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Riferimenti a Dante nelle opere e nelle epistole di Boccaccio

Capitolo II. Boccaccio promotore e apologeta di Dante Introduzione

1. Riferimenti a Dante nelle opere e nelle epistole di Boccaccio

I. Nell'epilogo del Filocolo Boccaccio colloca la sua opera nella letteratura “mezzana”, ben inferiore al genere di poesia praticato dai classici e anche da Dante. Benché il suo “libretto” non possa elevarsi a competere con i “misurati versi”1 frutto dell'alto ingegno dell'Alighieri, deve comunque seguire l'esempio di quest'ultimo e diventarne un umile “servidore”:

“O piccolo mio libretto, […] con ciò sia cosa che tu da umile giovane sii creato, il cercare gli alti luoghi ti si disdice: e però agli eccellenti ingegni e alle robuste menti lascia i gran versi di Virgilio. […] E quelli del valoroso Lucano, ne' quali le fiere arme di Marte si cantano, lasciali agli armigeri cavalieri insieme con quelli del tolosano Stazio. E chi con molta efficacia ama, il sermontino Ovidio seguiti, delle cui opere tu se' confortatore. Né ti sia cura di volere essere dove i misurati versi del fiorentino Dante si cantino, il quale tu sì come piccolo servidore molto dei reverente seguire. Lascia a costoro il debito onore, il quale volere usurpare con vergogna t'acquisterebbe danno. Elle son tutte cose da lasciare agli alti ingegni. [...] A te bisogna di volare abasso, però che la bassezza t'è mezzana via.” (V 97, 1-7)

A questa altezza cronologica il poeta fiorentino è già considerato dal giovane Boccaccio un classico, degno di stare accanto ai nomi più importanti della letteratura latina, e la sua opera è posta allo stesso livello dell'Eneide, della Farsaglia, della Tebaide. Mercuri sostiene che, dichiarando di voler essere un suo “reverente” “servidore”, l'autore del Filocolo si è collocato al sesto posto dopo Virgilio, Lucano, Stazio, Ovidio, Dante, proprio come aveva fatto quest'ultimo nel IV canto dell'Inferno ove viene accolto dalla “bella scola” (v. 94) composta da Omero, Orazio, Ovidio,

1 L'espressione “versi misurati” è chiosata, nell'autografo Laurenziano Acquisti e Doni 325, come

Lucano e Virgilio2. Non credo Boccaccio abbia ardito a tanto: egli infatti si colloca al di sotto degli “alti ingegni”3, mentre Dante si considera tutt'altro che un umile “servidore” dei predecessori, venendo accolto nell'élite del canone classico e riconosciuto come “sesto fra cotanto senno” (v. 102). Egli inoltre riteneva di essere sesto cronologicamente, ma aveva la consapevolezza di superare gli autori dell'epica classica coniugando al “bello stilo” (If I 87) la visione cristiana, in quanto era in procinto “di realizzare la forma poetica più alta di tutte: l'epica religiosa del poema sacro divinamente ispirato”4.

Mercuri rileva che Boccaccio ha esemplato il suo rapporto con Dante su quello di Stazio con Virgilio, in quanto vi è un'analogia fra il passo del Filocolo qui considerato e il seguente di Tebaide XII 816-817: “nec tu divinam Aeneida tenta / sed longe sequere et vestigia semper adora”5. Il critico rintraccia anche un altro modello: il termine “reverente” impiegato da Boccaccio viene utilizzato nella Commedia per definire l'atteggiamento di Dante nei confronti del maestro Brunetto Latini: “ma 'l capo chino / tenea com' uom che reverente vada” (If XV 44-45)6.

II. Nell'Amorosa Visione la prima parete ammirata dal protagonista ritrae il trionfo della Sapienza raffigurata come “una donna piacente nell'aspetto” (IV 26), affiancata dalle arti liberali e circondata dai più noti filosofi, poeti e storici: essi sono seduti “sopra un fiorito e pien d'erbette prato” (IV 32) che non può non ricordare il “prato di fresca verdura” (If IV 111) ove dimorano gli spiriti magni del Limbo dantesco. Un'altra analogia fra le due situazioni è la posizione elevata di Aristotele rispetto agli altri filosofi: “Poi ch'innalzai un poco più le ciglia, / vidi 'l maestro di color che sanno” (If IV 130-131), “vid'io […] in più notabil sito, / Aristotele star con atto pio” (Am. Vis. IV 40- 42).

L'autore, dopo avere passato rapidamente in rassegna i nomi dei personaggi delle tre categorie, si sofferma su “un gran poeta” (v. 74) al quale dedica più spazio, attenzione e ammirazione rispetto a tutti gli altri: si tratta di Dante Alighieri.

2 R. MERCURI, Genesi della tradizione letteraria italiana in Dante, Petrarca e Boccaccio, cit., p. 386. 3 Bruni nota che il sintagma deriva da “altezza d'ingegno” di If X 59: F. BRUNI, Boccaccio.

L'invenzione della letteratura mezzana, cit., p. 83.

4 M. PICONE, Il tema dell'incoronazione poetica in Dante, Petrarca e Boccaccio, in «L'Alighieri», 25,

2005, p. 6.

5 “Non metterti in competizione con la divina Eneide, ma seguila a distanza e venerane sempre le

orme”. Sia il passo staziano che la relativa traduzione sono tratti da R. MERCURI, Genesi della tradizione letteraria italiana in Dante, Petrarca e Boccaccio, cit., p. 386.

“Dentro dal coro delle donne adorno, in mezzo di quel loco ove facieno li savi antichi contento soggiorno, riguardando, vid'io di gioia pieno onorar festeggiando un gran poeta, tanto che 'l dire alla vista vien meno. Aveali la gran donna mansueta d'alloro una corona in su la testa posta, e di ciò ciascun'altra era lieta. E vedend'io così mirabil festa, per lui raffigurar mi fé vicino,

fra me dicendo: «Gran cosa fia questa». Trattomi così innanzi un pocolino, non conoscendol, la donna mi disse: – Costui è Dante Alighier fiorentino, il qual con eccellente stil vi scrisse il sommo ben, le pene e la gran morte: gloria fu delle Muse mentre visse,

né qui rifiutan d'esser sue consorte –.” (V 70-88) “Al suon di quella voce graziosa

che nominò il maestro dal qual io tengo ogni ben, se nullo in me sen posa: – Benedetto sia tu, etterno Iddio, c'hai conceduto ch'io possa vedere in onor degno ciò ch'avea in disio –, incominciai allora; né potere aveva di partir gli occhi dal loco dove parea il signor d'ogni savere, tra me dicendo: « Deh, perché il foco di Lachesis per Antropos si stuta in uomo sì eccellente e dura poco? Viva la fama tua, e ben saputa, gloria de' Fiorentin, da' quali ingrati fu la tua vita assai mal conosciuta! Molto si posson riputar beati color che già ti seppero e colei

che 'n te si 'ncinse, onde siamo avvisati». I' 'l riguardava, e mai non mi sarei saziato di mirarlo” (VI 1-20)

Nei versi precedenti comparivano fra i poeti Virgilio, Omero, Orazio, Lucano, Ovidio, i medesimi del IV canto dell'Inferno al quale ci sono qui vari richiami: Boccaccio, collegandosi implicitamente all'episodio della Commedia, ha voluto confermare l'appartenenza dell'Alighieri alla “bella scola” della quale quest'ultimo si era dichiarato degno. Il fatto che egli sia l'unico autore contemporaneo presente insieme ai classici allude alla considerazione di Boccaccio sulla funzione dantesca quale anello di congiunzione con la poesia antica. Questa affermazione di continuità fra letteratura greca, latina, volgare è uno degli aspetti che lo contraddistingue rispetto anche a Petrarca per il quale la poesia dell'antica Roma era superiore alle altre.

La celebrazione di Dante si svolge in tre momenti: l'incoronazione poetica in un'atmosfera festosa (vv. 70-81), la presentazione del poeta e dei suoi meriti con

riferimento alla Commedia (vv. 82-88), l'ammirazione espressa da Boccaccio in prima persona che occupa i versi iniziali del VI canto (vv. 1-20).

Al centro della scena, circondato dalle donne che personificano le arti liberali, l'autore della Commedia viene coronato con l'alloro dalla Sapienza stessa. Il fatto che questo rito si svolga tra le due schiere di sapienti (“in mezzo di quel loco”) allude alla doppia sfera di competenza di Dante, il sapere filosofico e la pratica letteraria, confermata anche dall'espressione “signor d'ogni savere” (VI 9). La coronazione significa qui qualcosa in più rispetto all'assegnazione della laurea poetica: si tratta anche di un risarcimento al sogno mancato di Dante, quello del ritorno in patria per il riconoscimento del suo valore letterario, espresso chiaramente nel I e nel XXV canto del Paradiso. In particolare nei versi iniziali di quest'ultimo l'autore si augura di tornare a Firenze per i propri meriti, con “altra voce” e “altro vello” (v. 7), per ricevere l'alloro poetico nella chiesa in cui era stato battezzato. Si noti il v. 75 (“tanto che 'l dire alla vista vien meno”) ove –come argomenta Ledda– l'autore si serve, per descrivere l'apparizione di Dante, di un topos letterario ampiamente utilizzato da quest'ultimo nelle Rime, nella Vita Nova e nella Commedia: la “dichiarazione di ineffabilità”. Secondo lo studioso, Boccaccio nell'impiego di questo topos pensava alla poesia dantesca, in quanto il verso è ricalcato su alcuni luoghi della prima e terza cantica tutti soggetti alla retorica dell'indicibile7.

La sintetica definizione del poema sacro come opera nella quale Dante “vi scrisse / il sommo ben, le pene e la gran morte” richiama la descrizione del viaggio attraverso i tre regni fatta da Virgilio nel canto proemiale:

“e trarrotti di qui per loco etterno; ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, ch'a la seconda morte ciascun grida; e vederai color che son contenti nel foco, perché speran di venire quando che sia a le beate genti. A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a ciò più di me degna:

con lei ti lascerò nel mio partire” (If I 114-123)

L'ammirazione di Boccaccio espressa in prima persona riguarda più argomenti: innanzitutto dichiara la propria gratitudine e il proprio debito dicendo che Dante è colui da cui ha avuto ogni bene (VI 1-3), ringrazia Dio per vedere ciò che ha sempre

7 G. LEDDA, Retoriche dell'ineffabile da Dante a Boccaccio, cit., pp. 115-116. Lo studio si occupa

anche di altre occorrenze dell'ineffabile nelle opere di Boccaccio, dimostrando come nell'uso di questo strumento retorico l'autore si sia rifatto al modello dantesco.

desiderato ossia Dante onorato come merita (vv. 4-6), non riesce ad allontanare lo sguardo da questa scena tanto ne è coinvolto (vv. 7-9 e 19-20), lamenta la vita troppo breve del maestro e gli augura una gloria eterna (vv. 10-13), infine rimprovera l'ingratitudine dei fiorentini (tema che ritornerà insistentemente nella I redazione del Trattatello) e reputa beati coloro che conobbero l'Alighieri e colei che lo ha generato (vv. 14-18). Il ringraziamento iniziale evoca la dichiarazione di discepolanza espressa nella Commedia nei confronti di Virgilio:

“Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore, tu se' solo colui da cu' io tolsi

lo bello stilo che m'ha fatto onore.” (If I 85-87)

“Al suon di quella voce graziosa che nominò il maestro dal qual io tengo ogni ben, se nullo in me sen posa” (Am. Vis. VI 1-3)

Se Dante deve alla sua guida “lo bello stilo”, quello definito illustre nel De vulgari eloquentia, Boccaccio deve molto di più al suo modello: “ogni ben”, da intendere come la passione per gli studi e la pratica delle lettere. La dichiarazione è caratterizzata da un sentimento di umiltà (v. 3) come nell'explicit del Filocolo.

La reminiscenza appena vista della Commedia che mette in relazione il Virgilio dantesco con l'Alighieri boccacciano non è l'unica, ma –come hanno individuato Branca e Ferrara8– ci sono numerosi altri riferimenti che alludono a questo parallelismo. Il v. 74 “onorar festeggiando un gran poeta” richiama “Onorate l'altissimo poeta” di If IV 80 riferito a Virgilio, “Gloria de' Fiorentin” (v. 14) ricorda “gloria di Latin” di Pg VII 16 sempre attribuito all'autore mantovano, “signor d'ogni savere” (v. 9) richiama “quel savio gentil, che tutto seppe” di If VII 3. Ferrara nota inoltre che il titolo di poeta viene conferito nell'Amorosa Visione soltanto a Dante, come nella Commedia appartiene quasi esclusivamente a Virgilio9. Boccaccio, proprio nell'opera a livello strutturale più imitativa della Commedia, sembra dunque voler esemplificare il suo rapporto con Dante su quello fra quest'ultimo e Virgilio.

L'elogio al maestro si conclude con la ripresa del passo “Alma sdegnosa, / benedetta colei che 'n te s'incinse!” di If VIII 45 in “Molto si posson riputar beati / color che già ti seppero e colei / che 'n te si 'ncinse”. È oscuro il seguito del verso (“onde siamo avvisati”) che può essere riferito a Dante con il significato di “per il quale [Dante] siamo resi accorti spiritualmente”10 oppure riferito alla madre dalla quale appunto “siamo avvisati”. Ma di che cosa? Questo lo si scopre leggendo il Trattatello ove

8 Si vedano le note ad locum dell'edizione di riferimento ed il saggio di C. FERRARA, Dante in

Boccaccio. Memoria dantesca nell'Amorosa Visione, cit., in particolare le pp. 48-56.

9 Ivi, p. 48.

Boccaccio, riprendendo la biografia virgiliana di Donato, racconta di un sogno profetico avuto dalla madre prima di partorire attraverso il quale venne manifestata la futura grandezza del bambino11. È da anticipare che, come si vedrà nel capitolo V, numerosi argomenti della celebrazione dell'Amorosa Visione saranno ripresi e sviluppati nella biografia dantesca.

Secondo Paolazzi l'elogio dell'Alighieri nel poema boccacciano ha come modello l'epitafio scritto da Giovanni del Virgilio in seguito alla morte dell'esule fiorentino, fra l'altro trascritto per intero nel Trattatello. I due testi condividono gli argomenti e la loro successione, alcuni vocaboli e sintagmi come “gloria fu delle Muse” (“gloria musarum”), “Antropos” (“Amtropos”), “il signor d'ogni savere” (“nullius dogmatis expers”), “fama” (“fama”), “Fiorentin […] ingrati”, (“ingrata […] Florentia”)12. Dopo la presentazione di Dante, del contenuto e dello stile della sua opera, della gloria poetica, entrambi gli autori trattano la contrapposizione fra chi lo ha rifiutato, ossia l'ingrata Firenze, e invece chi ha riconosciuto il suo valore: per Giovanni del Virgilio si tratta di Ravenna che lo ha accolto nel suo grembo.

“Huic ingrata tulit tristem Florentia fructum exilium, vati patria cruda suo.

Quem pia Guidonis gremio Ravenna Novelli gaudet honorati continuisse ducis”

(Theologus Dantes 9-12)13

“gloria de' Fiorentin, da' quali ingrati fu la tua vita assai mal conosciuta! Molto si posson riputar beati color che già ti seppero e colei

che 'n te si 'ncinse, onde siamo avvisati” (Am. Vis. VI 14-18)

Data la corrispondenza dei nuclei tematici fra i due brani, Paolazzi sostiene che chi “si 'ncinse” in Dante altri non è che Ravenna “dalla quale parte un severo ammonimento ai fiorentini ingrati”14: questo sarebbe dunque il significato delle parole conclusive del v. 18.

Per completezza d'indagine segnalo che nella redazione B i versi dedicati a Dante non hanno subito modifiche dal punto di vista di significato e contenuto ma solo sostituzioni di vocaboli con sinonimi (come “rimirando” con “riguardando” di V 73), cambiamenti nell'ordine di parole (“posta d'alloro una corona in testa” anziché “d'alloro una corona in su la testa / posta” in V 77-78) e aggiustamenti per rendere più immediato il significato un po' oscuro di VI 10-11 dove la precisazione di “vital” relativa a “foco” fa venire meno l'immagine improbabile e mai attestata delle Parche che accendono un

11 C. FERRARA, Dante in Boccaccio. Memoria dantesca nell'Amorosa Visione, cit., p. 51.

12 C. PAOLAZZI, Dante e la «Comedia» nel Trecento. Dall'Epistola a Cangrande all'età di Petrarca,

Vita e pensiero. Pubblicazioni della Università cattolica del Sacro Cuore, Milano 1989, pp. 111-130.

13 Il testo per intero è riportato da Boccaccio in Trattatello I red. 91. 14 C. PAOLAZZI, Dante e la «Comedia» nel Trecento, cit., p. 129.

fuoco.

Concludo con il porre l'accento sui titoli riferiti all'Alighieri nell'arco dell'elogio: “gran poeta”, “gloria fu delle Muse”, “il signor d'ogni savere”, “uomo sì eccellente”, “gloria de' Fiorentin”, i quali delineano la figura di un Dante poeta e filosofo, ma non ancora teologo come sarà nelle opere più mature di Boccaccio (Trattatello, Genealogie).

III. L'introduzione alla IV giornata del Decameron è uno dei luoghi sui quali la critica ha puntato maggiormente l'attenzione in quanto l'autore, difendendosi dalle accuse di sconvenienza e licenziosità mosse nei confronti delle novelle, esprime le ragioni della propria poetica. L'apologia inizia con una reminiscenza dantesca: Boccaccio dichiara che con la pratica di una letteratura umile era certo, a torto, di evitare il “vento” dell'invidia che percuote “l'alte torri o le più levate cime degli alberi” (IV Intr. 2), riprendendo l'apostrofe di Cacciaguida in riferimento agli effetti della Commedia (“Questo tuo grido farà come vento, / che le più alte cime più percuote”, Pd XVII 133-134). Tra le accuse da cui l'autore si difende c'è quella di compiacere alle donne e di amarle troppo per i suoi anni maturi, alla quale risponde di non provare vergogna per dedicarsi a ciò che anche Guido Cavalcanti, Dante e Cino hanno amato in età avanzata:

“rispondo che io mai a me vergogna non reputerò infino nello stremo della mia vita di dover compiacere a quelle cose alle quali Guido Cavalcanti e Dante Alighieri già vecchi e messer Cino da Pistoia vecchissimo onor si tennero, e fu lor caro il piacer loro.” (IV Intr. 33)

La dimostrazione di stima nei confronti del poeta fiorentino, citato insieme ai più importanti stilnovisti, è accompagnata da una parodia del verso “l’essilio che m’è dato onor mi tegno” di Tre donne intorno al cor mi son venute (Rime 13 (CIV) 76): mentre nella lirica il motivo da cui deriva l'onore è la condizione di esule che significa far parte dei giusti, nel capovolgimento ironico di Boccaccio consiste nell'amore per le donne.

IV. Nella Consolatoria a Pino de' Rossi l'estensore cita, come esemplificativi della mutabile situazione politica fiorentina, due versi del Purgatorio (VI 143-144) il cui autore è definito “nostro poeta”. La citazione fa di Dante un'auctoritas poetica che nella sua opera ha veicolato verità storiche:

“la nostra città, più che altra, piena di mutamenti, in tanto che per esperienza tutto dì veggiamo verificarsi il verso del nostro poeta:

...che a mezzo novembre

non giugne quel che tu d'ottobre fili.” (166)

V. Nel De casibus virorum illustrium fra gli uomini illustri a cui la Fortuna è stata avversa fa una comparsa anche Dante. Siamo nell'ultimo libro nel capitolo “Queruli

plures” dove un'ampia folla di “dogliosi” si presenta all'autore il quale, dopo avere nominato brevemente qualcuno di essi, si sofferma sull'unico degno di nota: il “poeta insigne” Dante. Tra i due c'è uno scambio di battute preceduto da importanti elogi che riguardano non solo il valore poetico ma anche quello umano:

“Cum nec numero dolentium finis appareat, et venientem cernam clarissimum virum et amplissimis laudibus extollendum Dantem Aligherii, poetam insignem. Cuius cum reverendam faciem atque conspicua patientia refulgentem aspexi, surrexi illico et obvius factus inqui: – Quid, civitatis nostre decus eximium, has inter lacrimas dolentium merito spectabilis mansuetudine veteri, gradum trahis? Essetne tibi mens ut, post patrium clarum genus tuum, et opera memoratu dignissima, furiosam ingrate patrie repulsam, laboriosam fugam, longum exilium, et postremo celo sub alieno clausisse diem describerem? Scis, pater optime, quam fragiles tanto oneri michi vires sint –. Cui ille: – Siste, fili mi, tam effluenter in laudes meas effundere verba, et te tam parcum tuarum ostendere. Novi ingenium tuum; et quid merear novi. Verum non ille michi nunc animus quem tu reris, nec tanquam a Fortuna victus describar advenio, sed fastidiens civium nostrorum socordiam, ne illatorem, perpetui eorum dedecoris preterires, ostensurus accessi. Ecce, igitur, vide postergantem me domesticam pestem et to inexplicabilem florentino nomini labem. Hunc, moresque eius et casum, si quid michi debes, describas volo, ut pateat posteri quos expellant quosque suscipiant cives tui –” (IX XXIII 6-10)

“Perciocché non vedevasi termine al numero de' dogliosi, e io vedeva giungere il chiarissimo uomo, degno d'immortali lodi, Dante Alighieri, poeta insigne. Del quale tosto ch'io vidi l'onorando volto composto a profonda sopportazione, subito mi levai in piedi e, andatogli incontro, dissi: - Perché, o eccelso onore della città nostra, meni i tuoi passi tra queste lagrime de' dogliosi, essendo tu meritatamente riguardevole per l'antica mansuetudine? Avresti mai animo ch'io, dopo l'illustre tuo sangue paterno, e le opere degne d'eterna memoria, scrivessi la furiosa ripulsa della tua ingrata patria, la faticosa fuga, il lungo esilio e ultimamente aver chiuso l'ultimo giorno in paese altrui? Tu sai, ottimo padre, le mie forze esser debili a tanto peso -. Soggiunse egli: - Fermati, figliuolo mio, e non spendere tante parole in mie lodi, mostrandoti tanto avaro nelle tue. Ho conosciuto il tuo ingegno; e io so quello che merito. Ma ora non ho l'animo che tu istimi: non vengo qui acciocché tu abbi a scrivere di me come di vinto da Fortuna, ma, avendo in