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Una prima opzione Dei pregi e dei difetti

La prima, e quanto ci risulta unica, tesi in dottrina cimentatasi con le tematiche oggetto del presente studio muove da un presupposto valoriale, prima che di metodo o di diritto: dietro ai rapporti tra incidente cautelare e processo di merito rischia di celarsi «una delle più clamorose truffe mai consumate ai danni dell’indagato detenuto»799.

L’adesione alla tesi tradizionale (e maggioritaria), cui si è dato ampio spazio retro, circa i rapporti tra subprocedimento incidentale e processo principale è veicolata quale forma

795 CERESA GASTALDO, Riflessioni de iure condendo, cit., p. 840.

796 Sia permesso il rinvio a MALERBA, Nessun controllo sull’azione penale in caso di domanda cautelare, in

Cass. pen., 2016, p. 4628 s.

797 Cfr. CAPRIOLI, Indagini preliminari e udienza preliminare, in Compendio di procedura penale, a cura di Conso-Grevi e Bargis, Padova, 2014,p. 518.

798 CANZIO, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2016, in

www.cortedicassazione.it/cassazione-

resources/resources/cms/documents/_Relazione_Primo_Presidente_AnnoGiudiziario_26_01_2017_.pdf, 26 gennaio 2017, p. 36.

massima di garanzia per l’imputato, protetto dal pregiudizio che fatalmente schiaccerebbe il giudice del dibattimento ove egli fosse permeabile agli esiti della cognizione cautelare.

Purtroppo, come si è accennato, grazie alla presenza nelle trame codicistiche di disposizioni quali l’art. 432 c.p.p. il giudice del merito è nella piena, legittima disponibilità di quegli atti sin dal momento in cui il fascicolo del dibattimento perviene presso la sua cancelleria.

In ossequio a tanta autonomia, quindi, si conseguono tre risultati, tutti opinabili a giudizio di chi scrive. In primis, il meccanismo descritto è tutto fuorché idoneo a prevenire e governare efficacemente il rischio che il giudice chiamato a pronunciare sul merito dell’accusa sia pregiudicato dalla previa conoscenza – per certi versi, obbligata – di fondamentali atti d’indagine.

In secondo luogo, forse paradossalmente, l’imputato è posto in una posizione addirittura deleteria rispetto a quella che avrebbe vissuto sotto l’impero del vecchio codice e della giurisdizione del giudice istruttore: in quel sistema, infatti, il giudice del dibattimento conosceva sì gli atti generati anteriormente, ma quelli rivestivano – per lo meno – piena e autentica natura giurisdizionale, per essere stati formati alla presenza di un giudice e non di un investigatore di parte.

Infine, per quanto attiene al terzo e ultimo protagonista del rapporto triadico, il pubblico accusatore, il riflesso del principio di autonomia si esplica in una libertà d’azione nell’instaurare il giudizio di merito che francamente lascia perplessi alla luce dell’art. 112 Cost.800. La lente focale è talmente schiacciata sulla asserita – ma tutta da dimostrare, ci sia

concesso – garanzia dell’indagato, da distorcere, in un gioco di rifrazione, ciò che accade nel campo della parte contrapposta. Non accade nulla; il sistema non reagisce in alcun modo all’attivazione, da parte del pubblico ministero, del potere cautelare.

La proposta avanzata, dunque, si caratterizza per essere animata dal fine prioritario di ridurre le tempistiche per i processi con imputati detenuti e si propone di incidere, prioritariamente anche se non esclusivamente, sui tempi dell’azione penale in tutte le eventualità in cui il subprocedimento cautelare sia stato attivato con successo, indipendentemente dalla sua tenuta presso il tribunale del riesame801.

Tirando le fila di molti degli argomenti approfonditi nel corso del presente studio, si può allora tentare di pervenire a qualche conclusione. Se il processo al detenuto dev’essere instaurato celermente, postulando l’art. 112 Cost. anche un dovere di ragionevole tempestività nella coltivazione dell’azione; se ci si giova degli approdi cui parte della dottrina e della giurisprudenza è pervenuta in merito alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza si può allora giungere a ribaltare la prospettiva sviluppata dal legislatore del 2006 e ragionare in termini speculari, ma parimenti “condizionanti”.

Si può, cioè, correttamente rimarcare che gravità indiziaria e sostenibilità dell’accusa rimandino a concetti non interamente sovrapponibili, come la vicenda dell’art. 405, co. 1-bis

800 GIOSTRA, Una norma in “difficoltà di senso”, cit., p. 343 secondo cui «se gli elementi acquisiti fanno presumere al pubblico ministero che, anche a seguito delle possibili integrazioni che lasciano già intravedere, potrà sostenere con successo l’accusa, deve promuoverla».

Spunto interessante in DOMINIONI, Misure cautelari personali, in Commentario del nuovo codice di

procedura penale, dir. da Amodio-Dominioni, III, Giuffré, 1989, p. 5 secondo cui il giudizio prognostico di

probabile condanna, presupposto per il legittimo esercizio del potere cautelare, «è lo stesso giudizio che si ritrova nell’atto di imputazione e che quindi presiede all’inizio dell’azione penale». Lo stesso A., a p. 6, specifica anche che il superamento del guado dell’udienza preliminare non equivale, automaticamente, a dare «senz’altro per sussistente il requisito dei gravi indizi».

c.p.p. ha lucidamente insegnato, ma crea disorientamenti sostenere che trattasi di valutazioni del tutto eterogenee802: α (presupposti cautelari) e β (sostenibilità dell’accusa) sono

valutazioni autonome, perché la mancanza del primo non condiziona il secondo, così come la presenza di β non condiziona α. Allora, si desume tradizionalmente, anche la presenza di α non condiziona β.

Tuttavia, la conclusione sarebbe logicamente corretta soltanto se fosse dimostrato che i due fattori sono in relazione biunivoca. Assunto che nessuno ha mai affermato.

Si può, evidentemente, esercitare l’azione penale – e questa superare anche il guado dell’udienza preliminare – senza la previa valutazione in sede cautelare della gravità indiziaria, ma non può essere vero anche il contrario: non può cioè esservi azione cautelare – nei termini impegnativi postulati dalla giurisprudenza di legittimità a sezioni unite – senza che, parimenti, sia possibile formulare un’imputazione e sottoporla al giudizio di sostenibilità803. Ciò in quanto il giudizio di gravità indiziaria è connotato da «ben altra

consistenza qualitativa e quantitativa rispetto alla regola iuris propria del rinvio a giudizio»804.

Laddove, in altri termini, la condanna appaia altamente pronosticabile al rappresentante della pubblica accusa, con pari giudizio dell’autorità giurisdizionale deputata ad autorizzare il sacrificio della libertà personale dell’indagato, alla parte – per quanto pubblica – non deve essere riconosciuta la libertà di tergiversare e non reputare ancora doverosa la formulazione di un’imputazione.

Il profilo da mettere a fuoco attiene, dunque, al rapporto tra azione cautelare e penale, declinato tuttavia non più in chiave negativa – di inazione, laddove manchino i gravi indizi – ma, all’opposto, in positivo, come possibilità di condizionare attivamente il pubblico ministero allorché sia stata disposta una misura cautelare (quantomeno di tipo custodiale) a un facere specifico ovvero a formulare l’imputazione entro un termine perentorio805.

Rinviando a quanto detto circa i rapporti tra azione penale e gravità indiziaria, preme ora sottolineare quello che è stato efficacemente definito uno «schizofrenico sdoppiamento di personalità del pubblico ministero»806: sicuro di sé e convinto della pregnanza e concludenza

degli atti raccolti, idonei a superare il severo scoglio cautelare, quando attiva il procedimento

de libertate; incerto, dubbioso e bisognoso di ulteriore tempo per completare le indagini e

ricercare riscontri, quando invece si tratta di dover esercitare l’azione penale nei confronti del detenuto. Eppure lo schema delineato dall’art. 292, co. 2 c.p.p. ricalca ciò che, a tutti gli effetti, può ben definirsi un capo d’imputazione807.

Se così è, invero, la misura cautelare «esige l’avvio del processo» perché la valutazione sottesa all’art. 273 c.p.p., se ricostruita nei termini noti, non può non racchiudere in sé il più blando requisito dell’idoneità degli atti a sostenere l’accusa in giudizio. Il pubblico ministero, avanzando la più impegnativa prognosi di colpevolezza a fini de libertate, non può essere lasciato libero di nascondere, dietro il paravento del più tenue parametro della sostenibilità dell’accusa in giudizio, altri e innominati intenti.

802 Così, invece, AMODIO-GALANTINI, Sull’illegittimità costituzionale del giudizio immediato custodiale, in

Dir. pen. cont. Riv. trim., n. 3, 2013, p. 48.

803 CERESA GASTALDO, Riflessioni de iure condendo, cit., p. 839. 804 Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2002, Vottari, cit.

805 In questo senso, appaiono non del tutto fondate le remore espresse da ADORNO, La richiesta «coatta» di

archiviazione, in Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio, a cura di Scalfati, Milano, 2006, p. 34.

806 In termini molto efficaci, CERESA GASTALDO, Riflessioni de iure condendo, cit., p. 839.

807 Di questo parere, oltre all’A. citato nella nota precedente, anche CAPRIOLI, Indagini preliminari e udienza

Ecco allora che – in aderenza al brocardo electa una via, non datur recursus ad alteram – il pubblico ministero dovrebbe essere sempre vincolato a non cadere in contraddizione con se stesso. Chiesta e ottenuta, nel momento che ritiene più opportuno per il soddisfacimento delle proprie strategie investigative808, la custodia in carcere dell’indagato, a questa dovrebbe

seguire invariabilmente la repentina chiusura delle indagini preliminari, con notifica del relativo avviso, la piena discovery di tutti gli atti raccolti e il pubblico accusatore prepararsi, entro un breve termine perentorio, a cristallizzare il capo d’imputazione al fine di sottoporlo al vaglio giurisdizionale dell’udienza preliminare.

In effetti, se la gravità indiziaria è autentica e «non è invece il riflesso deformato di apparenze o presunzioni»809, essa è idonea a garantire anche il pieno rispetto del favor actionis sottostante alla disciplina dell’archiviazione, come delineato dall’art. 125 disp. att.

c.p.p. e messo a punto dalla giurisprudenza costituzionale.

Infatti, laddove il pubblico ministero ritiene di disporre di elementi indiziari «gravi», sulla base dei quali innescare proficuamente il potere cautelare, non è razionale – né rispettoso di una declinazione moderna del canone di parità delle parti processuali, per lo meno nell’istante in cui viene leso il diritto fondamentale alla libertà personale dell’individuo – consentire che egli possa proseguire per mesi l’investigazione sul presupposto implicito di non essere ancora in grado di sostenere, utilmente, un’accusa in giudizio.

In questa prospettiva, un equo bilanciamento tra opposte esigenze, che tenga però conto della priorità assiologica assegnata al bene della libertà personale dall’art. 13 Cost., potrebbe rinvenirsi in una sequenza procedimentale dai ritmi serrati che costringa l’inquirente – ottenuta la carcerazione ante iudicium dell’indagato – a chiudere le indagini preliminari entro un termine assai ristretto, declinabile a giorni, quindi depositare il fascicolo e richiedere il rinvio a giudizio.

Ciò che conta, in ultima analisi, è solo che pubblico ministero e giudice della cautela concordino, per quel che qui rileva, sul quadro di gravità indiziaria; sarà compito dell’udienza preliminare – «filtro severo» delle imputazioni azzardate810 – garantire contro il

rischio di accuse prive del necessario sostrato indiziario, previa eventuale attivazione dei poteri di completamento istruttorio riconosciuti dagli artt. 421-bis e 422 c.p.p.

Questa tesi, dalla evidente portata innovatrice, si espone tuttavia a un’obiezione. La differenza tra i parametri evocati – indizi cautelari da un lato, elementi per sostenere l’accusa in giudizio dall’altro – si rinviene sul terreno qualitativo, più che su quello quantitativo. Non è, cioè, questione di quanti elementi occorrano per determinare i propri effetti giuridici o di quanto pregnanti e concludenti essi siano per formulare l’una valutazione o l’altra; il

discrimen attiene alla stabilità della piattaforma cognitiva sulla cui base la prognosi viene

effettuata.

La gravità indiziaria consta di un giudizio pur sempre condotto allo stato degli atti, ma (teoricamente) suscettibile di repentina smentita e soggetto a continua rivisitazione in virtù

808 Critico sul termine “strategie”, impiegato tuttavia dalla Corte costituzionale sin dal 1995 per descrivere i margini operativi dell’azione del pubblico ministero, NOBILI, La difesa nel corso delle indagini preliminari. I

rapporti con l’attività del pubblico ministero, in Il diritto di difesa dalle indagini preliminari ai riti alternativi,

Atti del convegno di Cagliari, 29 settembre – 1 ottobre 1995, Milano, 1997, p. 70. 809 CERESA GASTALDO, Riflessioni de iure condendo, cit., p. 836.

del progredire delle investigazioni, fluide per definizione811 (anche se la prassi, sovente, è nel

senso della presentazione al giudice per le indagini preliminari dell’intero fascicolo investigativo, in prossimità della conclusione delle indagini). Il pubblico ministero può dunque ben formulare, oggi, un apprezzamento di elevata probabilità di condanna dell’indagato, pur consapevole che, domani, il quadro indiziario potrebbe arricchirsi di nuovi elementi investigativi in grado di incrinare o addirittura sovvertire i precedenti approdi.

La valutazione sottostante al binomio azione/inazione è, viceversa, caratterizzata da un quadro investigativo tendenzialmente completo812 e, quindi, meno esposto a instabilità

fisiologica.

Costringere in ogni caso il pubblico ministero, indipendentemente dalle variabili del caso concreto, per ogni procedimento al cui interno abbia attivato la corsia cautelare a chiudere le indagini in pochi giorni e a formulare l’imputazione, così deprivandolo sempre del residuo arco temporale deputato al completamento delle stesse, può non essere opportuno ogniqualvolta sia ragionevolmente prevedibile un consistente, qualitativo scarto conoscitivo tra la piattaforma cautelare e il complessivo quadro investigativo di cui si potrebbe disporre a dibattimento.

Di questo fisiologico scarto, occorre tuttavia tenere debitamente conto se non si vuole correre il rischio di amputare di fatto l’indagine preliminare di una parte della propria durata e di permettere una ricostruzione eccessivamente formalistica del processo penale quale, forse, pura contesa.

3. Una seconda opzione: la rivalutazione dell’art. 3, co. 2 d. lgs. 20 febbraio 2006, n.

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