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gennaio 1859 Vittorio Emanuele II, inaugurando la seconda sessione della sesta legislatura del Parlamento subalpino, pronunciò il

Leopoldo Galeotti. Biografia politica d'un moderato toscano nel periodo preunitario

Il 10 gennaio 1859 Vittorio Emanuele II, inaugurando la seconda sessione della sesta legislatura del Parlamento subalpino, pronunciò il

celebre discorso del « grido di dolore », segnale d'avvìo della seconda rivoluzione italiana. In Toscana l'avvenimento produsse grande effetto ed il conte Boncompagni, ministro sardo a Firenze, ricevette circa cin-quecento carte da visita come attestato di simpatia.

« Sauf cette demonstration — scriveva il 19 gennaio il rappresentante fran-cese Ferrière-le-Vayer a Walewski — la ville est restée tranquille. Les consti-tutionnels sont fiers de cette tranquillité. — Il y a huit ans que nous travail-lons à préparer ce résultat — me disait Mr. Galeotti. — L'indépendence de l'Italie doit s'obtenir cette fois par la politique régulière, ou par la guerre di-sciplinée, et non par les émeutes et la revolution » 273.

Il 24 gennaio, Galeotti scriveva a d'Azeglio in questi termini: « Qua la gente pare voglia aver giudizio. Si sente da tutti o almeno da molti la differenza tra il 1848 e adesso. Allora l'iniziativa era nostra a quindi nostra la responsabilità del fare. Adesso l'iniziativa non è nostra; quindi ne-cessità di stare in guardia per non sciupare le ova nel paniere e per non im-brogliare i fatti altrui » 274.

Come si vede, all'inizio del '59 la principale e più chiara preoccupa-zione di Galeotti — in ciò concorde con gli altri uomini del suo grup-po — era quella di tenere in pugno il movimento nazionale, onde

evi-272. « Ho letto ed ammirato assai la stupenda difesa che facesti del Barbera — scriveva Massari da Torino il 24 dicembre — e godo poterti assicurare che tutti coloro, e non sono pochi, a cui ho fatta leggere la copia che rubai al nostro baron Bettino, dividono all'intutto il mio parere » (CG, 7, 464).

273. Le relazioni diplomatiche fra la Francia e il granducato di Toscana, III serie, cit., voi. Ili, p. 93.

tare qualunque degenerazione rivoluzionaria sul tipo di quelle del 1848-49. Non altrettanto chiaro era, invece, l'atteggiamento da tenere nei confronti del granduca. Abbiamo cercato di vedere, nel capitolo prece-dente, come il contegno di Leopoldo II durante il decennio avesse sem-pre più scosso la fiducia in lui da parte di uomini che — come Galeotti — erano pure fedeli alla dinastia e gelosi dell'autonomia toscana; e come avesse spinto questi uomini a cercare nel Piemonte l'unica forza in grado di risolvere il problema italiano nella forma da essi voluta.

In verità, nessun liberale toscano, all'inizio del '59, pensava più di poter agire senza il Piemonte, anzi, erano tutti convinti che esso dovesse prendere l'iniziativa ed essere la guida del movimento; ma di qui ad ac-cettare senza rimpianti la fusione col regno di Sardegna, il passo non era semplice, né tanto meno automatico. Timorosi di entrare a far parte di un grande Stato nazionale — che avrebbe avuto i suoi maggiori centri di potere in Piemonte — e di misurarsi direttamente con una classe di-rigente — quella piemontese — forte e politicamente agguerrita, i libe-rali toscani, pur traditi e danneggiati dal granduca, non intendevano for-zare i tempi; preferendo semmai cercare

« di condurre il principe dalla loro parte, nell'intento di sostituire se stessi, come nuova classe dirigente attiva, all'antico gruppo dei burocrati, per tra-sferirsi compatti, come Stato autonomo, nella nuova prospettiva nazionale aperta dall'alleanza franco-sarda costituitasi per eliminare l'egemonia austriaca dalla penisola » 275.

Non a caso Boncompagni, il 16 febbraio, informò Cavour che « la parte costituzionale, nell'aspettativa dei grandi avvenimenti che possono succedere in Italia, si mostra più dinastica che io non avrei creduto: non per affetto ma per calcolo, giacché essa teme le incertezze a cui darebbe luogo una mutazione più radicale » 276.

L'impegno nazionale dei Toscani non era stato particolarmente forte sino a quel momento ed il 26 febbraio d'Azeglio se ne lagnò con Galeotti, affermando che era necessario far sentire la voce dell'opinione pubblica dei vari Stati italiani, perché non si credesse che tutto il movimento na-zionale era solo un maneggio del Piemonte 277. L'attività pubblicistica in Toscana, al marzo '59, consisteva solo nei tre libri fatti uscire dalla Bi-blioteca civile dell'italiano (società editoriale creata da Ridolfi, Ricasoli, Peruzzi, Corsi, Cempini e Bianchi), libri che, in verità, non erano molto

275. A. SALVESTRINI, I moderati toscani cit., p. 89.

2 7 6 . R . CIAMPINI, Il '59 in Toscana cit., p. 4 0 . 2 7 7 . M . D E R U B R I S , op. cit., p p . 1 3 2 - 1 3 3 .

coraggiosi ed avevano suscitato scarso interesse 278. Ai primi di marzo Ricasoli progettò di fare un giornale retto dagli editori della Biblioteca civile, e chiese a Galeotti di farne parte 279 ; Cavour però si oppose, ri-tenendo prematuro l'accendersi di polemiche giornalistiche, così non se ne fece nulla. Ci si orientò allora in un'altra direzione e si decise di « mandar fuori, come segnale della battaglia, un libretto intitolato

To-scana e Austria », scritto da Celestino Bianchi e firmato da tutti i

com-ponenti la Biblioteca 280.

L'opuscolo era per molte ragioni significativo: rappresentava un atto d'accusa nei confronti dello strapotere austriaco in Italia; un'afferma-zione della « volontà seria, unanime, risoluta, indomabile » dei Toscani di « conseguire in qualunque modo, a qualunque costo, quando che sia, l'indipendenza della nazione »; una condanna senza riserve della politica lorenese nel decennio; un'esaltazione del Piemonte, « governo libero davvero, [...] martire generoso dell'idea nazionale italiana»; un'espli-cita offerta d'adesione dei Toscani « ove contro lo straniero si avesse a combattere per l'Italia »281. Erano insomma dichiarazioni programma-tiche di gran peso, e Cavour, al corrente dell'iniziativa, volle che attorno a Toscana e Austria si raccogliessero numerose ed importanti adesioni. Specialmente due firme premeva al conte che non mancassero: « Suppli-cate — scriveva a Boncompagni — in nome dell'Italia tutta il venerando Capponi e il prudente Galeotti di firmare » 282. I due firmarono e Galeotti ebbe subito modo di mostrare ancor più concretamente il proprio ap-poggio.

La sera del 17 marzo, dietro pressioni della granduchessa, il Lan-ducci ordinò il sequestro preventivo dell'opera, che era ancora in corso di stampa nella tipografia di Barbera. Galeotti scrisse subito un parere legale in difesa dell'editore, condannando il sequestro arbitrario; il pa-rere uscì il 20 marzo, pubblicato dallo stesso Barbera 2S8, e ad esso ade-rirono « per iscritto e per istampa un centinaio circa dei principali legali di Firenze, e non vi mancò la sottoscrizione dello stesso avvocato della

278. Per le notizie sulla Biblioteca civile si veda C . CANNAROZZI, La rivolu-zione toscana e l'arivolu-zione del comitato della Biblioteca civile dell'Italiano, Pistoia, Pacinotti, 1936.

279. Lettera di Ricasoli a Galeotti del 4 marzo 1859, in Lettere politiche di Bettino Ricasoli, Ubaldino Peruzzi, Neri Corsini e Cosimo Ridolfi cit., p. 9.

2 8 0 . G . BARBERA, op. cit., p. 1 5 2 .

281. Toscana e Austria. Cenni storico-politici, Firenze, Barbera, 1859, pp. 5-6 e 58-59.

2 8 2 . P . MILLEFIORINI, op. cit., p. 3 3 8 .

283. L. GALEOTTI, Parere per la verità a favore degli editori della Biblioteca civile dell'italiano e del tipografo G. Barbera, Firenze, Barbera, 1859.

corte granducale » 284. Così il 23 marzo Toscana e Austria, disseque-strato, venne posto in vendita con un successo enorme (10-12 mila copie in pochi giorni), raccogliendo ancora nuove adesioni. Il 28 marzo Bon-compagni ne diede notizia a Cavour, assicurandogli anche di avere otte-nuto da Capponi e Galeotti « una dichiarazione adesiva alla politica del Piemonte » 285.

Finalmente anche in Toscana si manifestava una certa effervescenza ed un favore più esplicito alla politica di Cavour; ma i liberali non de-sistevano ancora dalla loro linea, tesa a conciliare l'esigenza autonomistica con lo svolgimento del moto nazionale, e si adoperavano onde portare il granduca sulla via dell'alleanza col Piemonte. Scriveva il 15 marzo Fer-rière a Walewski:

« On a cherché de convaincre le grand-due de la nécessité de remplacer son ministère par un ministère liberal; et on lui a présenté une liste conte-nant les noms de MM. Ridolfi, Lajatico, Peruzzi, Salvagnoli et Galeotti » 286.

Il tentativo riuscì vano, soprattutto per l'opposizione di Baldasseroni ed anche perché negli ambienti governativi non ci si rendeva conto della gravità della situazione, che il 23 aprile — con l'ultimatum austriaco al Piemonte — divenne insostenibile.

Corsini, Salvagnoli ed altri cercarono di convincere il governo a mu-tare indirizzo, ma senza esito; il 25 aprile Galeotti scrisse un biglietto al Duchoqué, avvertendolo che l'indomani vi sarebbe stata la dichiara-zione di guerra:

« Non vi è tempo da perdere. Se per domani non è chiamato uno nel quale il paese abbia fiducia seguiranno cose gravi, ma gravi assai. E la malattia sarà contagiosa. Do quest'ultimo avviso obbedendo al dovere di buon cittadino. D'ora in poi me ne lavo le mani. Guai! se viene fuori un proclama che an-nunci la neutralità [...]. Si tratta del paese e della dinastia. Questo pensiero dovrebbe ispirare a tutti, ma a TUTTI, un altro ordine di idee » 287.

Duchoqué girò il biglietto al Baldasseroni il quale, ormai persuaso che non si potesse più tergiversare, lo trasmise al granduca, pregandolo di

2 8 4 . G . BARBERA, op. cit., p. 1 5 5 .

2 8 5 . R. CIAMPINI, Il '59 in Toscana cit., p. 49.

286. Le relazioni diplomatiche fra la Francia cit., Ili, p. 107. Occorre ricor-dare che anche Cavour, in questo momento, non intendeva rovesciare la dinastia lorenese e si accontentava d'un semplice mutamento di indirizzo: voleva cioè l'ap-poggio della Toscana alla sua azione tesa a stabilire l'egemonia del Piemonte sul-l'Italia settentrionale (R. DELLA TORRE, La evoluzione del sentimento nazionale in Toscana dal 27 aprile 1859 al 15 marzo 1860, Milano-Roma-Napoli, Soc. Ed. Dante Alighieri, 1915, pp. 26-27).

fare qualcosa, ma invano. La sera del 25 Galeotti fu incaricato da Bon-compagni e Ferrière di convincere il granduca che, licenziando immedia-tamente le due persone più invise all'opinione pubblica — cioè Landucci e il generale Ferrari da Grado — ed aprendo subito « trattative d'allean-za con le due legazioni di Francia e di Piemonte, i respettivi legati avreb-bero speso ogni loro influenza, acciocché il governo medesimo acquistasse il tempo necessario alle più gravi risoluzioni ». Galeotti tornò a scrivere in tal senso al Duchoqué, raccomandando che non si parlasse di neutra-lità e si facessero subito preparativi di guerra, cioè accordi col Piemonte e mobilitazione di truppe: « Sarà qualcosa che perlomeno calmerà la ef-fervescenza del paese, più grossa che non pensino ». Ma anche questo avviso seguì la sorte del precedente, ed altrettanto infruttuosi risultarono quelli compiuti da Peruzzi, Digny e Ridolfi 288.

In verità, pochi giorni prima dell 'ultimatum, Galeotti pensava an-cora che la neutralità toscana sarebbe stato il partito migliore, d'accordo con Ferrière, il quale riteneva il fastidio d'un'eventuale crisi dinastica nel granducato maggiore dei « quelques mille hommes qui nous fourni-rait la Toscane »; l'idea di Galeotti derivava dalla paura che, una volta tirati « les premiers coups de fusil [...] pour la cause italienne », sarebbe stato difficile per il partito moderato rimanere « maitre de la situation et [...] arrèter l'élan populaire », ragion per cui proponeva, onde « re-tenir un peu le mouvement », che Francia e Piemonte sottoscrivessero un impegno pubblico di rispettare la neutralità toscana 289. Invece, come si è visto, pochi giorni dopo l'atteggiamento dello stesso Galeotti era mu-tato ed egli consigliava preparativi di guerra: cos'era avvenuto nel frat-tempo? È ancora Ferrière che ne dà una lucida descrizione, in una let-tera a Walewski della mattina del 27: la neutralità, dopo l'ultimatum e la dichiarazione, non bastava più ed avrebbe provocato « la dislocation de l'armée, la sédition des rues, la fuite du grand-due »; ma i moderati temevano ugualmente una dichiarazione di guerra all'Austria, perché l'esercito era assolutamente impreparato ed il paese avrebbe potuto su-bire un'invasione. Perciò uomini come Ricasoli, Salvagnoli, Corsini e Ga-leotti cercavano una soluzione di compromesso: il granduca avrebbe do-vuto dare garanzie alla causa italiana, formando un ministero nazionale-, in tal modo si sarebbe guadagnato tempo, onde mettere a punto l'eser-cito e la guardia nazionale, e solo allora si sarebbe entrati veramente

nel-2 8 8 . A . ZOBI, Cronaca degli avvenimenti d'Italia nel 1859, Firenze, Grazzini & Giannini, 1 8 5 9 - 1 8 6 0 , voi. I , pp. 1 1 5 - 1 2 2 ; A . SALVESTRINI, op. cit., p. 2 4 .

289. Lettera di Ferrière a Walewski del 20 aprile '59, in Le relazioni diplo-matiche fra la Francia cit., Ili, p. 121.

l'alleanza col Piemonte 29°. Tuttavia, come giustamente ha notato il Sal-vestrini, era ormai impossibile utilizzare « un membro della casa d'Au-stria » come Leopoldo II per svolgere una politica nazionale, quantunque fondamentalmente conservatrice. « Per questo ufficio c'era già pronto un Savoia, e perciò anche per i moderati toscani sarebbe stato giocoforza accettarne la egemonia, disponendosi a patteggiare i margini della propria autonomia » 291.

Il 27 mattina il granduca si decise a chiamare Corsini per affidargli