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Disposizione «in difficoltà di senso»: un interludio abnorme

521

VARONE, Incidente cautelare e archiviazione, cit., p. 1224; ADORNO, La richiesta «coatta» di

archiviazione, cit., p. 59; ALONZI, L’art. 405 comma 1-bis c.p.p., cit., p. 94 e CAPRIOLI, Inchiesta penale e

pregiudizio, cit., p. 24, il quale parla di «ultimo momento utile per integrare il materiale probatorio» nell’ambito

del giudizio cautelare.

522 Non meritevole di positiva considerazione ci pare, invece, la tesi sostenuta da DELL’ANNO,

“Archiviazione cautelare” e conseguenti problemi operativi, in La nuova disciplina delle impugnazioni dopo la “legge Pecorella”, a cura di Gaito, Torino, 2006, p. 38, secondo cui il novum che consentirebbe il superamento

della preclusione dovrebbe ritenersi integrato altresì da elementi che il giudice del merito «non ha potuto, per qualsivoglia ragione, valutare nell’ambito della delibazione svolta in relazione al provvedimento in questione».

Tale opzione, infatti, aprirebbe la porta al reingresso, in chiave evidentemente distorsiva del tenore letterale della disposizione, del materiale selezionato per difetto ex art. 291 c.p.p.

523 Cfr. CAPRIOLI, Inchiesta penale e pregiudizio, cit., p. 23. 524

GIOSTRA, Una norma “in difficoltà di senso”, cit., p. 348 e ALONZI, L’art. 405 comma 1-bis c.p.p., cit., p. 96.

Contra, IACOVIELLO, Procedimento penale principale e procedimenti incidentali, cit., p. 2211, il quale ribatte a quest’obiezione sostenendo che «se davvero fosse così, davvero l’esito sarebbe assurdo. Ma per fortuna non è così. Si applicano le norme sul procedimento di archiviazione: il g.i.p. ha il fascicolo sottomano e se lo guarda; vede queste nuove prove preesistenti... e respinge la richiesta di archiviazione».

La tesi non sembra convincente (categorico CAPRIOLI, Inchiesta penale e pregiudizio, cit., p. 21: «francamente non vedo come il giudice dell’archiviazione possa rigettare la richiesta del pubblico ministero»). L’A. propone, con forse eccessiva semplicità, l’integrale applicazione dell’art. 409 c.p.p., senza porsi – così ci pare – eccessivi problemi di compatibilità, ma evita, e questo è il punto, di distinguere tra co. 4 e co. 5. Sostenere che il g.i.p. possa «respinge la richiesta di archiviazione» non sposta il problema di un millimetro: il p.m. potrebbe avergli sottoposto indagini complete (quindi da non integrare iussu iudicis) e chiamarsi obbligato dall’art. 405, co. 1-bis all’inazione. Respingere, sic et simpliciter, la richiesta getta il procedimento in un limbo assai contiguo alla stasi.

L’A., infatti, sembra inconsapevole dei dubbi sorti in punto di applicabilità, in casi analoghi, dell’art. 409, co. 5 c.p.p. (per la tesi negativa, ALONZI, L’art. 405 comma 1-bis c.p.p., cit., p. 89; per quella positiva, VARONE,

Incidente cautelare e archiviazione, cit., p. 1231) e “risolve” il dilemma restando troppo sul vago. La vaghezza,

Esposti, pure se in breve, modalità di (mal)funzionamento del meccanismo condizionante e relativi difetti di c.d. “ingegneria processualpenalistica” non resta che spostare il fuoco della critica a due, conclusive, tematiche nel tentativo di trovare risposta a due questioni: se la nuova fattispecie abbia rappresentato un nuovo caso di archiviazione o una species del

genus dell’infondatezza della notitia criminis e, infine, quale sanzione l’ordinamento abbia

approntato nel caso in cui il pubblico ministero si fosse ostinato a perseverare nonostante il pregiudizio condizionante.

Chiarito che l’attore pubblico, nei limiti delle condizioni esaminate, avrebbe potuto legittimamente non esercitare l’azione penale è ora opportuno approfondire la natura della posizione giuridica che, più sopra, abbiamo qualificato come dovere. Questo aspetto rappresenta il filo rosso capace di tenere entrambe le tematiche da ultimo poste.

Il confronto con la disciplina ordinaria, già esaminata, può fornire importanti spunti. L’esercizio avventato o frettoloso dell’azione penale non fa scattare, ormai è chiaro, alcun meccanismo sanzionatorio di natura processuale525. In quest’ambito, dunque, un “dovere”

del pubblico inquirente di non agire può ipotizzarsi solo a condizione di reputarlo del tutto

sui generis ovvero la cui violazione è sfornita di ogni effetto sul piano giuridico-processuale.

In altri termini, è possibile desumerne l’«esistenza dalla sola previsione del modello legale di comportamento»526.

Posto dunque che, al realizzarsi dei presupposti tipizzati dal co. 1-bis dell’art. 405 c.p.p., il comportamento del pubblico ministero lesivo della norma è, a tutti gli effetti, antidoveroso, la questione diventa quali siano – se ve ne sono – le conseguenze processuali di tale violazione. Le due domande poste supra si intersecano.

Se la fattispecie di nuovo conio è ricondotta, come la dottrina maggioritaria ha mostrato di ritenere, a ipotesi speciale di archiviazione per infondatezza della notitia criminis (imperniata su un’inedita equivalenza legislativa: pronuncia della Corte di cassazione – richiesta di archiviazione) la risposta sembra scontata, ovvero nessuna conseguenza. Indi per cui, una volta formulata – pur antidoverosamente – l’imputazione, «alla logica del controllo caratteristica della procedura di archiviazione si sostituisce la logica del giudizio»527. Se

proprio di sanzione si vuole discorrere, a carico del pubblico ministero poco avveduto, irragionevolmente caparbio o scorretto, si deve ragionare in termini di imputazione infondata e conseguente proscioglimento dell’imputato (oltre a immaginare conseguenze sul piano disciplinare, per il tramite dell’art. 124 c.p.p.). Il legislatore, con la norma in esame, avrebbe dunque inteso specificare espressamente che sussiste un’infondatezza qualificata della notizia di reato, autorizzando il pubblico ministero a non esercitare l’azione penale, tramite l’istituzione dell’anzidetto automatismo.

La prospettiva, tuttavia, cambierebbe radicalmente laddove si sposasse una diversa tesi, patrocinata da una dottrina minoritaria, volta a ravvisare nel comma di più recente

525

«Nessuno ha mai pensato che, quando il pubblico ministero esercita l’azione penale in presenza di una notizia di reato palesemente infondata, il giudice debba pronunciare sentenza di proscioglimento con la formula “perché l’azione penale non doveva essere iniziata”», così CAPRIOLI, Inchiesta penale e pregiudizio, cit., p. 25.

526 CAPRIOLI, Inchiesta penale e pregiudizio, cit., p. 25. 527

Così, CAPRIOLI, Inchiesta penale e pregiudizio, cit., p. 25; VARONE, Incidente cautelare e archiviazione, cit., p. 1234; BRICCHETTI-PISTORELLI, Suprema corte: vincolo inedito, cit., p. 62; ALONZI, L’art. 405 comma 1-bis

introduzione un nuovo tipo, una autonoma fattispecie di archiviazione528 o, forse più

correttamente, ad attribuire valore preclusivo al precedente accertamento compiuto dalla Corte di cassazione529.

Lasciando in disparte la prima delle opzioni anzidette – in ordine alla quale si rileva l’«improbabile collocazione sistematica», tanto sotto il profilo «topografico» che «funzionale»530 – preme qui considerare la seconda, al fine di saggiarne plausibilità e tenuta

sistematica.

La possibilità che il comma 1-bis dell’art. 405 c.p.p. venisse interpretato quale nuovo, positivo punto di emersione del principio di preclusione ha indotto parte della dottrina a scorgere nella novella la disposizione finalmente volta ad adeguare il tradizionale processo penale alla modernità531, laddove una delle più pressanti e innovative esigenze del processo

penale contemporaneo si declina nel canone efficientistico, garantendo dal rischio di inutili duplicazioni di attività già espletate. Per assicurare allo stesso una durata realmente «ragionevole», allora, occorrerebbe incidere non soltanto sui processi già avviati, ma anche su quelli in fieri avendo cioè cura che il principio costituzionale miri, forse soprattutto, a che non sia consentito tout court un processo, pur dalle tempistiche congrue, ma inutile ab

origine532.

Tale chiave di lettura implicherebbe, secondo questa dottrina, il rifiuto di considerare l’art. 405, co. 1-bis quale norma minus quam perfecta alla cui violazione cioè non seguirebbe alcuna reazione processuale, sotto forma di sanzione per l’attore che ha tenuto una condotta antidoverosa533. E, posto il rispetto del principio di stretta legalità in materia di nullità, la

sanzione idonea andrebbe rinvenuta sul terreno dell’inammissibilità. Esigenze di sistema – spiegabili anche con l’intento di «conferire effettività alla nuova fattispecie, destinata altrimenti a restare lettera morta»534 – spingerebbero in questa necessaria direzione: imporre

doveri la cui osservanza è rimessa alla bontà d’animo del soggetto obbligato equivale a «una diseconomia che non ottimizza le risorse del sistema»535.

Eppure, così ricostruita, la fattispecie – che si vedrebbe risospinta verso l’ambito dogmatico della preclusione – perderebbe definitivamente di ogni residua razionalità536.

Soltanto a costo di riconoscere valore preclusivo al precedente accertamento compiuto dalla Corte di cassazione sarebbe possibile ritenere al pubblico ministero sbarrata, sotto pena di inammissibilità, la strada della formulazione dell’imputazione, impedendo così al giudice adito di decidere sul merito della stessa537.

528

GIOSTRA, Una norma “in difficoltà di senso”, cit., p. 339 che, al riguardo, si esprime con la locuzione «bizzarria tassonomica» e, ci pare, GIULIANI, Archiviazione della notizia di reato, cit., p. 94.

529

ALONZI, L’art. 405 comma 1-bis c.p.p., cit., p. 101. 530 GIOSTRA, Una norma “in difficoltà di senso”, cit., p. 339. 531

IACOVIELLO, Procedimento penale principale e procedimenti incidentali, cit., p. 2205-6, afferma che il comma introdotto «era proprio la norma che ci voleva».

532

Cfr. IACOVIELLO, Procedimento penale principale e procedimenti incidentali, cit., p. 2213. 533

Per primo, si esprime in questi termini ADORNO, La richiesta «coatta» di archiviazione, cit., p. 62. 534

FERRUA, Impugnazioni, Cassazione a rischio paralisi, cit., p. 107. 535

IACOVIELLO, Procedimento penale principale e procedimenti incidentali, cit., p. 2212. 536

Critici circa la ricostruzione del comma 1-bis in termini di preclusione, ALONZI, L’art. 405 comma 1-bis

c.p.p., cit., p. 100 s. e, soprattutto, CAPRIOLI, Inchiesta penale e pregiudizio, cit., p. 26-8. 537 ALONZI, L’art. 405 comma 1-bis c.p.p., cit., p. 101.

Una simile ricostruzione, tuttavia, è tale da lasciare affiorare non pochi interrogativi irrisolti538. Eccentrica è, anzitutto, l’idea di una preclusione «derivante dalla pronuncia di un

giudice che ha poteri decisionali e strumenti cognitivi assolutamente non paragonabili, per difetto, a quelli del giudice che subisce il vincolo»539.

A lasciare l’interprete ulteriormente esterrefatto sarebbe «l’inestricabile groviglio»540 che

si verrebbe a creare tra procedibilità e merito che, ci pare, supererebbe notevolmente l’ordinario standard del «lavoro quotidiano dei giudici di merito e della Cassazione»541. Il

senso di stordimento è, infatti, originato dalla circostanza che ciò che condiziona la procedibilità sarebbe rappresentato proprio da elementi di puro merito.

Basta porre mente a talune situazioni piuttosto ordinarie per rendersene conto. Il pubblico ministero, nonostante la scure della Corte di cassazione «in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza», esercita caparbiamente l’azione penale sull’assunto di avere acquisito, successivamente, altri e comunque rilevanti elementi a carico dell’imputato non riversati nel procedimento cautelare nel pieno rispetto della facoltà che l’art. 291 c.p.p. gli riconosce.

Il giudice del merito, dell’udienza preliminare o del dibattimento, sarebbe allora chiamato a un compito del tutto peculiare: “pesare” gli atti di indagine asseritamente «a carico» dell’imputato, al fine di valutarne l’idoneità a rovesciare la presunzione iuris tantum di equivalenza di cui si è dato conto (pronuncia della Corte di legittimità – archivio). Quest’attività sarebbe del tutto necessaria, per evitare che il pubblico ministero riacquisti piena libertà d’agire mediante il compimento di un qualsiasi atto investigativo, anche il meno pertinente e rilevante.

Ebbene, in questa situazione il giudice del merito542 è chiamato a scindere l’attività

d’indagine in un “prima” e in un “poi” e optare per l’improcedibilità dell’azione tutte le volte in cui quanto accaduto “dopo” l’intervento della Corte di cassazione gli apparisse non significativo, benché non si sa più rispetto a quale parametro (certo non rispetto l’utilità del giudizio, essendo ormai l’azione già stata esercitata in via irretrattabile). Non si comprende, tuttavia, come una sentenza di tal fatta – di proscioglimento perché l’azione penale non doveva essere esercitata – possa poi essere contrabbandata per una decisione di pura improcedibilità sfornita di talune qualità connaturate alla decisione di merito (su tutti, la mancanza di effetti nel giudizio civile o amministrativo)543.

A uscire compromesso da questa opzione sarebbe, inoltre, lo stesso inciso «e non sono stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini», poiché lo stesso giudice del merito sarebbe tenuto – in virtù del tenore letterale della norma, che parla ancora di “indagato” – a valutare la situazione probatoria così come si

538

Al punto che in dottrina si sono succedute plurime definizioni, tutte evocative dello sconcerto rispetto al prodotto della penna legislativa. Le due più significative, che concorrono a completare il titolo del paragrafo, si devono a GIOSTRA, Una norma “in difficoltà di senso”, cit., p. 339 s. e GIULIANI, Archiviazione della notizia di

reato, cit., p. 90 s.

539

CAPRIOLI, Inchiesta penale e pregiudizio, cit., p. 27. 540

CAPRIOLI, Inchiesta penale e pregiudizio, cit., p. 27. 541

IACOVIELLO, Procedimento penale principale e procedimenti incidentali, cit., p. 2211. 542

Senza considerare che laddove egli sia il giudice del dibattimento si assisterebbe inerti al problema, identico a quello esaminato nella sez. I in punto di emissione della misura cautelare per la prima volta durante il giudizio, di un giudice chiamato a scandagliare approfonditamente nel merito l’intero fascicolo delle indagini preliminari.

è cristallizzata al momento dell’esercizio dell’azione penale. Se, successivamente a quello spartiacque, il pubblico ministero raccogliesse altri e nuovi elementi “a carico” dell’imputato, ciononostante il giudice dovrebbe prosciogliere perché, quando l’imputazione è stata formulata, non vi erano le condizioni per procedere. Eppure, poiché la causa di non procedibilità (rectius, di preclusione all’azione) è poggiata, interamente, sul merito (la circostanza che «successivamente» l’accusatore possa vantare nuovi elementi probatori da spendere contra reum) si potrebbe essere tentati dal ragionare similmente a quanto il legislatore mostra di intendere nell’art. 345, co. 2 c.p.p. O, ancora, perché ritenere precluso al giudice di esercitare i suoi poteri d’ufficio (artt. 421-bis e 507 c.p.p.) e acquisire ex se gli elementi sopravvenuti di cui abbisogna per procedere?

Molto meglio, allora, tornare alla prima e più piana ricostruzione. Relegare la nuova norma a specializzazione della più tradizionale forma di archiviazione per infondatezza della

notitia criminis, nel senso di autorizzare – discutibilmente, secondo la dottrina maggioritaria

– il pubblico ministero a non esercitare l’azione penale al realizzarsi delle condizioni in essa previste. Qualora, tuttavia, lo stesso decida, antidoverosamente, di chiedere o di disporre ugualmente il rinvio a giudizio, il giudice del merito non potrebbe fare altro che pronunciarsi sull’imputazione. In ciò, quindi, nessuna differenza rispetto all’azione avventata, esercitata in spregio agli artt. 408 c.p.p. e 125 disp. att.

Siffatta conclusione costituisce, tuttavia, la sublimazione di quanto si è paventato all’inizio: norma ideata per frenare gli abusi dell’investigatore nelle sue determinazioni; precocemente involutasi in strumento oscillante tra ieratica inutilità e incentivo alle diseguaglianze di trattamento nel mancato esercizio dell’azione penale.

5. Ortopedia necessaria: una norma (davvero?) tre volte irragionevole, ma con qualche

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