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Dopo il Decameron: le opere erudite in latino e il Corbaccio

Il periodo post Decameron è caratterizzato in ambito sociale e politico dall'impegno di Boccaccio in numerosi incarichi pubblici e ambascerie, dai ritiri a Certaldo e dai tentativi di ritorno a Napoli, mentre in ambito letterario dalla diffusione della raccolta di novelle, dalle visite a Petrarca e dallo scambio reciproco di idee e conoscenze, dall'attività di dantista, da una nuova produzione erudita e morale, soprattutto in latino, che si allontana dalla “letteratura mezzana” elaborata precedentemente93.

Delle 16 egloghe in latino a carattere allegorico composte da Boccaccio tra il 1347 e il 1367 e da lui raccolte nel Buccolicum carmen, il Faunus è il rimaneggiamento della sua prima esperienza bucolica esemplata sulla corrispondenza fra Dante e Giovanni del Virgilio che venne letta dall'autore o a Napoli tramite Paolo da Perugia (il quale per il commento a Persio si era servito delle Allegorie ovidiane delvirgiliane) o a Firenze dopo

90 V. BRANCA, Consacrazioni e dissacrazioni dantesche nel «Decameron», cit., p. 59. 91 S. BELLOMO, Dante letto da Boccaccio, cit., p. 42.

92 R. HOLLANDER, Boccaccio's Dante: imitative distance (Decameron I 1 and VI 10), in «Studi sul

Boccaccio», XIII, 1981-1982, pp. 169-198.

93 Secondo Bruni, Boccaccio aveva “una duplice idea della cultura, connessa a criteri compositivi ben

distinti” (F. BRUNI, Boccaccio. L'invenzione della letteratura mezzana, cit., p. 11): nel primo periodo della sua attività l'autore si dedicò alla letteratura mezzana che ha come modello di riferimento la Vita Nova ed ha come cifre caratterizzanti il tema amoroso, il fine edonistico, la filoginia. Nel secondo periodo predomina la pratica di una letteratura e di una cultura che si occupano dell'importanza e della dignità della poesia, considerata uno strumento per veicolare verità filosofiche e teologiche sotto il velame del senso letterale.

il ritorno dalla capitale partenopea oppure in occasione dei suoi soggiorni a Ravenna e Forlì tra il 1345 e il 134894. Boccaccio, dopo avere dimostrato l'interesse per la dimensione mitica inserendo spunti pastorali nel Filocolo, nella Commedia delle ninfe fiorentine e nel Ninfale fiesolano, è il primo a raccogliere l'eredità dantesca della poesia bucolica della quale ripropone “la fictio pastorale e la forma epistolare”95 nella corrispondenza con Checco di Meletto Rossi (1347-'48), composta dalle egloghe boccacciane Postquam fata sinunt (Carmina II), Tempus erat placidum (Carmina III) e dalle rispettive risposte del segretario di Francesco Ordelaffi96. Successivamente rielaborò la seconda egloga e la inserì nel Buccolicum carmen (III) titolandola Faunus e privandola della connessione con la corrispondenza e della cornice epistolare: elemento ideato dall'Alighieri e abbandonato a favore di un dialogo fra pastori non più narrato, secondo il modello bucolico petrarchesco. L'adesione a quest'ultimo è dimostrata non solo dall'adozione in tutte le egloghe del dialogo diretto senza cornice narrativa, dal progetto di una raccolta unitaria come il Bucolicum carmen del poeta aretino e dall'importanza conferita al tema politico97, ma anche dalla breve storia del genere bucolico che Boccaccio tratteggia nella lettera a fra' Martino da Signa la quale funge da prefazione alla sua opera: gli autori menzionati sono soltanto Teocrito, Virgilio e Petrarca (Epistole XXIII 1-2). Tralasciando l'Alighieri, Boccaccio dimostra –secondo Bernardi Perini– di non tenere più in considerazione l'iniziale ed esigua sperimentazione avvenuta sotto il segno dantesco e di considerare le relative egloghe “un caso irrilevante” nella storia del genere, in quanto non concepite come “impegno bucolico” ma come “disimpegno arguto”98: esse erano infatti state concepite come risposta all'invito di Giovanni del Virgilio di abbandonare la scrittura in volgare per comporre un

94 Ad attribuire al periodo napoletano la conoscenza e la trascrizione nello Zibaldone Laurenziano della

corrispondenza fra Dante e Giovanni del Virgilio è Padoan: G. PADOAN, Giovanni Boccaccio e la rinascita dello stile bucolico, in Giovanni Boccaccio editore e interprete di Dante, a cura della Società Dantesca Italiana, Leo S. Olschki, Firenze 1979, pp. 25-72. Chi invece le considera una conseguenza della permanenza nelle corti romagnole, dove si trovavano testi e ricordi danteschi, sono Billanovich e Branca: G. BILLANOVICH, Il più grande discepolo, cit., p. 84; V. BRANCA, Giovanni Boccaccio. Profilo biografico, cit., pp. 74-77. Lo studio più recente di Zamponi, Pantarotto e Tomiello sulla cronologia di Zibaldone e Miscellanea Laurenziani colloca la trascrizione delle egloghe dantesche nel periodo 1341-1344, quindi a Firenze: S. ZAMPONI – M. PANTAROTTO – A. TOMIELLO, Stratigrafia dello Zibaldone e della Miscellanea Laurenziani, in Gli Zibaldoni di Boccaccio, cit., pp. 181-258.

95 L. BATTAGLIA RICCI, Boccaccio, cit., p. 212.

96 I testi della corrispondenza si leggono in La corrispondenza bucolica tra Giovanni Boccaccio e

Checco di Meletto Rossi. L'egloga di Giovanni del Virgilio ad Albertino Mussato, Edizione critica, commento e introduzione a cura di S. Lorenzini, Leo S. Olschki, Firenze 2011.

97 Sull'argomento si vedano le pp. 18-43 dell'Introduzione all'edizione a cura di Lorenzini citata nella

nota precedente.

98 Le citazioni sono tratte da G. BERNARDI PERINI, Introduzione, in G. BOCCACCIO, Buccolicum

poema epico in latino. Secondo la critica questi componimenti nacquero con una finalità polemica, ossia quella di dimostrare la propria abilità in un ambito letterario di cui l'interlocutore era esperto e di scegliere un genere umile in contrasto con quello nobile proposto99. A mio avviso è importante sottolineare che la tesi sostenuta da Bernardi Perini è riferita al Boccaccio maturo autore dell'epistola a fra' Martino da Signa (1372-'74): nel periodo 1341-1348 aveva infatti trascritto nelle carte dello Zibaldone Laurenziano le corrispondenze sia di Dante e Giovanni del Virgilio sia di sé stesso e Meletto Rossi, l'egloga di Giovanni del Virgilio ad Albertino Mussato, il Faunus e l'egloga di Petrarca Argus (incompleta), ad indicare la volontà di allestire una piccola antologia bucolica dimostrando di considerare la produzione dantesca appartenente al genere. Inoltre Boccaccio approntò successivamente una silloge, oggi perduta, che conteneva l'opera bucolica di Virgilio, Dante, Giovanni del Virgilio, sé stesso, Checco Rossi e Petrarca100.

La prima esperienza bucolica del Certaldese si è dunque svolta emulando l'esempio dantesco il quale è stato poi abbandonato a favore del modello petrarchesco (nonostante “la lezione virgiliana” sia “il referente principale della produzione bucolica di Boccaccio”101): questo passaggio è testimoniato dal rifacimento di un'egloga che, da epistola concepita come parte di una corrispondenza poetica, diviene componimento autonomo, un dialogo non più narrato ma rappresentato. Smarr, che condivide con Perini l'idea che il Buccolicum carmen fosse inizialmente composto da dieci egloghe alle quali furono successivamente aggiunte le altre sei102, ha però rinvenuto un ritorno a Dante in quest'ultimo gruppo di componimenti, non al Dante bucolico ma a quello della Commedia. La studiosa, a mio avviso, non argomenta in modo sufficiente la propria tesi se non dicendo brevemente e senza riferimenti puntuali ai testi che uno dei modelli dell'egloga X è l'Inferno dantesco, che nell'Olympia (XIV) la descrizione del Paradiso deriva dagli ultimi canti del Purgatorio e che nel Phylostropos (XV) viene riproposto il binomio guida (Virgilio) – pellegrino (Dante) nei personaggi Phylostropos (Petrarca) – Typhlus (Boccaccio) nell'iniziale ascesa al monte della salvezza che richiama il Purgatorio dantesco per le parole della guida la quale definisce più difficile l'inizio del cammino rispetto al seguito (come Virgilio nel IV canto del Purgatorio)103. Un'altra

99 S. BELLOMO, Filologia e critica dantesca, La Scuola, Brescia 2008, p. 129. 100 Si vedano le pp. 121-122.

101 S. LORENZINI, Introduzione, in La corrispondenza bucolica tra Giovanni Boccaccio e Checco di

Meletto Rossi. L'egloga di Giovanni del Virgilio ad Albertino Mussato, cit., p. 22.

102 G. BERNARDI PERINI, Introduzione, in G. BOCCACCIO, Buccolicum carmen, cit., pp. 693-699. 103 J. L. SMARR, Boccaccio pastorale tra Dante e Petrarca, in Autori e lettori di Boccaccio, cit., pp.

manchevolezza di Smarr consiste nel non conoscere un saggio di argomento affine al proprio uscito qualche anno prima nella rivista Studi sul Boccaccio, dove Chiecchi si occupa dell'Olympia e della teoria secondo cui in quest'egloga Boccaccio supera il codice bucolico-virgiliano a favore del modello cristiano della Commedia104. Il componimento in questione consiste nel dialogo fra il pastore Silvius e la figlia Olympia, scomparsa da bambina, che gli appare ora in età da sposa. Il padre, che non è rassegnato alla sua morte, vorrebbe trattenerla ma Olympia lo consola parlandogli dell'eternità, dell'immutabile destino umano, dell'aldilà in cui ora vive e che è governato da Archesilas (Dio) grazie al quale si ottengono la salvezza e la rinascita ad una nuova vita. Secondo Chiecchi, Silvio rappresenta l'arcadia pagana mentre Olympia il superamento di essa a favore della visione cristiana che lo spirito espone in termini danteschi descrivendo l'aldilà come il Paradiso terrestre del Purgatorio. Il critico individua puntualmente i riferimenti al modello dantesco, alcuni dei quali sono “lenis […] aura” (v. 177) e “mitissimus aer” (v. 196) che riprendono “aura dolce” (XXVIII 7), “ver ibi perpetuum” (v. 190) eco di “qui primavera sempre” (XXVIII 143), “et viridi cunctis cinguntur tempora lauro” (v. 217) eco di “coronati ciscun di verde fronda” (XXIX 93). Nell'epistola a Martino da Signa Boccaccio afferma di avere seguito nella sua produzione bucolica soprattutto il modello virgiliano in quanto non ha ricercato una corrispondenza assidua fra significato letterale ed allegorico: “Ex his ego Virgilium secutus sum, quapropter non curavi in omnibus colloquentium nominibus sensum abscondere”105 (Epistole XXIII 2). Rinnovando però la poesia bucolica con l'inserimento della prospettiva cristiana, propone un superamento del modello virgiliano analogo a quello compiuto dall'Alighieri nella Commedia. La chiave di lettura di questa interpretazione è il passo in cui Silvio chiede se l'Elisio di cui parla la figlia sia quello descritto dal Mincíade (Virgilio) e lei risponde che non tutto era stato compreso dal poeta:

“Silvius.

Elysium, memini, quondam cantare solebat Minciades stipula, qua nemo doctior usquam; estne, quod ille canit, vestrum? Didicisse

iuvabit. Olympia.

Senserat ille quidem vi mentis grandia quedam,

“S. L'Elisio! Lo cantava un tempo, ricordo, il Mincíade sulla canna, nella quale non vi fu al mondo il più esperto. È il vostro Elisio quello che lui canta? Vorrei tanto saperlo.

O. Con la forza della sua mente egli aveva capito alcune cose grandi; anche, in parte, l'aspetto del luogo. Ma poco egli ha cantato, se si arriva a vedere quante cose contiene, e

104 G. CHIECCHI, Per l'interpretazione dell'egloga Olimpia di Giovanni Boccaccio, in «Studi sul

Boccaccio», XXIII, 1995, pp. 219-244.

105 “Fra tutti questi io fui seguace di Virgilio, e perciò non mi curai di celare un senso sotto tutti i nomi

ac in parte loci faciem: sed pauca canebat, si videas quam multa tenet, quam pulchra

piorum Elysium sedesque deum gratissima nostrum. Silvius.

Quos tenet iste locus montes? quibus insitus oris? Que non Minciades vidit seu sponte reliquit da nobis. Audire fuit persepe laborum utile solamen: veniet mens forte videndi.” (Buccolicum carmen XIV 159-169)

quali bellezze, l'Elisio dei giusti, la sede dolcissima dei nostri dei.

S. Ma questo luogo, che montagne occupa, in che contrade si trova? Rivelami tu ciò che il Mincíade non vide o preferì tralasciare. L'ascoltare è sempre stato utile conforto alle pene; e forse mi verrà il desiderio di vedere.”

Il dialogo fra Silvio e Olimpia, che rappresentano rispettivamente la visione pagana e quella cristiana, è metafora “della transizione […] da Virgilio poeta a Dante teologo, in una evoluzione che calca e rinnova la staffetta delle guide nella Commedia dantesca”106. L'Olympia per Chiecchi non è solo il racconto commosso dei lutti familiari dell'autore ma anche una dichiarazione di poetica: la critica si è infatti soffermata soprattutto sul carattere biografico dell'egloga in quanto nella lettera XXIII Boccaccio rivela che i due interlocutori rappresentano sé stesso e la figlia Violante morta nel 1355 (§ 28). Secondo il critico il nome Silvius è una spia importante che permette di leggere dietro il velo degli affetti familiari l'ultima battuta del dibattito fra Boccaccio e Petrarca sulla Commedia, iniziato durante il loro incontro a Padova nel 1351, proseguito poi con l'invio del carmen Ytalie iam certus honos insieme al poema dantesco e con la Familiare XXI 15. Dato che Silvanus e Silvius sono gli appellativi bucolici che designano Petrarca tanto nelle sue egloghe che in quelle boccacciane (VIII, XII, XIII, XVI), l'omonimia è indicativa di un parallelismo instaurato tra l'Olympia e l'egloga del poeta aretino Parthenias (e la Familiare X 4 che l'accompagna e che è diretta al fratello Gherardo), dove il dialogo tra Silvio (Petrarca) e Monico (Gherardo) attiva un certamen, irrisolto, di poetica: il primo sostiene la poesia virgiliana e omerica, il secondo quella sacra di David. Anche nell'Olympia vi è una dichiarazione di poetica: Virgilio è superato da Dante il cui nome non compare ma la cui “identità […] risulta per suo trasferimento nel testo che gli appartiene”107. Chiecchi afferma che non si conosce “più totale adesione da parte di Boccaccio alla Commedia che questa visione che trasporta nella realtà bucolica la verità celeste e che ripropone l'al di là dantesco non mediante il racconto discutibile di un vivente, ma attraverso l'inoppugnabile esperienza di un defunto”108.

Sebbene la produzione post decameroniana sia soprattutto in latino e si misuri

106 G. CHIECCHI, Per l'interpretazione dell'egloga Olimpia di Giovanni Boccaccio, cit., p. 223. 107 Ivi, p. 226.

perlopiù con i classici e con Petrarca (ricordato con il titolo di “preceptor”109), Boccaccio proseguì con dedizione lo studio di Dante, come dimostrano la stesura in più redazioni del Trattatello, la trascrizione delle sillogi dantesche, l'attività di commentatore del poema. Non mancano inoltre i riferimenti al poeta fiorentino nelle opere latine più tarde: nel De casibus virorum illustrium fra i personaggi ai quali la fortuna è stata avversa compare anche l'Alighieri in qualità di “clarissimum virum et amplissimis laudibus extollendum [...] poetam insignem” (IX XXIII 6), mentre nelle Genealogie è citato fra i poeti degni di venerazione (XIV XXII 8). Secondo Bruni, è dalla Commedia che Boccaccio impara la tecnica presente nel De casibus di contrasto fra la folla di personaggi nominati e quelli biografati: nell'opera in questione l'autore immagina di essere preso d'assalto da molti uomini famosi caduti in disgrazia che gli chiedono di narrare la loro storia, ma lui ne scarta molti, pur nominandoli, per concedere l'attenzione soltanto ad una parte di essi110.

Nelle Genealogie la Commedia, qui definita “di rilevante importanza tra gli altri poemi”111, è una delle innumerevoli fonti di cui Boccaccio si serve: passi di Dante sono citati più volte come prova e arricchimento alle trattazioni enciclopediche come nel paragrafo dedicato alla frode (I XXI) dove viene ripresa e commentata la figura infernale

di Gerione o in quello che tratta di Acheronte (III V) dove viene illustrata la teoria

dantesca sul veglio di creta. In alcuni passi del XIV libro, dedicato alla difesa della poesia, Sarteschi ha individuato la ripresa dei medesimi concetti espressi nel De vulgari eloquentia112. Ad esempio in XIV VII 2-3 Boccaccio annovera come caratteristiche fondamentali dei poeti lodevoli il “fervore”, “i precetti della grammatica e della retorica”, la conoscenza della storia e della geografia, “le solitudini”, “la tranquillità dell'animo”: le prime tre corrispondono alle qualità dei poeti illustri descritte nel trattato latino, ossia “arditezza d'ingegno, frequentazione della tecnica d'arte, possesso di cultura” (Dve II XVII 10), le ultime invece derivano dall'esempio petrarchesco.

Alcuni passi del De mulieribus claris, sottolinea Zaccaria, sono influenzati da suggestioni dantesche mescidate con le fonti classiche dell'opera, come nella descrizione della morte di Piramo e Tisbe in cui interagiscono una terzina del Purgatorio e il relativo antecedente ovidiano113:

109 “preceptor noster” nel De mulieribus claris (Proemio 1) e “laureatus, insignis preceptor meus” nel De

casibus virorum illustrium (IX XXVII 6).

110 F. BRUNI, Boccaccio. L'invenzione della letteratura mezzana, cit., pp. 464-465. 111 “non parvi quidem inter alia poemata momenti” in I XXI 2.

112 S. SARTESCHI, La poesia di Dante nelle Rime di Boccaccio, cit., pp. 297-299.

113 V. ZACCARIA, Boccaccio narratore, storico, moralista e mitografo, Leo S. Olschki Editore, Firenze

“Come al nome di Tisbe aperse il ciglio Piramo in su la morte, e riguardolla, allor che 'l gelso diventò vermiglio” (Pg XXVII 37-39)

“ad nomen Thisbes oculos iam morte

gravatos Pyramus erexit visaque recondidit illa”114

(Metamorphoses 145-146)

“Sensit morientis deficiens intellectus amate virginis nomen, nec extremum negare postulatum passus, oculos in morte gravatos aperuit et invocantem aspexit”115

(De mulieribus claris XIII 10)

Zaccaria segnala che Boccaccio riprende “oculos in morte gravatos” dal v. 145 delle Metamorfosi sovrapponendo i due testi, in quanto “oculos [...] erexit” diviene “oculos [...] aperuit” e “recondidit” diviene “aspexit” che ricalcano rispettivamente “aperse il ciglio” e “riguadolla”.

L'ultima opera d'invenzione in volgare è il Corbaccio (1365-'67 circa116), una visione esperita dall'autore innamorato di una vedova al quale appare il marito defunto di lei per illustrargli i vizi delle donne e per invitarlo a consacrarsi soltanto agli studi: unico modo per rifuggire la forza negativa d'amore. Si tratta di un “umile trattato” (Corbaccio 3) filosofico e morale nonché di un'invettiva contro le donne che si nutre di spunti provenienti dalla letteratura mediolatina, dalla Commedia, dalla poesia cortese qui parodizzata. In particolare dal poema dantesco derivano echi testuali117, l'allegorismo che veicola significati morali, gli elementi della struttura narrativa che fa da cornice alla trattazione dei vizi delle donne e della vedova: la visione, l'io narrante protagonista di uno smarrimento118, la distinzione fra Boccaccio-autore e Boccaccio-protagonista, il paesaggio in parte costituito da una valle “oscura e piena di notte con dolorosi ramarrichii” (406) e da una selva che è “una solitudine diserta, aspra e fiera, piena di salvatiche piante, di pruni e di bronchi” (31)119 abitata da fiere, il soccorso di una guida che appare in circostanze similari a quelle in cui entra in scena Virgilio120 e in qualità di

114 P. OVIDIO NASONE, Metamorfosi, a cura di N. Scivoletto, Utet, Torino 2000.

115 “Il morente intese il nome della vergine amata e non volle negarle l'estremo favore richiesto: aprì gli

occhi, già gravati di morte, e li rivolse a lei che li invocava”.

116 Per una nuova proposta sulla controversa datazione di quest'opera si veda F. RICO, Ritratti allo

specchio (Boccaccio, Petrarca), Antenore, Roma - Padova 2012, pp. 97-131.

117 Per una rassegna dei passi del Corbaccio dipendenti dai testi danteschi si vedano il capitolo Texts in

the Corbaccio reflecting passages in Dante in R. HOLLANDER, Boccaccio's last fiction: “Il Corbaccio”, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1988, pp. 59-71 e R. MERCURI, Genesi della tradizione letteraria italiana in Dante, Petrarca e Boccaccio, cit., pp. 436-444.

118 Si notino le riprese di If I 10 “Io non so ben ridir com' i' v'intrai” in “in guisa alcuna mi pareva dovere

comprendere né conoscere da qual parte io mi fossi in quello entrato” (32) e di Pg XX 139 “No' istavamo immobili e sospesi” in “E così quivi immobile e sospeso trovandomi” (31).

119 Da paragonare con la “selva selvaggia e aspra e forte” di If I 5 (si noti l'aggettivazione tricolica anche

nel Corbaccio) e con quella dei suicidi di If XIII 26 e 32 (“che tante voci uscisser, tra quei bronchi”, “un gran pruno”).

120 La descrizione della guida riprende anche quella del personaggio dantesco di Catone: “vidi presso di

me un veglio solo, / degno di tanta reverenza in vista, / che più non dee a padre alcun figliuolo. / Lunga la barba e di pel bianco mista / portava, a' suoi capelli simigliante, / de' quai cadeva al petto doppia lista” (Pg I 31-36); “et ecco […] venire verso me con lento passo uno uomo senza alcuna

spirito inviato per intercessione divina121, il percorso dal peccato alla libertà della ragione122, il pentimento, la salvezza finale, la conclusione con la devozione alla Vergine123. Il Corbaccio è stato messo in relazione dalla critica anche alla Vita Nova, ma in termini oppositivi: quest'ultima, che esalta Beatrice in quanto tramite tra l'uomo e Dio, termina con il proposito di dire di lei, in modo più consono al suo valore ed in seguito ad una “mirabile visione”, “quello che mai non fue detto d'alcuna” (31. 3); il trattato boccacciano, che denigra la donna amata e vuole essere il testimone “delle sue malvagie e disoneste opere” (391), espone nel finale la medesima intenzione (ma di segno opposto) di scrivere ancora di lei in quanto “è da pugnere con più acuto stimolo” (413). Da notare la parallela invocazione a Dio:

“Sì che, se piacere sarà di Colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dire di lei quello che mai non fue detto d'alcuna.” (Vita Nova 31. 2)

“Grazie e lode n'abbia Colui che fatto l'ha. E sanza fallo, se tempo mi fia conceduto, io spero sì con parole gastigar colei, che, vilissima cosa essendo, altrui schernire co' suoi amanti presume, che mai lettera non mosterrà, che mandata le sia, che della mia e del mio nome con dolore e con vergogna non si ricordi.” (Corbaccio 410-411)

Il libello dantesco è di lode, il trattato boccacciano di vituperio, il primo rivolto alle donne che hanno “intelletto d'amore”, il secondo deve al contrario rifuggire le “malvage femmine” e indirizzarsi agli uomini affinché traggano insegnamento per non