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La discussione con Petrarca sul valore di Dante e sulla composizione in volgare della Commedia

Capitolo II. Boccaccio promotore e apologeta di Dante Introduzione

2. La discussione con Petrarca sul valore di Dante e sulla composizione in volgare della Commedia

Gli studiosi che si sono occupati del rapporto fra Boccaccio e Petrarca hanno stabilito che esso non sia stato un semplice discepolato del primo nei confronti del secondo come parrebbe emergere dall'atteggiamento di reverenza del più giovane, ma piuttosto un sodalizio ed uno scambio culturale tra letterati, nonché un'amicizia caratterizzata dalla stima e dagli interessi comuni. È significativo, come osserva Albanese, che nella scelta delle epistole che entrarono a far parte delle due grandi raccolte Familiari e Senili, l'autore ammise la maggior parte di quelle scritte a Boccaccio, a testimonianza dell'importanza del destinatario considerato non come un ammiratore ma come un degno compagno di studi22. È opinione diffusa nella critica che inizialmente fu esclusivamente quest'ultimo ad essere debitore del poeta laureato, mentre Santagata –rintracciando alcune riprese dalle prime opere boccacciane nelle liriche dei Rerum vulgarium fragmenta23, nonostante l'incerta datazione della più parte di esse– dimostra che Petrarca ebbe una conoscenza del suo estimatore assai più precoce di quanto si pensa, databile al 1341, a partire cioè dal primo viaggio a Napoli quando certamente qualche amico comune mise “sotto gli occhi del poeta, in procinto di laurearsi, gli scritti boccacciani”24. Quel che è certo è che il dare e l'avere fra i due fu reciproco: le Rime, anche le giovanili, mostrano l'influenza della poesia petrarchesca, con un aumento significativo in quelle più tarde dovuto alla conoscenza maggiormente approfondita del Canzoniere con la trascrizione del manoscritto Chigiano. Petrarca influì sulla concezione boccacciana della poesia e della sua funzione e fu un modello per le grandi opere storiche e latine della maturità. Boccaccio inserì numerosi elogi dell'amico in più opere: nel Buccolicum carmen (dove nell'egloga XV Filostropo- Petrarca convince Tiflo-Boccaccio ad intraprendere un'esistenza basata sul pensiero cristiano-agostiniano), nel De casibus, nelle Genealogie, in più epistole come quella a Jacopo Pizzinga (XIX) e a Francescuolo da Brossano (XXIV). Dal canto suo Petrarca, oltre ad accogliere i riferimenti boccacciani individuati da Santagata in alcune liriche,

22 Secondo i calcoli della studiosa, su 37 lettere a Boccaccio solo 7 vennero escluse, di cui 3 perdute e 4

confluite nelle Disperse: G. ALBANESE, La corrispondenza fra Petrarca e Boccaccio, in Motivi e forme delle Familiari di Francesco Petrarca, a cura di C. Berra, Cisalpino, Milano 2003, p. 63.

23 Secondo i sondaggi operati dal critico emerge che Petrarca si sia rifatto alle opere di Boccaccio

soprattutto nella ripresa di ritratti femminili stilnovistici i quali andavano incontro al suo nuovo gusto poetico che “subentra ai temi cortesi della frustrazione amorosa” della prima fase: M. SANTAGATA, Per moderne carte. La biblioteca volgare di Petrarca, Il Mulino, Bologna 1990, p. 268. Sull'argomento si veda anche G. VELLI, Petrarca e Boccaccio. Tradizione Memoria Scrittura, Antenore, Padova 19952, pp. 222-238.

fece dell'Amorosa Visione uno spunto per i Trionfi (senza dimenticare che una delle teorie sull'identificazione della guida misteriosa sostiene che sia proprio l'amico fiorentino), elaborò la propria autobiografia consegnata all'epistola Posteritati sulla Vita scritta da Boccaccio, tradusse in latino l'ultima novella del Decameron. Nemmeno sul piano degli scambi culturali il rapporto fu a senso unico, in quanto Boccaccio donò vari manoscritti all'amico25, contribuendo ad arricchire la sua biblioteca, e per lui svolse delle ricerche come quella sulla vita di san Pier Damiani. Un manoscritto della biblioteca petrarchesca, il Parigino latino 5150 contenente testi storici e biografie di papi e cardinali, presenta postille oltreché del possessore anche di Boccaccio: secondo uno studio condotto da Dutschke, l'Aretino non ebbe mai in simpatia i codici miscellanei e l'eccezione rappresentata dall'interesse per questa raccolta dimostra come l'amico sia stato “galeotto di nuove e piuttosto sorprendenti letture miscellanee petrarchesche”26. Fu il Certaldese inoltre ad aprire la strada allo studio delle opere di Omero, invitando e ospitando a casa propria l'esperto Leonzio Pilato, e a premurarsi di inviare la traduzione dell'Iliade all'amico. I due autori condivisero la sperimentazione dei medesimi generi letterari: la poesia bucolica latina, il poema allegorico, le biografie di uomini illustri, il trattato geografico. La loro amicizia si nutrì, mediante incontri e lettere, di scambi di idee e di opere nonché di discussioni sulla letteratura coeva e classica, sempre con un atteggiamento da parte di Boccaccio di ammirazione e subalternità27 che non gli impedì però di prendere posizione contro opinioni e modi di agire di Petrarca, come quando quest'ultimo decise di vivere sotto la protezione dei Visconti. Vediamo in sintesi quali furono i passaggi attraverso cui si sviluppò l'amicizia fra le due corone e come Boccaccio cercò di influenzare il suo “preceptor” sulla valutazione dell'Alighieri e della sua scelta di scrivere in volgare, argomenti che rientrano nei loro scambi di opinioni28.

Come è stato già evidenziato, Boccaccio trovò nella capitale del regno angioino il luogo culturale adatto alla maturazione dei propri interessi letterari29. Qui conobbe amici e corrispondenti di Petrarca (Cino, Dionigi di Borgo San Sepolcro, Barbato da Sulmona, Giovanni Barrili, Sennuccio del Bene) che gli introdussero le opere e la figura del poeta

25 Nelle Fam. XVIII 3 e XVIII 4 Petrarca ringrazia Boccaccio per i doni di due volumi, rispettivamente

le Enarrationes in Psalmos di Sant'Agostino e una raccolta di testi di Cicerone e Varrone.

26 D. DUTSCHKE, Il libro miscellaneo: problemi di metodo tra Boccaccio e Petrarca, in Gli Zibaldoni

di Boccaccio, cit., p. 99.

27 Boccaccio nelle sue epistole definisce Petrarca “pater” e “preceptor”.

28 Per la genesi dei rapporti fra Boccaccio e Petrarca rinvio al dettagliato saggio di Billanovich: G.

BILLANOVICH, Il più grande discepolo, cit.

aretino. La destinazione ideale a quest'ultimo di uno dei quattro dictamina del 1339, il Mavortis miles, testimonia la conoscenza per fama e l'ammirazione di Boccaccio per il futuro amico. Il fatto di avere scritto un'epistola sulla scorta di quella di Dante a Cino e di averla indirizzata a Petrarca anticipa l'inclinazione che si manifesterà negli anni successivi di coniugare le due corone in un binomio che lo ha ispirato e –usando parole dantesche– che gli ha insegnato “come l'uom s'etterna”.

In data 8 aprile 1341 accadde qualcosa che non avveniva da secoli: l'incoronazione con l'alloro di un poeta a Roma, in Campidoglio e davanti al senato30. Il beneficiario di tale onorificenza era Petrarca, autore dell'Africa e del De viris illustribus: la produzione in volgare era completamente in secondo piano ai fini dei titoli che gli venivano riconosciuti, quelli di poeta e historicus31. L'alloro con cui Dante aveva desiderato essere insignito a Firenze per merito della sua opera in volgare veniva invece riconosciuto a chi prima di tutto era un autore di versi latini. La cerimonia in Campidoglio era stata preceduta da un colloquio-esame a Napoli in presenza di re Roberto durante il quale il futuro laureato lesse dei brani dell'Africa. L'incoronazione poetica (il cui tema attraversa l'intera produzione boccacciana32) ottenuta da Petrarca attrasse ulteriormente l'interesse del Certaldese su di lui, tanto da comporre un ricordo della laurea conservato nello Zibaldone Laurenziano (c. 73r). Che egli fosse presente all'esame napoletano è ipotesi di Billanovich33, ma la maggior parte della critica colloca la partenza dalla città partenopea prima dell'episodio.

Con il ritorno in patria l'interesse per Petrarca, come anche quello per Dante, si intensificò: con il primo avviò a partire dal 1350 un rapporto di amicizia che durerà fino alla morte, alla poesia del secondo si avvicinò ulteriormente abbracciando il genere didattico-allegorico. Quale tributo alla laurea di Petrarca, scrisse una breve biografia in latino a lui dedicata; nello stesso torno di anni celebrò un'altra incoronazione, anche se fittizia: quella di Dante nell'Amorosa Visione, analizzata nel paragrafo precedente.

Il De vita et moribus domini Francisci Petracchi de Florentia è di datazione incerta: nell'introduzione all'opera, Fabbri riporta più di dieci ipotesi proposte da altrettanti

30 L'incoronazione patavina di Albertino Mussato del 1315 aveva infatti avuto un carattere locale. 31 Sono gli attributi presenti nel Privilegium laurae letto e consegnato a Petrarca durante la cerimonia,

alla stesura del quale egli contribuì in buona parte.

32 Si vedano per l'argomento J. USHER, Boccaccio ghirlandaio: l'incoronazione poetica del Decameron,

in Studi sul canone letterario del Trecento. Per Michelangelo Picone, a cura di J. Bartuschat e L. Rossi, Longo Editore, Ravenna 2003, pp. 147-160; M. PICONE, Il tema dell'incoronazione poetica in Dante, Petrarca e Boccaccio, cit.

studiosi, che vanno dal 1341 ad un indefinito post 135034. Ad esempio Billanovich e Feo la collocano nel 1341-1342, poco dopo l'incoronazione poetica la quale avrebbe dato spunto alla stesura della biografia di cui c'è un primo abbozzo autografo definito Notamentum nella c. 73r dello Zibaldone XXIX.835. Secondo Fabbri invece il De vita andrebbe collocato tra il 1348 e il 1349: probanti di questa datazione sarebbero il riferimento all'egloga Argus forse composta nel 1347 e l'indicazione della presenza del poeta laureato a Parma (ove soggiornò anche in un periodo compreso tra il 1348 e il 1350) quando Boccaccio scrisse l'opera in questione. La studiosa, sostenendo questa datazione tarda, riconosce nel De vita il punto di partenza del progetto di riabilitazione di Petrarca a Firenze, formalizzato nel 1351 con una lettera da parte della Signoria di cui Boccaccio si fece portatore e di cui fu anche molto probabilmente scrittore36. Villani ipotizza –sulla base di alcune ripetizioni e di alcuni periodi dell'ultima sezione che hanno il carattere di aggiunta– che la biografia sia il frutto di due momenti: una prima stesura elaborata entro il 1344 alla quale sono seguiti dei ritocchi entro il 1349-'50. Lo studioso propende nel collocare il nucleo originario ante 1344 per vari indizi: i fatti sulla vita dell'Aretino riportati si arrestano al periodo poco successivo all'incoronazione (precisamente al viaggio a Parma del 1341-1342 o al massimo agli inizi del secondo soggiorno in questa città del 1344), si accenna ad una produzione volgare ma senza riferimenti ad un progetto di raccolta unitaria, il titolo riporta “Francisci Petracchi” (Francesco di Petracco) con cui il poeta era noto fino al 1340 circa, anno dopo il quale egli coniò il nome “Petrarca”37. Anche Rico, sulla base di alcuni luoghi che hanno l'aspetto di aggiunte successive, suppone che ci siano stati diversi tempi di scrittura ma senza riuscire a stabilire una cronologia certa. Lo studioso spagnolo propone inoltre una teoria innovativa: che la biografia non sia succeduta al Notamentum ma lo abbia preceduto, in quanto essa nomina l'epistola metrica I 14 di Petrarca ma non sfrutta le informazioni presenti nella didascalia che la precede nello Zibaldone laurenziano (didascalia e metrica vennero qui trascritte subito dopo il frammento sulla laurea)38.

34 R. FABBRI, Introduzione, in G. BOCCACCIO, Vite di Petrarca, Pier Damiani e Livio, cit., p. 881. Si

veda anche G. VILLANI, Introduzione, in G. BOCCACCIO, Vita di Petrarca, Salerno Editrice, Roma 2004, pp. 20-26.

35 Lo studio di Zamponi, Pantarotto, Tomiello sulla datazione delle varie parti che compongono i due

manoscritti laurenziani colloca la sezione di cui fa parte il ricordo dell'incoronazione nel periodo 1341-1344 (S. ZAMPONI – M. PANTAROTTO – A. TOMIELLO, Stratigrafia dello Zibaldone e della Miscellanea Laurenziani, cit.). Ciò non fornisce un indizio per stabilire quando venne scritta la Vita ma almeno conferma che il suo nucleo originario venne elaborato ante 1344, probabilmente di getto, sulla scia dell'entusiasmo e dell'ammirazione per chi aveva ricevuto la laurea.

36 R. FABBRI, Introduzione, in G. BOCCACCIO, Vite di Petrarca, Pier Damiani e Livio, cit., p. 883. 37 G. VILLANI, Introduzione, in G. BOCCACCIO, Vita di Petrarca, cit., pp. 22-30.

Il De vita descrive la biografia (anche se l'autore non conosceva molto al riguardo), il carattere, l'aspetto e le opere di Petrarca del quale vengono tessute ampie lodi: il profilo del poeta tracciato con tanta stima risponde in numerosi punti ai canoni della precettistica medievale, come dimostrano gli elogi della moderazione nel cibo (25) e della riservatezza (21) riferiti successivamente anche a Dante nel Trattatello. La vita petrarchesca accoglie due dissertazioni narrative: la prima (3-8), di matrice autobiografica, nella quale Boccaccio sostiene come il cantore di Laura sia riuscito a seguire la sua vocazione alle lettere nonostante il volere paterno di indirizzarlo ad altro mestiere, la seconda dedicata all'incoronazione poetica (14-17). È da rilevare che nella prima viene elaborata un'esaltazione dei classici e dell'attività poetica quale garante di gloria eterna, tema che ritornerà più approfonditamente negli scritti successivi (Trattatello I 156-162 e II 103-109, Genealogie XIV IV 13, Epistole XIX, Esposizioni

XV 86-91).

Il passaggio per Firenze durante il pellegrinaggio giubilare a Roma di Petrarca nel 1350 fu occasione per l'incontro con Boccaccio che in un'epistola metrica inviatagli nei mesi precedenti si era dichiarato suo estimatore e discepolo, carme al quale aveva fatto seguito una risposta nella stessa forma di scrittura39. Il 1 ottobre Boccaccio, che da poco aveva svolto un'ambasceria in Romagna e consegnato alla figlia di Dante –a nome della Compagnia di Or San Michele– dieci fiorini d'oro come risarcimento dei beni sottratti all'esule, accolse Petrarca fuori le mure di Firenze e lo ospitò nella propria casa nei giorni seguenti, radunando gli esponenti della cultura fiorentina quali Zanobi da Strada e Francesco Nelli. Nacque così l'amicizia fra i due letterati, anche se nell'epistola a Francescuolo da Brossano del 1374 il Certaldese scrisse che si sentiva legato a Petrarca già da 15 anni avanti questo incontro40. Il loro rapporto di affetto, di stima, di scambio che portò il poeta laureato ad affermare che erano un'anima in due corpi nella Senile I 5 (1362), è testimoniato dalle lettere che si scambiarono dal novembre 1350 (Fam. XI 1) subito dopo il primo incontro fino all'8 giugno 1374 (Sen. XVII 4). La ricostruzione della corrispondenza è stata fatta da Wilkins il quale ha individuato un totale di 56 scritti, di cui 38 ancora conservati41. Albanese ha rivisto la tavola elaborata dallo studioso americano apportandovi delle modifiche: il numero di pezzi viene

39 La conoscenza dei due componimenti, non conservati, deriva dalla Familiare XI 2.

40 Epistole XXIV 28: “ed io per quarant'anni e più fui suo”. È questa la lettera scritta in morte di Petrarca

al genero nella quale Boccaccio manifesta una preoccupazione ansiosa per la sorte delle opere dell'amico, definite “sacre invenzioni” (37): in particolare attribuisce all'Africa l'aggettivo “divina”, come aveva fatto nel Trattatello con la Commedia.

41 E. H. WILKINS, Studies on Petrarch and Boccaccio, ed. by Aldo S. Bernardo, Antenore, Padova

implementato di 3 (59 lettere di cui 39 giunte a noi) e corregge alcune congetture riguardanti le lettere non più esistenti. Produce così una nuova tavola sinottica che modifica e completa la precedente, contando 37 epistole di Petrarca e 22 di Boccaccio, di cui 33 superstiti del primo e 6 del secondo42. I numeri stupiscono ma il Certaldese non raccolse mai il suo epistolario, a differenza della cura che ebbe nel raccogliere e conservare le lettere inviategli dal “preceptor”. La corrispondenza riflette gli argomenti di cui trattavano anche personalmente in occasione dei loro incontri: soprattutto questioni letterarie riguardanti autori, generi, opere, ma anche i rapporti fra intellettuale e potere, la letteratura latina e volgare, la funzione della poesia, l'imitazione dei predecessori, il pubblico di lettori, il canone ideale di poeti, nonché discussioni su opinioni controverse come l'esistenza di due Seneca (il morale e il “tragedo”). Le lettere furono spesso latrici di opere, sia proprie che altrui, come la Fam. XI 2 (1350) che accompagnava “il codice della nuova cultura, della nuova fede nella poesia, il Pro Archia”43, oppure due non pervenute di Boccaccio alle quali Petrarca rispose con le Familiari XVIII 3 e 4 (1355) dove ringrazia l'amico per avergli inviato le Enarrationes in psalmos di Agostino e un codice contenente le opere di Varrone e Cicerone trascritte di proprio pugno, paragonando il rapporto fra questi autori latini con l'amicizia fra sé stesso e Boccaccio.

Nella primavera del 1351 Petrarca ospitò a Padova il suo “discepolo” che si fece ambasciatore della lettera della Signoria di Firenze scritta da Boccaccio stesso (Epistole VII)44. Con essa, che di fatto è un elogio del destinatario, gli si offrivano una cattedra a sua scelta nello Studio fiorentino e la restituzione dei beni confiscati al padre, proposte che però egli declinò. Il progetto di richiamare in patria il figlio di ser Petraccolo, condannato all'esilio insieme a Dante nel 1302, fu precipuamente del cenacolo di estimatori di Petrarca che si era formato in quegli anni a Firenze e di cui Boccaccio era il massimo rappresentante: offrirgli l'insegnamento nell'Università nata poco tempo prima significava da un lato tributare un omaggio al poeta laureato, dall'altro dare lustro alla patria nonché avere la possibilità di godere della vicinanza e della collaborazione di tale ingegno. Boccaccio, nonostante le numerose critiche distribuite in più opere a

42 G. ALBANESE, La corrispondenza fra Petrarca e Boccaccio, cit.

43 V. BRANCA, Giovanni Boccaccio. Profilo biografico, cit., p. 85. La lettura dell'opera ciceroniana

influenzò il pensiero di Boccaccio sulla poesia.

44 Per un'analisi dell'epistola si veda lo studio di Auzzas la quale mette in luce come essa sia ricca di

riprese da testi petrarcheschi noti a Boccaccio e come emerga implicitamente in alcuni luoghi il risentimento e l'amarezza perché il privilegio di tornare in patria non sia stato concesso anche a Dante: G. AUZZAS, Studi sulle epistole. I. L'invito della Signoria fiorentina al Petrarca, in «Studi sul Boccaccio», IV, 1967, pp. 203-240.

Firenze per non avere onorato Dante e Petrarca, ribadì spesso la comune patria con i due maestri, a sottolineare una continuità nello studio e nella devozione alle lettere sotto il segno di colui che per primo aveva richiamato le Muse fino ad allora sbandite dall'Italia. Quando copiò nei codici Chigiani L V 176 e L VI 213 (1363-1366 ca.) Commedia, Canzoniere ed un suo carme in latino appose al nome dei due maestri “de Florentia”, mentre al suo “florentinus”.

Il ricordo delle attività compiute dai due intellettuali ci è tramandato dall'epistola X di Boccaccio scritta nel 1353: quelli trascorsi insieme furono giorni “tutti passati ad uno stesso modo” (4), dedicati allo studio e alla lettura di testi, alla trascrizione di opere petrarchesche da parte di Boccaccio “cupido” (5) dei componimenti dell'amico, ai colloqui serali nel giardino della canonica della Cattedrale dove dimorava Petrarca durante i soggiorni patavini. Quest'ultimo permise al suo estimatore di conoscere e trascriversi le epistole che stava riunendo nella raccolta delle Familiari fra le quali la X 4 al fratello Gherardo (1349) dove la poesia è considerata una sorta di teologia. Boccaccio farà proprie queste riflessioni dando loro spazio nella difesa della poesia condotta nel Trattatello e nelle Esposizioni. Petrarca orientò così l'amico ad approfondire alcuni importanti nodi concettuali come la funzione della poesia, la sua moralità, il suo rapporto con gli altri campi del sapere.

In quei colloqui serali non è difficile immaginare che i due conversassero anche dell'Alighieri e della letteratura in lingua materna di cui egli era maestro45. È quindi durante questo incontro che si gettarono le basi per il futuro dibattito sul valore della prima corona e della Commedia la cui assenza nella biblioteca petrarchesca (tanto fornita di tasti latini) venne probabilmente notata da Boccaccio. Infatti, una volta rientrato a Firenze, nell'arco del biennio 1351-1353, si premurò di fare allestire una copia del poema e inviarla a Petrarca46. Il manoscritto in questione, che ha avuto una certa importanza nella storia della filologia dantesca e che contiene il testo da cui è derivata l'editio boccacciana, è identificato dalla maggior parte della critica nel Vaticano Latino 3199, siglato Vat da Petrocchi; la bottega presso cui venne confezionato è chiamata l'“officina” di Vat dalla quale a metà del secolo XIV uscirono altre sei copie del capolavoro dantesco47. Sul verso della carta anteriore di guardia è trascritto con altra

45 G. BILLANOVICH, Il più grande discepolo, cit., p. 145.

46 C'è però chi ha messo in dubbio questa datazione del ms: Pulsoni sostiene che nulla vieta di anticipare

il dono di Boccaccio e che in tal caso il termine post quem potrebbe essere l'incoronazione petrarchesca e quello ante quem il primo incontro fra i due poeti. Inoltre l'unica postilla autografa di Petrarca attesta, secondo il critico, uno stile degli anni '40. Si veda C. PULSONI, Il Dante di

Francesco Petrarca: Vaticano Latino 3199, in «Studi petrarcheschi», X, 1993, pp. 155-208.