Leopoldo Galeotti. Biografia politica d'un moderato toscano nel periodo preunitario
Il 6 ottobre, scrivendo a Capponi, Galeotti propose di costringere Carlo Lodovico a rimanere al suo posto e ad intraprendere riforme, e ciò
per schiacciare l'aristocrazia lucchese, reazionaria e separatista, e per far entrare Lucca nella costituenda lega doganale, onde attirarvi poi anche Modena, nonché Parma e Piacenza al momento della reversione 155. Ma, svanita ogni speranza nel ritorno del Borbone, Galeotti si era rimboccato le maniche, deplorando, sì, il « mercato di popoli » della Lunigiana 156, ma cercando anche le soluzioni possibili e discutendole con gli uomini a lui vicini. A Ridolfi suggerì di costringere i duchi a mantenere alle po-polazioni di Lunigiana i diritti da esse acquisiti con le ultime riforme to-scane ed a partecipare immediatamente alla lega doganale 157 ; e mostrò come, in base allo stesso trattato di Vienna, la questione potesse esser risolta dalle parti interessate, cioè dagli Stati italiani, senza l'intervento delle potenze 158. Queste idee Galeotti le espose in forma compiuta in un bell'articolo che, per volere di Ridolfi 159, comparve sulla « Patria » del 22 ottobre. In esso veniva posto l'accento sulla necessità « che i prìn-cipi italiani, in ciò che toccava le loro cose, proclamassero come fonda-mento di nazionalità il principio della solidarietà reciproca, se pur
vo-levano impedire che la proclamassero i popoli stessi »; e si insisteva sul
fatto che « Roma e Piemonte erano interessati ad impedire che qualun-que violenza fosse fatta a Leopoldo II ed alle popolazioni della Lunigia-na; e dovevano e potevano intervenire nella vertenza attuale ».
L'intervento diplomatico di Roma e Torino, in effetti, era fortemente voluto sia da Galeotti personalmente, sia dal governo toscano. Galeotti cercò anzitutto di mettere in moto Farini il quale, pur raccomandando la prudenza e rimproverando l'eccessiva precipitazione nel « far leva alle passioni per codesti affari di Fivizzano e Pontremoli », diede il suo aiuto, interessando alla questione il cardinale Legato di Bologna 160. Ancor più Galeotti puntò sull'aiuto di Minghetti e del professor Giuliano Pieri:
1.55. BIBLIOTECA NAZIONALE DI FIRENZE, Raccolta Capponi, V I I , 2 0 , 6 .
156. Lettera a Vieusseux del 12 ottobre, in BIBLIOTECA NAZIONALE DI FI-RENZE, Raccolta Vieusseux, 37, 107.
157. Lettera di Galeotti a Ridolfi, senza data (inizia « Sempre del solito affa-re [...] »), in ARCHIVIO RIDOLFI DI MELETO, Carte di Cosimo Ridolfi. Le stesse idee sono manifestate in una lettera a Capponi del 15 ottobre (Raccolta Capponi, VII,
20).
158. Cfr. la lettera a Capponi del 17 ottobre (Raccolta Capponi, VII, 20). 159. Cfr. la lettera di Ridolfi a Galeotti in data 21 ottobre (CG, 10, 652).
1 6 0 . Epistolario di Luigi Carlo Farini, per cura di L . RAVA, Bologna, Zanichelli,
con quest'ultimo — romano, uomo di fiducia di monsignor Corboli-Bus-si — Galeotti era già in contatto da qualche tempo per la questione della lega doganale fra Roma, Toscana e Piemonte. Pieri si trovava a que-st'epoca a Torino, e di lì assicurò che avrebbe compiuto tutti i passi pos-sibili, sia in Piemonte, sia, soprattutto, presso il papa 161. Quanto a Min-ghetti, Galeotti gli scrisse il 15 novembre riassumendogli la situazione e chiedendo l'appoggio del governo pontificio perché l'onore della To-scana fosse salvo, senza ricorso alla forza:
« voi potete immaginarvi quale sarebbe l'esito di quest'affare. Una guerra fra noi e Modena doventerebbe guerra italiana contro l'Austria, e gli Stati italiani ora confederati per amore o per forza dovrebbero entrarvi. Dico per forza, poiché sento che i popoli stessi forzerebbero la mano e voi sapete meglio di me che nella attuale disposizione dello spirito pubblico vi è poco da scherzare. Convien dunque che il governo pontificio, cui deve stare a cuore nella tutela dell'onore toscano l'onore nazionale, appoggi il nostro governo e con tutti i mezzi che tiene in sua disposizione intervenga in queste faccende, onde abbiano una soluzione che salvando noi salvino (sic) l'onore dei tre Stati confederati. Non manchi a noi l'appoggio della Lega italiana appena formata. Ne sarebbe distrutto irreparabilmente ogni effetto morale [...]. Quindi vi prego a nome dell'Italia di occuparvi di questa cosa, onde il papa vi prenda tutta quella parte che è necessaria » 162.
Il piano di Galeotti era abbastanza chiaro: la questione di Fivizza-no, che il gabinetto austriaco usava come arma di disturbo nei confronti dell'eterodosso Leopoldo II ,63, poteva essere ritorta contro i reazionari. Utilizzando la « paura del peggio » ed il vasto fermento popolare, si po-teva sperare di staccare parzialmente i duchi dalla diretta influenza vien-nese. L'interessamento di Roma e Torino avrebbe avuto il duplice scopo di dar forza alle pressioni sui duchi e di consolidare — su un fatto con-creto — i rapporti fra i tre Stati che, faticosamente e tra molte
diffi-161. Lettera del 23 ottobre, in CG, 9, 590. Galeotti e Pieri, in questo pe-riodo, svolsero le funzioni di trait d'union tra il gabinetto Ridolfi e la corte romana (o almeno certi settori di essa), come si rileva ad esempio dalla lettera di Pieri a Galeotti dell'8 ottobre '47 (CG, 9, 591) e da quella di Ridolfi a Galeotti del 27 ot-tobre (CG, 10, 652). Essi formano un anello non trascurabile della catena di rap-porti che, tra la fine del '47 e gli inizi del '48, intercorrevano fra Toscana e Stato pontificio, due Stati che avevano molti punti in comune, e soprattutto la paura di impostare chiaramente il problema nazionale, sentendosi « vasi di coccio » tra vi-cini che possedevano una propria forza militare o godevano dell'appoggio austriaco.
162. Carte Minghetti, II, 60.
163. Secondo lo Zobi i duchi « s'adoperavano per procurargli [al granduca] fastidi e tendergli aguati, onde comprometterlo alla corte imperiale anelante di farlo voltare a ritroso » (Storia civile, V, p. 214).
denze, cercavano di stringersi in una lega doganale, considerata preludio alla confederazione politica.
Nell'ambizioso progetto di fare della questione lunense il punto d'av-vio per risolvere la questione italiana vi era anche la preoccupazione per i continui disordini popolari che si verificavano in Toscana ed il deside-rio di una fattiva collaborazione tra gli Stati italiani, che avrebbe dato forza e prestigio ai singoli governi. Il progetto fallì per una serie di motivi che si possono così riassumere: I - scarsa volontà, da parte del papa e di Carlo Alberto, di intervenire autorevolmente: il primo per la sua cro-nica debolezza ed indecisione, il secondo perché non intendeva ancora compromettersi con l'Austria, tanto più che non nutriva alcuna fiducia nell'appoggio di Roma e Firenze in caso di guerra; II - intransigenza di Francesco V, manovrato alle spalle da Metternich; III - debolezza del governo toscano e posizione retrograda del granduca e di parte del mi-nistero 164. Tuttavia Galeotti — e con lui altri moderati toscani — era per la prima volta entrato a contatto con problemi nuovi, che superavano i confini della Toscanina: opposizione all'Austria, prospettive di guerra e di alleanza, giochi diplomatici. Uomini più pronti di lui a cogliere i tempi nuovi — quali un Ricasoli ed un Salvagnoli — trassero da questa esperienza una chiara e decisa volontà nazionale. Anche per Galeotti, però, fu un passaggio importante: il fallimento del piano dovette comin-ciare ad incrinare in lui la fiducia che il Risorgimento italiano potesse avvenire quietamente, attraverso una serie di riforme indolori.
Le riforme, in ogni caso, erano sempre d'attualità, specie dopo i prov-vedimenti decisi il 29 ottobre da Carlo Alberto in campo amministrativo e giudiziario 165. Così Ridolfi — chiusa la questione di Lunigiana — il 25 gennaio 1848 convocò la conferenza sulla legislazione municipale già promessa otto mesi innanzi. Composta « di regi funzionari, di gonfalo-nieri, di proprietari e di colti legali » — tra cui facevano spicco uomini come Salvagnoli, Ricci, Galeotti — la conferenza era chiamata a rispon-dere ad una serie di quesiti posti dal governo, ma fin dall'inizio la discus-sione si allargò al di fuori di essi, toccando in pratica tutte le questioni
164. Sull'atteggiamento tiepido del papa e del re di Sardegna cfr. E. PASSA-MONTI, Il liberalismo toscano cit., pp. 50-63; sulla posizione del granduca cfr.
G . BALDASSERONI, op. cit., p. 2 5 6 .
165. In una lettera del 5 novembre 1847 — che si trova tra le Carte Ridolfi — Galeotti si compiace che in Piemonte siano state « applicate le sue povere idee con nomi diversi » e rileva che « le riforme sarde pongono il governo toscano nella ne-cessità di far presto e di far meglio ». Lo stesso giorno 5 Galeotti scrisse a Ridolfi, esortandolo a dotare il paese di buone istituzioni comunali e consultive, onde ri-portare « il granduca alla testa del movimento nazionale » (R. CIAMPINI, Contri-buto cit., pp. 813-814).
9-già evidenziate dagli opuscoli del '47 166. Galeotti si fece in essa portavoce delle idee più moderate, facenti capo a Ridolfi e Capponi, i quali teme-vano che la conferenza potesse trasformarsi in una sorta di costituente ed imporre al governo le proprie scelte politiche 167. Ancora una volta, però, le preoccupazioni degli ultramoderati furono superate dagli eventi. La situazione interna, cioè l'aggravarsi delle agitazioni popolari di Livorno, e la situazione estera, cioè soprattutto l'editto del 29 gennaio con cui Ferdinando II promise la costituzione, spinsero il governo to-scano a compiere un ulteriore passo sulla via delle riforme. Il 31 gennaio Gino Capponi, Leonida Landucci, Pietro Capei, Leopoldo Galeotti e Nic-colò Lami furono incaricati « di compilare il progetto di una nuova legge sulla stampa e l'ampliazione della già istituita consulta di Stato »; ma governo ed opinione pubblica domandavano « con pressura » la reda-zione del secondo progetto, cosicché su di esso cominciò a lavorare la nuova commissione 168. In essa Capponi intendeva far valere il proprio punto di vista, cioè ricalcare lo schema di quella Costituzione imagmata
e sbozzata regnante Leopoldo I di cui egli possedeva una copia e che
aveva lungamente studiata 169. Rifacendosi al progetto leopoldino, Cap-poni proponeva la formazione di un senato di nomina sovrana e di un
consiglio generale eletto da coloro che godevano del diritto d'eleggibilità
nei consigli comunali, e ciò al fine di legare la rappresentanza nazionale ai municipi, secondo la prospettiva già delineata da Galeotti in Della
ri-forma municipale, e con quelle finalità che già abbiamo visto a proposito
di quello scritto. Le funzioni delle due camere dovevano essere preva-lentemente consultive: rappresentare i bisogni pubblici, collaborare alla promulgazione delle leggi, controllare i bilanci, accogliere le petizioni dei cittadini 17°.
166. A. ZOBI, Storia civile, V, pp. 334-336. 167. R. CIAMPINI, op. cit., pp. 826-827.
1 6 8 . A . ZOBI, op. cit., V , pp. 3 5 5 - 3 5 6 .
169. M . TABARRINI, Gino Capponi, i suoi tempi, i suoi studi, i suoi amici. Memorie, Firenze, Barbera, 1879, p. 271.
L'estratto della costituzione leopoldina, che ebbe una certa circolazione negli ambienti liberali fiorentini, fu poi pubblicato dallo Zobi (Storia civile, V, appen-dice, p. 63). Il Capponi nel '47 ne scrisse in forma di lettera un commento, che fu pubblicato negli Scritti editi e inediti, per cura di M. TABARRINI (Firenze, Barbera, 1877, voi. II, pp. 415-421). Per maggiori notizie su tale costituzione si veda R.
MORI, Aspirazioni costituzionali nel pensiero politico toscano del Settecento, « Ar-chivio Storico Italiano », CI, 1943, pp. 31 segg.
170. Il testo di questo primitivo progetto di costituzione — dovuto soprat-tutto all'elaborazione di Capponi, Capei e Galeotti — è riportato in N. CORTESE, Le costituzioni italiane del 1848-49, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1945, pp. 30-34.
L'11 febbraio, però, giunse a Firenze la notizia che Carlo Alberto aveva promesso lo statuto, e il giorno stesso il granduca emanò un
motu-proprio col quale, pur facendo riferimento ai princìpi leopoldini,
annun-ciava al popolo una vera costituzione. Il governo ingiunse perciò ai cin-que della commissione di redigere uno statuto di tipo francese, cioè mo-dellato sulla Carta del 1830; ma Capponi, Capei, Landucci e Galeotti protestarono, sostenendo che in tal modo « diverse istituzioni, che sa-rebbe stato ben fatto conservare, rimanevano inutili e impossibili e quin-di il governo ed il paese sarebbero rimasti senza quin-difesa nei momenti quin-di maggior bisogno » 171. Tuttavia essi dovettero cedere, poiché l'opinione pubblica — in ciò influenzata soprattutto dalla « Patria » — non voleva una costituzione diversa da quelle di Napoli e Torino; e lo stesso Bal-dasseroni, timoroso del peggio, non intendeva discostarsi dall'esempio de-gli altri Stati172.
Proprio Galeotti, a quanto pare, si assunse l'incarico di persuadere Capponi, restìo sino all'ultimo; in una lettera indirizzata al marchese Gino in quelle drammatiche ore, Galeotti scriveva:
« Le opinioni individuali, le teorie scientifiche, tutto ora deve cedere alla ragion politica [...] altrimenti noi esporremo il governo ad una tempesta che non deve essere provocata [...]. I discorsi che erano buoni per la prima volta che noi ci adunammo in commissione, ora in presenza dei fatti nuovi non val-gono un zero »173.
Così fu redatto in fretta uno statuto di tipo francese; nel quale, però, rimase nel proemio, scritto da Capponi, l'accenno a Pietro Leopoldo e molti passi riecheggiarono la prima stesura o ribadirono istituzioni tradi-zionali in Toscana 174.
La costituzione toscana fu firmata dal granduca il 15 febbraio e pub-blicata due giorni dopo, con gran rammarico del Capponi, che se ne la-gnò con l'amico Balbo, pur mostrando di accettare il fatto compiuto 175;
1 7 1 . N . CORTESE, op. cit., p. 3 4 .
172. Per la posizione della « Patria » cfr. soprattutto il numero del 13 feb-braio; circa gli intendimenti del governo si veda G . BALDASSERONI, op. cit., pp.
2 7 1 - 2 7 3 ; A . ZOBI, op. cit., V , p p . 3 6 0 - 3 6 1 ; N . CORTESE, op. cit., p. XLIII. 1 7 3 . BIBLIOTECA NAZIONALE DI FIRENZE, Raccolta Capponi, V I I , 2 0 , 1 9 .
174. In particolare non si enunciò il principio secondo cui i deputati rappre-sentano l'intera nazione -— e non la provincia in cui vengono eletti — anzi, lo si respinse implicitamente. E si cercò in ogni modo di rendere ancor più moderato il modello napoletano, che già aveva accentuato a sua volta il carattere moderato della Carta francese del 1 8 3 0 ( N . CORTESE, op. cit., pp. XLIV-XLV).
175. Si veda la lettera del 20 febbraio 1848, in Lettere di Gino Capponi cit., II, p. 280. Anche Farini, scrivendo il 25 febbraio a Galeotti, si complimentò per
ed avrebbe continuato a lagnarsene in futuro, se ancora l'I 1 luglio 1852, scrivendo al Galeotti, riandava a « quel nostro statuto consultivo », che aveva « in corpo un principio vero che poteva esser salutare », pur ri-sentendo « della fretta e del combattimento tra le persuasioni nostre e il grido pubblico che ci assordava, ed i tempi che facevano anche a noi violenza » ,7\ Salvagnoli, viceversa, derideva il ministero che aveva vo-luto « con un po' d'acqua consultiva allungare il brodo lungo della con-sulta » e fino all'ultimo aveva parlato « di municìpi e di anticaglie leo-poldine ; e rivendicava alla « Patria » il merito di aver costretto « il ministero, i ministeriali e tutti i miserabili loro pari [...] a entrare nella borghesia italiana e ad uscire da una miseria fiorentina, fiorentinissi-ma » 177. Belle e giuste parole, ma forse il focoso avvocato empolese di-menticava di avere esaltato pochi giorni innanzi — su « La Patria » del 6 febbraio — i municipi e le « anticaglie leopoldine » e di avere voluto «illeso [...] il potere sovrano»; così come Montanelli, subito pronto a deridere il « toscaneggiare » del governo, lui che fino all'ultimo aveva sostenuto che la Toscana doveva avere istituzioni conformi alle sue tra-dizioni.
In verità possiamo dire, senza nulla togliere agli uomini che per pri-mi fiutarono il vento giusto, che se la Toscana nel 1848 divenne costitu-zionale ciò fu dovuto più a circostanze esterne che ad una precisa volontà politica: segno questo della immaturità della classe che aspirava a farsi dirigente e della sua incapacità, sino a questo momento, di dominare gli eventi secondo un piano preciso ed efficace. Perciò nell'episodio dello statuto toscano si può già vedere un preannuncio del fallimento dei mi-nisteri moderati e del disastro del ministero democratico, che infatti coin-volgerà non solo i Capponi e i Galeotti, ma anche i Salvagnoli e i Ricasoli e, tutto sommato, lo stesso Montanelli.
Il 20 febbraio la conferenza municipale, che ancora esisteva