Leopoldo Galeotti. Biografia politica d'un moderato toscano nel periodo preunitario
Il 7 agosto, nel massimo ordine e con un discreto concorso di citta- citta-dini, si svolsero le elezioni dell'assemblea toscana; esse risultarono un
completo trionfo per « i candidati proposti dai diversi comitati volonta-riamente formatisi »310, cioè i candidati voluti dal governo ed imposti con vari mezzi di pressione. I liberali toscani furono molto soddisfatti di quel successo; ma, prima ancora che l'assemblea si riunisse, insorse una grave difficoltà. Occorre ricordare che, almeno dalla metà di luglio, Napoleone III aveva fatto conoscere la sua intenzione che le elezioni to-scane si svolgessero a suffragio universale, mentre da parte toscana si era a ciò decisamente contrari. La ragione del contrasto risiedeva nel signi-ficato che il suffragio universale avrebbe assunto in un paese con le ca-ratteristiche politico-sociali della Toscana: non sfuggiva ai liberali che, chiamando alle urne i ceti popolari, si sarebbe dovuto fare i conti da un lato con le masse contadine, tendenzialmente granduchiste e per di più spinte in tale direzione dai proprietari retrogradi e dai preti; dall'altro con il proletariato cittadino, in cui circolavano idee di sinistra. Tutto sommato, erano proprio i contadini che in questo momento facevano più paura perché, se il paese si fosse pronunciato contro la politica nazionale, ciò avrebbe dato esca agli intrighi francesi — manovrati da Walewski e dai suoi rappresentanti — per ottenere la restaurazione. Di ciò si era perfettamente accorto Ferrière, che così riferiva al suo ministro il 26 lu-glio: « Les electeurs [...] apartiennent tous à la population des villes ou des bourgs, à cause du cens exigé par la loi, qui exclut les paysans ». Quindi — seguitava — « on est certain d'avoir des députés anti-dynas-tiques [...]. Et pourtant, si l'on voulait connaìtre véritablement
l'opi-3 0 9 . P . MILLEFIORINI, op. cit., p. l'opi-3 4 4 . 3 1 0 . E . POGGI, op. cit., I , p. 1 7 7 .
nion du pays, il faudrait faire appel au suffrage universal et le faire à l'abri d'une occupation frangaise » 31 \
Resosi conto del pericolo, Galeotti sin dal 2 agosto aveva scritto a Peruzzi, che si trovava a Parigi:
« Se tu senti parlare della legge elettorale, se senti dire che i contadini ne sieno esclusi, smentisci apertamente. I contadini, in quasi tutte le comu-nità, rappresentano la metà ed anche più degli elettori [...]. I calcoli statistici da me fatti sopra tutte le comunità rurali, danno i seguenti risultati: un quarto elettori contadini; un quarto elettori dei castelli; un quarto contadini paganti meno di lire dieci; un quarto proletari dei borghi. Il suffragio universale nelle comunità rurali manterrebbe adunque la stessa proporzione, giacché i proletari dei borghi sono rossi. Se poi vi aggiungessi il proletariato delle città, i risul-tati del suffragio universale sarebbero tutti favorevoli al partito nazionale. Ho dato questi calcoli nei loro elementi anche a La Ferrières (sic), giacché il vento spira a screditare l'assemblea prima che nasca » 312.
La lettera (o un'altra analoga) giunse anche a Corsini il quale — da Londra — così rispose a Galeotti il 10 agosto:
« Oggi vedrò Russell e Palmerston, e gli mostrerò la nota dei candidati, i nomi che fin qui conosco degli eletti, e dirò quello che mi dici sui contadini. Ma quello che sarebbe bene, sarebbe il confutare con dati statistici il bugiardo discorso di Normanby [...]. Illuminate la opinione pubblica all'estero sulla legge elettorale e sulla composizione dell'assemblea »313.
L'11 agosto l'assemblea toscana si riunì per la prima volta ed il giorno seguente elesse il presidente, i due vicepresidenti e i quattro se-gretari, tra cui Galeotti314. Il 13 fu letta una proposta di Ginori-Lisci circa la decadenza della dinastia granducale: fu nominata una commis-sione — della quale Galeotti fece parte — incaricata di discutere la pro-posta, ed il 16 il relatore Andreucci affermò « la incompatibilità della dinastia austro-lorenese con l'ordine e la felicità della Toscana », otte-nendo l'unanimità dei consensi. Il 20 agosto, in base ad una relazione letta da G. B. Giorgini, l'assemblea manifestò « il fermo voto della Toscana di far parte di un forte regno italiano sotto lo scettro costitu-zionale di Vittorio Emanuele »315.
311. Le relazioni cit., Ili, pp. 221-222.
3 1 2 . R . CIAMPINI, I Toscani del '59, pp. 1 6 3 - 1 6 5 .
313. Lettere politiche cit., pp. 136-137. Il marchese di Normanby (1797-1863), che era stato ministro inglese a Firenze tra il '54 ed il '58, aveva parlato il 20 e 21 luglio in Parlamento contro le aspirazioni nazionali d'Italia e a favore della restau-razione granducale.
314. Le assemblee del Risorgimento cit., Ili, p. 670. 315. Ibid., pp. 671-673, 679-681, 691-702.
Con questi atti dell'assemblea, la storia toscana di quel periodo en-tra in una nuova fase: ormai la linea voluta da Ricasoli ha ottenuto pie-na vittoria all'interno e gli atti successivi del governo saranno rivolti esclusivamente ad ottenere che le sue decisioni siano approvate dalle Po-tenze, e specificamente dalla Francia e dall'Inghilterra. Il problema non verte più sul se, ma sul come fare l'unione.
Proprio perciò diveniva particolarmente urgente respingere quegli attacchi che erano stati mossi alla rappresentatività dell'assemblea to-scana, e dimostrare che i voti del 16 e 20 agosto indicavano la volontà della grande maggioranza della popolazione, e non di un gruppo o di un ceto ristretto. Abbiamo già visto come tale preoccupazione fosse mol-to sentita dai rappresentanti mol-toscani a Parigi e a Londra: Peruzzi, in particolare, aveva più volte chiesto aiuto a Ridolfi, senza ottenere nulla di concreto, ed infine il 3 settembre si era rivolto a Digny con queste parole:
« Raccomanda al Galeotti ed a quelli della " Nazione " di darmi elementi statistici ben chiari per porgere argomento al " Siècle " ed alla " Patrie ", i quali mi fanno vive premure onde rispondere alle audaci opposizioni del " Pays " e dei giornali legittimisti contro la qualità nei deputati toscani di rappresentanti del paese. Il suffragio universale essendo qua molto popolare, quei giornalisti a noi favorevoli chiedono argomenti per rispondere su tal pro-posito ai loro avversari » 316.
Galeotti si era già messo al lavoro: il 3 settembre spedì una « stati-stica comparativa dei votanti e degli elettori » al Corsini, e questi si im-pegnò a farla pubblicare sul « Morning Post »317. Il 10, Ridolfi scrisse a Peruzzi:
« Al ricevere della presente vi sarà giunto il bel lavoro del Galeotti, del quale voi potete curare la propagazione per mezzo dei giornali onde si rettifi-chino le idee di quelli che pensano male di noi, seppure costoro sono conver-tibili »318.
Il « bel lavoro » era un opuscolo, scritto da Galeotti con la consue-ta accuratezza, nel quale si sosteneva la validità a tutti gli effetti della votazione del 7 agosto, svolgendo una serie di argomenti che già erano presenti in una lettera di Ridolfi a Peruzzi del 30 luglio, e che è
proba-316. Carteggio politico di L. G. de Cambray Digny cit., pp. 210-211. 317. Si veda la lettera di Corsini a Galeotti del 7 settembre in Lettere politi-che cit., p. 163.
318. R. CIAMPINI, I toscani del '59, p. 58. Il 13 mattina l'opuscolo di Ga-leotti giunse anche a Londra; Corsini lo trovò « eccellente » ed assicurò che avreb-be passato anche questo al « Morning Post » (Lettere politiche, pp. 168-169).
bile fossero stati elaborati collettivamente dal gruppo dirigente tosca-no 319. Galeotti difendeva il mantenimento della legge elettorale del 1848 sulla base d'una triplice serie di motivazioni: 1) rispetto delle leggi vi-genti nel granducato (« questa legge [...] promulgata dal cessato governo granducale ha il duplice vantaggio di mostrarsi immune da ogni sospetto, e di essere assistita dalla presunzione d'imparzialità e di giustizia »; 2) funzionalità della legge in questione (che « istituisce un collegio elet-torale libero e indipendente da qualsiasi influsso » ed « offre alle elezioni una larghissima base, ammette e riconosce ogni specie di interessi, pre-scinde da ogni considerazione di governo o di parti »); 3) garanzia con-servatrice (« la rappresentanza che esce dalla nostra legge elettorale è la sola che dia forza a qualunque governo, la sola che possa tener luogo del-le forze materiali che mancano, la sola che presenti garanzie di ordine, e di quiete durevole »). In particolare Galeotti si soffermava sulla notevole partecipazione popolare al corpo elettorale, perché la legge dava il di-ritto di voto a tutti coloro che pagassero almeno lire 10 di tassa di fami-glia, la quale dal 1852 si era trasformata in tassa personale che colpiva al livello delle lire 10 anche «moltissimi di coloro che sui ruoli della tassa di famiglia figuravano nelle infime classi », comprendendo così la maggior parte dei grossi e medi mezzadri e comunque segnando un forte aumento di partecipazione tra le popolazioni agricole. Gli iscritti nelle li-ste elettorali rappresentavano circa il 4% dell'intera popolazione, per-centuale che in effetti era abbastanza buona rispetto agli Stati costitu-zionali europei. Senonché Galeotti, da buon avvocato, non diceva tutta la verità: il Della Torre, che ha esaminato con cura il problema delle ele-zioni toscane, nega che la riforma tributaria del '52 avesse veramente au-mentato il numero degli elettori. Infatti l'aumento del corpo elettorale « fu reso nullo da speciali istruzioni del governo toscano del '59 che aveva prescritto che elettore potesse essere non chi effettivamente pagasse le dieci lire nel 1859, ma chi le avrebbe pagate secondo le norme del 1848, ossia non chi pagasse ora le dieci lire di tassa personale, ma chi avrebbe pagato, secondo le leggi del 1848, le dieci lire di tassa di famiglia ». Inol-tre il governo provocò — pare a bella posta — una notevole confusione negli elettori (mediante un via vai di decreti, circolari, modifiche, ecce-zioni) al fine di poter usare gli ampliamenti prodotti dalla legge tributaria del '52 dove lo giudicava vantaggioso, ed abolirli invece dove preferiva tenere ristretto il corpo elettorale. In più furono adottate misure restrit-tive « contro i preti e i nobili reazionari » e contro gli ex funzionari
gran-3 1 9 . L. GALEOTTI, L'assemblea toscana. Considerazioni, Firenze, Barbera, 1 8 5 9 .
ducali: in pratica si riuscì ad imbavagliare tutti i partiti, ad eccezione di quello « nazionale » 320.
Galeotti, che aveva collaborato alla stesura dei decreti elettorali, tut-te questut-te cose le sapeva perfettamentut-te, ma le nascondeva o le negava, protestando ad alta voce che l'assemblea era perfettamente rappresen-tativa di tutte le forze e gli interessi del paese: « la grande proprietà fondiaria », « le capacità », « la scienza, l'esercizio delle professioni uti-li »; e, soprattutto, che l'assemblea era la più fedele espressione delle « idee di ordine e conservative »: cosa in effetti verissima. Contro il suf-fragio universale — che pure la « Patrie » il 28 agosto ed ai primi di settembre aveva già consigliato di usare per ratificare i voti dell'assem-blea — Galeotti spendeva tutta la sua forza polemica, sviluppando spe-cialmente l'argomento che già abbiamo incontrato, secondo cui, anche ammessa la posizione filogranduchista dei contadini, « la bilancia elet-torale sarebbe più che ristabilita dal proletariato o quasi proletariato delle città, delle terre, dei borghi, dei castelli »; ed aggiungendo subito dopo che in tal caso « poteva uscirne un'assemblea di uomini più caldi e più arrischiati che avrebbero preso deliberazioni più recise, e forse superlative ». Non è che un accenno fugace, ma ci pare lecito il sospetto che Galeotti e gli uomini del governo temessero effettivamente anche la possibilità — in caso di suffragio universale — di un parlamento schie-rato più a sinistra. È vero che in quel periodo i moderati, i lafariniani, e persino i mazziniani agivano di concerto verso un unico scopo, ma ci pare altrettanto logico che i moderati non intendessero affatto lasciarsi sfuggire il potere a benefizio di uomini che forse avrebbero spinto le cose più in là del limite tracciato dai governanti toscani. Prova ne sia che essi smisero la loro opposizione al suffragio universale — opposizione che in Galeotti era puramente tattica e non certo di principio, come abbiamo già visto — solo nel momento in cui si verificarono due condizioni: la certezza che quel voto sarebbe stato determinante, in quanto accettato dalle potenze, per il successo finale; la limitazione di quello stesso voto ad una scelta tra il sì ed il no, ben diversa da un'elezione di rappresen-tanti, la quale ultima, se eseguita a suffragio universale, avrebbe potuto spostare pericolosamente i rapporti di potere in seno al parlamento.
Dell 'assemblea toscana, che ebbe un notevole successo negli am-bienti moderati italiani, uscì alla fine di ottobre una seconda edizione « corretta e notabilmente accresciuta », in cui la maggiore novità era un
320. R . DELLA TORRE, op. cit., pp. 266-271; e cfr. anche E. R U B I E R I , Storia intima della Toscana del 1° gennaio 1859 al 30 aprile 1860, Prato, Alberghetti, 1861, p. 196.
capitolo interamente dedicato a dimostrare l'impossibilità del ritorno dei Lorena321. Con esso venivano completate e rafforzate le critiche duris-sime e le invettive contro quella famiglia granducale, che pure Galeotti aveva difeso con tanto accanimento negli anni bui della seconda Restau-razione.
Sui voti dell'assemblea toscana, la cui rappresentatività era stata da lui difesa con tanta perizia, Galeotti nutriva caute speranze: « in qua-lunque caso saranno ottima moneta per negoziare. — scriveva il 26 ago-sto a Massari — Ma credo che possano anche essere qualche cosa di più, e convertirsi in un punto dato in un fatto compiuto » 322.
Il primo settembre si recò a Torino la deputazione toscana incaricata di riferire quei voti a Vittorio Emanuele, il quale si limitò ad accoglierli senza assicurare nulla di definitivo, ma promettendo di secondarli. Ga-leotti se ne compiacque con Massari — ponendo però ancora una volta l'accento sui « riguardi » da usare verso l'« orgoglio » toscano — e questi lo assicurò in tal senso, consigliando inoltre che i Toscani prendessero l'iniziativa e facessero la voce grossa in senso unitario 323. Ricasoli non chiedeva di meglio, ma sia lui che Galeotti sapevano di dover ad ogni costo evitare due pericoli: il primo era quello di rimanere troppo iso-lati, di non avere l'appoggio esplicito del Piemonte nel processo d'unifi-cazione; il secondo — conseguenza del primo — era il pericolo che, per-so il contatto col Piemonte, gli Stati dell'Italia centrale divenissero fa-cile preda di Napoleone III il quale, presentandosi l'occasione, non avreb-be certo rinunciato, a dispetto di tutte le dichiarazioni in senso opposto, a farne un regno per il cugino. Perciò il barone si prefisse da un lato di cointeressare concretamente il Piemonte, ottenendo da esso un reggente per l'Italia centrale; dall'altro di tener separati tra loro gli Stati emiliani e la Toscana onde impedire una situazione di fatto che avrebbe potuto condurre a soluzioni separatiste, cioè alla formazione d'un regno cen-trale. A questo complesso programma politico, che cercheremo ora di chiarire, Galeotti diede la sua piena collaborazione, incaricandosi di te-nere i contatti più importanti e — compito ancor più delicato — di fare
321. È il capitolo XX, alle pp. 72-77. Sulle aggiunte alla seconda edizione in-fluirono anche i suggerimenti di Salvagnoli, il quale scrisse il 20 ottobre a Galeotti che, stando a quel che lasciava capire Napoleone III, bastava mostrarsi decisi nelle proprie idee e la Toscana avrebbe ottenuto ciò che voleva. Perciò Salvagnoli gli consigliava di ribadire nella seconda edizione i propositi dei Toscani, e di far poi tradurre in francese l'opuscolo, cosa che infatti avvenne (I toscani del '59, pp. 193-194).
322. I toscani del '59, pp. 104-105. 323. Ibid., pp. 106-109.
accettare a Ricasoli le soluzioni di compromesso, allorché quelle deside-rate risultarono irrealizzabili.
Fin dall'I 1 agosto Corsini aveva scritto a Galeotti, scongiurandolo di opporsi ad un progetto di Peruzzi, il quale consigliava di riunire le quattro assemblee degli Stati centrali in modo da formare un unico par-lamento e di chiamare come reggente il principe Gerolamo. Dello stesso avviso di Corsini era pure Matteucci, che si trovava a Torino; ed anche il governo inglese, per bocca di Palmerston, si era detto contrario a que-sta unione centrale 324. Massari, che parlava a nome di Cavour, aveva de-cisamente sconsigliato, il 29 agosto, qualunque avvicinamento alle Ro-magne che oltrepassasse la lega difensiva; ma il 4, 11 e 17 settembre Carlo Alfieri di Sostegno informò Galeotti che il ministero piemontese — di cui egli si faceva portavoce — voleva che i Toscani eleggessero un reggente (Ricasoli, Corsini o Capponi) il quale avrebbe governato in no-me del re; e questo perché si prevedeva che il regno centrale sarebbe stata la soluzione più probabile, ragion per cui non si poteva far di più e semmai era opportuno stringere i legami col Piemonte, unificare le le-gazioni, gli ordini militari e le norme di diritto pubblico, in modo da poter formare in avvenire gli « Stati uniti monarchici »32S. Galeotti pe-rò, per nulla convinto, scrisse il 17 settembre a Massari:
« I consigli che vengono da Torino non mi persuadono. Si dice: fate voi; e si suggeriscono cose che non concludono nulla, come governare in nome del re, proclamare lo statuto sardo, ecc. [...]. Vi è una cosa che intendo, ed è una reggenze nominata e consentita dal re, che poco a poco abbracci tutta l'Italia centrale, e sia buona per condurre all'unione, se questa è possibile, o per tra-sformarsi in regno dell'Italia centrale, se l'unione si chiarisce impossibile. Que-sta cosa politicamente la intendo, e ne intendo la utilità pratica e il valore. Il resto non lo capisco » 326.
Il 20 tornò ad insistere per la reggenza del principe Carignano, « la