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IL DIRITTO DEL LAVORATORE ALL’ACCRESCIMENTO DELLE PROPRIE CAPACITÀ PROFESSIONAL

Bisogna a questo punto chiedersi quale sia la natura della posizione giuridica soggettiva rivestita dal lavoratore rispetto alla professionalità.

Finora, infatti, si sono analizzati, ovviamente senza pretesa di completezza né di esaustività, gli aspetti relativi alle dinamiche organizzative e produttive che hanno determinato l’emersione di tale nozione; i fondamenti normativi utili, ad avviso di chi scrive, a qualificarla nei termini di bene giuridico ed a definirne il significato; la valenza soggettivistica che ne comporta l’utilizzo da parte del

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Così G. GIUGNI, Mansioni e qualifica, op. cit.; A. ARANGUREN, La qualifica nel rapporto, op. cit. Più di recente, in senso conforme, P. ICHINO, Il contratto di lavoro, in A. CICU, F. MESSINEO, Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 2000, 112 e ss.

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M. MARAZZA, Saggio sull’organizzazione di lavoro, op. cit., 302. 250

44 lavoratore nell’esecuzione del facere concretamente individuato da parte datoriale, mediante l’esercizio del potere direttivo; facere che, sinteticamente rappresentato dalle mansioni di assunzione, costituisce l’oggetto del contratto di lavoro251.

Come si diceva, alla professionalità si è tradizionalmente riguardato in un’ottica di tutela: di qui l’abbondante produzione giurisprudenziale formatasi in materia di danno alla professionalità, suscettibile di inveramento nelle forme più differenti, nonché l’altrettanto copiosa letteratura scientifica.

Al consolidarsi di questa solo parziale attribuzione di rilevanza giuridica al “diritto alla professionalità” pare potersi affermare, ad avviso di chi scrive, abbia contribuito la valenza della professionalità in senso solo statico, come complesso attuale di competenze e conoscenze cui era, ed è, necessario non arrecare danno alcuno ove il lavoratore venga adibito a mansioni differenti nei termini concessi dall’art. 2103 c.c. Tale valenza è stata tuttavia completata con la considerazione della professionalità in termini di bene giuridico suscettibile di evoluzione e di crescita. L’interrogativo è, quindi, quale sia la posizione giuridica del lavoratore, avvertendosi sin d’ora che sul punto dottrina e giurisprudenza si mostrano quanto mai distanti.

Generalmente riconosciuta la connaturalità dell’accrescimento delle capacità professionali nello svolgimento del rapporto di lavoro252, la dottrina ha tradizionalmente negato la sussistenza di un diritto del lavoratore all’accrescimento del proprio bagaglio professionale253 sulla scorta di una supposta assenza di riscontri nel diritto positivo. In termini non rileverebbe, difatti, l’art. 2103 c.c. che sarebbe rispettato anche nel semplice caso in cui l’adibizione alle nuove mansioni non pregiudichi l’utilizzo della pregressa professionalità254.

Si tratta di un’affermazione che potrebbe essere condivisa solo ove si ritenesse di condividere la correttezza della delimitazione del substrato giuridico per così dire del diritto all’accrescimento delle proprie capacità professionali: conclusione per la quale non si ritiene di propendere.

Attribuire al solo art. 2103 c.c. il compito di fornire le basi normative per il diritto alla professionalità dinamica appare infatti scelta “ingenerosa” nei

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M. GRANDI, La mobilità interna, op. cit., 268.. 252

In termini L. SANSEVERINO, sub art. 2103 c.c., op. cit., 405. 253

Ex plurimis esplicitamente M. MARAZZA, Saggio sull’organizzazione del lavoro, op. cit., 305. 254

45 confronti della disposizione codicistica che, ancora una volta, verrebbe a trovarsi al centro di “polemiche” quanto alla sua efficacia. La formulazione della disposizione non solo sacrificherebbe esigenze aziendali di utilizzo flessibile della forza lavoro, ma farebbe “degradare” questo particolare diritto del lavoratore a mero ed eventuale “effetto collaterale” del rapporto di lavoro.

Peraltro, proprio tale ultima affermazione consente di precisare quale sia il significato dell’espressione “arricchimento delle capacità professionali”: questo dovrà essere inteso non come mera maggiore dimestichezza e/o celerità nello svolgere le mansioni oggetto del contratto; ma, più propriamente, come affinamento di quelle conoscenze che consentono una più completa conoscenza del ciclo produttivo, una sempre maggiore capacità di autodeterminazione nell’eseguire le proprie mansioni.

Il tutto senza che la crescita professionale debba necessariamente identificarsi con la tradizionale “carriera”255.

Si diceva, dunque, di come la scelta di concentrare la propria attenzione sulla sola disposizione codicistica sia insufficiente. In questo modo, si finirebbe per un verso per dimenticarne la ratio, per altro a porre in un cantuccio considerazioni di carattere sistematico.

Nel primo senso, si pretenderebbe troppo dalla disposizione: questa costituisce, come visto, chiave di volta per l’ingresso della professionalità nel nostro ordinamento giuridico, ma nella disciplina di una facoltà datoriale ben circoscritta, ossia l’esercizio dello jus variandi. Se il diritto alla professionalità, intesa qui nella sua accezione dinamica ovviamente, dovesse ritenersi posto solo a fronte dell’esercizio di tale prerogativa datoriale, si dovrebbe giungere all’affermazione, poi successivamente smentita, di chi riteneva che l’assegnazione del lavoratore a mansioni differenti dovesse necessariamente essere preordinata alla crescita professionale dello stesso256. Affermazione che per un verso forza il disposto codicistico, per altro è insufficiente, dovendosi, ad avviso di chi scrive, tenere nella debita considerazione, così come per l’individuazione del referente normativo della professionalità, intervenga una congerie di disposizioni: dunque, sicuramente l’art. 2103, ma al contempo l’art. 2087 c.c. e le indicazioni costituzionali volte ad una forte sottolineatura della dimensione personalistica insita nel rapporto di lavoro.

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Sul punto si tornerà infra. 256

46 Particolarmente significativa, in quest’ultimo senso, è la previsione contenuta nell’art. 35, comma 2, Cost., a mente del quale la Repubblica “cura la

formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”. Il soggetto attivo

dell’enunciato costituzionale è, infatti, da individuarsi non solo nello Stato ordinamento, bensì anche nello Stato comunità. Tanto vale a sostenere la sussistenza di tale funzione in capo non al solo soggetto pubblico, bensì anche a parte datoriale. L’affinamento delle capacità professionali del lavoratore dovrà realizzarsi non solo a seguito di iniziative formative pubbliche, ma nell’intero svolgersi del rapporto di lavoro, richiedendo un comportamento “cooperativo” da parte datoriale.

Tanto non deve indurre a ritenere uno “snaturamento” dell’interesse datoriale o una sorta di comunione di scopo tra le parti contrattuali: chi scrive rimane convinta della bontà dell’affermazione – ovviamente da rileggere con “occhiali” depurati da incrostazioni ideologiche e politiche superate – per cui nel rapporto di lavoro le parti contraenti esprimono interessi contrapposti e divergenti. Affermare che anche e soprattutto in costanza di rapporto sussiste un diritto del lavoratore all’accrescimento della propria professionalità non equivale, dunque, a ritenere per ciò stesso che l’intero rapporto debba svolgersi come se solo a tanto fosse funzionale. Parte datoriale, più correttamente, nell’esercizio dell’attività di impresa e nella concreta gestione di uno dei fattori della produzione – il lavoro altrui, per l’appunto – dovrà, proprio in forza delle diposizioni sopra richiamate, predisporre strumenti che consentano la crescita professionale dei lavoratori257, aspetto del più generale estrinsecarsi della dignità umana.

Il tutto entro margini circoscritti se non si vuole correre il rischio di affermare un diritto dai contorni tanto ampi da essere evanescente e privo di qualsiasi costrutto. In particolare, il diritto alla crescita professionale si esplicherà con riferimento a quello che efficacemente è stato definito come codice genetico della professionalità258 e, quindi, con riferimento alle mansioni di assunzione259.

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Tanto corrisponde come si è detto anche ad un preciso interesse dell’impresa che in taluni casi predispone percorsi formativi volti all’accrescimento delle capacità del lavoratore, determinandosi di conseguenza l’esigenza di “fidelizzazione” dello stesso, anche mediante la previsione di clausole di durata minima del rapporto di lavoro. Cfr. S. MALANDRINI, A. RUSSO, Lo sviluppo del capitale umano tra innovazione organizzativa e tecniche di fidelizzazione, Milano, 2006. Critica sull’atteggiamento datoriale M. BROLLO, La mobilità del lavoratore, op. cit., 50.

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Si veda pag. 32, nota 204. 259

Diversamente opinando, peraltro, si addiverrebbe alla configurazione di un “impossibile lavoratore onnisciente”. Particolarmente significativa in termini è Cass. civ., sez. lav., 10 dicembre 2009, n. 25897 la quale, in fattispecie relativa all’accorpamento convenzionale delle mansioni,

47 L’affermazione dell’insussistenza di un diritto alla crescita professionale appare non condivisibile per un ulteriore aspetto: si assisterebbe, in tal modo, ad un’interpretazione malevolmente parziale dell’art. 2103 c.c.

Senza riproporre qui i termini della querelle dottrinale sulla eccessiva rigidità della disposizione codicistica ancorata ad una professionalità congelata, quella stessa dottrina riconoscerebbe, tuttavia, la sussistenza di un diritto dei lavoratori solo rispetto a questa. La professionalità dinamica, viceversa, verrebbe in considerazione solo come escamotage per aggirare i limiti statutari, per venire incontro a soli interessi datoriali260.

Affermare, viceversa, la declinabilità della professionalità, correttamente, in entrambi i sensi significa, a pena di incoerenza, affermare il diritto alla tutela conservativa, ma anche dinamica della professionalità, intendendosi per tale per l’appunto il diritto all’accrescimento delle capacità professionali del lavoratore261 o, ancora, all’adeguamento professionale dei lavoratori262. La circostanza che si tratti di un diritto “difficile” in punto di concreta esigibilità nei confronti di parte datoriale – analogamente a quanto avviene per il diritto a svolgere al prestazione lavorativa in un ambiente salubre263 – non ne comporta, deve ritenersi, l’insussistenza264; al contrario, richiede lo svolgimento di un ruolo attivo da parte non solo del datore di lavoro che dovrà predisporre - nei limiti del possibile potremmo dire, anche sulla scorta dell’insegnamento inaugurato con la sentenza

impone al giudice di valutare, ai fini della tutela della professionalità, “ … (omissis) … i percorsi di accrescimento professionale dallo stesso evidenziati … alla luce della sua storia professionale …” in relazione alle (iniziali) mansioni di riferimento.

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Espressamente in termini A. MEUCCI, Considerazioni sulla c.d. professionalità dinamica, op. cit.

261

Nel senso che non necessariamente i fenomeni di esternalizzazione devono atteggiarsi in maniera pregiudizievole per il lavoratore M. TIRABOSCHI, Esternalizzazioni del lavoro e valorizzazione del capitale umano: due modelli inconciliabili?, Dir. Rel. Ind., 2005, 379 e ss. Ritiene, invece, che vicende del genere se non altro comportino un differente atteggiarsi della professionalità della lavoratore, che si fa “processiva”, A. LOFFREDO, Professionalità, trasformazioni organizzative e mercati del lavoro alla luce delle recenti riforme, in M. RUSCIANO, C. ZOLI, L. ZOPPOLI, Istituzioni e regole del lavoro flessibile, Editoriale scientifica, 2006.

262

LASSANDARI A., Il contratto collettivo aziendale e decentrato, Milano, 2001, 76. 263

O. MAZZOTTA, Danno alla persona e rapporto di lavoro: qualche domanda, politicamente non corretta, alla giurisprudenza, in AA. VV., Rappresentanza, rappresentatività, sindacato in azienda, op. cit., 485. Per un’ampia ricostruzione del tema cfr. L. MONTUSCHI, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, Milano, 1986.

264

Nel senso che il diritto alla professionalità sia diritto non patrimoniale B. VALDÉS DE LA VEGA, La profesionalidad del trabajador en el contrato laboral, Madrid, 1997, 10.

48 7755 del 1998 della S.C. citata265 - un’organizzazione del lavoro quanto più possibile efficiente rispetto a tale scopo266, ma anche da parte del soggetto collettivo.

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