• Non ci sono risultati.

Cap 7: Il processo di internazionalizzazione delle PM

7.1 Le diverse prospettive

I processi di internazionalizzazione possono essere analizzati seguendo quattro principali prospettive che tendono a riconoscere in misura crescente le potenzialità di apertura internazionale delle imprese minori98:

1. La prospettiva economica;

2. La prospettiva per processi (o del gradualismo); 3. La prospettiva di rete;

4. La prospettiva Born Global;

97

Beamish P. W., The internationalization Process of Smaller Ontario Firms: A Research Agenda, “Research in Global Strategic Management: International Business Research for the Twenty-First Century” 1990, p. 77-92

98 Musso F., Strategie di internazionalizzazione fra economie distrettuali e filiere estese, “Sinergie Italian

43

7.1.1 La prospettiva economica

La prospettiva economica è stata già trattata nel Capitolo precedente. Riassumendo, essa comprende tre fondamentali approcci all’internazionalizzazione: l’approccio del vantaggio monopolistico, il cui contributo più importante proviene da Hymer (1974); l’approccio di localizzazione, all’interno del quale si rinviene il modello del ciclo di vita del prodotto di Vernon (1979); e l’approccio di internalizzazione, introdotto da Buckley e Casson (1976). Dall’integrazione di questi approcci scaturisce il paradigma eclettico di Dunning (1980). Le principali verifiche empiriche volte a verificare il grado di applicabilità di tali modelli alle PMI (Benevolo, 1998; Album, Strandskov, Duerre, 1994), hanno riscontrato come l’espansione commerciale rappresenti nella maggior parte dei casi lo stimolo principale all’internazionalizzazione, mettendo in evidenza la scarsità di risorse quale vincolo primario alla realizzazione di adeguati livelli di controllo sulla presenza all’estero. Ne emerge un profilo di impresa che possiede vantaggi competitivi che sfrutta attraverso la realizzazione di economie di scala a livello internazionale, ottimizzando con opportune scelte di localizzazione le leve del mercato oligopolistico.

7.1.2 La prospettiva per processi: il modello Uppsala

Con il gradualismo (Johanson, Vahlne, 1977; Czinkota, 1982; Cavusgil, 1980; Reid, 1983) si identifica un approccio incrementale delle imprese ai mercati esteri, non tanto e solo in relazione all’ampiezza geografica del raggio di azione, quanto in termini di coinvolgimento organizzativo, strategico e finanziario99. Secondo questa impostazione, la crescita internazionale accompagna la crescita dimensionale dell’impresa e si manifesta come un processo sequenziale che porta dal mercato domestico al mercato estero in conformità di un “processo di apprendimento”, mediante il quale l’impresa acquisisce conoscenza e impegna sempre più risorse in tale mercato (Johanson e Vahlne 1990, 1977; Cavusgil 1980; Bilkey and Tesar 1977). Il filone di ricerca orientato al processo sequenziale, si concentra sui fattori organizzativi interni, e comprende numerosi contributi letterari100. Qui, il modello Uppsala101 (Johanson e Wiedersheim-

99

Musso F., Strategie di internazionalizzazione fra economie distrettuali e filiere estese, “Sinergie Italian Journal of Management” 2006, Vol. 24, Fasc. 69, p. 61-85

100 Rientrano in tale filone: il modello del ciclo di vita di Vernon (1966); il modello ERPG (Vento,

Douglas, Perlmutter, 1973); il modello di innovazione (Rogers, 1962); il modello Uppsala (Johanson e Vahlne 1977, Johanson e Wiedersheim Paul, 1975). Armario J., Ruiz D., Armario E., Market Orientation

44

Paul, 1975) risulta emblematico. In base a tale cornice teorica, le imprese si internazionalizzano in conseguenza di decisioni incrementali successive. Tali decisioni sono limitate da due fattori: la mancanza di informazioni/conoscenze del mercato, e la scarsità di risorse102. Questi due fattori, a sua volta, creano incertezza103. Così, per ridurre al minimo i loro rischi, le imprese iniziano la loro internazionalizzazione scegliendo quei mercati più vicini che mostrano meno incertezza, per poi allontanarsi verso Paesi psichicamente più lontani104. Nasce qui il concetto di “distanza psichica”, definita così dalla letteratura economico-aziendale per evidenziare quei fattori che impediscono o disturbano il flusso di informazioni tra l’impresa e il mercato, quali: le differenze di lingua e di cultura, i sistemi politici, il livello di istruzione, il livello di sviluppo industriale, ecc. Per spiegare il carattere incrementale dell’internazionalizzazione, Johanson e Vahlne (1977, 1990) hanno perfezionato il modello, formulandone uno più dinamico, in cui il risultato di un ciclo di eventi costituisce l’input per il successivo105

. La struttura principale è data dalla distinzione tra106:

aspetti di stato: conoscenza attuale dei mercati esteri e impegno attuale commerciale (inteso come risorse impegnate sui mercati esteri)

aspetti di cambiamento: decisioni future di impegno di risorse e attuali attività in essere in ambito internazionale.

Si presume che la conoscenza attuale del mercato sia la base per le future decisioni di impegno che, a loro volta, portano ad un cambiamento nelle attività internazionali in essere dell’impresa. Queste attività aumentano l’impegno rispetto al mercato e inoltre offrono inoltre l’opportunità di incrementare anche la conoscenza dello stesso,

and Internationalization in Small and Medium-Sized Enterprises, “Journal of Small Business Management” 2008, Vol. 46, issue 4, p. 485-511

101 Il modello Uppsala evidenzia 4 stadi di sviluppo unidirezionale: 1) nessuna attività di esportazione; 2)

esportazione attraverso rappresentanti indipendenti (agenti); 3) costituzione di una filiale commerciale estera; 4) costituzione di un’unità produttiva. Andersen O., On the internationalization process of firms: a critical analysis, “Journal of international business studies” 1993, Vol. 24, n. 2, p. 209-231

102 Armario J., Ruiz D., Armario E., Market Orientation and Internationalization in Small and Medium-

Sized Enterprises, “Journal of Small Business Management” 2008, Vol. 46, issue 4, p. 485-511

103

L’incertezza dei mercati internazionali può derivare: a) da fattori non conosciuti (evoluzione demografica, dimensioni di un segmento di domanda consolidato, contesto normativo attuale); b) da fattori inconoscibili (dimensioni di un segmento di domanda latente, evoluzione di una filiera industriale, mosse dei potenziali entranti, evoluzione delle politiche commerciali, andamento valute). Dematté C., Perretti F., “Strategie di internazionalizzazione”, Egea 2003, p. 92

104

Armario J., Ruiz D., Armario E., Market Orientation and Internationalization in Small and Medium- Sized Enterprises, “Journal of Small Business Management” 2008, Vol. 46, issue 4, p. 485-511

105 Andersen O., On the internationalization process of firms: a critical analysis, “Journal of international

business studies” 1993, Vol. 24, n. 2, p. 209-231

106

45

attraverso l’esperienza diretta. In Figura 2, vengono rappresentati i concetti appena descritti nel paragrafo.

Figura 2: The U-Model

Fonte: Johanson e Vahlne (1990)

Il principale merito delle teorie gradualistiche è quello di aver sottolineato l’importanza dell’esperienza e della conoscenza come base di ogni processo di internazionalizzazione. Tuttavia, diversi studi hanno messo in discussione la validità di tali modelli, segnalando possibili comportamenti diversi, rispetto alla logica incrementale, nei vari stadi di internazionalizzazione (Dalli, 1995; Bell, 1995) e richiamando la possibilità che si manifestino comportamenti “per salti” (Lindqvist, 1991).

7.1.3 La prospettiva di rete

La prospettiva reticolare (Johanson e Mattson, 1988) interpreta i mercati come reti di relazioni fra imprese. Quest’ultime, avendo necessità di reperire una serie di informazioni, conoscenze e risorse distribuite fra i vari nodi del network, sviluppano tra

46

loro relazioni di lungo termine in modo di avere accesso a tutto ciò di cui hanno bisogno. Inoltre, non è poi raro che tra le stesse imprese si instaurano forme più o meno intense di controllo107. Anche questo modello percepisce la mancanza di risorse e conoscenze come un vincolo chiave nei primi stadi di apertura internazionale, e propone un approccio graduale soprattutto per le piccole imprese che hanno scarsa conoscenza dei mercati esteri. La rete però, supera l’eccessivo determinismo del gradualismo, riconoscendo che l’impresa, nella sua internazionalizzazione, non segue stadi univocamente determinati sotto il profilo organizzativo e strategico (Grandinetti e Rullani, 1992).

7.1.4 La prospettiva “Born Global”

Quest’ultima prospettiva rafforza le osservazioni critiche mosse ai modelli caratterizzati dalla visione deterministica del carattere di sequenzialità dello sviluppo internazionale, sottolineando come non necessariamente le imprese adottano approcci organizzativi coerenti con il loro grado di internazionalizzazione, né attraversano tutti i vari stadi del processo (Knight, Cavusgil, 1996). La prospettiva Born Global deriva dall’intervento della letteratura di imprenditorialità internazionale (IE) e contende che un’impresa può “nascere globale” (Rialp, Rialp e Knight, 2005; Andersson e Wictor, 2003; McDougall, Oviatt e Shrader, 2003; Kuemmerle, 2002; McDougall e Oviatt, 2000; Madsen e Servais, 1997; Knight e Cavusgil, 1996; Shane e McDougall; Shane e Oviatt, 1994)108, ovvero già con caratteristiche internazionali senza il bisogno di seguire un processo incrementale di apprendimento. Solitamente, tali peculiarità vengono associate alle imprese a tecnologia intensiva, in quanto costituite da Top Management Team e/o da imprenditori proattivi e innovativi, spesso in risposta ad un significativo passo avanti nei processi o nella tecnologia. McDougall, Shane e Oviatt (1994), sostengono che questa interpretazione sia valida, e in coerenza con le recenti tendenze che hanno caratterizzato questo fenomeno, quali: (1) il ruolo crescente dei mercati di nicchia; (2) i progressi tecnologici nei processi; (3) i progressi tecnologici nelle comunicazioni; (4) i

107 Secondo la prospettiva di rete, lo sviluppo internazionale dell’impresa può aver luogo in tre maniere

diverse: con la penetrazione, rafforzando le posizioni nelle reti in cui l’impresa è già esistente, l’estensione internazionale, stabilendo posizioni in nuove reti nazionali, l’integrazione internazionale, aumentando il coordinamento fra le posizioni dell’impresa nelle diverse reti nazionali. Musso F., Strategie di internazionalizzazione fra economie distrettuali e filiere estese, “Sinergie Italian Journal of Management” 2006, Vol. 24, Fasc. 69, p. 61-85

108 Armario J., Ruiz D., Armario E., Market Orientation and Internationalization in Small and Medium-

47

vantaggi inerenti alla piccola impresa (rapidità di risposta, flessibilità, adattabilità, ecc.); (5) i mezzi di internazionalizzazione (conoscenze, strumenti tecnologici, istituzioni, ecc.); (6) la crescita delle reti globali109.