• Non ci sono risultati.

L E FORME DI INTEGRAZIONE IN AGRICOLTURA

2. Fusione fra più realtà aziendali allo scopo di creare un’unica impresa, vale

2.2.4. Distretti agro-alimentari di qualità e rural

I distretti rappresentano uno dei modelli di sviluppo che hanno caratterizzato il nostro Paese, e in particolare il Nord Est (Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Veneto, Emilia Romagna, Umbria, Toscana e Marche) a partire dagli anni settanta. La loro nascita è stata spinta e si intreccia con la crisi della grande impresa fordista e i relativi processi di decentramento produttivo e dispersione territoriale dell’industria, che determinano lo sviluppo di forme di industrializzazione diffusa basate sulle reti di piccole imprese e sulla specializzazione flessibile che sostituiscono il modello della produzione standardizzata e di massa. Oltre che per l’organizzazione e la specializzazione flessibile dei sistemi produttivi, le forme di industrializzazione diffusa si caratterizzano per gli intensi legami con il territorio di insediamento e, in particolare, con il patrimonio di abilità, competenze e conoscenze specifiche dei contesti socio-istituzionali locali.

Il distretto industriale si contraddistingue per la presenza di tre elementi intrecciati:

- una popolazione di imprese specializzata su attività manifatturiere radicate nel territorio. Si tratta di imprese interdipendenti, che cooperano tra di loro nell’ambito dello stesso processo produttivo e la cui competitività si basa sulla generazione e diffusione all’interno del sistema locale di economie esterne e di agglomerazione

- una comunità locale, contraddistinta da un peculiare sistema di valori e relazioni sociali (come propensione alla cooperazione e spirito

imprenditoriale) che condiziona il comportamento e il successo delle imprese locali

- un territorio, inteso come insieme di fattori sociali, culturali e istituzionali (contesto socio-istituzionale) e che favorisce anch’esso lo sviluppo imprenditoriale locale attraverso la produzione di beni pubblici e collettivi15 (Becattini, 1989).

Il fenomeno dei distretti ha trovato codifica con la Legge n. 317 del 1991, che ha proceduto all’identificazione dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali16. La definizione di distretto agro-alimentare corrisponde in

linea di massima a quella dei distretti industriali istituiti dalla Legge n. 317/91 (art. 36 modificato dall’art. 6 della Legge n. 114/99), che attribuisce lo stato di distretto ai territori in cui si riscontra:

- una elevata concentrazione di imprese prevalentemente di dimensioni medio – piccole

- una peculiare organizzazione interna del sistema produttivo - la specializzazione produttiva del sistema di imprese.

Già nel 1991 erano presenti 199 distretti, con una occupazione di più di 2 milioni di persone.

In alcune aree del Paese i fenomeni di concentrazione produttiva hanno coinvolto anche il settore agro-alimentare, spingendo l’evoluzione delle filiere agro-alimentari verso forme di sviluppo distrettuali.

15 Il distretto, e più in generale il modello dello sviluppo locale di cui rappresenta una delle

forme di realizzazione, fa riferimento ad un diverso concetto di territorio. Il territorio, infatti, non è più concepito solo come spazio fisico e geografico indifferenziato, ma assume una doppia accezione: specifica dotazione di risorse materiali e immateriali ed altrettanto specifica platea di attori socio-economici e istituzioni locali. Nelle nuove forme dello sviluppo locale, il livello e la qualità della crescita economica, dipendono, molto più che nel fordismo, proprio dalla qualità del contesto socio-istituzionale e delle risorse locali; ed il territorio, che incorpora tali fattori, diventa pertanto una vera e propria leva, cioè risorsa o al contrario ostacolo, per lo sviluppo (Cersosimo, 2001).

16 Il concetto di sistema produttivo locale si basa su quello di sistema locale del lavoro (SLL). Il

SLL è un livello territoriale sovra-comunale utilizzato per delimitare aree omogenee dal punto di vista economico e sociale. Esso descrive un micro-mercato del lavoro e, in particolare, gli spostamenti vita-lavoro all’interno di una determinata area. Il sistema produttivo locale è definito come sistema locale del lavoro che ha una percentuale di addetti nelle attività manifatturiere superiore alla media nazionale.

Il riconoscimento della distrettualità in agricoltura avviene formalmente, prima, con il Decreto legislativo n. 228/01 e, successivamente, con la Legge n. 80/05, che definisce:

− Distretti rurali, i sistemi produttivi caratterizzati da un'identità storica e territoriale omogenea derivante dall'integrazione fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali. − Distretti agro-alimentari di qualità, le aree produttive caratterizzate da

significativa presenza economica e da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agro-alimentari, nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale, oppure da produzioni tradizionali o tipiche.

Il concetto di distretto agro-alimentare chiama in causa direttamente le imprese agricole; il suo riconoscimento è inoltre specificatamente legato alla centralità, nell’ambito del sistema produttivo, di prodotti di qualità riconosciuti dalla normativa comunitaria e nazionale, fortemente radicati al territorio di produzione e che abbiano già dato vita a processi di sinergia e integrazione fra le attività economiche locali.

Del tutto originale è, invece, la definizione di Distretto rurale, il cui riconoscimento implica l’integrazione tra attività primarie e altre attività locali, la produzione di beni specifici, la dimensione territoriale omogenea, l’identità storica comune e la presenza di un contesto produttivo e istituzionale fortemente integrato e interdipendente, tutti elementi difficilmente misurabili e non definibili univocamente. È certo che il Distretto rurale nasce per dare “voce e vita” alle tante realtà rurali italiane lontane dai circuiti produttivi competitivi e che quindi possono contare, per innescare processi di sviluppo, soprattutto su strategie di valorizzazione delle risorse endogene.

Tornando al dettato normativo, esso si limita a definire le caratteristiche dei sistemi produttivi locali che possono essere ricondotti alla categoria

distrettuale, demandando alle Regioni le modalità di individuazione e di istituzione dei distretti rurali e agro-alimentari di qualità.

Diverse regioni, negli ultimi anni, hanno emanato una specifica normativa per il riconoscimento dei Distretti rurali e agro-alimentari di qualità. Fra esse: Lazio, Sicilia, Abruzzo, Calabria, Piemonte, Toscana, Veneto, Basilicata, Liguria.

Nei casi analizzati, il riconoscimento dei Distretti è finalizzato a promuovere e sostenere:

- la nascita di relazioni tra imprese

- le iniziative di promozione, innovazione dell'immagine del territorio - la concentrazione dell’offerta in una logica di filiera

- la promozione di attività conoscitive e informative finalizzate allo studio e al monitoraggio delle problematiche territoriali

- l'aggregazione e il confronto tra gli attori locali - il mantenimento e la crescita occupazionale

- la gestione integrata e partecipata delle politiche territoriali per migliorare la qualità del territorio

- la partecipazione degli organi distrettuali alla programmazione regionale. Nella tabella 6 sono riportati i Distretti agroalimentari e rurali italiani, ufficialmente riconosciuti, con indicazione della regione di appartenenza, della loro denominazione e della normativa di riferimento17.

17 La mappa comprende anche distretti non riconosciuti dalle normative regionali. Si è fatto

riferimento, in particolare, all’elenco di distretti individuati al 2005/2006 dalla Federazione dei Distretti Italiani, un’Associazione con funzioni di rappresentanza dei Distretti Industriali e Produttivi, supportata da Confindustria e Unioncamere.

Tabella 8 - I distretti agro-alimentari e rurali in Italia

Regione Riferimento normativo Denominazione

DGR n. 1444 del

28/07/03 Distretto agro-industriale del Vulture

Basilicata

DGR n. 855 del 12/10/04

Distretto agro-alimentare del Metapontino e dei Fondovalle irrigui

LR n. 21/05 Distretto agro-alimentare di qualità di Sibari

Calabria

LR n. 21/04 Distretto rurale montano del Pollino Occidentale Calabro

Lazio LR n.3/06 Distretto rurale Monti Cimini

Liguria LR n. 42/01 Distretto agricolo florovivaistico del Ponente Ligure

DGR n. 18-12449 del

10/05/04 Distretto floricolo del Lago Maggiore

DGR n. 35-6184 del

18/06/07 Distretto del riso

Piemonte

DGR n. 35-6184 del

18/06/07 Distretto agro-alimentare orticolo

Dec. ass. n. 5001 del

26/10/06 Distretto rurale vivaistico-ornamentale provincia di Pistoia

Dec. ass. n. 5002 del

26/10/06 Distretto floricolo interprovinciale Lucca-Pistoia

Toscana

DGR n. 549 del

3/06/02 Distretto rurale della Maremma

Fonte: Rete Leader, 2007

Gli elementi che hanno portato all’individuazione e al riconoscimento dei Distretti sembrano estremamente differenti tra Regioni, in quanto non esiste ancora una metodologia univoca di identificazione delle caratteristiche distrettuali. Alcune differenze, inoltre, si riscontrano tra i distretti agro- alimentari e quelli rurali. Mentre i primi si concentrano sulla valorizzazione di produzioni specifiche con forte radicamento territoriale: a titolo solo esemplificativo, l’industria delle bevande (vino e acque minerali) nel Vulture, le produzioni ortofrutticole nel Metapontino e nella piana di Sibari, il florovivaismo nei distretti del Ponente Ligure e del Lago Maggiore, i distretti rurali sono maggiormente orientati a perseguire strategie di sviluppo complessivo, sotto il profilo sia economico che sociale, del territorio rurale.

realtà territoriali riconosciute come distretto. I contenuti del Piano sono in genere rivolti, da un lato, alla trasparenza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella filiera produttiva e, dall’altro, al miglioramento delle condizioni di produzione. Nel caso dei distretti rurali, come quello ad esempio della Maremma, il Piano di sviluppo si configura essenzialmente come un programma di sviluppo territoriale, volto all‘individuazione di strategie di crescita generale dell’economia provinciale.

Le iniziative propriamente attivate dai distretti vanno lungo tre direttrici:

- promozione di progetti integrati di sviluppo delle aziende, che di solito fanno capo a contributi regionali, nazionali e comunitari per la crescita della competitività del settore agro-alimentare

- attività di formazione e di trasferimento tecnologico che vedono il coinvolgimento di Enti di ricerca e Università

- promozione di politiche di valorizzazione commerciale che vanno dalla promozione di politiche di qualità, alla creazione di marchi commerciali o al marketing vero e proprio.

Le modalità di attuazione, la disciplina di riconoscimento e le finalità di individuazione pongono il distretto agricolo come forma di governance sia territoriale, sia economica.

La costituzione e quindi il riconoscimento di un distretto partono dall’iniziativa degli operatori economici. Uno o più soggetti stimolano, infatti, un processo consultivo e concertativo teso a coinvolgere gli altri attori interessati: Enti locali e altre pubbliche amministrazioni, sindacati, rappresentanti delle categorie imprenditoriali, istituti di credito, ecc.. A tale processo segue la richiesta ufficiale di costituzione del distretto che prevede la presentazione di un Progetto di Sviluppo settoriale o locale e del partenariato sottoscrittore di tale progetto. Il riconoscimento, a seconda della normativa regionale, viene fatto dalla Regione o dalla Provincia. La soluzione, se prevista, dalle normative regionali per la gestione del distretto è rappresentata dalla

costituzione di Comitati di distretto composto dai diversi attori socio- istituzionali locali coinvolti.

La normativa regionale relativa ai distretti agro-alimentari e rurali è pienamente in linea con quella dei distretti industriali. Essa prevede quindi la partecipazione degli imprenditori e di tutti quei soggetti che in qualche modo possono contribuire allo sviluppo dell’attività produttiva. Naturalmente è prevista anche la partecipazione delle organizzazioni professionali agricole e agro-alimentari in qualità di rappresentanti dei produttori. Il distretto rurale prevede una maggiore partecipazione delle componenti sociali, essendo caratterizzato da finalità di sviluppo che riguardano la comunità locale in senso ampio e non spiccatamente produttive.

I punti di forza dell’esperienza distrettuale sono molteplici. In particolare, la creazione di distretti favorisce:

- la creazione di relazioni (reti) sistematiche tra aziende, riguardo a prodotti, processi di produzione, tecnologie, fabbisogni produttivi, risorse umane e canali di distribuzione comuni e/o complementari

- la partecipazione delle aziende a processi di sviluppo complessivo del territorio

- la generazione di esternalità, alcune delle quali fortemente significative in un contesto economico in crescita: riduzione dei costi di transazione e di produzione (es.: costi di approvvigionamento), promozione della diversificazione produttiva, specializzazione e caratterizzazione dei servizi, professionalità, accesso a conoscenze e competenze, aggregazione di interessi e bisogni

- il potenziamento della relazioni tra imprese, rappresentanze economiche e sociali e soggetti

- il rafforzamento delle posizioni contrattuali dei produttori primari nei confronti del settore commerciale e industriale, accrescendo la garanzia reciproca sugli impegni di conferimento e acquisto

- lo sviluppo delle pratiche di concertazione tra gli interessi imprenditoriali e gli interessi della comunità civile, attraverso la rappresentanza degli Enti locali

- la creazione di strategie condivise di sviluppo imprenditoriale e territoriale - il rafforzamento della comunicazione tra produttori e soggetti intra

(trasformatori, commercianti, ecc.) ed extra filiera (Consorzi di Bonifica, credito, ricerca, servizi pubblici, ecc.)

- la creazione di opportunità per l’avvio di nuova imprenditorialità, in particolare nei segmenti intersettoriali poco sviluppati in ambito distrettuale.