ibidem.

che lo Stato tende però a celare ideologicamente. Esso è infatti il portatore della grande menzogna, che afferma esattamente il contrario di quanto invece avviene realmente: «Io, lo Stato, sono il popolo». Ma per Nietzsche ciò è appunto falso poiché «dove ancora esiste, il popolo non capisce lo Stato e lo odia come occhio malvagio e colpa contro i costumi e nei diritti»157. La contrapposizione tra popolo e Stato si lega infine con la terza tesi generale presente nel capitolo. Lo Stato, per Nietzsche, si configura come strumento profilattico al servizio della mediocrità e della debolezza: «Troppi vengono al mondo: per i superflui fu inventato lo Stato».

Già nel periodo precedente allo Zarathustra, Nietzsche aveva messo in guardia verso la tendenza omologante dello Stato. In un frammento del 1880 scriveva che proprio nella «tendenza statale» vedeva all’opera l’istinto gregario il quale per paura dell’individualità forte produce un livellamento di tutti gli individui. Lo Stato sarebbe dunque un prodotto per la massa (sebbene non della massa)158 e avrebbe come scopo la produzione dell’’uomo comune’ livellato sui valori dei più

deboli. «Io vedo – scrive Nietzsche – nella tendenza statale e sociale un ostacolo per l’individuazione (Eine Hemmung für die Individuation), una formazione dell’homo communis: poiché la comunità e l’uguaglianza tra gli uomini solo per questo è desiderata, perché gli uomini deboli temono l’individuo forte e preferiscono l’indebolimento generale piuttosto che lo sviluppo delle individualità»159. Da

questo punto di vista, si può dire che per Nietzsche lo Stato sia distruttore in egual misura tanto del popolo quanto dell’individuo. Questa che a prima vista potrebbe sembrare una tesi contraddittoria, in realtà esprime bene, a nostro avviso, il fulcro del pensiero di Nietzsche. Infatti, l’azione dello Stato la sua «tendenza sociale» è quella, come indica il frammento del 1880 che abbiamo appena citato, di contrastare non solo l’individuo singolo inteso come ‘persona singola’ ma l’individuazione in generale (die Individuation), cioè il processo stesso che si oppone all’omologazione e alla massificazione. In questo senso, oggetto di omologazione sono anche i popoli i quali – intesi come singolarità – vengono ridotti a parlare la ‘lingua comune’ dei valori decadenti e transnazionali che, per Nietzsche, egemonizzano la modernità. È per questo motivo che, a nostro avviso, Nietzsche riconosce ai popoli (che si distinguono con la loro particolarità e ‘individuazione’ nettamente da una massa amorfa) un’autodeterminazione morale, giuridica e, più in generale, spirituale. A questo proposito, suonano decisive le parole dello stesso Zarathustra: «Io vi do questo segno: ogni popolo

157 ZA, Del nuovo idolo.

158 Ciò è chiaro a partire dalla genesi dello Stato per come Nietzsche l’ha concepita finora, come rapporto di

potenza ma soprattutto come atto di dominio violento. Come vedremo più avanti, quando tratteremo il problema dello Stato nella Genealogia della morale, il carattere massificante dello Stato unito al fatto che esso non è strumento nelle mani della massa ma di una élite darà a Nietzsche la possibilità di rileggere a partire da queste premesse l’intera storia dell’umanità.

parla la sua lingua del bene e del male che il vicino non intende. Esso ha inventato per sé un suo linguaggio nei costumi e nei diritti». In questo contesto, nel quale ogni popolo, al pari di ogni individuo, esprime una verità prospettica sulla realtà – una verità che è irriducibile a quella del vicino e che, proprio attraverso la differenza, ne determina il carattere e l’essenza – lo Stato è un’entità artificiale che non vuole rispettare la ‘lingua’ del popolo desiderando procedere piuttosto e una «confusione delle lingue del bene e del male»160. In tal senso, esso desidera e mette in atto un livellamento e un’uniformità massificante nella quale si perdono le peculiarità e le differenze che sussistono non solo tra individuo e individuo ma anche tra i popoli stessi. Lo Stato è lo strumento principe di una reductio ad unum che riguarda tutti gli individui di tutti i popoli. Suo obiettivo principale è la riduzione di tutti i valori ai valori della massa, la distruzione di ogni deviazione rispetto all’uniformità. Poiché i valori ai quali si ispira non sono la Weltanschauung del suo popolo ma i valori egemoni nella società moderna e decadente, esso è al contempo strumento di distruzione sia dell’individualità del singolo sia dell’individualità del popolo.