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Cap.8: Le strategie di internazionalizzazione

8.5 Le strategie di sviluppo internazionale

Le strategie di sviluppo internazionale vengono sistematizzate sotto il profilo teorico144 a partire dagli anni ’50 e ’70, inizialmente grazie al contributo di Ansoff (1965) (Figura 8). L’autore sosteneva che le condotte strategiche di un’impresa dipendessero da due parametri: la missione e la tipologia dei prodotti. La prima, indica l’obiettivo che l’impresa si propone di conseguire offrendo i suoi prodotti in determinati mercati; la seconda, indica se l’offerta si basa su prodotti nuovi, o già esistenti.

Figura 8: la matrice Prodotto/Mercato di Ansoff (1965)

Fonte: Ansoff (1965)

Tale matrice, inserisce il processo di sviluppo internazionale, all’interno di due strategie145:

Sviluppo del mercato: strategia orientata all’aumento delle vendite tramite l’introduzione dei prodotti (attuali) in nuovi segmenti (dello stesso mercato geografico), l’utilizzo di una nuova rete distributiva, o l’espansione geografica in altri Stati;

144 Chionne R., “Modelli di governance e modelli di internazionalizzazione delle PMI”, Aracne 2005,

Roma

145 Chionne R., “Modelli di governance e modelli di internazionalizzazione delle PMI”, Aracne 2005,

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Diversificazione: strategia molto più rischiosa volta all’introduzione di prodotti (nuovi) in nuovi segmenti. Essa si suddivide in:

o Concentrica (aggiunta di attività nuove, complementari a quelle esistenti sul piano tecnologico o commerciale);

o Pura (aggiunta di attività completamente diverse a quelle tradizionali)

Le altre strategie (di sviluppo intensivo), sono invece perseguite dalle imprese che non hanno ancora sfruttato pienamente le opportunità dei loro prodotti nei mercati attuali. Nel 1974 Rumelt pose l’enfasi sulla diversificazione internazionale formulando la "International diversification theory". Egli sosteneva, che le imprese entravano in nuovi mercati attraverso l’acquisizione di imprese fornitrici o distributrici, come una sorta di integrazione verticale a monte o a valle, ma attuata con attori appartenenti a nuovi paesi146. Tale strategia, secondo Rumelt, portava all’ottenimento di performance migliori, ma implicava necessariamente uno sviluppo delle competenze manageriali. A partire dagli anni ’80, le strategie di sviluppo internazionale iniziarono ad essere studiate in merito alla loro dimensione globale, a seguito della forte spinta emergente della globalizzazione. Quest’ultima, venne inserita all’interno della sfera organizzativa delle imprese in quanto iniziò ad essere intesa non più solo come una strategia, ma come una vera e propria politica di marketing volta a ricercare e sfruttare posizionamenti maggiormente competitivi, in quanto rappresentativa del momento attuativo della stessa strategia147.

Successivamente, nel 1986 fu Porter ad analizzare il comportamento strategico delle imprese nei settori globali, sulla base di due dimensioni (Figura 9): la configurazione delle attività della catena del valore, e il coordinamento. La prima si suddivide tra "decentramento" (le attività vengono decentrate all'estero) e "concentrazione" (le attività vengono, in modo più elevato, concentrate nella stessa area che può essere il mercato domestico o no); il coordinamento invece, è inteso come grado di controllo che il manager centrale ha sui manager periferici: il livello del coordinamento comporterà una maggiore o minore autonomia dei manager periferici148.

146 Strategie di sviluppo internazionale, “www.inftub.com/economia”, 2016

147 Chionne R., “Modelli di governance e modelli di internazionalizzazione delle PMI”, Aracne 2005,

Roma

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Figura 9: Tipologie di strategie internazionali nei settori globali

Fonte: Porter M. E. – La competizione globale, Isedi 1987

All'incrocio fra coordinamento e configurazione troviamo le quattro strategie di internazionalizzazione149 analizzate da Porter:

1. Strategia multidomestica: la casa madre opera nei vari paesi in maniera indipendente attraverso una replicazione all'estero di unità operative simili.

2. Investimento Diretto Estero (IDE) coordinato: anche in questo caso si ha la replica della formula imprenditoriale, però c'è il coordinamento del manager centrale. 3. Strategia globale: le attività della catena del valore vengono lo stesso

decentralizzate, ma non replicate all'estero. L'ottica globale presuppone una "specializzazione" su una determinata attività definita "core factor", che vale la pena concentrare in un'unica area;

4. Strategia di esportazione con mercato decentrato: Porter ha trovato dei casi di imprese che concentravano tutto nel paese di origine decentrando solo il mercato. In realtà non era il mercato ad essere decentrato, bensì l'attività di vendita.

Durante gli stessi anni, la forte crescita della complessità ambientale, pose come elemento centrale delle strategie di impresa, l’ambito concorrenziale, definito “allargato” da Porter. Quest’ultimo sosteneva che la possibilità di un’impresa di sfruttare il vantaggio competitivo, non dipendesse soltanto dalla concorrenza diretta operante nel suo mercato, ma anche dal ruolo di altri fattori (forze): la minaccia di nuovi concorrenti; la minaccia di prodotti sostitutivi; il potere contrattuale dei clienti; il potere contrattuale dei fornitori (vedi Figura 10).

149 In realtà, più che strategie, sembrano modalità con cui le imprese organizzano le risorse in campo

71 Figura 10: Il modello delle 5 forze di Porter

Fonte: Porter M. E. (1982)

Definito l’ambito competitivo, le imprese sono tenute ad instaurare rapporti con le entità che lo popolano. Qui, entrano in gioco le competenze distintive150 (core factor) possedute dall’impresa, ovvero i modi con cui essa combina ed utilizza le risorse, tali da renderla quasi unica nel suo mercato; più queste sono complementari fra loro e più trasversalmente percorrono la catena del valore, tanto più il vantaggio competitivo che ne consegue, è duraturo e difendibile. Ambito competitivo e competenze distintive, sono le variabili in funzione delle quali determiniamo le linee strategiche percorribili dalle imprese (vedi Figura 11), che a sua volta dipendono dalle modificazioni dell’ambito competitivo stesso, indotte dalle nuove attività intraprese151

.

150 Le competenze distintive si distinguono in: tecnologiche (possibilità di sfruttare la tecnologia per

creare prodotti innovativi); di mercato (capacità di combinare le conoscenze nelle attività di mercato); organizzative (si combinano con quelle di mercato per creare la formula imprenditoriale di successo); finanziarie (legate alla creazione di utili finanziari); di general management (competenze di conduzione generale dell’impresa). Strategie di sviluppo internazionale, “www.inftub.com/economia”, 2016

151 Chionne R., “Modelli di governance e modelli di internazionalizzazione delle PMI”, Aracne 2005,

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Figura 11: Competenze distintive e strategie di impresa

Fonte: Calvelli A., “Scelte d’impresa e mercati internazionali”, Giappichelli G. Editore, Torino, 1998

Se l’incremento delle competenze distintive avviene in maniera discontinua (acquisizione di risorse diverse da quelle attuali), nel caso in cui le nuove competenze si aggiungono alle precedenti (patrimonio cumulato a somma positiva) si configura una strategia di diversificazione, mentre nel caso in cui le nuove risorse vanno a sostituire quelle del vecchio business (patrimonio cumulato a somma negativa o nulla) si configura una strategia di riconversione produttiva. Infine, la strategia di espansione si viene a formare quando aggiungo al patrimonio competenze non diverse da quelle già possedute, mentre la strategia di ricentraggio si focalizza sul core delle attività aziendali, andando ad eliminare quelle poco attrattive per l’impresa e per il mercato.