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I manoscritti Toledano 104.6, Riccardiano 1035, Chigiani L V 176 e L VI

Capitolo III. Boccaccio copista ed editore di Dante Introduzione

2. L'edizione boccacciana delle opere poetiche volgari di Dante

2.1. I manoscritti Toledano 104.6, Riccardiano 1035, Chigiani L V 176 e L VI

Il manoscritto Toledano 104.6 (Biblioteca del Cabildo, Toledo) è la prima antologia dantesca approntata da Boccaccio79. Composto da 269 carte membranacee, vergato in littera textualis, è autografo del nostro editore in tutti i testi, nelle rubriche, nei segni di paragrafo e nelle maggior parte delle giunte e varianti marginali. Queste ultime hanno

77 G. VANDELLI, Giovanni Boccaccio editore di Dante, in id., Per il testo della «Divina Commedia», a

cura di R. Abardo, con un saggio introduttivo di F. Mazzoni, Le Lettere, Firenze 1989, p. 152; G. BILLANOVICH, Il più grande discepolo, cit., p. 236; G. MAZZONI, Giovanni Boccaccio fra Dante e Petrarca, in «Atti e Memorie dell'Accademia Petrarca di Lettere, Arte e Scienze di Arezzo», XLII, 1976-1978, pp. 38-40.

78 Ivi, p. 38.

79 Per una completa e aggiornata bibliografia sul codice si veda M. CURSI – M. FIORILLA, Giovanni

sempre dei segnali di richiamo tipici boccacciani: un trattino cui è sovrapposto o sottoposto un punto, un punto seguito da lineetta, oppure due punti che racchiudono il testo. Si distinguono mani di più annotatori nelle poco numerose postille. Vi è un apparato decorativo costituito da iniziali in inchiostro rosso e blu con o senza fregi. Fiorilla e Rafti hanno attribuito alcune note ed i segni di attenzione costituiti da faccette paragrafanti, maniculae e graffe, ad una mano tardo trecentesca che vergò i medesimi marginalia del ms Laurenziano 54.32, anche questo autografo di Boccaccio80. I versi sono in colonna nelle cc. 48r-256r (la Commedia), mentre sono scritti come prosa nelle cc. 29r-46v e 257r-266v: il copista si servì di un sistema di maiuscole di varie dimensioni per identificare, all'interno di questa continuità della scrittura, le scansioni testuali81. Un contributo recente di Bertelli e Cursi ha portato all'attenzione una data ed un disegno mai prima individuati e vergati rispettivamente nel recto e nel verso dell'ultima carta: la prima consiste in un “1372” mentre il secondo (non più visibile ad occhio nudo ma mediante lampada di Wood) nel busto di Omero incoronato di alloro. Questo è accompagnato da due didascalie: una al di sopra che recita “Homero poeta sovrano”, reminiscenza di If IV 88 (“Quelli è Omero poeta sovrano”), una al di sotto di cui sono leggibili solo alcune lettere. I critici rinviano ad un altro contributo di prossima pubblicazione lo studio della data e del busto, anticipando che quest'ultimo risponde ai caratteri dei disegni boccacciani disseminati nei suoi mss. Mentre la didascalia in alto all'Omero è considerata di mano del Certaldese in quanto conforme alla sua grafia, ci sono dei dubbi sull'autografia della data82.

Il codice, collocato alla metà degli anni Cinquanta (1352-1356), contiene le seguenti opere disposte in un'unica colonna:

Trattatello in I redazione (cc. 1r-27r);

Vita Nova nell'edizione ideata da Boccaccio consistente nello spostamento delle divisioni ai margini. C'è una nota iniziale in cui il nostro copista spiega il motivo di questo cambiamento rispetto alla tradizione (cc. 29r-46v);

Commedia preceduta dagli Argomenti, ossia dei componimenti in terza rima del Certaldese che, all'inizio di ogni cantica, ne riassumono il contenuto (cc. 48r-256r);

80 M. FIORILLA – P. RAFTI, Marginalia figurati e postille di incerta attribuzione in due autografi del

Boccaccio (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 54.32; Toledo, Biblioteca Capitular, ms. 104.6), in «Studi sul Boccaccio», XXIX, 2001, pp. 199-213.

81 A studiare questo sistema di “segnali distintivi” negli autografi boccacciani è F. MALAGNINI, Il

libro d'autore dal progetto alla realizzazione: il Teseida delle nozze d'Emilia (con un'appendice sugli autografi di Boccaccio), in «Studi sul Boccaccio», XXXIV, 2006, pp. 3-102.

82 S. BERTELLI – M. CURSI, Novità sull’autografo Toledano di Giovanni Boccaccio. Una data e un

15 canzoni (fra cui le tre del Convivio) definite distese (pluristrofiche), ognuna preceduta da una breve rubrica in latino composta da Boccaccio la quale riassume sommariamente l'argomento dei versi che introduce (cc. 257r-266v). L'ordine in cui sono copiate le canzoni è il seguente: Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete; Amor che nella mente mi ragiona; Le dolci rime d'amor ch'i' solia; Amor, che movi tua vertù da cielo; Io sento sì d'Amor la gran possanza; Al poco giorno ed al gran cerchio d'ombra; Amor, tu vedi ben che questa donna; Io son venuto al punto de la rota; E' m'incresce di me sì duramente; Poscia ch'Amor del tutto m'ha lasciato; La dispietata mente, che pur mira; Tre donne intorno al cor mi son venute; Doglia mi reca ne lo core ardire; Amor, da che convien pur ch'io mi doglia.

Questa raccolta mostra numerosi aspetti innovativi rispetto alla tradizione precedente delle opere dantesche: non solo Boccaccio raccoglie per la prima volta in un manufatto unitario tutte le opere volgari in versi del padre della nostra letteratura, ma vi antepone –a mo' di introduzione e “in funzione di corredo documentario e di orientamento critico”83– la sua Vita, che non è una semplice raccolta di dati biografici e di aneddoti, ma un elogio di Dante uomo e poeta, elogio esteso anche alla poesia in generale. Il Trattatello secondo Ricci è un'opera concepita non per essere autonoma ma per accompagnare i versi trascritti nella silloge: è un “monumento […] alla memoria del poeta ed al tempo medesimo strumento efficace per divulgarne le opere”84. I modelli per questa operazione furono i canzonieri provenzali che comprendevano anche le vidas dei poeti e le Vite di Virgilio approntate da Servio e Donato che accompagnavano l'Eneide.

Una rottura con il resto della tradizione è l'impaginazione ideata dal cultore di Dante per la Vita Nova: egli raccoglie nei margini tutte le divisioni, ossia i luoghi prosastici in cui l'autore divide in parti i componimenti poetici e per ognuna ne riassume l'argomento. Fino alla morte di Beatrice seguono le rime, dopo l'evento funesto le precedono, secondo l'idea dell'autore che –nel secondo caso– i versi rimangono 'vedovi' ossia desolati85. Le divisioni “hanno la funzione principale di sopperire alla mancanza, normale nei manoscritti, della numerazione dei versi e di permettere l'ordinata esposizione del contenuto”86, come rivela Dante stesso in Vita Nova 7. 13: “la divisione non si fa se non per aprire la sententia della cosa divisa”. Boccaccio non capisce che esse sono parte della struttura dell'opera87 e fornisce una giustificazione alla sua scelta di

83 L. BATTAGLIA RICCI, Il culto per Dante, l'amicizia con Petrarca: Giovanni Boccaccio, cit., p. 41. 84 P. G. RICCI, Introduzione, in G. BOCCACCIO, Trattatello in laude di Dante, cit., p. 426.

85 Si veda Vita Nova 20. 2 e la relativa nota al testo. 86 S. BELLOMO, Filologia e critica dantesca, cit., p. 43.

spostarle nello spazio dedicato alle glosse, apponendo nella c. 29r (all'inizio del libello e nel margine destro) la seguente nota:

“Meraviglierannosi molti, per quello ch'io advisi, perché io le divisioni de' sonetti non ho nel testo poste, come l'autore del presente libretto le puose; ma a ciò rispondo due essere state le cagioni. La prima, per ciò che le divisioni de' sonetti manifestatamente sono dichiarazione di quegli: per che più tosto chiosa appaiono dovere essere che testo; e però chiosa l'ho poste, non testo, non stando l'uno con l'altre ben mescolato. Se qui forse dicesse alcuno-e le teme de' sonetti e canzoni scritte da lui similmente si potrebbero dire chiosa, con ciò sia cosa che esse sieno non minore dichiarazione di quegli che le divisioni-dico che, quantunque sieno dichiarazioni, non sono dichiarazioni per dichiarare, ma dimostrazioni delle cagioni che a fare lo 'indussero i sonetti e le canzoni. E appare ancora queste dimostrazioni essere dello intento principale; per che meritatamente testo sono, e non chiose. La seconda ragione è che, secondo che io già più volte udito ragionare a persone degne di fede, avendo Dante nella sua giovanezza composto questo libello, e poi essendo col tempo nella scienza e nelle operazioni cresciuto, si vergognava avere fatto questo, parendogli opera troppo puerile; e tra l'altre cose di che si dolea d'averlo fatto, si ramaricava d'avere inchiuse le divisioni nel testo, forse per quella medesima ragione che muove me; là onde io non potendolo negli altri emendare, in questo che scritto ho, n'ho voluto sodisfare l'appetito de l'autore.”88

Due sono i motivi che hanno spinto l'editore a sottrarre le divisioni dal testo: innanzitutto perché, spiegando le poesie, esse non sono da considerarsi testo ma chiose, in secondo luogo perché –secondo quanto egli ha sentito dire da altri– Dante maturo si sarebbe pentito di avere editato in questa veste il libello giovanile. Riconoscendo un'identità di pensiero fra sé e l'autore, Boccaccio ha un motivo in più per perseguire la sua idea: accontentare il desiderio del poeta. Nel caso qualcuno obiettasse che anche le 'ragioni' spiegano i componimenti poetici e dunque potrebbero essere considerate delle chiose, egli risponde che esse non sono tanto spiegazioni del contenuto ma illustrazione dei motivi che hanno spinto l'autore a comporre le sue liriche. Bentivogli e Vecchi Galli sostengono che Boccaccio ha inventato questa testimonianza con il fine di dare fondamento alla sua operazione volta a “rendere l'opera più rispondente al gusto e alle […] aspettative del lettore”, con il conseguente mancato “rispetto della volontà dell'autore”89. A mio avviso non è così immediato pensare ad una falsa testimonianza inventata dal copista, dato che il riportare frequentemente sia nel Trattatello che nelle Esposizioni la fonte orale da cui ha avuto certe informazioni sembra denunciare piuttosto delle indagini compiute dallo studioso in ambienti in cui Dante era conosciuto e apprezzato: è possibile che quella delle divisioni in margine fosse una voce già circolante e quindi favorevolmente accettata dall'editore della Vita Nova che non aveva ben compreso il significato dell'auto-commento. Dobbiamo inoltre tenere presente che il

di separarle dal testo vero e proprio” (G. GORNI, Vita Nuova di Dante Alighieri, in Letteratura italiana. Le opere, a cura di A. Asor Rosa, vol. I Dalle Origini al Cinquecento, Einaudi, Torino 1992, p. 168).

88 Tratto da J. M. HOUSTON, Building a Monument to Dante: Boccaccio as Dantista, cit., p. 34. 89 B. BENTIVOGLI – P. VECCHI GALLI, Filologia italiana, Mondadori, Milano 2002, p. 13.

patrimonio dell'oralità è andato in parte perduto e che probabilmente da esso possono derivare quelle notizie che il discepolo di Dante dice essergli state fornite da persone “degne di fede”90. Vorrei inoltre segnalare che Boccaccio stesso rivela il suo metodo di indagine relativamente alla raccolta di informazioni sulla vita di San Pier Damiani che gli era stata richiesta da Petrarca: nell'epistola XI diretta a quest'ultimo dice infatti di avere indagato presso i Ravennati, sia cittadini comuni sia monaci, e si dice stupito che il ricordo di questo santo sia venuto completamente meno nei luoghi in cui egli visse. Se dunque Boccaccio cercò informazioni nei luoghi frequentati tre secoli prima dall'oggetto della sua biografia, possiamo dedurre che fece altrettanto negli ambienti frequentati dall'Alighieri pochi decenni prima e che egli stesso visitò durante i numerosi soggiorni romagnoli.

Secondo Houston Boccaccio ha voluto separare le divisioni non perché non avesse capito la loro funzione ma perché in disaccordo con essa. I motivi che lo hanno spinto a stravolgere l'ordinamento dell'opera sarebbero i seguenti: per rispettare la gerarchia di valore fra poesia e prosa privilegiando la prima, per preservare la relazione tradizionale tra testo e commento, per annullare quella chiusura verso il lettore che con il commento in corpo non aveva la possibilità di interagire con lo scritto ed era limitato all'interpretazione fornita dall'autore, ma anche per nobilitare un testo volgare confezionandolo sul modello dei codici in latino che affiancavano all'opera le chiose esplicative. Infatti nell'autografo del suo Teseida l'autore si comportò allo stesso modo: le note marginali e interlineari che costellano il testo spiegano in terza persona i passaggi più complessi, così come ci si aspetterebbe da un manoscritto recante un poema epico in latino91. Secondo Houston Boccaccio ha inaugurato un nuovo ruolo, quello di editore-autore: dichiarando di mantenere fede alle idee di Dante, si propone come un suo rappresentante e al tempo stesso si arroga il diritto di emendarlo. Questa operazione sulla Vita Nova dimostra che egli ha voluto avere un “controllo autoritario sul testo”, comunque “mantenendo un'illusione di rispetto all'autore”92 (trad. mia). Lo studioso sostiene che Boccaccio nei confronti dei testi danteschi non si è comportato come un editore secondo l'accezione che diamo noi oggi a questo ruolo (chi non si

90 Todorović sostiene invece che il sintagma “persone degne di fede” sia una formula retorica spesso

usata da Boccaccio (Decameron, Esposizioni) quando vuole dare autorità e credibilità alle proprie affermazioni: J. TODOROVIĆ, Note sulla «Vita Nova» di Giovanni Boccaccio, in Boccaccio in America, a cura di E. Filosa e M. Papio, Longo Editore, Ravenna 2012, p. 110.

91 J. M. HOUSTON, “Meraviglierannosi molti”. Boccaccio's Editio of the Vita Nova, in «Dante

Studies», CXXVI, 2008, pp. 89-107; id., Building a Monument to Dante: Boccaccio as Dantista, cit., pp. 12-44.

sostituisce all'autore ma opera il più possibile secondo la sua volontà), ma ha voluto creare una versione personale dell'Alighieri con il fine di costruirgli un monumento ideale nel quale le sue opere eguagliassero quelle dei classici latini le cui copie erano costellate di chiose che ne dischiudevano i significati più complessi. Spostare il commento in margine serviva anche a liberare i lettori dai condizionamenti dell'autore: come si evince dal XIV libro delle Genealogie una parte fondamentale della difesa della poesia si basa sul considerarla portatrice di significati nascosti che devono essere scoperti e capiti. Porre le divisioni in margine –secondo Houston– risponde alla poetica boccacciana e alla volontà di ristabilire le condizioni favorevoli agli sforzi interpretativi dei lettori93. Dare alla Vita Nova un formato medievale serviva inoltre a collocare il suo autore all'interno di una tradizione poetica toscana, comprendente –come dimostrano i manoscritti Chigiani94– Cavalcanti, Petrarca e anche Boccaccio stesso, che si è assegnato il ruolo di rappresentante in quanto degno di scegliere le opere da inserire nell'antologia esemplificativa di questa scuola95. La scelta grafica della Vita Nova avrebbe dunque due funzioni: porre l'opera dantesca in continuità con i classici del passato e al contempo identificarla in una nuova poetica in volgare. Una prova è fornita dalle parole usate per descrivere le persone che gli hanno riferito del pentimento di Dante: “degne di fede”. Secondo Houston, è stata qui presa in prestito dal Convivio la definizione di autore, che deriva da “autentin” ossia “degno di fede e d'obedienza” (Cv

IV VI 5): sarebbe dunque Boccaccio questa persona “degna di fede” (in quanto poeta

come l'Alighieri e a lui legato da un'“affinità intellettuale”96) alla quale spetta il compito di “favorire la rinascita di una tradizione poetica uguale alla latina ma nel nuovo volgare” (trad. mia)97.

A mio avviso le osservazioni dello studioso sono di poca utilità e non del tutto fondate, in quanto è più economico spiegare questa veste editoriale come un'incomprensione della scelta innovativa dantesca di rendere parte integrante dell'opera il proprio auto-commento, di inserire in corpo al testo quello che tradizionalmente era nei margini, preannunciando una pratica su cui si fonderà il Convivio. Inoltre Boccaccio ha operato nella sua attività di dantista con umiltà, come dimostrano gli sforzi nell'emendare le lezioni della Commedia ritenute errate e nel divulgare le opere in una forma leggibile e corretta. Certamente non aveva gli strumenti della filologia per

93 Ivi, pp. 40-41.

94 Si vedano le pagine seguenti.

95 J. M. HOUSTON, Building a Monument to Dante: Boccaccio as Dantista, cit., pp. 35-36. 96 Ivi, p. 42.

raggiungere tali obiettivi, ma credo che sulle sue buone intenzioni non ci sia da dubitare: reputo infondato parlare di un “controllo autoritario” del Certaldese sulle opere dantesche, così come mi sembra non essere sostenuta da alcuna prova la teoria secondo cui egli non si preoccupasse di ripristinare i testi nella forma originaria in quanto “considerava il suo lavoro come una correzione della scrittura di Dante per assicurare che le idee corrette, secondo il suo giudizio, prosperassero” (trad. mia)98. La nota giustificativa apposta nelle sue due copie vitanoviane anzi dimostra la buona fede dell'editore: se avesse voluto imporsi sull'autore avrebbe probabilmente agito sul testo senza dare spiegazioni.

Ritornando all'allestimento dell'antologia toledana, essa fu il frutto non solo del faticoso impegno di copista ma anche del lavoro di compositore ed editore, come si è visto dalla realizzazione del Trattatello e dalla nuova veste della Vita Nova. Anche per Commedia e canzoni Boccaccio aggiunse del suo, dotandole di linee guida per leggerle: per la prima ogni cantica è preceduta da un componimento in terza rima che ne illustra il contenuto, mentre per le seconde vi sono delle sintetiche rubriche in latino. Gli Argomenti del poema non sono una forma letteraria nuova per Boccaccio, in quanto aveva composto un sonetto introduttivo per ogni libro del Teseida, sull'esempio dei versi che anticipavano nei manoscritti i libri dell'Eneide e della Tebaide. Anche per la Commedia era in auge questa pratica già dalla sua prima diffusione: ne sono degli esempi la Divisione di Jacopo Alighieri e la Declaratio di Guido da Pisa. Gli Argomenti boccacciani, che non hanno alcuna pretesa esegetica, trattano soltanto l'aspetto letterale del poema tralasciando ogni riferimento ai significati allegorici. Padoan ha rilevato una fedele aderenza al testo ed un abbondante uso del lessico e di stilemi danteschi, dovuti a “quell'attenzione e quell'amore alla lettera del poema dell'Alighieri che sempre animarono il 'fedele di Dante' […] ma anche per quel suo totale darsi all'onda della grande poesia dantesca […] ammirata sul versante erudito e morale ma soprattutto amata come appassionante libro di storia e di storie”99.

Anche le rubriche delle canzoni non accennano ai significati allegorici ed ideologici; valgano ad esempio la seguenti relative ai primi tre componimenti:

“Incipiu(n)t cantilene dantis aligerij (et) primo deasperitate d(omi)ne” (c. 257r) “Idem dantes inteligentijs loq(ui)tur deamore suo” (c. 257v)

“Idem dantes deuirtutib(us) (et)pulcritudine d(omi)ne sue” (c. 258r)100

98 Ivi, p. 15.

99 G. PADOAN, I «brievi raccoglimenti» e le «rubriche» alla Comedìa dantesca, in «Studi sul

Boccaccio», XIX, 1991, p. 81.

Boccaccio in questa antologia assunse anche i ruoli di filologo e chiosatore: trascrivendo la Commedia, come si vedrà nel paragrafo successivo, tentò di emendare le lezioni corrotte sia collazionando altri manoscritti sia congetturando liberamente. Per quanto riguarda l'attività di chiosatore, Pulsoni ha individuato in alcune note a margine del canto XI del Purgatorio la grafia di Boccaccio, fatto insolito perché tutte le chiose del manoscritto sono di altre mani e perché nelle altre due copie del poema da lui allestite (Riccardiano 1035 e Chigiano L VI 213) le note in questione sono assenti101. Lo studioso deduce che durante la stesura del Toledano iniziò a prendere piede l'idea di un commento alla Commedia che verrà compilato più di dieci anni dopo. Le note che secondo Pulsoni documentano il primo stadio del progetto delle Esposizioni sono in volgare, sono tre, si trovano rispettivamente nelle cc. 141v, 142r, 142v e chiosano i vv. 93, 103, 138. Le prime due, più brevi, spiegano semplicemente i versi, la terza invece ricostruisce il fatto per cui è ricordato un personaggio visto da Dante (Provenzano Salvani) e interpreta le parole di Oderisi da Gubbio che preannuncia l'esilio del poeta. Per Pulsoni le informazioni particolareggiate sull'episodio riguardante la vita di Provenzano Salvani, al tempo trasmesso secondo diverse versioni come testimonia il commento alla Commedia di Francesco da Buti (1396), dimostrerebbero che Boccaccio stava già “raccogliendo materiale per il suo lavoro esegetico”102. Confrontando la nota del ms Toledano con i commenti ante Boccaccio (Jacopo della Lana, l'Ottimo, l'Anonimo latino, Pietro Alighieri), il critico sostiene che il nostro chiosatore utilizzò come fonte o la II redazione del figlio di Dante o la medesima fonte di quest'ultimo. Gli studiosi forniscono date differenti su questa versione di Pietro: Mazzoni la colloca tra il 1350 e il 1355, mentre Bellomo negli anni 1357-1358103. To viene invece attribuito al periodo 1352-1356: è quindi ipotizzabile, se si accettano le proposte di Pulsoni, che il