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Ortopedia necessaria: una norma (davvero?) tre volte irragionevole, ma con qualche

La vita dell’inedito vincolo legale è stata, tuttavia, assai breve. Attinta da plurime eccezioni di incostituzionalità544, il suo destino è apparso immediatamente segnato.

Con una declaratoria di illegittimità «inevitabile»545, la Corte costituzionale ha dunque

proseguito nell’opera di «ripulitura del sistema processuale penale dalle peggiori scorie»546

risalenti alla legge n. 46 del 2006, nota negli ambienti giudiziari e giornalistici come “legge Pecorella”.

Facendo propri i rilievi critici evidenziati dalla dottrina (quasi) unanime547, la Corte ha

beneficiato di un solido retroterra culturale da cui attingere le proprie argomentazioni e ha

544

Per una completa disamina delle censure rimesse all’attenzione della Corte costituzionale e dalla stessa affrontare ex professo soltanto in parte, si v. VALENTINI, La dubbia legittimità costituzionale dell’art. 405, comma

1-bis c.p.p.: questioni sollevate e questioni da risolvere, in Cass. pen., 2008, p. 3645 s.

545

LONATI, Una norma tre volte irragionevole: il comma 1-bis dell’art. 405 c.p.p., in Riv. it. dir. pen. proc., 2009, p. 2036.

546

Così, GREVI, Scarcerati ma non scagionati, in Corriere della Sera, 27 aprile 2009, p. 27. Per analoghe considerazioni, v. BRICCHETTI-PISTORELLI, Cancellato un ulteriore pezzo di un provvedimento già decimato, in

Guida al dir., 2009, f. 19, p. 86.

547

Oltre agli autori già più volte citati, si segnalano ulteriormente BELTRAMI, La Pecorella e il nuovo articolo

405 c.p.p. Dubbi di legittimità, ermellini a rischio, in Dir. e giust., 2006, n. 29, p. 54 s.; MARZADURI, Così

nell’assetto degli istituti il legislatore ricerca nuovi equilibri, in Guida al dir., 2006, n. 10, p. 51 s. e KOSTORIS,

Le modifiche al codice di procedura penale in tema di appello e ricorso per cassazione introdotte dalla cd. “legge Pecorella”, in Riv. dir. proc., 2006, p. 641 s.

SCOMPARIN, Incostituzionale l’archiviazione “coatta”, cit., p. 1151 ha parlato di «unanime insofferenza» nei confronti del nuovo istituto.

colto l’occasione per ribadire, ma non aggiornare, taluni principi di teoria generale del processo, usciti malconci dall’incauto procedere della penna legislativa.

La sentenza n. 121 del 2009, nel complesso, è dunque meritoria di un giudizio positivo, per via dell’equilibrio con il quale è intervenuta su un tema dall’importanza cruciale – inerente all’esercizio dell’azione e la possibile interferenza tra il processo, o quantomeno il suo inizio, e l’incidente cautelare – non essendosi limitata, tuttavia, a caducare la disposizione con argomenti forti, sebbene talvolta eccessivamente tranchantes, ma spingendosi oltre, sino a non escludere tout court la possibilità di inediti e futuri scenari rispetto ai quali ha però dettato criteri di metodo, ai quali il legislatore ordinario non potrà non ispirare il proprio, eventuale operato.

Pur nella consapevolezza del proprio ruolo, la Corte non ha mancato di prendere posizione circa l’intentio legis che ha mosso il legislatore. Evitate indebite interferenze nel merito, agevolmente se ne può tuttavia intuire il pensiero: l’introduzione di un «vincolo legale del tutto innovativo alle determinazioni del pubblico ministero in punto di esercizio dell’azione penale» è finalizzata allo scopo di «evitare, contrastando una prassi in assunto diffusa», che lo stesso inquirente eserciti «caparbiamente l’azione penale in relazioni a prospettazioni accusatorie la cui inconsistenza sarebbe giù stata acclarata dalla Corte di cassazione in occasione dello scrutinio di iniziative cautelari»548.

Il Giudice delle leggi sembra dubitare, anzitutto, della plausibilità del male che il legislatore si è proposto di curare con l’introduzione del comma 1-bis nell’ordito dell’art. 405 c.p.p.549. Le sue obiezioni investono, conseguentemente, e in modo diretto, la terapia

prescritta, risolvendosi la stessa in un «rimedio preventivo», ove non addirittura di tipo inibitorio550, che «rovescia il rapporto fisiologico» tra procedimento incidentale de libertate e

procedimento principale, facendo sì – in ultima analisi – che la possibilità di avvio del processo venga a dipendere da valutazioni del tutto discrezionali dell’accusatore, all’esito del subprocedimento cautelare551.

Su questo aspetto si appuntano le riserve costituzionali più consistenti, capaci di tracimare in censure apprezzabili alla stregua dei parametri di cui agli artt. 3 e 112.

Tuttavia, prima di analizzare i profili di illegittimità della disposizione, i giudici hanno ripercorso e ribadito i tradizionali approdi cui la giurisprudenza, propria e di legittimità, è pervenuta in tema di interferenze tra procedimento cautelare e principale, senza tuttavia apportare significative innovazioni552.

Per corroborare il postulato dell’indifferenza tra i due procedimenti – riguardo al quale «non si era mai dubitato [...] che la pronuncia emessa in sede cautelare, ancorché all’esito

548

Corte cost., 24 aprile 2009, n. 121, in Giur. Cost., 2009, p. 1135-6. 549

Così come, del resto, la dottrina unanime non ha mancato di segnalare l’anomalia di un intervento novellistico dalla portata sistematica così dirompente giustificato dall’esistenza di una prassi giudiziaria “perversa” della cui effettiva rilevanza statistica non era, né è tuttora, dato sapere. Cfr. LONATI, Una norma tre

volte irragionevole, cit., p. 2039.

550

Corte cost., 24 aprile 2009, n. 121, cit., p. 1136.

Cfr., in dottrina, CAPRIOLI, Inchiesta penale e pregiudizio, cit., p. 23 e KOSTORIS, Le modifiche al codice di

procedura penale in tema di appello, cit., p. 641. CONTI, Incostituzionale la richiesta coatta di archiviazione: la

Consulta tra principio di incidentalità e di preclusione, in Dir. Pen. Proc., 2009, p. 1379 parla, invece, di

«sanzione extra ordinem per iniziative cautelari inopportune del pubblico ministero». Della stessa opinione, GIULIANI, Archiviazione della notizia di reato, cit., p. 91.

551

Cfr. LONATI, Una norma tre volte irragionevole, cit., p. 2047. 552

SANTALUCIA, L’incidenza del giudizio cautelare sulle decisioni del merito: brevi note a margine della

definitivo di una impugnazione, avesse una portata rigorosamente circoscritta al procedimento incidentale de libertate, senza poter vincolare né il pubblico ministero [...] né il giudice dell’udienza preliminare [...] né, ancora, il giudice del dibattimento» – il Giudice delle leggi si è avvalso, da un lato, del percorso ermeneutico tracciato da una nota pronuncia resa nel 1993 dalla Corte di cassazione553 e, dall’altro, ha mostrato di condividere gli approdi

di cui all’annosa diatriba circa l’unica ipotesi di interferenza “in direzione inversa” che l’ordinamento conosce.

Siamo, come è noto, nel campo di applicazione del principio di assorbimento. Quale punto di equilibrio delle intersezioni originate dalla fisiologica coesistenza dei due distinti procedimenti554, esso si esplica nella regola secondo cui solamente il raggiungimento di

«certi stadi decisori» nel procedimento principale è tale da precludere, assorbendola appunto, la valutazione inerente alla sussistenza della gravità indiziaria cautelare. Si tratta, in altri termini, della conferma dei postulati alla base della pronuncia n. 71 del 1996, successivamente recepita dalla giurisprudenza di legittimità555.

Venendo ora alle censure con cui la Corte ha investito la disposizione impugnata, non meraviglia che lo scheletro dell’apparato motivazionale rinvenga ampi precedenti nei commenti che la migliore dottrina ha dedicato alla tematica. Le ragioni che hanno portato alla caducazione, infatti, si declinano in una trilogia di vizi già autorevolmente preconizzata e afferenti al canone, elastico, della ragionevolezza556.

Il primo profilo è riscontrato nella «siderale distanza»557 che separa, inevitabilmente, le

regole di giudizio che presiedono, da un lato, alla cognizione cautelare e, dall’altro, alla delibazione in ordine all’esercizio dell’azione penale558. Siamo qui in presenza di uno degli

553

Il riferimento corre alla pronuncia Sez. un., 12 ottobre 1993, Durante, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, con nota di CERESA GASTALDO, Sulla persistenza dell’interesse all’impugnazione dei provvedimenti cautelari

revocati, p. 1610 s., alla quale si deve la prima affermazione dell’assoluta autonomia del procedimento

principale, al riparo da ogni interferenza delle statuizioni cautelari: in quell’occasione, la Corte negò l’esistenza di un interesse concreto e attuale a ricorrere da parte dell’per vedere pronunciato l’annullamento dell’ordinanza applicativa o manutentiva di una misura custodiale già revocata nelle more dell’iter e smentì anche l’assunto circa la vincolatività della pronuncia adottata dal tribunale del riesame – o, in generale, da qualunque giudice dell’impugnazione cautelare – in ordine alla carenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza, escludendo che la stessa possa proiettare condizionamenti capaci di interferire con le autonome valutazioni in punto di esercizio dell’azione penale o di qualificazione del fatto.

Nel tempo, l’assunto giurisprudenziale è rimasto del tutto invariato. Per una riconferma dei principi di diritto brevemente riassunti, per quanto afferente alle cautele reali, si v. Cass., Sez. un., 24 aprile 2008, T., in Cass. pen., 2008, p. 4031, con osservazioni di APRILE.

554

Cfr. BARGIS, Procedimenti de libertate e giudicato cautelare, in Presunzione di non colpevolezza e

disciplina delle impugnazioni, Atti del convegno di Foggia – Mattinata, 25-27 settembre 1998, Milano, 2000, p.

168-9. 555

V. Cap. II, sez. I, parr. 3-4.

Cfr., ancora, SCOMPARIN, Incostituzionale l’archiviazione “coatta”, cit., p. 1152 secondo cui il rischio di minare la «coerenza sistematica», per via dell’introduzione dell’inedito vincolo di pregiudizialità tra procedimento incidentale e principale, è stato governato mediante l’attestazione, da parte dei giudici costituzionali, su «posizioni piattamente coerenti con la tradizionale impostazione dogmatica del tema». In particolare, la sottolineatura della «cognizione sommaria e a carattere accessorio tipica del giudizio cautelare e la necessità di tutelare la separazione tra la fase dell’indagine e la fase del processo». Si v., infine, ma in una prospettiva che non ci convince del tutto in quanto aprioristicamente contraria a qualunque ipotesi di “calibrata” interferenza tra i due mondi, VIGGIANO, Cautele personali e merito, Giappichelli, 2004, p. 66 s. e 80 e NEGRI, Fumus commissi delicti. La prova per le fattispecie cautelari, Torino, 2004, p. 281 s.

556

FERRUA, Impugnazioni, Cassazione a rischio paralisi, cit., p. 106-107. 557 ADORNO, La richiesta «coatta» di archiviazione, cit., p. 49.

558

Cfr. SCOMPARIN, Incostituzionale l’archiviazione “coatta”, cit., p. 1155; LONATI, Una norma tre volte

irragionevole, cit., p. 2045; CONTI, Incostituzionale la richiesta coatta, cit., p. 1374. Così anche GIULIANI,

snodi più battuti dalla dottrina, maggioritaria e tradizionale, e che si esprime nel noto binomio “giudizio statico – giudizio dinamico” per riassumere, descrivendole icasticamente, due «realtà complementari e alternative»559.

Il secondo momento di discrasia tra la norma e il canone di ragionevolezza si coglie nella divergenza dei momenti valutativi, oltreché per regole di giudizio, per basi probatorie poste a sostegno delle rispettive decisioni560.

Come noto, il pubblico ministero gode del potere selettivo in forza dell’art. 291 c.p.p. in virtù del quale il paniere probatorio su cui è fondata la richiesta cautelare potrebbe fisiologicamente non coincidere, per difetto, con quello presentato insieme alla domanda in merito all’azione penale.

Inoltre, i momenti nei quali tali richieste e valutazioni sono solitamente compiute possono divergere anche sensibilmente: la prima può essere presentata – e di solito lo è – nelle prime battute dell’investigazione; la seconda, viceversa, è sottoposta all’organo giurisdizionale al termine delle indagini preliminari e sulla base di un compendio istruttorio informato al canone di (tendenziale) completezza. Ricomporre a sistema questi parametri, specialmente nelle indagini con più indagati e più ipotesi d’accusa, può risultare affatto scontato o conveniente.

In terzo e ultimo luogo, infine, la Corte ha riscontrato profili di irragionevolezza nel primo – e fondamentale – tra i requisiti che il legislatore ha elevato a presupposto per il funzionamento del meccanismo condizionante. Il vaglio della Corte di cassazione, sfociante nella pronuncia in ordine all’insussistenza del quadro di gravità indiziaria, si esercita in via del tutto indiretta mediante il controllo sulla sola motivazione del provvedimento impugnato561. Inutile rimarcare ulteriormente il debito della sentenza di incostituzionalità nei

confronti di quella dottrina che, con spiccata sensibilità, si è incaricata di “aprire la strada” a un intervento risolutivo, di tipo caducatorio562.

In realtà, a uno sguardo più distaccato e meno influenzato dallo strepitus fori che l’approvazione della disposizione censurata ha generato tra gli interpreti, anche i più autorevoli, è forse esperibile un tentativo di lettura critica della sentenza n. 121 del 2009 e tramite essa della novella, rispetto alla quale qualche considerazione di segno differente può forse essere proposta563.

Limitarsi a ribadire l’ovvio – cioè che la Corte di cassazione «non accerta in modo diretto la mancanza del fumus commissi delicti», in ragione delle caratteristiche proprie del giudizio di legittimità «non alterate [...] dall’ampliamento dei motivi di ricorso» – non può risolvere il dubbio di “tenuta” costituzionale della disposizione. Come noto, una norma è dichiarata illegittima non già perché della stessa è possibile darne una lettura contrastante con la Carta fondamentale, ma soltanto laddove non sia esperibile neanche un’interpretazione a essa

559

GIOSTRA, Una norma “in difficoltà di senso”, cit., p. 341. Per gli opportuni riferimenti si v. supra par. 3. 560

SCOMPARIN, Incostituzionale l’archiviazione “coatta”, cit., p. 1156; LONATI, Una norma tre volte

irragionevole, cit., p. 2047; CONTI, Incostituzionale la richiesta coatta, cit., p. 1375. 561

Ancora, SCOMPARIN, Incostituzionale l’archiviazione “coatta”, cit., p. 1157; LONATI, Una norma tre volte

irragionevole, cit., p. 2048-9; CONTI, Incostituzionale la richiesta coatta, cit., p. 1372-3. 562

Su tutti GIOSTRA, Una norma “in difficoltà di senso”, cit., p. 349. 563

In tal senso, spigolando tra la letteratura dedicata al tema, si v. CERESA-GASTALDO, Riflessioni de iure condendo sulla durata massima della custodia cautelare, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, p. 839; SANTALUCIA,

L’incidenza del giudizio cautelare sulle decisioni del merito, cit., p. 3301 s. e SCOMPARIN, Incostituzionale

conforme. Si tratta, dunque, di un criterio di economia e di proporzionalità o di extrema

ratio, nell’esercizio del potere caducatorio.

Ebbene, la lettura che del presupposto è stata fornita può forse apparire eccessivamente

tranchante. La Corte sembra infatti ricondurre l’irragionevolezza a una questione statistica-

quantitativa, laddove riconosce essere «del tutto residuali e comunque occasionali» le situazioni in cui la Corte di cassazione può «direttamente incidere» sul compendio gravemente indiziario. Nella ordinarietà delle evenienze, viceversa, l’annullamento del provvedimento impugnato non è idoneo a disvelarne automaticamente l’oggettiva insussistenza poiché, da un lato, taluni elementi a carico potrebbero non essere stati adeguatamente soppesati dalla motivazione del provvedimento impugnato e, dall’altro, il giudice della cautela potrebbe avere male motivato una gravità indiziaria inconfutabile564.

Questo passaggio è stato ritenuto «l’argomento di minor pregio» dell’impalcatura motivazionale565, che qui pecca per eccessiva semplificazione. È ben vero che il più delle

volte il controllo in sede di legittimità si esplica secondo le cadenze descritte dal giudice delle leggi; tuttavia è anche agevole individuare spazi in cui potere riconoscere un differente approccio della Corte di cassazione al vaglio circa la gravità indiziaria. Torna alla mente, anzitutto, quanto affermato supra circa le ipotesi in cui la Suprema Corte rigetti un ricorso contro un provvedimento cautelare di merito che già abbia negato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza566. La stessa Corte costituzionale, d’altronde, riconosce espressamente

almeno un’ipotesi in cui il presupposto in esame si sarebbe inverato, laddove cioè venga esclusa «l’utilizzabilità di uno o più degli elementi indiziari valorizzati dal giudice di merito».

Allora, riuscendo l’interprete a individuare una sia pur minima area di operatività della disposizione, viene da chiedersi come mai la Corte abbia reputato di non considerare che «era a questo tipo di decisioni che il legislatore [...] guardava per introdurre un vincolo in capo al pubblico ministero»567, frequenti o meno che fossero nella prassi.

Simili considerazioni, ci sembra, avrebbero potuto gettare una nuova luce sulla disposizione poiché, sotto questo profilo, un vulnus ai principi costituzionali sarebbe stato più arduo da ravvisare. Esso avrebbe dovuto muovere dall’opposto punto prospettico, ovvero dalla presa di coscienza dell’esistenza di una – più o meno ampia – area di effettiva applicabilità della disposizione per giungere a sostenere che, anche laddove la Suprema Corte avesse accertato direttamente l’assenza di gravità indiziaria, la scelta di condizionare il pubblico ministero all’inazione sarebbe comunque del tutto sfornita di ogni ragionevolezza. In esito però a un percorso argomentativo ben più complesso e articolato rispetto alle laconiche, e francamente un po’ contate, considerazioni riportate.

Al di là di quest’aspetto – forse in fin dei conti anche secondario, nell’economia complessiva della pronuncia – la stessa prende una posizione molto netta circa il vero tema sollevato dalla disposizione censurata, rappresentato dalla permeabilità del processo di merito alle conclusioni raggiunte nel cautelare. Tuttavia, a nostro parere, la decisione si pone

564

Cfr., per tutti, CAPRIOLI, Inchiesta penale e pregiudizio, cit., p. 19-20. 565

SANTALUCIA, L’incidenza del giudizio cautelare sulle decisioni del merito, cit., p. 3309. 566

CAPRIOLI, Inchiesta penale e pregiudizio, cit., p. 19. O, ancora, si pensi alle «ipotesi della pronuncia che rigetti il ricorso del pubblico ministero avverso l’ordinanza emessa dal tribunale in sede di riesame o di appello cautelare, che abbia revocato la misura coercitiva applicata dal giudice per le indagini preliminari», così ADORNO,

La richiesta «coatta» di archiviazione, cit., p. 51.

in un’ottica del tutto sorda a talune novità che, pur se indirette, ove adeguatamente valutate avrebbero potuto indurre il Giudice delle leggi a una correzione del tiro rispetto a taluni precedenti arresti.

La Corte ha, difatti, ricollegato il principio di c.d. “impermeabilità” a un «preciso fondamento logico-sistematico», poiché un segmento procedimentale connotato da cognizione sommaria e carattere accessorio non può proiettare vincoli e ombre sugli sviluppi di un processo a cognizione piena, rispetto al quale il primo è strumentale e servente. Tuttavia, la Corte ammette che detto principio rappresenta il riflesso «anche e soprattutto» dell’impostazione accusatoria del vigente codice, il quale ha riservato alla sola fase processuale l’accertamento della responsabilità dell’imputato e giunge a rinvenirne un esplicito addentellato nei principi del giusto processo di cui all’art. 111, co. 4 Cost. In quest’ottica, allora, l’esclusione di effetti condizionanti varrebbe – niente meno – che a «scandire, salvaguardandola, la distinzione tra la fase delle indagini preliminari [...] e quella del processo».

Sorvolando sul riferimento all’impostazione accusatoria del codice attuale, del quale il principio di impermeabilità costituirebbe connotato qualificante o ingrediente indefettibile568,

non si vede come riaffermare che la prova si formi solo nel contraddittorio dibattimentale tra le parti possa giovare a fare chiarezza sulla questione inerente al condizionamento. L’art. 405, co. 1-bis c.p.p. ha sì permesso una specifica osmosi tra i due mondi, ma l’ha ancorata a elementi (una precisa decisione in ambito cautelare e le valutazioni del pubblico ministero in punto di esercizio dell’azione penale) entrambi saldamente collocati nella fase procedimentale che, con i dettami del giusto processo, ha francamente poco a che spartire569.

Similmente, desta qualche perplessità la chiosa in punto di preservazione della distinzione tra le fasi, pre e post esercizio dell’azione. Come si è meglio analizzato nel Cap. I, la preoccupazione circa una reale cesura tra le fasi ha rappresentato la stella polare della stagione della codificazione; eppure, nessuno ha mai sostenuto che, per perseguire l’obiettivo, sarebbe stato indispensabile (anche) tenere ferma la “tradizione” dell’esclusione di ogni condizionamento da parte del giudizio cautelare, pur se via via irrobustito nella struttura e reso più pesante nelle forme. La impermeabilità delle due vicende è elemento, oltretutto, tipico di un modello processuale – quello repecito dal c.d. codice Rocco – tutt’altro che informato al principio di rigida separatezza tra le fasi.

Questa marcata evoluzione del rito forgiato nel libro IV del codice rende, tuttavia, evidente che le granitiche conclusioni – se mai di conclusioni è permesso discorrere – a cui si giunse nel 1988 furono adagiate su un sistema oggi profondamente innovato. L’autentico

punctum dolens risiede, allora, nel domandarsi se sia possibile ripensare criticamente il

dogma dell’incomunicabilità tra i due mondi nonostante le storiche differenze tra decisione

568

Anche se in realtà non risulta che, cogliendo e illustrando le distinzioni tra sistemi “tendenzialmente” accusatorio e inquisitorio, nessuno abbia mai ricondotto detto principio al primo archetipo. Cfr., ILLUMINATI, voce Accusatorio ed inquisitorio (sistema), in Enc. Giur. Treccani, I, Roma, 1988, p. 1 s.

Sorprende, anzi, notare come gli stessi argomenti – cognizione sommaria, carattere accessorio, strumentalità al processo di merito – fossero prodromici, vigente il codice Rocco, alla considerazione del procedimento incidentale-cautelare quale “mera parentesi”, processo “minore” e di “breve respiro”, cfr. IACOVIELLO,

Procedimento penale principale e procedimenti incidentali, cit., p. 2193.

cautelare e giudizio di merito – in ragione di una loro tendenziale omologazione in punto di parametri decisori e forme di esercizio della funzione570 – si siano vieppiù assottigliate.

Il processo di progressiva implementazione di garanzie e forme, cognizione e rimedi previsti in ambito de libertate – quel lungo cammino che ha portato gli interpreti a discorrere di «giusto processo cautelare»571 – rappresenta un elemento sintomatico della strisciante

trasformazione degli equilibri sistematici sui quali poggia l’intelaiatura del codice, acuendo l’impressione di trovarsi di fronte a uno snodo all’altezza del quale il legislatore, più

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