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LA QUALIFICA FUNZIONALE COME MALDESTRO TENTATIVO DI INNOVAZIONE DEL SISTEMA E DEI CRITERI CLASSIFICATORI

Sezione II: Le peculiarità del settore pubblico : II.1 L’irrilevanza della professionalità negl

II.2. LA QUALIFICA FUNZIONALE COME MALDESTRO TENTATIVO DI INNOVAZIONE DEL SISTEMA E DEI CRITERI CLASSIFICATORI

Sebbene con tempistiche e modalità risolutive differenti rispetto al settore privato, le pubbliche amministrazioni/parti datoriali non sono estranee alle modifiche che intervengono nel mondo del lavoro e – con un breve scarto temporale rispetto a quanto avviene nel privato, in cui i moti di contestazione dell’organizzazione del lavoro determineranno l’adozione di un sistema classificatorio nuovo, l’inquadramento unico – diventano anche esse sede di rivendicazioni volte all’adozione di strumenti di valutazione del lavoro nuovi, che assumano come referente anche la reale professionalità del lavoratore, finora trascurata222.

Diversi i fattori che concorrono a quello che appare come un primo tentativo di reale cambiamento: una mutata concezione della pubblica amministrazione il cui ruolo di soggetto erogatore di servizi223, in un’economia caratterizzata da un’intensa terziarizzazione224, assume connotazioni differenti, tanto più che si tratta di un soggetto che agisce in un regime di, più o meno necessario225,

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Si ricordi U. GARGIULO, L’equivalenza delle mansioni, op. cit. 222

Nel senso che anche le riforme intervenute nel corso degli anni ’70 siano state sostanzialmente ininfluenti rispetto ad una corretta e realistica considerazione delle capacità professionali dei dipendenti, soprattutto a fini di progressioni di carriera, L. SGARBI, op. loc. cit., 18-20.

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Aspetto già sottolineato nel c.d. Rapporto Giannini, ossia il rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato” ricorda A. ALLAMPRESE, La legislazione del lavoro negli anni ’80. Dal “diritto della crisi” alle politiche per la flessibilità, in Arg. Dir. Lav., 2010, 1, 1186.

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Su cui G. DELLA ROCCA, V. FORTUNATO, Lavoro e organizzazione, op. cit. 225

Come dimostrerà successivamente la vicenda della privatizzazione riferendocisi, in questa sede, a quel processo che determina non solo la mera trasformazione dell’ente in persona giuridica

96 monopolio; il primo riconoscimento del soggetto sindacale che anche in questo contesto agisce come soggetto innovatore226.

A cavallo tra gli anni ’70 ed ’80, preceduto da sperimentazioni settoriali dapprima nella legislazione regionale227 e poi nel c.d. parastato228, fa il suo ingresso il nuovo modello classificatorio basato sulla qualifica funzionale che verrà poi generalizzato con l’art. 17 della legge quadro del 1983229: questo prevede il superamento dell’articolazione in carriere e il raggruppamento delle prestazioni lavorative in qualifiche o livelli secondo il grado di preparazione richiesto per ciascuna di esse. In particolare ogni livello o qualifica avrebbe dovuto prevedere la descrizione di svariati profili professionali il cui contenuto avrebbe dovuto essere individuato dalla specificazione di concrete mansioni.

Si sarebbe dovuto superare in questo modo il mero formalismo della qualifica, ma anche del sistema basato sulle carriere ed introdurre un sistema dinamico ed elastico230, completato dalla previsione di retribuzioni correlate in parte a queste stesse mansioni, in parte a meccanismi promozionali e premiali, volti ad incentivare la partecipazione e l’impegno del dipendente231.

privata, ma anche la dismissione di tutta o della maggior parte della partecipazione azionaria da parte del soggetto pubblico: si tratta, rispettivamente, della privatizzazione formale (o fase fredda) e della privatizzazione sostanziale (o fase calda) che ha riguardato, ad esempio, enti come l’Eni o la società Autostrade. Una delle direttive della privatizzazione è quella, di derivazione europea, volta al divieto di discriminazione tra gli operatori economici e alla riduzione degli ambiti in cui i soggetti pubblici agiscono in condizioni di monopolio o disponendo di privilegi. In termini E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, op. cit., 102.

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Sulla connotazione del soggetto sindacale come “istituzione di protezione, se non di conservazione”, ma al contempo “in grado di cogliere quegli elementi di innovazione e di disponibilità al cambiamento”, tratti connessi alla tradizione ed all’esperienza sindacale senza che la prima caratteristica agisca in maniera pregiudiziale, G. P. CELLA, Il sindacato, Bari, 1999, 6-12. 227

Il primo caso, in particolare, è rappresentato dall’esperienza siciliana ricorda A. GARILLI, op. loc. cit., 103.

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Introdotto con la l. 70 del 1975 che appronta una particolare disciplina per gli enti strumentali per il perseguimento delle finalità proprie della pubblica amministrazione.

229

E. GRAGNOLI, Rapporto di lavoro pubblico, op. cit., 191. 230

Cui era funzionale anche l’attribuzione di quello che nel settore privato è definito jus variandi e che, non sconosciuto nel settore pubblico in cui era riconosciuto già dal testo unico del 1957 nel generale contesto di un rapporto autoritativo, assume ora come parametro di lecita variabilità della prestazione la qualifica funzionale che risulta maggiormente dettagliata rispetto alla contenuto materiale del lavoro: L. SGARBI, Mansioni e inquadramento, op. cit., 29. Nel senso che il superamento della scissione tra inquadramenti formali e mansioni costituisca un tratto caratterizzante di tale sistema E. GRAGNOLI, op. ult. cit., 191-192.

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97 Al pari di quanto avviene per l’inquadramento unico, anche il sistema della qualifica funzionale è destinato ad un clamoroso insuccesso che coincide per taluni aspetti nella produzione di effetti del tutto antitetici rispetto a quelli sperati.

Innanzitutto, la qualifica funzionale, volta alla semplificazione di quella che era definita come giungla retributiva, mediante la previsione di trattamenti economici omogenei per lavoratori svolgenti le medesime mansioni produce un mero livellamento retributivo che non tiene in debito conto le differenze pure rilevanti.

In secondo luogo e soprattutto si dimostra slegata da un reale recepimento della professionalità, tanto dal punto di vista statico, quanto da quello dinamico. Nell’arco del ventennio circa di applicazione susseguente alla prima applicazione, il sistema classificatorio fondato sulla qualifica funzionale dà il quadro di una “definizione” delle posizioni professionali non più corrispondente ai mutati assetti organizzativi e segna il passo nell’utilizzazione della progressione verticale di carriera, tanto al fine di favorire la formazione e la crescita professionale degli addetti quanto per consentire una politica del personale orientata a valorizzare la qualità della prestazione resa232.

Se ci si soffermi poi sull’effettivo riferimento alla professionalità quale criterio classificatorio, per comprendere quale sia la nozione fattane propria, si ricava piena conferma della difficoltà del legislatore che interviene in materia di pubblico impiego a trasfondere le competenze professionali e la loro necessaria corretta attuazione nell’ordinamento professionale. L’art. 17, infatti, prevede che la classificazione del personale nelle qualifiche meno elevate avverrà sulla scorta

“… di valutazioni attinenti essenzialmente al contenuto oggettivo del rapporto di servizio in relazione ai requisiti richiesti per lo svolgimento dell'attività lavorativa …”. Potrebbe ritenersi che i requisiti siano declinabili come requisiti

professionali, ma a rendere non sostenibile tale opzione interpretativa interviene la stessa disposizione che prosegue prevedendo che “per le altre qualifiche le

valutazioni sono connesse in maggior misura anche ai requisiti culturali e di esperienza professionale, nonché ai compiti di guida di gruppo, di ufficio o di organi e alle derivanti responsabilità burocratiche”. Se per queste ultime il

legislatore non riesce ad immaginare criteri diversi da titoli di studio ed anzianità di servizio, oltre che in maniera tautologica la stessa posizione di rilievo della

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M. RICCIARDI, I nuovi sistemi di classificazione del personale nei rinnovi contrattuali 1998- 2001, in Lav. pubbl. amm., 1999, 271.

98 qualifica, pare arduo pensare che per le qualifiche inferiori la scelta sarà nel senso di sottolineare capacità e competenze professionali.

Tutto ciò vale a determinare il misero fallimento di tale sistema classificatorio233 che pecca di mancata giusta considerazione dell’esistente, potremmo dire: vana si dimostra l’aspirazione ad una completa definizione delle mansioni svolgibili dagli impiegati (da indicarsi nei profili)234; del tutto pretermesso il reinquadramento dei dipendenti secondo il nuovo schema classificatorio; “mal gestita” la fase della concreta applicazione della qualifica funzionale da parte sindacale che, secondo un’accusa formulata anche nel settore privato, avrebbe favorito maggiormente mere ed insoddisfacenti progressioni economiche, piuttosto che la valorizzazione della professionalità e del merito del lavoratore235.

Ricorrono, peraltro, ulteriori due circostanze che si pongono come cause primigenie dell’insuccesso del disegno delineato con l’art. 17 della legge quadro del 1983.

Innanzitutto l’inadeguatezza dell’intervento legislativo stesso che, nel propugnare ed in maniera indubitabile una nozione statica delle qualifiche funzionali236 sovraccaricate di finalità, non ne determina a sufficienza i contorni, né gli elementi costitutivi237; in secondo luogo, l’arrestarsi della considerazione del connubio professionalità, inquadramento, organizzazione del lavoro, di fondamentale importanza238, allo stadio di mera intuizione: la qualifica funzionale rappresenta, infatti, un elemento privatistico che viene ad essere innestato in un contesto organizzativo pubblicistico239.

233

A. GARILLI, Profili dell’organizzazione, op. cit., 105. 234

Aspetto sottolineato anche nel rapporto redatto dall’allora ministro Giannini nel 1979, ricorda A. GARILLI, op. ult. cit.

235

C. D’ORTA, L’inquadramento e la carriera nei settori pubblico e privato, in G. CECORA, C. D’ORTA (a cura di), La riforma del pubblico impiego, Bologna, 1994, 249.

236

E. GRAGNOLI, Le progressioni in “carriera” negli enti locali, in Quaderni dir. lav. rel. ind., 2007, 97.

237

ID., Rapporto di lavoro pubblico, op. cit., 193 e ss., definisce tale dato come “vizio d’origine” della riforma che produce effetti negativi sulla reale possibilità di costruire un sistema classificatorio sulla scorta di un concetto non meglio definito e nonostante la presenza di spunti pure innovativi.

238

Sul punto, U. GARGIULO, L’equivalenza delle mansioni, op. cit.; M. MAGNANI, Organizzazione del lavoro e professionalità, op. cit.; U. CARABELLI, Professionalità e nuovi modelli di organizzazione, op. cit.

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II.3. DAL PUBBLICO IMPIEGO AL LAVORO ALLE DIPENDENZE DELLA PUBBLICA

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