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L’archiviazione Logica del controllo giurisdizionale sull’inazione

l’introduzione, nell’art. 405 c.p.p., del comma 1-bis: infondatezza della notizia di reato e insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. – 4. Disposizione «in difficoltà di senso»: un interludio abnorme. – 5. Ortopedia necessaria: una norma (davvero?) tre volte irragionevole, ma con qualche futuro spiraglio.

1. L’archiviazione. Logica del controllo giurisdizionale sull’inazione.

Soltanto in esito a una lettura frettolosa e un po’ superficiale l’interprete potrebbe concludere che «la Carta costituzionale non dedica alcuna norma all’archiviazione»396. Sol

che si consideri, invece, che quest’ultima altro non è se non la faccia oscura dell’azione si possono trarre talune, non irrilevanti, considerazioni introduttive.

La prima, non banale, è che in un ordinamento ispirato al principio di legalità – tanto sostanziale ovvero “dei delitti e delle pene”, quanto processuale – «è sull’azione che cade l’accento»397, nel senso che se l’azione dev’essere, almeno tendenzialmente, la regola ne

consegue che l’archiviazione si ritaglia il ruolo di istituto eccezionale398.

Il secondo corollario, fondamentale ai fini di un corretto inquadramento sistematico dell’istituto, è rappresentato dalla considerazione, unanime in dottrina sin dall’approvazione del nuovo codice, secondo cui «l’archiviazione costituisce l’alternativa all’azione»399, in ciò

esaurendo le opzioni rimesse alla pubblica accusa400.

Rappresentando «una realtà “in negativo” dell’azione penale», i requisiti dell’una non possono che desumersi, specularmente, da quelli previsti per l’altra: in altri termini, «non è ammissibile che i presupposti dell’azione e quelli dell’archiviazione siano anche soltanto in parte sovrapponibili»401. Con ciò semplificando di molto il compito dell’interprete nel

ricondurre a sistema un istituto per molti versi uscito stravolto dalla codificazione, offrendogli la possibilità di impiegare, solo invertendoli, i medesimi parametri euristici.

396

GIOSTRA, L’archiviazione. Lineamenti sistematici e questioni interpretative, 2a ed., Torino, 1994, p. 7. 397

GIULIANI, Indagini preliminari e udienza preliminare, in Compendio di procedura penale, a cura di Conso-Grevi-Bargis, 8a ed., Padova, 2016, p. 553.

398

E come tale da interpretare rigorosamente, cfr. GIOSTRA, L’archiviazione, cit., p. 19, ma non può condividersi l’interpretazione per cui i casi riconducibili al fatto non costituente reato e alla non imputabilità del reo non risulterebbero archiviabili. Di questa opinione, CORDERO, Procedura penale, 9a ed., Milano, 2012, p. 430 e CAIANIELLO, voce Archiviazione, in Enc. dir., Annali, II, Milano, 2008, p. 66.

399

RUGGIERI, voce Azione penale, in Enc. dir., Annali, III, Milano, 2010, p. 131. In questo senso, si esprime praticamente tutta la dottrina. Si v., a titolo esemplificativo, CAPRIOLI, L’archiviazione, Napoli, 1994, p. 328 e 337; GREVI, Archiviazione per «inidoneità probatoria» ed obbligatorietà dell’azione penale, in Riv. it. dir. proc.

pen., 1990, p. 1280; NOBILI, La nuova procedura penale. Lezioni agli studenti, Bologna, 1989, p. 71 e 89; CORDERO, Codice di procedura penale commentato, Torino, 1992, p. 58 s.; NEPPI MODONA, Indagini preliminari

e udienza preliminare, in Profili del nuovo codice di procedura penale, a cura di Conso-Grevi, Padova, 1991, p.

321. 400

DOMINIONI, Chiusura delle indagini preliminari e udienza preliminare, in Il nuovo processo penale. Dalle

indagini preliminari al dibattimento, Milano, 1989, p. 59.

La specularità degli istituti discende da un preciso modo di interpretare il principio di obbligatorietà dell’azione penale di cui al pur «laconico precetto dell’art. 112 Cost.»402.

In armonia con l’opzione interpretativa maggioritaria, il legislatore del 1988 ha delineato un sistema che vincola il pubblico ministero a esercitare l’azione penale non già automaticamente403, in conseguenza cioè della mera ricezione di una notitia criminis, bensì

soltanto quando ricorrano i puntuali presupposti stabiliti dalla legge, ancorati, in via di prima approssimazione, alla fondatezza della notizia404.

Ogni lettura opposta, anche soltanto dubitativa sul punto, oltre a relegare a una pericolosa irrilevanza l’istituto che qui si esamina, assegnerebbe all’art. 112 Cost. un obiettivo tanto a esso estraneo quanto utopistico: voler, cioè, assicurare l’intervento giurisdizionale su ogni

notitia criminis405.

Procedendo nello sviluppo dell’indagine, si può apprezzare la messa a fuoco di un ulteriore profilo di sicuro pregio sistematico. Nonostante la dottrina maggioritaria fosse concorde nell’affermare la natura doverosa, per il pubblico ministero, di procedere alla richiesta di archiviazione ove ne ravvisi i presupposti406, a oggi si lascia preferire la tesi

opposta secondo cui «l’esercizio avventato della potestas agendi non fa scattare alcun meccanismo sanzionatorio di natura processuale»407. A tale conclusione si perviene non tanto

402

GIULIANI, Archiviazione della notizia di reato e istanze di deflazione processuale, Torino, 2017, p. V. Sul dibattito in Assemblea Costituente, si v. NEPPI MODONA, Art. 112, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, La magistratura, Bologna, 1987, p. 43 s. La formulazione, pur estremamente concisa e forse un po’ tranchant della disposizione, rinviene la propria origine storica in un «giudizio negativo circa l’uso che, durante il regime fascista, era stato fatto del principio di discrezionalità, anche per effetto di forti condizionamenti di tipo politico», così GREVI, Rapporto introduttivo su «diversion» e «mediation» nel sistema penale italiano, in

Rassegna penitenziaria e criminologica, 1983, p. 47. Sulla stessa lunghezza d’onda, cfr. CHIAVARIO,

L’obbligatorietà dell’azione penale: il principio e la realtà, in Cass. pen., 1993, p. 2665 s.

Non costituirà oggetto del presente contributo l’analisi circa la labilità, di fatto, dei confini tra obbligatorietà e discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, largamente dipendente da variabili non soltanto giuridiche, ma altresì istituzionali, culturali e burocratiche. Per spunti in tal senso, si v. per tutti NOBILI, Accusa e burocrazia.

Profilo storico-costituzionale, in Pubblico ministero e accusa penale. Problemi e prospettive di riforma, a cura di

Conso, Bologna, 1979, p. 89 s. e DOMINIONI, voce Azione penale, in Dig. pen., I, 1987, p. 409 s.

403 ALONZI, Contenuti e limiti del controllo giurisdizionale sull’inazione del pubblico ministero, in Riv. it.

dir. proc. pen., 2006, p. 958.

404

Cfr., CAPRIOLI, L’archiviazione, Napoli, 1994, p. 330 e GIOSTRA, L’archiviazione, cit., p. 8, il quale specifica che «l’art. 112 Cost. non dispone che il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare sempre l’azione

penale, bensì che il pubblico ministero ha sempre l’obbligo (e non la facoltà) di esercitare l’azione penale:

sottinteso, quando ne ricorrono i presupposti». Il corsivo è tratto dall’A.

405 Obiettivo utopistico, come si è detto, dunque «pericoloso: quando la norma ignora la realtà, è fatale che ne resti ignorata», così GIOSTRA, L’archiviazione, cit., p. 8. Sulla stessa lunghezza d’onda, GIULIANI, La regola di

giudizio in materia di archiviazione (art. 125 disp. att. c.p.p.) all’esame della Corte costituzionale, in Cass. pen.,

1992, p. 250 e CAPRIOLI, L’archiviazione, Napoli, 1994, p. 330.

Sull’annosa tematica della “selezione” delle notizie di reato e sul fallimento dell’obbligo di esercizio dell’azione penale si è scritto moltissimo. Si v., a titolo di esempio, Considerazioni sui profili di rilievo

processuale del principio di obbligatorietà dell'azione penale a vent'anni dalla riforma del codice di procedura penale, in Cass. pen., 2010, p. 404 s.; in un’ottica correttamente intesa a difendere il valore, giuridico e politico,

dell’art. 112 Cost., CERESA GASTALDO, Dall’obbligatorietà dell’azione penale alla selezione politica dei

processi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2011, p. 1415 s.; CHIAVARIO, L’obbligatorietà dell’azione penale: il

principio e la realtà, cit. e VICOLI, Scelte del pubblico ministero nella trattazione delle notizie di reato e art. 112

Cost.: un tentativo di razionalizzazione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, p. 251 s. e in particolare p. 255.

406

Si v. DOMINIONI, Giudice e parti nell’udienza preliminare, in L’udienza preliminare, Atti del convegno dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale, Urbino, 20-22 settembre 1991, Milano, 1992, p. 78 e GREVI, Archiviazione per «inidoneità probatoria», cit., p. 1281.

407

CAPRIOLI, L’archiviazione, cit., p. 332, secondo cui, condivisibilmente, «se il pubblico ministero dispone o richiede il rinvio a giudizio in difetto delle condizioni stabilite dalla legge, l’ordinamento non “reagisce” né con una comminatoria di invalidità dell’atto propulsivo... né consentendo al giudice di “trasformare” l’azione in

per via di ardue operazioni esegetiche condotte in seno all’art. 112 Cost., bensì facendo leva sull’assenza di meccanismi reattivi previsti positivamente dal sistema, ispirato anzi a un marcato – per lo meno nella fisionomia originaria – favor actionis408. Con il che, allora, si

deve avere ben chiaro che in tanto si può discorrere di dovere, per il rappresentante dell’accusa, di non agire e cioè di determinarsi per l’esito archiviativo soltanto a condizione che si tenga presente che la sua violazione è del tutto improduttiva di effetti sul piano giuridico, risolvendosi il comando in un mero «modello legale di comportamento»409.

Parafrasando un autorevole interprete, non può quindi definirsi tecnicamente invalida l’azione penale promossa da quel pubblico ministero che voglia «farsi dare torto»410.

Alla base di questo tema si staglia una disputa circa la concezione dell’archiviazione, dai riflessi tutt’altro che sterili.

V’è, infatti, la tendenza a scorgere in questo istituto i tratti fisiognomici della vecchia sentenza istruttoria di proscioglimento dotata, innanzitutto, del connotato della giurisdizionalità. Da questa premessa discenderebbe non soltanto la supposta doverosità della richiesta di non agire411, ma anche lo sprigionarsi, dal provvedimento archiviativo, di

effetti preclusivi equiparabili a quelli dell’odierna sentenza di non luogo a procedere412,

direttamente collegati al «carattere afflittivo delle indagini»413.

Secondo altra interpretazione, forse preferibile in quanto meno radicale, l’archiviazione – quale semplice “autorizzazione a non agire”414 – consta soltanto della pronuncia mediante la

quale si statuisce che non v’è nulla da decidere pena, altrimenti, il «sovvertimento delle gerarchie costituite dal nuovo codice (vale a dire, se non si vuole che, di diritto oltre che di fatto, la fase delle indagini si veda attribuito il rilievo primario nel sistema del processo penale)»415.

Il risvolto più delicato di tale diatriba attiene all’attribuire o meno al provvedimento di archiviazione valenza preclusiva, in quanto ciò costituisce un chiaro sintomo di

inazione». Cfr., FERRUA, L’iniziativa del pubblico ministero nella ricerca della notitia criminis, in Legisl. pen., 1986, p. 315.

Su una linea del tutto opposta, invece, GIOSTRA, L’archiviazione, cit., p. 12, secondo cui per tale via si giunge a un inammissibile spazio rimesso all’opportunità dell’inquirente; principio bandito in questa materia, che si sostanzia nel potere legittimamente percorrere tanto la strada inattiva quanto quella dell’azione rispetto a una fattispecie concreta.

408

Corte cost., 15 febbraio 1991, n. 88, in Giur. cost., 1991, p. 586. 409

Ancora, CAPRIOLI, L’archiviazione, cit., p. 333. Che questa fosse, e sia, l’ottica del legislatore codicistico v’è traccia nella stessa architettura sistematica del nuovo codice: la sede, il momento deputato a “filtrare” le imputazioni azzardate è soltanto l’udienza preliminare. Da ciò si desume, scorso l’ordito codicistico in filigrana, che il “rimedio” previsto all’imputazione “azzardata”, formulata pur in presenza dei presupposti per l’archiviazione, si esaurisce nella scure della sentenza di non luogo a procedere. Così, CAPRIOLI, Inchiesta penale

e pregiudizio: l’archiviazione conseguente al rigetto della richiesta cautelare, in Inchiesta penale e pre-giudizio. Una riflessione interdisciplinare, a cura di Marchetti, Napoli, 2007, p. 26 e AMODIO, L’udienza preliminare nel

nuovo processo penale, in Verso una nuova giustizia penale, Milano, 1989, p. 86.

410

CALAMANDREI, La relatività del concetto di azione, in Riv. dir. proc., 1939, p. 40. 411

Doverosa, al pari dell’azione penale dalla quale mutua il carattere. Cfr., GIOSTRA, L’archiviazione, cit., p. 10, 12 e 23; GREVI, Archiviazione per «inidoneità probatoria», cit., p. 1281 e DOMINIONI, voce Azione penale, cit., p. 400.

412 GIOSTRA, L’archiviazione, cit., p. 99-100. Questa concezione, forse tacciabile di eccessiva rigidità, porta con sé notevoli implicazioni in tema di completezza delle indagini, principio su cui si avrà modo di tornare più avanti.

413 CAPRIOLI, L’archiviazione, cit., p. 463. 414

CAPRIOLI, L’archiviazione, cit., p. 477. 415 CAIANIELLO, voce Archiviazione, cit., p. 63.

giurisdizionalità del provvedimento. Tuttavia, a calare compiutamente questo portato nell’assetto codicistico del 1988 si rischia di scardinarne gli assi portanti.

Il legislatore ha, infatti, inteso fornire alle indagini carattere marcatamente non giurisdizionale e pre-imputativo (da qui, le opzioni circa l’abolizione del giudice istruttore, l’assenza di un imputato e di un’imputazione propriamente detta e lo spostamento dell’esercizio dell’azione penale al termine, e non già all’inizio, dell’investigazione); il problema, semmai, è che «rispetto all’istruzione sommaria non è affatto mutato il contenuto sostanziale delle indagini»416.

Anticipando conclusioni cui si perverrà nel prosieguo, si può però rilevare che la forza espansiva delle indagini preliminari – sin da subito caratterizzatesi per il principio di “tendenziale completezza” – è dipesa in via diretta anche da scelte compiute proprio in punto di archiviazione laddove, nel fissare la soglia probatoria per l’accesso alla fase dibattimentale, il codificatore si è assestato a un livello molto elevato, con ciò producendo due controindicazioni potenzialmente contra reum.

Da un lato, la formalistica sottrazione dell’inchiesta di parte dal perimetro della giurisdizione non ha impedito agli atti unilateralmente raccolti dall’inquirente di assumere peso e rilievo inusitati, nonostante l’argine eretto nel 1999 con la riscrittura dell’art. 111 Cost.417. Dall’altro, invece, lo «sviluppo ipertrofico delle investigazioni [...] ha accentuato

quei caratteri di sostanziale giurisdizionalità e processualità dell’indagine preliminare», così palesando una generalizzata fragilità – se non proprio un’inadeguatezza418 – dell’architettura

sistematica sorta dalla codificazione, esaurendosi in una privazione per l’inquisito delle garanzie giurisdizionali di cui pure beneficiava nella vecchia istruzione sommaria.

L’esito dell’assetto codicistico si coglie appieno proprio nell’ambivalenza del provvedimento archiviativo in punto di effetti preclusivi. Quanto detto si ricollega alla scelta fondamentale di innalzare la soglia di esercizio dell’azione penale, secondo standard e parametri nel tempo ulteriormente elevati419, sino a concepire come certamente legittima – e

forse anche pienamente opportuna – l’inazione chiesta e ottenuta in presenza di circostanze che renderebbero necessariamente operative le garanzie giurisdizionali420.

416 CAPRIOLI, L’archiviazione, cit., p. 481. Della stessa opinione, in vari scritti, NOBILI, Scenari e

trasformazioni del processo penale, Padova, 1998.

417

Già cinquant’anni fa, autorevole dottrina ammoniva circa la contraddittorietà di progetti di riforma miranti a irrobustire il dibattimento, quale sede centrale e privilegiata della giurisdizione, elevandone al contempo la soglia di accessibilità: un esercizio dell’azione penale troppo motivato comporta necessariamente un «soffocamento» della fase del giudizio, per potenziare la quale è invece opportuno fare precedere il rinvio a giudizio da una «semplice inchiesta di parte», snella, non fondata sul contraddittorio tra le parti, dettando regole di giudizio poco selettive per l’instaurazione del processo. Cfr., CONSO, Natura e funzioni del pubblico ministero, in Costituzione e processo penale, Milano, 1969, p. 552 s.

Si coglierà meglio in seguito il nesso tra innalzamento dello standard per l’esercizio dell’azione penale e “peso” di ciò che quel momento precede.

418

NOBILI, La nuova procedura penale, cit., 29. 419

Cfr., RUGGIERI, voce Azione penale, cit., 131 e 136. 420

È da condividere la tesi di NOBILI, La nuova procedura penale, cit., p. 241 ove afferma «molto opinabile [...] consentire una archiviazione anche dopo, ad esempio, un provvedimento di cattura. Se v’è sufficiente “materia” per catturare, come può non esservi “materia” per reputare integrato in ciò un esercizio dell’azione?». La domanda, suonata forse retorica per circa venticinque anni, giunge sino ai nostri giorni: v. CERESA GASTALDO,

Riflessioni de iure condendo sulla durata massima della custodia cautelare, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2014, p.

834 s. nonché, volendo, MALERBA, Nessun controllo sull’azione penale in caso di domanda cautelare, in Cass.

Eppure è proprio la tematica afferente alla preclusione, così come interpretata dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza di legittimità421, a svelare il cortocircuito dell’ordito.

«Con l’intento di frenare eccessi inquisitori, per espropriare l’organo di accusa del suo potere-dovere di esercitare l’azione»422, si è giunti a smuovere le fondamenta del sistema del

1988, pervenendo a (ri)attribuire alle investigazioni quella patente di giurisdizionalità – di cui l’effetto preclusivo costituisce senza dubbio una delle peculiarità più sintomatiche – che il codificatore ha cercato con «sforzo costante, e fin eccessivo, di esorcizzare»423. Il

confronto con la stabilità impressa dagli artt. 434-435 c.p.p. alla sentenza di non luogo a procedere424, per un verso, e la giusta considerazione secondo cui ragionare altrimenti

«significa introdurre una consistente limitazione di natura estrinseca all’operatività dell’obbligo sancito dall’art. 112 Cost.»425, per l’altro, dovrebbero allora sospingere

l’interprete a preservare il carattere non giurisdizionale dell’archiviazione e, per suo tramite, delle investigazioni che la precedono.

Si è detto che con il provvedimento di archiviazione la parte pubblica assume le proprie determinazioni in merito al non esercizio dell’azione – opzione esattamente speculare alla formulazione della richiesta di rinvio a giudizio426 – dal quale, per coerenza sistematica e

disciplina positiva, l’interprete dovrebbe allora muovere al fine di negare la propalazione di effetti preclusivi circa il successivo esercizio, per la prima volta, dell’azione427. Ragionare

421

Cass., Sez. un., 24 giugno 2010, Giuliani, in Cass. pen., 2012, p. 4053 s. 422

GIULIANI, Indagini preliminari e udienza preliminare, cit., p. 565. 423

GIOSTRA, L’archiviazione, cit., p. 14. Per concludere sul tema dell’effetto preclusivo dedotto dall’art. 414 c.p.p., «meglio, in definitiva, rimanere fedeli alla formulazione letterale [...] concludendo che con esso si è voluto predisporre un controllo sul riavvio delle indagini chiuse a suo tempo con l’archiviazione [...] Ne discende che l’unico effetto derivante dalla ripresa delle attività inquirenti in assenza del prescritto placet consiste nell’inutilizzabilità degli elementi rinvenuti, senza che il pubblico ministero possa dirsi privato della propria prerogativa istituzionale», così CAIANIELLO, voce Archiviazione, cit., p. 79; contra, invece, GIOSTRA,

L’archiviazione, cit., p. 99-101 e KOSTORIS, voce Riapertura delle indagini, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 355.

È pur vero che, così facendo, si finisce per lasciare sguarnito di adeguate difese l’indagato “colpito” dal successivo esercizio dell’azione penale, successivamente all’esito archiviativo del primo procedimento a proprio carico per il medesimo reato, ma quest’interpretazione – evidentemente non appagante totalmente – pare l’unica in grado di contenere entro ambiti fisiologici le rilevanti spinte centrifughe e asistematiche di cui si è detto, e ricucire il più possibile le pur presenti lacerazioni del tessuto codicistico.

424

CAPRIOLI, L’archiviazione, cit., p. 464 s. 425

CAPRIOLI, L’archiviazione, cit., p. 472. 426

ALONZI, Contenuti e limiti del controllo giurisdizionale sull’inazione, cit., p. 962; per CAPRIOLI,

L’archiviazione, cit., p. 307 ciò ha comportato «istituire un diretto collegamento tra la regola probatoria dettata

per il passaggio a giudizio e il principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale». 427

CAIANIELLO, voce Archiviazione, cit., p. 63. I più lucidi fautori di questa tesi sono CAPRIOLI,

L’archiviazione, cit., p. 317 s. 476 s. e CORDERO, Chi abusa del processo?, in Dir. pen. proc., 2007, p. 1423 s. La tematica, come è noto, è stata affrontata e risolta dalla Corte costituzionale, con sentenza 19 gennaio 1995, n. 27, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, p. 1371 s. con nota di CAPRIOLI, Archiviazione della notizia di reato e

successivo esercizio dell’azione penale.

Sentenza, per lo più, «criticata e criticabile» (GIULIANI, Indagini preliminari e udienza preliminare, cit., p. 565; ID., Archiviazione della notizia di reato, cit., p. 136 s.) laddove trascina l’istituto dell’archiviazione in una «crisi irreversibile di identità» (CAPRIOLI, L’archiviazione, cit., p. 476). Non potendo dilungarci su un tema di centrale rilievo – che condurrebbe l’analisi ben oltre i limiti imposti dalla pertinenza – ci si può però limitare a qualche considerazione maggiormente di sistema. Se è condivisibile l’argomento speso per giustificare l’equiparazione tra richiesta di archiviazione ed esercizio dell’azione, sub specie di effetti preclusivi, attinente alla tutela del cittadino colpito da potenziale accanimento persecutorio dell’autorità inquirente dopo avere visto la chiusura del primo procedimento a suo carico per il medesimo fatto di reato, è altrettanto innegabile che questa tesi muove da una premessa concettuale che rischia di giustificare una prassi degenerata ovvero «l’idea che il vero processo si svolga nelle indagini» (CAIANIELLO, voce Archiviazione, cit., p. 66).

diversamente implicherebbe, infatti, il riconoscimento – beninteso a livello positivo, giacché per via di mero fatto si tratta di un’acquisizione ormai pacifica – dell’«attuale spaventosa afflittività dell’inchiesta penale»428, giano bifronte rispetto al quale è diffusamente percepito

il bisogno di tutelare l’inquisito “come se” si trattasse di un soggetto nei cui confronti si sia esplicata la giurisdizione: intento di per sé né illegittimo né, forse, inopportuno, ma rispetto al quale dev’essere chiaro che il tessuto codicistico rischia di tendersi sino allo strappo429.

Si compia adesso un passo indietro. Se correttamente inteso, dunque, l’art. 112 Cost. permette di approfondire il ragionamento sin qui condotto. Pur non obbligato a optare per l’archivio – in difetto dei presupposti normativi per esercitare l’azione – il pubblico ministero, all’esito delle indagini preliminari, si dibatte tra le secche di un’alternativa

tranchant il cui esito, ove opti per l’inazione, «è da escludere che possa essere [una propria]

insindacabile prerogativa»430.

Non è, difatti, inutile riaffermare che delegare o rimettere al destinatario di un obbligo il potere di valutare la sussistenza, nel caso concreto, dei presupposti da cui lo stesso nasce equivale a trasfigurare l’obbligo in facoltà. Se la garanzia di un corretto esercizio dell’azione penale si può ottenere soltanto mediante l’attivazione di un effettivo controllo giurisdizionale sull’ipotesi di reato di cui si è già apprezzata la fondatezza, ne consegue che solamente a un

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