Leopoldo Galeotti. Biografia politica d'un moderato toscano nel periodo preunitario
Il 5 maggio, a dispetto dei buoni propositi dei moderati, gli Austriaci del generale d'Aspre entrarono in Toscana, sottomisero Livorno ed il 25
giunsero a Firenze 2IS. Cessava così la breve parentesi di potere dei libe-rali costituzionali ed iniziava il decennio della seconda Restaurazione, col ritorno ad un regime assoluto sempre più opprimente e col conseguente progressivo distacco dei moderati toscani dalle idee che avevano guidato la loro condotta politica nel biennio 1847-48.
All'indomani dell'intervento austriaco, « Il Conciliatore » (7 mag-gio) tentò di minimizzare la cosa, affermando trattarsi d'una condizione transitoria in attesa del ritorno del granduca, il quale avrebbe saputo ap-prezzare la prova di maturità fornita dai Toscani e riportare il proprio Stato alla normalità. Ma col passare dei giorni il clima politico peggiorò e il 21 maggio ne fece le spese proprio « Il Conciliatore », che venne ac-cusato dal commissario straordinario Serristori di complicità con il ca-duto ministero democratico e di appoggio alla costituente ( ! ), e fu sospe-so 216. « Il Conciliatore », tuttavia, rinacque il giorno appresso con un nuovo nome — « Lo Statuto » — ricalcando in tutto e per tutto lo sche-ma abituale.
Il nuovo giornale, però, pur presentandosi come continuatore del « Conciliatore », era in realtà qualcosa di qualitativamente diverso: esso infatti era già stato programmato da diversi giorni ed era destinato a divenire l'organo autorevole di tutti i gruppi del moderatismo toscano 217.
ridussero ad un semplice deterioramento della finanza il tentativo compiuto dal ministero democratico — sia pure in modo confuso — di rendere più popolare il sistema tributario toscano mediante una riduzione della pressione fiscale sui ceti meno abbienti; nonostante in ciò, secondo il Dal Pane (La finanza toscana cit., pp. 350-353), si potesse riconoscere il primo vero « distacco dall'indirizzo tradi-zionale del governo leopoldino » in campo finanziario.
215. Sull'intervento austriaco si veda S. CAMERANI, Leopoldo II e l'intervento austrìaco in Toscana (1849), «Archivio Storico Italiano», CVII, 1949, pp. 54-88.
216. Si veda in proposito « Lo Statuto » del 26 maggio.
217. Il ministro francese a Firenze, Walewski, in un dispaccio dell'8 maggio avvertì che i moderati del 12 aprile stavano per lanciare un nuovo giornale, dal titolo provvisorio « La Conciliazione » (Le relazioni diplomatiche fra la Francia e il granducato di Toscana, III serie, a cura di A . SAITTA, Roma, Istituto Storico per l'età moderna e contemporanea, 1959, voi. I, p. 240); in un dispaccio del 5
Proprio per il massiccio blocco liberale che stava dietro di esso, « Lo Statuto », benché « più conservatore » di altri giornali toscani, fu « il più odiato dai retrògradi e più preso di mira dal d'Aspre » 218.
Mentre il nuovo giornale iniziava la propria campagna per le idee di nazionalità e costituzione contro ogni deviazione rossa o nera e tuonava contro gli errori politici degli « esaltati » — fors'anche per rafforzare la propria posizione e far dimenticare certe indulgenze del « Conciliatore » verso il ministero democratico — la restaurazione procedeva nella sua opera: il 27 maggio assunse il potere il nuovo ministero nominato a Gaeta219 ed il 28 venne riadottata la bandiera granducale, senza che Leopoldo II accennasse a tornare in patria. In questo momento Galeotti ancora sperava che il ritorno del granduca avrebbe accomodate le cose 220, ma soprattutto la sua attenzione era concentrata sullo Stato pontificio, dov'era essenziale che il papa — una volta abbattuta la repubblica con le baionette francesi — conservasse la costituzione; perché in caso con-trario il granduca e i retrogradi avrebbero avuto un ottimo pretesto per tornare anche in Toscana alla situazione pre-quarantottesca. In questo delicato frangente, i Machiavelli della reazione avevano trovato comodo rispolverare l'ormai dimenticato libro di Galeotti sulla Sovranità
tem-luglio '49 (ibidem, pp. 274-275) avrebbe poi confermato che il nuovo organo del partito moderato era appunto « Lo Statuto », i cui fondatori erano Corsini, Ridol-fi, Capponi, Ricasoli, Andreucci, Peruzzi, Carlo Poniatowski, Digny, Centofanti, Galeotti, Tabarrini. A questi nomi bisogna aggiungere, tra i sostenitori ed i collabo-ratori, Arconati, Bastogi, Gualterio, Bartolommei, Pasolini, Lambruschini e Min-ghetti (A. LINAKER, G. P. Vieusseux e la stampa cooperatrice del Risorgimento, in La Toscana alla fine del granducato, Firenze, Barbera, 1909, p. 221; G. RODONI, Il giornale « Lo Statuto » e la reazione nel 1850-51 in Toscana, « Rassegna Sto-rica del Risorgimento », I, 1914, pp. 893-920). Dello « Statuto » furono_ rispetti-vamente direttore e direttore responsabile Colomb de Batines e F. Bussotti; i prin-cipali redattori furono ancora Tabarrini e Galeotti (C. ROTONDI, op. cit., p. 65).
2 1 8 . Lettera di Vieusseux a Tommaseo, in N . TOMMASEO - G . CAPPONI, Car-teggio inedito cit., voi. Ili, p. 93, nota 2. Questo giudizio di Vieusseux è confer-mato da un dispaccio in data 9 ottobre '49 del plenipotenziario austriaco barone Hugel, il quale descriveva « Lo Statuto » come il giornale più pericoloso per la convergenza su di esso di tutti i moderati e per la sua « opposition perseverante », seppur cauta, « contre le ministère et [... ] contre l'Autriche » (Le relazioni diplo-matiche fra l'Austria e il granducato di Toscana, III serie, a cura di A. FILIPUZZI,
Roma, Istituto Storico per l'età moderna e contemporanea, 1966-68, voi. I, p.
2 9 8 ) . .
219. Era composto da Baldasseroni, Andrea Corsini, Landucci, Mazzei, Capo-quadri, Boccella e De Laugier. Data la composizione, era prevedibile che esso avrebbe svolto una politica assai moderata, ma non anticostituzionale. Lo stesso Baldasseroni, infatti, era convinto che non si dovesse abolire lo statuto (A.
GEN-NARELLI, op. cit., p. 1 4 6 ) .
220. Lettera alla Caselli del 12 giugno, in P . PAOLINI, op. cit., p. 193. Si veda anche « Lo Statuto » del 27 giugno.
porale e farsi forti delle dottrine in esso contenute per caldeggiare
l'abo-lizione del patto costituzionale. A costoro, su « Lo Statuto » del 25 giu-gno, Galeotti rispose con la consueta lucidità, affermando che la restaura-zione papale non poteva essere che «liberale, [...] costituzionale, lai-ca », e sostenendo che i falsi elogiatori del suo libro non lai-capivano — o non volevano capire — che esso, tuttora valido dal punto di vista teorico-astratto, era però storicamente superato nella parte riguardante i piani di attuazione pratica, proprio perché si basava su quell'antico diritto pub-blico pontificio — i Capitoli di Eugenio IV — che lo statuto aveva rin-novato alla radice, impedendo qualunque ritorno al passato. Sul problema romano il giornale tornava il 29 giugno e poi, con maggiore decisione, il 4 luglio, annunciando entusiasta che la resistenza di Roma era cessata e sulla città sventolava ormai « la bandiera francese, [...] la bandiera na-turalmente protettrice della libertà », in quanto vincitrice del socialismo in Francia e di Mazzini in Italia; perciò invitava i moderati romani a stringersi fra loro ed ai Francesi per promuovere il ritorno all'ordine ed alla « giusta libertà » 221. Ma se tale era il linguaggio ufficiale, diverso era il tono con cui Galeotti si rivolgeva il 7 luglio alla Caselli:
« Soliti Tedeschi, solite prepotenze dell'Aspre, solita debolezza del go-verno; [...] tutto rivela il segreto pensiero che d'ora innanzi non debbano né vogliano contare che sopra le baionette tedesche »;
tanto più che da Gaeta venivano desideri di reazione estrema e in cuor suo Galeotti credeva assai poco in una soluzione positiva della crisi pon-tificia 222.
Stando così le cose, era inevitabile che l'attenzione dei moderati si rivolgesse soprattutto al Piemonte, unico Stato in cui il partito costitu-zionale avesse serie possibilità di vincere la sua battaglia.
« Finché il Piemonte può reggere vi sarà sempre una speranza per l'Italia. — continuava Galeotti nella lettera sopra citata — Ma se i rossi la danno vinta
221. Sulla difesa della costituzione nello Stato pontificio «Lo Statuto» ri-tornerà continuamente nei giorni successivi. Tra gli articoli più importanti citiamo quelli nei numeri dell'8, 14, 15, 19, 21, 23, 25 luglio e del 7 agosto.
2 2 2 . P . PAOLINI, op. cit., p. 1 9 4 . Il 2 2 luglio, scrivendo a Minghetti, Galeotti sosteneva esser utile che i moderati continuassero a far sentire la loro voce, nello Stato pontificio ed altrove, « perché si veda che il partito moderato esiste sempre, e protesta oggi contro le tendenze retrograde come ha protestato contro le tendenze rivoluzionarie. Altrimenti accaderà che dubiteranno dell'esistenza di questo partito, e ciò sarà un impaccio di meno per chi vuol correre a ritroso » (Carte Minghetti, IV, 10). Come si vede, si trattava ormai d'una posizione puramente difensiva, di chi mirava solo a frenare la reazione e considerava perdute le speranze di tornare di-rettamente al potere.
anche là al partito retrogrado, allora non so cosa avverrà della libertà in Ita-lia ».
In Piemonte il ministero costituzionale retto da d'Azeglio correva il pericolo di essere sopraffatto dalla sinistra e i moderati toscani teme-vano — più che la vittoria dei rossi nella quale credeteme-vano poco — l'even-tualità che anche lo Stato subalpino dovesse ricorrere alla soppressione del regime costituzionale per fronteggiare l'assalto. Consapevole dell'im-portanza della posta in gioco, Galeotti si rivolse il 14 luglio all'amico d'Azeglio e, nell'imminenza delle elezioni piemontesi, gli mise a dispo-sizione il proprio giornale 223. Questo atto segna un'importante tappa nell'evoluzione politica di Galeotti: da un lato conclude il periodo della diffidenza nei confronti del Piemonte ed inaugura una franca collabora-zione con esso, che ancora non ha nulla a che fare — si badi bene — con l'unitarismo vero e proprio, ma ne è comunque il preludio essen-ziale; d'altro lato, l'avvicinamento al Piemonte ha come momento corre-lativo la perdita di fiducia nella funzione dello Stato pontificio quale guida spirituale della rivoluzione italiana. Chi segua gli articoli sulla re-staurazione romana comparsi nello « Statuto » del 1849 — nella mag-gior parte dei quali non è difficile riconoscere la penna di Galeotti — può agevolmente vedere il diagramma di tale sfiducia: gli iniziali timori in un ritorno ai tempi di Gregorio XVI (13 agosto), le timide speranze (25 settembre), le primi disillusioni (28 settembre e 10 ottobre) ed in-fine la drastica conclusione del 31 ottobre, quando una nota ufficiale del-l'« Osservatore Romano » annunciante « l'incompatibilità assoluta delle
forme rappresentative in genere colla indipendenza del potere
spiritua-le » farà dire allo « Statuto » che essa « altro non fa che annunziare co-me in un'epoca più o co-meno prossima la sovranità temporale dei papi do-vrà limitarsi alla città di Roma e al patrimonio di S. Pietro ». In questo giudizio sull'avvenire territoriale dello Stato pontificio è implicita anche la crisi — o quantomeno un profondo cambiamento — dei progetti fe-derativi; e ciò va considerato un secondo passo avanti verso l'accetta-zione delle idee unitarie.
Nei confronti del ministero d'Azeglio, l'appoggio di Galeotti e del suo giornale fu sin dall'inizio incondizionato. In Piemonte, com'è noto, dalle elezioni di luglio era uscito un parlamento orientato a sinistra e sfa-vorevole al governo, proprio nel momento in cui questo aveva urgente necessità di far votare alcune leggi d'ordine ed avrebbe dovuto di lì a poco ottenere la ratifica del trattato di pace con l'Austria. Tale essendo
la situazione, d'Azeglio il 21 luglio aveva scritto a Galeotti dicendosi pronto, all'occorrenza, a « prendere misure energiche onde non lasciare cadere la somma delle cose nelle mani dei turbolenti e degli anarchi-sti » 224. Galeotti si mostrò subito favorevole ad una soluzione autorita-ria della crisi: il 25 luglio consigliò a d'Azeglio di reprimere la stampa demagogica e di espellere dal Piemonte le « teste calde », in particolare Pietro Sterbini — tanto che d'Azeglio dovette ricordargli come fosse utile far del Piemonte « l'asilo italiano », nonostante gli inevitabili incon-venienti 220 — ed il 6 agosto affermò su « Lo Statuto » che se il parlamen-to piemontese non concedeva un franco appoggio al governo, l'unica via d'uscita restava lo scioglimento delle camere, cioè il « colpo di Stato » 226.
Sulla questione dello scioglimento delle camere Galeotti si mostrò, ci pare, più intransigente di d'Azeglio: se questi affermava di conside-rarlo un espediente estremo per salvare la costituzione e ne temeva l'im-piego, perché avrebbe dato un grosso vantaggio ai retrogradi, quegli, pensando probabilmente alle tristi peripezie della Toscana durante il mi-nistero democratico, non voleva assolutamente venire a patti con la sini-stra: « Con questa genìa non è possibile transigere — scriveva il 31 set-tembre — bada e stai attento che non ti giochino qualche brutto tiro: sono capaci di tutto » 227. Le ragioni di questo atteggiamento erano du-plici: vi era un fatto d'ordine generale, cioè l'involuzione autoritaria che le vicende del 1848-49 avevano determinato in uomini come Galeotti; ma vi era anche un fatto contingente, cioè il contegno dell'opposizione piemontese la quale, contrastando il governo senza peraltro offrire solu-zioni di ricambio, rischiava di fare oggettivamente il gioco della destra.
« L'opposizione piemontese deve sapere — scriveva Galeotti su " Lo Sta-tuto " del 19 settembre — e se lo ignora non è nostra colpa, che dietro il mi-nistero Azeglio-Pinelli non esiste già un mimi-nistero Valerio-Rattazzi, ma più probabilmente un ministero Della Torre e Compagni »,
cioè la reazione. Perciò Galeotti ed il suo giornale plaudirono al procla-ma di Moncalieri, che era riuscito a « trar fuori il Piemonte dall'infau-sta crise che le sventure della guerra, le follie dei demagoghi e le occulte
224. Ibid., p. 5. 225. Ibid., pp. 6-8.
226. Il tema della soluzione di forza era già presente in due articoli del 1° e 3 agosto, che sono molto probabilmente di Galeotti, in cui si diceva che il mini-stero doveva manifestare la propria « volontà di salvare il Piemonte e il suo Sta-tuto, con la camera, se questa vuole, col paese e con le sue forze se quella volesse per avventura farli pericolare »: ove per forze del paese si intende — è chiarito più innanzi — l'esercito.
mene della reazione gli avevano apparecchiato » 228. La ratifica del trat-tato di pace (9 gennaio 1850) ed il ritorno della normalità in Piemonte furono per i moderati toscani eventi di decisiva importanza: essi vi scor-sero la vittoria del principio monarchico-costituzionale, e nel confronto critico da essi istituito tra la situazione piemontese e quella che si andava delineando in Toscana, Leopoldo II incominciò a perdere terreno ri-spetto al sovrano sabaudo.
Sul fronte interno, l'azione di Galeotti e del suo giornale a favore della « restaurazione costituzionale » si intensificò nel momento in cui, il 23 luglio 1849, il granduca rientrò finalmente in Toscana. « Lo Sta-tuto » lo accolse con termini fin troppo entusiastici e zuccherosi, celebran-do il « paterno sovrano » che tornava a spargere benefìci sui suoi « amati sudditi » 229. Tanto spreco di cortesia lascia intendere quanto timore do-vesse nutrire la parte moderata sui reali propositi di Leopoldo II; e Ga-leotti, quando abbandonava la prosa ufficiale e si rivolgeva agli amici, non poteva fare a meno di manifestare amarezza e sconforto 230. Tutta-via era inutile piangere sulla cattiva sorte, ed occorreva viceversa gio-care l'unica carta valida, cioè tentare di convincere il granduca che era suo interesse cercare la collaborazione dei costituzionali. Fu questo, in-fatti, il leitmotiv dello « Statuto » per tutta la seconda metà del '49: il giornale da un lato invitò i liberali a scegliere una via precisa e ad affian-care il governo, tenendo « a mente quali limiti gli avvenimenti avessero imposto al primo loro programma », cioè in pratica ad accettare un pro-gramma che segnasse un regresso rispetto alle posizioni del '48, col du-plice intento di secondare i desideri del principe e di contrastare ogni ulteriore velleità democratica; d'altro lato si rivolse al governo per dimo-strargli che i moderati erano l'unica forza in grado di garantire il consenso pubblico, di favorire un riordinamento organico dello Stato e di fornire un adeguato ricambio di forze, laddove « i retrogradi » non avrebbero po-tuto offrire che « danari e contadini » 23 L Quanto ai mezzi concreti per ot-tenere il riordinamento della Toscana, « Lo Statuto » propose di
promuo-228. «Lo Statuto», 19 dicembre 1849. Sull'appoggio al proclama di Monca-lieri si vedano anche i numeri del 25 e 30 novembre.
229. « Lo Statuto », 25, 26 e 27 luglio.
230. Cfr. ad esempio la lettera del 3 agosto a Farini (Epistolario, III, pp. 107-108); e quella del 20 agosto alla Caselli ( P . PAOLINI, op. cit., p. 197).
231. Nel cercare la collaborazione col Governo « Lo Statuto » si spinse molto innanzi sulla via del compromesso, provocando le recriminazioni di altri giornali li-berali (per es. « Il Costituzionale »). Persino un uomo come Ridolfi ebbe ad un certo punto a lagnarsi di ciò, e in una riunione degli azionisti, il 5 dicembre, pre-tese che il giornale accentuasse la propria « tinta costituzionale » (lettera di Ri-dolfi a Salvagnoli del 6 dicembre 1849, in F. MARTINI, op. cit., p. 462 in nota).
vere l'istruzione popolare e di migliorare quella universitaria; di favorire la rinascita dell'industria mediante buone scuole tecniche e adeguate in-frastrutture; di rafforzare l'esercito e di creare un efficiente corpo di poli-zia — cose ambedue delle quali i moderati avevano sentito tragicamente la necessità all'epoca dei disordini popolari. Ma la parte più significativa del programma dello « Statuto » consisté nella ripresa del piano rifor-mistico del '47, corretto secondo le nuove esigenze e la nuova realtà po-litica.
Il 4 settembre « Lo Statuto » riprese a parlare in toni elogiativi