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mattina il granduca si decise a chiamare Corsini per affidargli l'incarico di formare il nuovo ministero, promettendo appoggio al

Leopoldo Galeotti. Biografia politica d'un moderato toscano nel periodo preunitario

Il 27 mattina il granduca si decise a chiamare Corsini per affidargli l'incarico di formare il nuovo ministero, promettendo appoggio al

Pie-monte e riattivazione dello statuto; ma ormai le cose erano andate trop-po oltre ed i liberali chiesero a Leotrop-poldo II, come garanzia, di abdicare a favore del figlio Ferdinando. Il granduca rifiutò e partì il giorno stesso dalla Toscana. Una lettera di Galeotti al padre, del 28 aprile, ci descrive i fatti di quel giorno:

« Siamo stati abbandonati una seconda volta dal principe. Tutti i tentativi fatti da Ridolfi, Corsini, Capponi e me per salvare il paese e la dinastia sono riusciti inutili. L'abdicazione salvava tutto, ma il granduca non volle farla e preferì di partire piuttosto che fare un sacrificio personale. Il giorno avanti poteva risparmiarla, ieri mattina era il meno che potesse ottenersi.

Questa rivoluzione è stata fatta principalmente dalla truppa. Capisce bene che non ci era mezzi per dominarla. Siamo restati colla mestizia nel cuore, ma colla coscienza di aver fatto il nostro dovere fino in fondo. Riusciti vani i no-stri ultimi sforzi, ci chiudemmo nelle nostre case, né altro potevamo fare. Il granduca partì alle 6. Il governo per ora è nelle mani di una giunta provvisoria composta di oneste persone, che comanda in nome del re di Sardegna. Non so altro, perché non mi sono mescolato e non mi mescolo di nulla » 292.

Pochi giorni dopo la partenza del granduca, il Boncompagni assunse il titolo di commissario straordinario in nome di Vittorio Emanuele ed iniziò i sondaggi per formare un nuovo governo: inizialmente cercò di comporre un ministero puramente tecnico, senza personalità politiche di rilievo, ma a ciò si opposero Galeotti e Capponi, i quali si recarono dal rappresentante francese e lo pregarono « d'user de son influence pour obtenir que l'on donnàt plus de consistence à la représentation de l'é-lement toscan dans le gouvernement », poiché temevano di essere troppo

290. Dispaccio di Ferrière del 27 aprile, ibid., pp. 127-129.

Sulla posizione dell'esercito Galeotti aveva scritto a Capponi il 24 aprile una lettera che conferma il giudizio di Ferrière: anche secondo Galeotti il governo to-scano, una volta scoppiata la guerra con l'Austria, non avrebbe potuto tenere a fre-no le proprie truppe (Raccolta Capponi, VII, 20, 35).

2 9 1 . A . SALVESTRINI, op. cit., p p . 2 9 - 3 0 .

piemontesizzati 293. Ferrière ne parlò a Peruzzi e a Boncompagni, che fu-rono d'accordo: così l'I 1 maggio entrò in carica il nuovo ministero, con Ricasoli all'interno, Ridolfi alla pubblica istruzione con l'interim degli esteri, Busacca alle finanze, Enrico Poggi alla giustizia con l'interim de-gli affari ecclesiastici, Malenchini alla guerra. Era un governo in cui pre-valevano — a parte Ricasoli — gli autonomisti, e solo alla fine di maggio, con l'ingresso di Salvagnoli agli affari ecclesiastici 294 e di Decavero alla guerra, l'equilibrio si spostò. Lo stesso giorno 11, per decreto di Bon-compagni, venne istituita una consulta di governo composta di 40 mem-bri, la quale avrebbe dovuto coadiuvare il ministero nel disbrigo degli affari più importanti, in attesa della formazione d'una assemblea legisla-tiva. In realtà la consulta, del tutto « priva della possibilità di prendere qualunque iniziativa » era un espediente per evitare le elezioni, poiché i ministri erano « poco sicuri dei sentimenti dei Toscani »295. Segretario della consulta fu Galeotti, il quale doveva sapere perfettamente quanto poco essa contasse, visto che scriveva al padre: « la é nomina che non mi impegna in nulla, e non mi toglie alle mie occupazioni » 29 6.

L'11 maggio Salvagnoli partì da Firenze e si recò in missione presso Napoleone III, ottenendo da lui truppe francesi per presidiare il gran-ducato: la mossa, a quanto pare, era stata concordata con Ricasoli al quale premeva, come all'amico, di mantenere l'ordine ad ogni costo. Con-temporaneamente, Cavour aumentò le pressioni per l'annessione, anche al fine di stroncare le eventuali pretese del principe Gerolamo sulla To-scana; ma a tali pressioni si opposero Ridolfi, Capponi, Peruzzi e Cor-sini; e soprattutto vi si oppose Galeotti, che in una lettera indirizzata a d'Azeglio il 19 maggio così descrisse la situazione:

« Le cose sono andate come sono andate e come dovevano andare. Il paese ha mostrato molta saviezza, e continua a mostrarla, disposto com'è di buona fede a qualunque sacrifizio per la guerra di indipendenza. Ma il governo sardo, se vuole al tempo stesso acquistare simpatie in Toscana, rassicurare la

diplo-mazia, non offendere la suscettibilità del potente alleato, bisogna che si metta

293. Lettera di Ferrière a Walewski del 10 maggio, in Le relazioni cit., Ili, p. 148.

294. Il ministero degli affari ecclesiastici fu inizialmente proposto da Poggi a Galeotti, « ma egli non volle saperne, allegando la sua ferma volontà di non pren-dere impieghi di sorta, per non perpren-dere una seconda volta la clientela, come gli era accaduto nel 1848, allorché fu nominato segretario del consiglio di Stato » (E. POGGI, Memorie storiche del governo della Toscana nel 1859-60, Pisa, Tip. Nistri, 1867, voi. I, p. 55).

295. R . DELLA TORRE, op. cit., pp. 108-109.

2 9 6 . Lettera dell'I 1 maggio, in BIBLIOTECA COMUNALE DI PESCIA, L-A-81,

bene in capo tre cose: 1) che non ci deve trattare come paese conquistato; 2) che bisogna usare molti riguardi alle persone; 3) che la Società nazionale non è la Toscana. La Toscana è piccina ma, come suol dirsi, ci è tutta. Può essere sopraffatta per due o tre giorni, ma poi si risente ed ha parola e ingegno da risentirsi per bene [...].

Qui dove la dinastia partita non lascia affetti è grandissimo, almeno per ora, il senso dell'autonomia. Se gli atti, le parole, le maniere del governo sardo non stanno al segno, finirà che l'opinione si paleserà in senso francese. Scac-ciàti gli Austriaci io accetto tutto: fusione, non fusione, ecc.: ma parlo sullo stato della opinione che conosco meglio che non si conosca dagli amici che il conte di Cavour ha in Toscana » 29 7.

Queste idee vennero ribadite in una lettera che Galeotti indirizzò a Massari il primo giugno, una delle prime d'un fitto carteggio che nel 1859-60 si intrecciò fra questi due personaggi, i quali si assunsero l'importan-te compito di fare « da punto di raccordo e d'incontro fra Torino e Fi-renze », Massari svolgendo il ruolo di portavoce di Cavour, e Galeotti facendo la medesima cosa per Ricasoli del quale, specie dopo Villafran-ca, fu collaboratore stretto e consigliere equilibrato 298. In quella lettera Galeotti deplorò che il governo sardo, dopo aver rifiutato la dittatura offertagli dal Provvisorio toscano, cercasse ora di riprenderla « di sotto-mano »:

« la Toscana non è niente disposta, né a farsi inghiottire, né a farsi conqui-stare. La Toscana potrà fondersi nell'Italia (se è possibile): non si fonderà col Piemonte, perché allora da ambo le parti è faccenda di municipalismo, e biso-gna non conoscer l'Italia per ingannarsi e per illudersi a questo segno ».

Gli intrighi piemontesi potevano solo servire a risvegliare « il partito di casa Lorena », od a gettare il paese « nelle braccia del principe Napo-leone ». Né, d'altra parte, il Piemonte doveva risentirsi dell'influenza francese in Toscana (il 23 maggio era giunto a Livorno il principe Gero-lamo al comando delle truppe inviate a presidiare il granducato), poiché in quel momento il partito migliore era il rimettersi alla volontà dell'im-peratore:

« se egli vuole un regno dell'Italia centrale [...] — seguitava Galeotti — for-se [...] ha più ragioni che non si creda [...]. Io poi ho fiducia nell'imperatore, e spero che egli sarà fedele al proprio principio, cioè al suffragio dal quale è

297. M. D E R U B R I S , op. cit., pp. 136-138.

298. R. CIAMPINI, I toscani del '59 cit., pp. 87-88. La lettera in questione è riportata da Ciampini alle pp. 89-92, ma con la data 1° maggio. Per la correzione di questa data si veda C. PISCHEDDA, Il '59 toscano, « Rivista Storica Italiana »,

uscita la sua potenza. Comunque io sappia come vanno i misteri della ele-zione, gli preferisco sempre ad un colpo da commedia [...]. Giacché per i go-verni (non provvisori) non vi sono che due princìpi: o la legittimità — o il suffragio universale. In qualunque ipotesi, stai certo che io personalmente sono il meno autonomo che sia in Toscana, e il meno antifusionista tra quanti liberali seri tu puoi nominarmi ».

Nonostante queste ultime parole di Galeotti, il suo parere nei con-fronti del dilemma fusione-autonomia non è in questo periodo del tutto chiaro. Nel mese di giugno, mentre uomini tradizionalmente autonomisti come Capponi, Corsini e Poggi si convertivano all'unitarismo 2", varie testimonianze ci dipingono un Galeotti ancora attardato sulle vecchie posizioni. Il Poggi, riferendo un colloquio avuto con lui nella prima metà di giugno, afferma che

« a tutt'altro pensava, e tutt'altro alla Toscana augurava, fuorché l'unione al Piemonte. Egli era anzi disgustato delle mene che si facevano in questo sen-so, e non vedeva più né il Ricasoli né il Salvagnoli, che non si aprivano con nessuno. Le idee che gli esposi per accostumarlo a quella idea, rammento che gli fecero impressione, e sebben dicesse che il paese non gli pareva ancora ma-turo per tale partito, convenne meco delle immense difficoltà a costituire un so-lido regno dell'Italia centrale » 30°.

Anche Capponi, nella citata lettera del 19 giugno, lasciò intendere di essere ormai più unitario di Galeotti; e Tabarrini annotò nel suo diario, alla data del 26 giugno, che Galeotti — insieme a Giorgini, Peruzzi e Lambruschini — era accanito oppositore della politica di Ricasoli e « te-nero della Toscanità » 301.

Di contro a queste accuse sta la lettera che Galeotti scrisse a Massari il 18 giugno, dicendosi perfettamente d'accordo nel fare « l'Italia più

grande che sia possibile », ma di voler scegliere il momento e la forma

migliori, e soprattutto di voler conoscere con esattezza i propositi di Na-poleone III, perché — aggiungeva — mancando il consenso di questi

299. Riguardo a Capponi si veda la sua lettera del 19 giugno a Corsini, nella quale affermava che era « meglio esser parte di uno Stato grosso, che avere in To-scana un principino » (Lettere di Gino Capponi, III, p. 268); e la lettera del 29 giugno a Galeotti, nella quale è detto: « Noi teniamo ad una vita toscana, ed io vi tengo quanto altri mai, non però tanto che io né i più ora si piacciano d'una auto-nomia debole » (CG, 3, 170). Per Corsini, cfr. la sua lettera a Galeotti del 20 giu-gno, in B . MARACCHI BIGIARELLI, Lettere di Neri Corsini a Leopoldo Galeotti, « Rassegna Storica Toscana », IV, 1958, pp. 47-48. Per Poggi, cfr. le sue Memorie cit., I, pp. 87-89.

300. E. POGGI, op. cit., I , pp. 89-90.

301. M. TABARRINI, Diario 1859-1860 a cura di A. PANELLA con introduzione e note di S. CAMERANI, Firenze, Le Monnier, 1 9 5 9 , p. 5 7 .

« è assurdo, e peggio che assurdo, agitare i popoli, destare speranze, far sorgere desideri, che poi debbonsi risolvere in niente » 302. Parole, come si vede, non certo da autonomista; parole che si chiariscono ancor me-glio nella lettera del 20 giugno a Lord John Russel, in cui viene indi-cata, quale migliore soluzione del problema italiano, un regno unico sotto Vittorio Emanuele, avente però una struttura decentrata:

« uno Stato confederato, nel quale potrebbero svolgersi, senza detrimento della forza militare, il genio, la vita, le tendenze e le tradizioni proprie alle diverse province che ne farebbero parte » ao3.

Alla luce di questi documenti, ci pare che l'unico giudizio corretto sulla posizione di Galeotti in questo periodo lo abbia formulato Ernesto Ragionieri, il quale, esaminando il carteggio Galeotti-Massari, così si esprime:

« Qui il centro di discussione non è tanto la valutazione dell'opportunità politica dell'unione al Piemonte, o al regno dell'alta Italia, oppure del re-gno separato o dell'Italia centrale. Il discorso, conformemente alla prepara-zione giuridica di Galeotti ed alla sua sensibilità per la conservaprepara-zione dell'au-tonomia legislativa e amministrativa toscana, verte soprattutto sui modi e sulle forme nelle quali la fusione deve avvenire. Che la Toscana debba scomparire come unità statale, il Galeotti non dubita, e neppure lo teme [...]. Ma su di un punto egli batte incessantemente nel suo carteggio col Massari, perché il suo corrispondente se ne faccia eco presso il governo di Torino »:

e questo è il punto concernente i riguardi da usare verso la Toscana, che gli abbiamo già visto chiedere a d'Azeglio, e che saranno il motivo ri-corrente della politica di Galeotti fino all'unificazione ed anche in se-guito, quando egli si impegnerà in quella « difesa dell'autonomismo to-scano che i moderati, che non seguiranno il Ricasoli nella sua conversione accentratrice, condurranno dopo il 1860 » 304.

Con l'annuncio dei preliminari di Villafranca, che prevedevano per la Toscana il ritorno di Leopoldo II, la situazione interna subì un'evolu-zione decisiva: « come al 27 aprile tutti si erano trovati d'accordo per costringere il granduca a partecipare alla guerra, così alle notizie di Vil-lafranca tutti furon d'accordo per impedire che la dinastia fuggiasca fosse imposta nuovamente sul trono toscano » 305. La miglior prova del

mu-3 0 2 . R . CIAMPINI, I Toscani del '59 cit., pp. 9 5 - 9 6 .

303. Lettere e documenti del barone Bettino Ricasoli cit., II, pp. 117-120 in nota.

304. E. RAGIONIERI, La Toscana nel Risorgimento, « Studi Storici », I , 1960, pp. 629-630.

tamento la fornì la consulta — in cui pure prevalevano gli autonomisti — la quale, nell'adunanza straordinaria del 14 luglio, deliberò all'una-nimità che « il ritorno della caduta dinastia, come qualunque altro as-setto [...] contrario al sentimento nazionale, sarebbe stato incompati-bile col mantenimento dell'ordine in Toscana, e avrebbe gettato in Italia il seme di nuovi sconvolgimenti »; oltre a ciò la consulta propose al go-verno di indire le elezioni per formare un'assemblea legislativa; di ado-perarsi presso le potenze onde fossero rispettati i desideri dei toscani; di chiedere a Vittorio Emanuele che conservasse il protettorato « fino al-l'ordinamento definitivo del paese » 306. Come si vede, non si parlava ancora apertamente di sacrificare l'autonomia; ma tutti sentivano, come diceva Capponi, « la necessità di restringersi in ogni modo a Vittorio Emanuele ».

Il giorno appresso giunse a Torino un dispaccio del Bianchi, che ri-feriva il parere di Cavour: occorreva dimettere il commissario, formare un forte governo toscano, indire le elezioni. Lo stesso giorno 15 fu emesso un decreto che richiamava in vigore la legge elettorale del 1848; successivamente furono compilati altri cinque decreti che modificavano la legge secondo le nuove esigenze, e per essi il guardasigilli Poggi si servì della collaborazione di Galeotti, « che aveva molta pratica in si-mili materie » 307. Il 22 luglio Boncompagni venne ufficialmente richia-mato e si pose il problema del mutamento di governo: problema non fa-cile, perché Salvagnoli proponeva la dittatura di Ricasoli, mentre Peruzzi e gli autonomisti (o ex-autonomisti) volevano che Ricasoli fosse sempli-cemente presidente del consiglio. Si giunse ad un accordo solo la mat-tina del 29, in una riunione durante la quale Galeotti « con parole molto savie e circospette » disapprovò la dittatura e persuase Ricasoli che il miglior partito era quello di far trasmettere dal commissario i poteri sovrani all'intero ministero, nel quale il barone sarebbe risultato primus

inter pares 308. Secondo il Millefiorini « questo fu l'ultimo atto da

mo-306. La delibera, comparsa sul « Monitore Toscano » del 15 luglio, è pubbli-cata in A. ZOBI, Cronaca cit., II, pp. 448-449.

3 0 7 . E . POGGI, op. cit., I , pp. 1 4 5 - 1 4 6 .

3 0 8 . Sulla vicenda della trasmissione dei poteri cfr. E . POGGI, op. cit., I , 1 6 0 -1 6 5 ; L . RIDOLFI, Cosimo Ridolfi e li istituti del suo tempo. Ricordi, Firenze, Cri-velli, 1901, p. 273. Il Galeotti, pochi giorni prima, si era anche adoperato perché Boncompagni rimanesse fino alla convocazione dell'assemblea (mentre Ricasoli vo-leva che partisse al più presto), ed in ciò si può vedere un altro segno di diffidenza nei confronti dello strapotere del barone. (Si veda in proposito la lettera di Digny a Corsini del 17 luglio, in Carteggio politico di L. G. de Cambray Digny (aprile-novembre 1859) pubblicato a cura della Figlia e di G. BACCINI, Milano Treves,

derato autonomista » compiuto da Galeotti 309; ma l'interpretazione non ci pare esatta. In questo episodio, più che un problema di autonomismo ed unitarismo, è da vedere l'emergere d'un disaccordo di fondo, che an-che in seguito esisterà tra i due uomini, nonostante la loro stretta colla-borazione: intendiamo accennare al fatto che a Galeotti, così riflessivo e misurato per temperamento, non andarono mai a genio gli atteggiamenti dittatoriali ed un po' fanatici del barone, e perciò mantenne sempre nei suoi confronti una certa diffidenza, che nell'ambito dei rapporti umani si tradusse probabilmente in vera antipatia. Logico, quindi, che si oppo-nesse ad una dittatura di diritto, sapendo che Ricasoli aveva già abba-stanza energia e testardaggine per prendersela di fatto.

Il 7 agosto, nel massimo ordine e con un discreto concorso di