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L'importanza delle copie approntate da Boccaccio nella tradizione delle opere dantesche

Capitolo III. Boccaccio copista ed editore di Dante Introduzione

2. L'edizione boccacciana delle opere poetiche volgari di Dante

2.2. L'importanza delle copie approntate da Boccaccio nella tradizione delle opere dantesche

Le caratteristiche delle sillogi dantesche di Boccaccio così come il loro numero (ben tre realizzate in circa tre lustri) dimostrano che esse venivano allestite non per uso personale ma per essere diffuse: prova ne è –afferma Vandelli– la nota giustificativa posta in margine all'inizio della Vita Nova che non avrebbe senso se non fosse indirizzata ad altri lettori139. L'intento di Boccaccio era diffondere le opere dantesche e consegnarle in una forma corretta, dato che la tradizione della Commedia fu sin dall'inizio molto corrotta. Egli non solo si era sottoposto alle fatiche del copista ma aveva anteposto ai testi un'apologia dell'autore ed era intervenuto in essi a diversi livelli (nelle rubriche introduttive alle opere, nell'impaginazione, nella correzione di lezioni) comportandosi da editore. Boccaccio riuscì in parte a raggiungere i suoi obiettivi: se non restituì una Commedia purificata da lezioni erronee, ebbe comunque il merito di avere confezionato dei codici facilmente leggibili che furono protagonisti di una notevole diffusione e che nel caso della Vita Nova hanno un'importanza determinante nello stemma codicum e nell'edizione del testo.

Partendo da quest'ultima, circa la metà dei manoscritti esistenti che ne sono testimoni fanno parte della famiglia che deriva dalla trascrizione approntata dal Certaldese. Inoltre la prima edizione a stampa dell'opera (Sermartelli, 1576) si basò su uno dei manoscritti derivanti dalla copia boccacciana.

Il testo presente nella raccolta Chigiana discende dal Toledano ma non direttamente: secondo gli studi di Barbi attraverso 5 copie con un conseguente deterioramento rispetto alla prima edizione140. Allo studio dei rapporti fra i testimoni della Vita Nova compiuto da questo studioso per l'edizione del 1907 (a cui è seguita quella del 1932) si continua ancora oggi a fare riferimento. Egli individuò un archetipo (*), caratterizzato da alcuni errori, da cui derivano α e β: da ognuno dei due subarchetipi discendono due famiglie di codici più o meno numerose (k, b, s, x), una delle quali (b) ha come capostipite il nostro Toledano. Ecco la parte più alta dello stemma:

139 G. VANDELLI, Giovanni Boccaccio editore di Dante, cit., p. 151.

140 M. BARBI, Introduzione, in D. ALIGHIERI, La Vita Nuova, edizione critica a cura di M. Barbi, R.

Barbi afferma che Boccaccio non ha contaminato la tradizione del libello, ma ha comunque spostato a margine le divisioni, operazione che non riuscì completamente e che ha comportato delle “alterazioni nella lezione”141 come aggiunte e soppressioni. Ad esempio la divisione nel § 22 (Barbi XXXIII) è rimasta a suo posto, mentre quella in 5. 23-24 (Barbi XII 17) è stata scissa in due parti: la prima è stata completamente eliminata mentre la seconda è rimasta in corpo al testo. Il § 16 (Barbi XXV) è stato considerato divisione invece di narrazione e quindi posto tutto in margine nel ms Toledano, mentre nel Chigiano è correttamente parte del testo. In 17. 8 (Barbi XXVI) anziché riportare “Questo sonetto è sì piano ad intendere per quello che narrato è dinanzi, che non abisogna d'alcuna divisione”, Boccaccio scrive: “Questo sonetto non si divide, però che per se medesimo è assai chiaro”142.

Il nostro cultore di Dante ha inoltre contribuito a generare una certa confusione in quanto alcuni copisti forse ritennero che le divisioni erano di un altro autore e le eliminarono oppure altri le reinserirono sbagliando posizione; in ogni caso mantenendo quelle modifiche che si erano rese necessarie per l'operazione boccacciana. La confusione perdurò a lungo tanto che nell'Ottocento Alessandro D'Ancona in un'edizione del libello sospettò che Dante avesse aggiunto le divisioni dopo una prima stesura e pubblicazione dell'opera143. I manoscritti del gruppo b, che è il più numeroso, infatti riportano le divisioni a margine oppure le hanno in corpo al testo ma sempre dopo il componimento poetico di cui riassumono gli argomenti, oppure ne sono privi (tranne di quelle conservate nel testo da Boccaccio). Tre manoscritti, oltre al Toledano e

141 Ivi, p. XVII.

142 Ivi. Per altri esempi di cambiamento di lezione si vedano le pp. XVII-XVIII.

143 Si veda A. D'ANDREA, Il nome della storia. Studi e ricerche di storia e letteratura,Liguori Editore,

Napoli 1982, p. 27. Autografo * β α k b (=To) s x

al Chigiano, ci trasmettono la nota giustificativa “Meraviglierannosi molti [...]”. È inoltre da tenere presente qualche aspetto numerico che tradisce l'influenza avuta dal Certaldese nella trasmissione e nella lettura delle opere dantesche: all'interno del gruppo b, 5 codici riportano le opere nel medesimo ordine di To (Trattatello, Vita Nova, 15 canzoni), 7 codici la Vita Nova seguita dalle 15 canzoni distese, 2 codici contengono la Vita di Dante con il libello giovanile.

Dopo l'edizione barbiana ne seguirono altre due: quella di Gorni e quella di Carrai144 le quali si differenziano dalla precedente nel titolo, nella veste linguistica, nella divisione in paragrafi, in alcune lezioni, ma confermano la validità dello stemma di Barbi145. Gorni riduce i paragrafi da 42 a 31 seguendo la paragrafatura attestata mediante segni di paragrafo e maiuscole in un ms trecentesco del ramo β (Laurenziana, Martelli 12) e con poche variazioni nella “tradizione Boccaccio”146.

Carrai, sulla scia di altri studiosi, ritiene ipotizzabile che ci sia stata una contaminazione fra le due tradizioni ad opera di Boccaccio, sulla base di un manipolo di lezioni riportate solo da k contro b e β. Barbi aveva ritenuto che esse, tutte accomunate da un carattere ridondante e superfluo, fossero state eliminate per semplificazione da b e β indipendentemente147. Di seguito qualche esempio di queste 14 lectiones singulares di k, consistenti in parole in più rispetto agli altri testimoni:

k b + β

“Qui appresso è l'altro sonetto, sì come dinanzi avemo

narrato” (Barbi XXII 12) omettono

“E questa è la canzone che comincia qui” (Barbi XXXIII

4) omettono

“E questo è desso” (Barbi XXXVI 3) omettono

“per quelle parole di Geremia profeta che dicono” (Barbi

VII 7) omettono le parole in corsivo

“mi salutoe molto virtuosamente” (Barbi III 1) omettono le parole in corsivo

“che alquanti peregrini passavano per una via la quale è quasi mezzo de la cittade ove nacque e vivette e morio la gentilissima donna. Li quali peregrini andavano, secondo che mi parve, molto pensosi.” (Barbi XL 2)

omettono le parole in corsivo

Gorni rifiuta la possibilità di contaminazione e, a differenza di Barbi, ritiene che tali lezioni peculiari siano da cassare in toto perché frutto di interpolazioni dovute ad una

144 D. ALIGHIERI, Vita Nova, a cura di G. Gorni, Einaudi, Torino 1996; id., Vita Nova, a cura di S.

Carrai, Bur, Milano 2009.

145 Per una completa bibliografia sui contributi più recenti relativi alla tradizione della Vita Nova, che

comunque confermano i rapporti già individuati da Barbi, si veda R. REA, La Vita nova: questioni di ecdotica, in «Critica del testo», XIV/1, 2011, pp. 233-277.

146 G. GORNI, 'Paragrafi' e titolo della «Vita nova», in «Studi di filologia italiana», LIII, 1995, pp. 203-

222.

tendenza al superfluo da parte del copista di k. Anche Carrai rifiuta la tesi barbiana degli errori poligenetici e propone quattro soluzioni possibili per spiegare le lacune di b e β, fra le quali anche quella di una contaminazione ad opera di Boccaccio che avrebbe portato delle lezioni dall'altro ramo della tradizione148. Rea nota che la maggior parte delle lacune di b e β rispetto a k “riguardano le formule introduttive delle poesie”149 collocate nei pressi delle divisioni. Da un confronto dei passi di To e Chig coinvolti nello spostamento in margine delle divisioni con i rispettivi di k e β, lo studioso osserva come Boccaccio abbia semplificato con omissioni i luoghi di passaggio dalla prosa ai versi: “non solo elimina, con le divisioni, ogni riferimento alle stesse […] ma taglia le formule introduttive dei componimenti, anche quando non sarebbe di per sé obbligato”150. Rea deduce quindi che –data l'inaffidabilità di Boccaccio nella trascrizione di questi luoghi– è possibile ritenere che egli abbia modificato indipendentemente dal ramo β le lezioni presenti nell'antigrafo α e testimoniate da k. È vero però che non ci sono argomenti sufficienti per dirimere la questione sulla loro autenticità e quindi per dire con certezza se esse derivano dall'autore o se furono aggiunte dal copista di k151.

La tradizione della Commedia è caratterizzata da numeri straordinari: più di 800 sono i manoscritti oggi rimasti che la contengono per intero oppure parzialmente. A ciò si aggiunge la tradizione indiretta rappresentata dai commenti stesi già a partire dal 1322, nei quali gli esegeti hanno dato prova di intervenire sul testo. Il sacro poema sin dalla sua prima pubblicazione, per cantiche o per gruppi di canti, fu oggetto di una rapida diffusione e di una crescente richiesta. Questi aspetti, insieme all'“eterogeneità linguistica dei copisti”152, alla facile memorabilità della terzina dantesca e al confezionamento dei codici in botteghe ove circolavano più esemplari suddivisi in fascicoli e ove spesso si puntava più sulla qualità estetica del manufatto che sulla correttezza del testo tradito, determinarono una tradizione corrotta già nel Trecento153. Boccaccio lo sapeva e, scelto un codice proveniente da una bottega ritenuta probabilmente da lui affidabile (il Vaticano 3199), copiò per ben tre volte la Commedia

148 L'intera questione è puntualmente riportata, con tutti i rinvii bibliografici, da R. REA, La Vita nova:

questioni di ecdotica, cit., pp. 236-241.

149 Ivi, p. 242. 150 Ivi, p. 244. 151 Ivi, pp. 252-262.

152 C. CIOCIOLA, Dante, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, vol. X La tradizione

dei testi, Salerno Editrice, Roma 2001, p. 179.

153 In questa tradizione molto inquinata mancano però errori gravi, dato che la rigida struttura metrica

apportandovi modifiche e trascrivendo a margine lezioni alternative desunte dalla collazione con altri testimoni. L'esemplare da cui copiava era o una copia di Vat fatta dallo stesso Boccaccio prima di inviarlo a Petrarca oppure, come reputa più verosimile Petrocchi, un codice acquistato dalla stessa bottega fiorentina154. I tre testi confezionati non sono solo delle copie meccaniche, ma presentano l'intervento del loro compilatore che corresse non con strumenti filologici, allora inesistenti, ma secondo il proprio giudizio: o collazionando da altri manoscritti e scegliendo la lezione ritenuta migliore oppure ricostruendo da sé quella che per lui doveva essere la lezione autentica. Boccaccio ha così contaminato il testo di Vat con lezioni provenienti da altri rami della tradizione, lezioni che Petrocchi rinviene soprattutto nei codici Trivulziano 1080 (Triv) e Urbinate latino 366 (Urb)155. Il risultato è un testo ancora più contaminato e ritenuto inaffidabile: in nessuna edizione del poema (Petrocchi, Lanza, Sanguineti) le copie boccacciane vengono infatti considerate testimoni su cui fare fede per ricostruire il testo, che per la Commedia non è quello più vicino all'originale –data la difficoltà nel ricostruire la genesi della tradizione e il fatto che i manoscritti del primo periodo sono andati tutti perduti (il più antico risale al 1336)– ma quello della più antica vulgata, ossia la forma più diffusa nel periodo cui appartengono i testimoni più antichi.

Per Petrocchi l'operazione di Boccaccio è stata così deleteria e le sue edizioni tanto diffuse da avere dato origine ad un ulteriore inquinamento nella tradizione: lo studioso ha dunque scelto di prendere in considerazione per la sua edizione soltanto i manoscritti databili prima del 1355 in quanto nessun metodo filologico potrebbe mai “metter ordine nella selva selvaggia della tradizione post-boccaccesca”156. L'editio composta da To, Ri e Chig avrebbe così diviso in due fasi la tradizione del poema (la prima delle quali è definita antica vulgata) esasperando un processo contaminatorio già avviato. Boccaccio infatti non fu un caso isolato, dato che l'esigenza di stabilire la lezione corretta del testo in una tradizione così complessa aveva spinto già i primi esegeti e studiosi alla collazione di manoscritti “a volte anche multipla”157. Se per Petrocchi l'intervento boccacciano è definito “determinante per deviare il corso della trasmissione”158 della Commedia, egli riconosce però “l'apprezzabile tentativo [...] di addivenire ad una

154 D. ALIGHIERI, La Commedia secondo l'antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, I Introduzione, Le

Lettere, Firenze 19942, p. 42.

155 Ivi, pp. 40-42. 156 Ivi, p. 9.

157 C. CIOCIOLA, Dante, cit., p. 179.

158 D. ALIGHIERI, La Commedia secondo l'antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, I Introduzione, cit., p.

edizione che si sostenesse sopra ampia rivista di varianti”159. L'impegno nella collazione è testimoniato anche nelle Esposizioni dove in quattro luoghi l'autore elenca le lezioni tramandate160: mentre in un caso propone quale sia la lezione da scegliere (tra “tu mi dai vanto” e “tu gli dai vanto” di II 25161 opta per la seconda trovando conferma in un passo dell'Eneide), negli altri sostiene l'impossibilità di dirimere la questione. Essi sono “alla gaetta pelle” / “la gaetta pelle” di If I 42162, “'l mio autore” / “'l mio signore” di I 85163, “sonno” / “suono” / “tuono” di IV 68164.

Petrocchi nell'Introduzione all'edizione della Commedia e nel saggio Dal Vaticano lat. 3199 ai codici del Boccaccio: chiosa aggiuntiva165 ha individuato alcuni comportamenti di Boccaccio filologo dantesco, che di seguito riassumo riportando degli esempi:

nelle tre copie della Commedia si ha un progressivo allontanamento dal testo di Vat, con To che gli è più fedele: infatti nei casi in cui non concorda con Ri e Chig segue l'antigrafo. Ri presenta un ulteriore distacco, mentre Chig è il testo più indipendente. Ci sono però dei casi opposti, in cui in un primo momento Boccaccio si allontana da Vat per riavvicinarsi nelle copie successive. Un esempio è fornito da Pd I 25-26: in Vat, Ri e Chig si ha “venir vedra'mi al tuo diletto legno / e coronarmi allor di quelle foglie”, in To sulla base della tradizione di Urb si legge “vedrami al piè del tuo diletto legno / venire e coronarmi delle foglie”. I luoghi in cui To e Ri differiscono da Chig sono comunque limitati;

• Boccaccio contamina soprattutto con la tradizione di Triv e Urb, infatti ci sono

pochi casi in cui le lezioni provengono da altri rami166;

• in alcuni casi Boccaccio ha rifiutato la lezione buona offerta da Vat per accoglierne

un'altra, banale o deteriore, attestata in Triv. Ad esempio ad If XI 37 “onde omicide” di Vat è corretto con il più diffuso ma erroneo “odii omicidii”;

• spesso si discosta da Vat per correggere degli errori evidenti, ma in altri casi

mantiene la lezione scorretta invece di emendarla tramite i testimoni di cui si serviva per

159 Ivi, p. 41.

160 Esposizioni I I 32-33, I I 126, IV I 77, II I 58.

161 In Vat, in Ri e in Chig si rinviene la seconda variante.

162 La prima lezione era stata scelta in Ri e in Chig, la seconda è attestata da Vat (per To non ho

possibilità di verifica).

163 In Vat e in Ri si legge la prima variante (per To e Chig non ho possibilità di verifica).

164 Vat, To, Ri e Chig hanno “sonno”. Nell'edizione Petrocchi, nella nota relativa al passo, si legge che in

To una nota riporta “alias dal suono over tuono”, indizio che questo ms fornì il testo di riferimento per le Esposizioni.

165 D. ALIGHIERI, La Commedia secondo l'antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, I Introduzione, cit.,

pp. 3-47; G. PETROCCHI, Dal Vaticano lat. 3199 ai codici del Boccaccio: chiosa aggiuntiva, cit.

la collazione. Ad esempio a If XIII 63 Vat ha “le vene e' polsi”, lezione mantenuta da Boccaccio ma che sarebbe stata correggibile con “li sonni e' polsi” attestata in Urb. Oppure in If XVIII 43 “li occhi affissi” di Vat sarebbe stato emendabile con “ i piedi affissi” di Triv e Urb;

• l'intervento di Boccaccio consiste perlopiù nella contaminazione; meno nelle varianti congetturali. Vorrei citare alcune lezioni che si rinvengono a partire dall'edizione di Boccaccio (o solo in essa) e quindi, secondo Petrocchi, probabilmente di sua ideazione:

Vat Boccaccio Edizione Petrocchi

1 If IX 59 “non si tenne” To “non si tenne”

Ri e Chig “non s'attenne” “non si tenne a le mie mani”

2 If X 54 “in ginocchie” “inginocchion” “in ginocchie levata”

3 If XI 84 “men biasimo” “più biasimo” “men biasimo accatta”

4 If XV 85 “m'insegnavate” “mi mostravate” “m'insegnavate come l'uom

s'etterna”

5 If XVIII 78 “son con noi” “però che sem con loro

insieme andati” “però che son con noi insieme andati”

6 If XIX 124 “Però con ambo le braccia

mi prese” “Po con ambo le braccia mi riprese” “Però con ambo le braccia mi prese”

7 Pg III 35 “trascorrer” “trascender” “possa trascorrer la infinita

via”

8 Pg III 104 “così andando” “così parlando” “così andando, volgi 'l viso”

9 Pg IV 72 “che mal non seppe” “la qual non seppe” “che mal non seppe”

10 Pg XX 8 “il mal” “il duol” “per li occhi il mal che tutto

'l mondo occupa”

11 Pg XXV

75 “che vive e sente” “che vede e sente” “che vive e sente”

12 Pg XXIX

135 “pari in atto e onesto e sodo” “in atto ognuno onesto e sodo” “pari in atto e onesto e sodo”

13 Pd V 36 “contra lo ver” To “contra del ver”

Ri Chig “contra 'l voler” “che par contro lo ver ch'i' t'ho scoverto”

14 Pd VII 21 “punita fosse” “fosse vengiata” “come giusta vendetta

giustamente / punita fosse”

15 Pd XIII 75 “la luce del suggel” “la cera del suggel” “la luce del suggel”

Nel caso 1 Boccaccio mantiene la lezione di Vat in To; in Ri e in Chig sceglie un sinonimo, il verbo attenere in funzione pronominale che fra i vari significati annovera anche quello di “prestare fede”, “affidarsi”167. Nel caso 2 sostituisce “inginocchie” con “inginocchion”, creando però una ridondanza perché “ginocchion” designa già in sé la posizione di chi poggia sulle ginocchia, senza bisogno di preposizione. Forse queste

varianti sinonimiche possono essere degli errori involontari, così come i casi 8 e 10. Frutto di fraintendimento è il caso 3. Siamo nel canto XI, Virgilio spiega a Dante la disposizione dell'Inferno dividendolo in tre parti secondo la gravità delle “tre disposizion” che spingono l'uomo a peccare: in ordine di gravità “incontenenza, malizia e la matta / bestialitade” (XI 82-83). La prima è quella che fra tutte “men Dio offende e men biasimo accatta”, quindi è punita meno severamente (“men crucciata / la divina vendetta li martelli”, vv. 89-90). Sostituendo “men biasimo” con “più biasimo” Boccaccio ha inteso, come dimostrano le Esposizioni, che la reazione di rimprovero sia da riferirsi agli uomini (non a Dio) i quali –giudici superficiali– ritengano i peccati di incontinenza più gravi degli altri:

“e come incontinenza Men Dio offende, che non fanno le due predette, e più biasimo accatta?, negli uomini, li quali il più giudicano delle cose esteriori e aparenti, per ciò che le intrinseche e nascose sono loro occulte, e per questo non le posson così biasimare e dannare; e i peccati, li quali noi commettiamo per incontinenza, son quasi tutti negli occhi degli uomini, dove gli altri due il più stanno serrati nelle menti di coloro che li commettono, quantunque poi pure apaiono; e sono, oltre a ciò, più rade volte commessi che quegli degli appetiti carnali, li quali continuamente ne 'nfestano.” (Esposizioni XI I 58)

Uno studio recente di Mecca, che completa e correggere le indagini petrocchiane sulle edizioni della Commedia di Boccaccio per giungere a stabilire la loro discendenza da un codice oggi perduto del gruppo vaticano, rileva che questa lezione non è stata immessa nella tradizione dal nostro editore ma è condivisa anche da uno dei manoscritti della famiglia di Vat (Fior. Pal. 314)168.

Le varianti 5 e 6 non sono segnalate nell'edizione Petrocchi, bensì da Vandelli il quale sostiene che nel primo caso si tratta di una precisazione “un po' pedantesca, ma […] sottile”169. Siamo nel canto XVIII, Virgilio dice a Dante di guardare anche la seconda schiera di seduttori, quelli che i due poeti non hanno ancora visto perché hanno camminato nella loro stessa direzione. Secondo Boccaccio “son con noi insieme andati” non andrebbe bene perché sono stati Dante e il maestro a scegliere quella direzione, non i dannati. Gli sembrò quindi più corretto “sem con loro insieme andati”. Nel secondo caso individuato da Vandelli siamo nel canto XIX: dopo le parole infuocate di Dante a papa Niccolò III, Virgilio lo raccoglie per il petto e lo porta in cima all'arco che unisce quarta e quinta bolgia. Boccaccio cambia “Però con ambo le braccia mi prese” in “Po con ambo le braccia mi riprese”: secondo Vandelli, il nostro editore utilizzò il verbo

168 A. E. MECCA, Il canone editoriale dell'antica vulgata di Giorgio Petrocchi e le edizioni dantesche

del Boccaccio, in Nuove prospettive sulla tradizione della «Commedia». Seconda serie (2008-2013), a cura di E. Tonello e P. Trovato, libreriauniversitaria.it edizioni, Padova 2013, pp. 119-182.

riprendere perché Virgilio aveva già portato il discepolo presso la buca del simoniaco170. Per quanto riguarda l'esempio 7, secondo Petrocchi si tratta di un'“eccessiva