• Non ci sono risultati.

L E FORME DI INTEGRAZIONE IN AGRICOLTURA

2. Fusione fra più realtà aziendali allo scopo di creare un’unica impresa, vale

2.2.2. Patti territoriali per l’agricoltura

I Patti territoriali rappresentano uno degli strumenti della Programmazione negoziata, politica economica avviata nel nostro Paese negli anni novanta. I Patti territoriali mirano a promuovere processi di sviluppo a livello locale, attraverso l’erogazione di finanziamenti per la realizzazione di interventi integrati sul territorio, di tipo infrastrutturale e per la creazione di nuove iniziative imprenditoriali.

I Patti territoriali hanno aperto una ricca stagione di politiche per lo sviluppo locale, assecondata fino ai giorni nostri, dall’evoluzione delle politiche dell’Unione europea e in particolare, come meglio descritto nel paragrafo successivo, dalla diffusione della progettazione integrata come approccio per l’utilizzo dei Fondi Strutturali comunitari. Superata la deludente esperienza dell’intervento straordinario e centralista del Mezzogiorno, si profilano infatti alcune novità fondamentali rispetto al passato. La prima è che la “funzione” di pianificare lo sviluppo non è più attribuita allo Stato centrale ma ai territori stessi, al fine di interpretare meglio i loro fabbisogni e le loro potenzialità di crescita, dal punto di vista economico e sociale. Il centro non scompare, ma sostiene e indirizza i livelli di governo locali (Regioni, Province, Enti locali), in

una logica di sussidiarietà e di decentramento istituzionale. La seconda novità è che a essere sollecitate non sono solo le istituzioni politiche ma l’intera società locale; vengono infatti promosse forme di collaborazione territoriale in cui numerosi soggetti, pubblici e privati, devono mobilitarsi e responsabilizzarsi per decidere e attuare le scelte dello sviluppo: imprese, organizzazioni degli interessi collettivi, associazionismo culturale e sociale. L’idea della Programmazione negoziata, con i sui strumenti d’intervento, è stata la chiave di risposta, da una parte, alla diffusione di un nuovo approccio ai processi di sviluppo economico, con una maggiore attenzione alla dimensione territoriale e, all’interno di essa, agli aspetti socio-istituzionali come fattori rilevanti per tale sviluppo; dall’altra al nuovo assetto istituzionale che andava prendendo forma in Italia incentrato sulla sussidiarietà d’azione tra Governo centrale e Regioni. Riguardo al primo aspetto un fattore rilevante è stata l’osservazione di alcune forme di sviluppo post-fordista diffuse nel nostro Paese come i distretti industriali e i sistemi di piccole imprese che hanno richiamato l’attenzione sul ruolo che può svolgere per lo sviluppo la presenza di un buon ambiente istituzionale e di capitale sociale e, più nello specifico, di forme di governance territoriale basate sulla cooperazione e relazioni di fiducia reciproca fra i diversi attori locali (imprese, istituzioni, comunità locali).

Il Patto territoriale è diventato operativo, nel 1996 con la Legge n. 662 che ne ha definito le modalità attuative. Sono così nati i primi Patti territoriali per lo Sviluppo detti anche Patti di prima generazione, riproposti nuovamente nel 1998 e nel 1999 (Patti di seconda generazione), e rivolti ai seguenti settori produttivi: industria, agro-industria, servizi, turismo e infrastrutture. A questi nel 1998 si sono affiancati i Patti Territoriali per l’Occupazione (PTO) cofinanziati dalla Commissione europea e destinati ad aree ad alto indice di disoccupazione. Infine, con la delibera CIPE nr. 127 del 1998, anche l’agricoltura ha potuto beneficiare di tale strumento. Il primo Bando aperto alle iniziative di questo settore è del 15 maggio 2000.

Il progetto si basa sull’individuazione di un’idea-forza per lo sviluppo dell’area di riferimento che crei sviluppo, occupazione e reddito attraverso la partecipazione della comunità locale che beneficerà dei contributi finanziari proposti.

Gli obiettivi del Patto hanno una natura duplice:

- economica: realizzare Programmi integrati pensati sui bisogni specifici dei territori interessati e su agglomerazioni e vocazioni produttive preesistenti

- socio-istituzionale: rafforzamento delle relazioni orizzontali tra istituzioni e altri attori socio-economici locali nell’affermazione di logiche di comportamento di tipo cooperativo (Cersosimo, Wolleb, 2001).

Per quanto riguarda i Patti territoriali per l’agricoltura, l’idea è quella di creare una comunità artificiale cui possano confluire il settore primario e quello agro-alimentare al fine di costruire percorsi condivisi di sviluppo e crescita.

I Patti territoriali approvati e attivi sono 223, 122 di tipo generalista (Patti di prima e seconda generazione), 10 per l’occupazione e 91 agricoli (tabella 3).

Tabella 5 – I Patti territoriali approvati in Italia

Nr.

Patti per lo sviluppo di prima generazione 12

Patti per lo sviluppo di seconda generazione 110

Patti per l'agricoltura e la pesca 91

Totale Patti Nazionali 213

Patti per l'occupazione 10

Totale Patti 223

Fonte: MEF e Rapporto annuale del DPS - 2005

I Patti Agricoli, a differenza di quelli generalisti e per l’occupazione, si concentrano nelle Regioni del Mezzogiorno (tabella 4).

Tabella 6 – I patti territoriali per l’agricoltura – principali dati (migliaia di euro)

Regioni Patti Nr. Iniziative imprenditoriali Nr. Investimenti infrastrutturali Investimenti complessivi Basilicata 1 97 16 47.596 Calabria 3 141 4 94.372 Campania 16 638 83 268.281 Molise 2 114 14 41.703 Puglia 11 900 34 426.813 Sardegna 9 451 25 135.657 Sicilia 25 1.276 81 684.502 Totale Mezzogiorno 67 3.617 257 1.698.924 Emilia Romagna 1 21 23.938 Liguria 2 33 12 19.898 Marche 2 72 7 67.656 Piemonte 6 144 9 45.914 Toscana 6 777 53 233.396 Umbria 2 126 31 39.022 Veneto 5 184 1 93.070 Totale Centro-Nord 24 1.357 113 522.894 Totale Italia 91 4.974 370 2.221.820

Fonte: MEF e Rapporto annuale del DPS - 2005

Nell’ambito di questa tipologia di Patto sono stati attivati poco meno di 5.000 interventi destinati alle imprese a cui si aggiungono 370 iniziative di carattere infrastrutturale.

L’iniziativa è stata di grande successo dal punto di vista della partecipazione. I Patti approvati sono 91 per un investimento pari a 2.221,8 milioni di euro. La Regione Siciliana è quella con il maggior numero di patti agricoli (25), seguono Campania e Puglia (rispettivamente 16 e 11 Patti). Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Lazio e Abruzzo sono le uniche Regioni che non hanno Patti.

Figura 3 – La localizzazione territoriale dei Patti per l’agricoltura e la pesca

A livello di singola iniziativa il territorio coinvolto è molto variabile, si va infatti da Patti che includono pochi comuni ad altri che coinvolgono interi territori provinciali.

Riguardo alle tipologie di investimento realizzate, i Patti agricoli si caratterizzano per la realizzazione di interventi che riguardano l’intera filiera produttiva

(produzione, trasformazione, commercializzazione). Sotto il profilo

strutturale, gli interventi funzionali allo sviluppo produttivo sono di tipo materiale e immateriale (strade, piattaforme di raccolta delle produzioni, servizi logistici, ecc.). Spesso l’Agenzia di gestione del Patto risulta aver avviato anche attività di formazione e informazione per l’innalzamento delle competenze coinvolte nell’attuazione dell’iniziativa.

Tra gli strumenti della Programmazione negoziata, il Patto territoriale si contraddistingue per la previsione di un soggetto, l’Agenzia di sviluppo, di natura pubblica o mista appositamente costituita, come responsabile e garante della realizzazione degli interventi e che ha spesso rappresentato una fucina per una promozione efficace dello sviluppo locale.

Più in generale l’attuazione del Patto territoriale si basa su un incisivo coinvolgimento, sulla concertazione e l’accordo fra diversi e numerosi attori

locali, pubblici e privati; gli accordi sono spesso formalizzati attraverso la stipula di un protocollo di intesa che riassume anche gli obiettivi di sviluppo perseguiti e proposti dal Patto. Oltre ai soggetti promotori, possono essere coinvolti nella sottoscrizione del protocollo e nell’attuazione del Patto altri soggetti pubblici locali: Regioni, Province, banche e finanziarie regionali, Consorzi di garanzia e di sviluppo industriale. La sottoscrizione del Patto vincola i soggetti sottoscrittori al rispetto di impegni e obblighi assunti per la realizzazione degli interventi di rispettiva competenza.

L’esperienza dei Patti territoriali a livello locale è stata estremamente differente con casi di assoluta eccellenza e fallimenti più o meno totali; è pertanto difficile far emergere considerazioni generali sul successo o il fallimento di questo strumento di policy. È possibile tuttavia individuare alcuni fattori positivi o critici che hanno caratterizzato le iniziative pattizie. Fra gli esiti positivi la grande mobilitazione di soggetti locali chiamati a partecipare alle scelte di sviluppo dei loro territori. I Patti hanno infatti rafforzato i rapporti istituzionali fra gli attori economici, sociali e istituzionali: sindacati, soggetti privati, istituzioni intermedie, organismi di rappresentanza. In molti casi i Patti hanno migliorato il contesto socio-istituzionale locale, incidendo sullo scarso spirito alla cooperazione e rafforzando la coesione sociale. Determinante, in tale ambito, anche la creazione di istituzioni intermedie, cioè l’Agenzia di sviluppo, con funzione di “facilitazione” dei processi di sviluppo imprenditoriale e di coordinamento tra i diversi partners coinvolti.

Meno positivi risultano essere invece gli impatti, in termini di qualità ed efficacia economica dei progetti di sviluppo realizzati. I Patti hanno avuto pertanto buoni risultati in termini di “processi” (socio-istituzionali), ma risultati meno positivi in termini di “prodotti” (output economici) (Cersosimo e Wolleb, 2006).

Le cause di tale insuccesso sono in prevalenza riconducibili a fallimenti e limiti delle istituzioni locali (governance) e centrali (government) coinvolte

nell’attuazione dei Patti territoriali. A livello centrale, le carenze maggiori hanno riguardato l’incertezza e l’instabilità della normativa sui Patti; la mancanza di meccanismi adeguati di valutazione delle iniziative con la conseguente proliferazione non mirata e selettiva delle risorse; l’assenza di cooperazione verticale con le istituzioni locali. A livello locale le criticità sono riconducibili soprattutto all’utilizzo opportunistico dello strumento pattizio da parte degli attori socio-economici, spesso finalizzato all’ottenimento di rendite particolaristiche e basato su processi di concertazione solo fittizia tra i soggetti coinvolti.