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Cap.8: Le strategie di internazionalizzazione

8.3 Le strategie di entrata nei mercati ester

I primi studi relativi alle strategie di entrata nei mercati esteri da parte delle imprese internazionali risalgono a Stopford e Wells (1972). Successivamente, nel corso del tempo è mancato un modello che facesse da “guida” nella scelta della strategia più opportuna da seguire. Pe semplificare l’argomento si può affermare che le strategie di entrata vengono formulate rispondendo ad alcune domande137:

WHY (perché): quali attività svolgere all’estero?; WHERE (dove): in quali mercati?;

WHEN (quando): con che tempistica entrare? Ci sono vantaggi per il first mover?; HOW (come): quali modalità di entrata scegliere?

La maggior parte degli studiosi si è concentrata sul “come”, individuando le varie modalità di entrata e le conseguenze per ognuna di esse. Si deve tener presente che la scelta di ingresso deve essere intesa come una “scelta di struttura”, quindi fa riferimento alla “forma”, se così possiamo dire, assunta dall’impresa per poter iniziare la propria attività in un altro paese. I ricercatori, hanno classificato le modalità di entrata nel mercato estero in base a tre parametri: il livello di controllo sull’atività svolta all’estero, l’impegno di risorse, e il livello di rischio. Canabale & White (2008) sostengono che le modalità di entrata possono essere suddivise in due categorie:

“Non equity”: rientrano in questa categoria le esportazioni e gli accordi contrattuali; “Equity”: joint venture (JV) e investimenti diretti all’estero (IDE).

137 Resciniti R., Fortuna D., Matarazzo M., Strategie e posizionamento nei mercati esteri – i percorsi di

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Le modalità di entrata influenzano tre importanti aspetti del processo di internazionalizzazione: l’intensità delle relazioni con gli attori del contesto (estero); il grado di controllo sulle variabili competitive (del mercato estero); l’appropriabilità dei risultati economici e strategici delle operazioni (estere). Inoltre, ogni tipologia di ingresso richiede un certo impegno finanziario che aumenta con la complessità organizzativa richiesta per svolgere l’attività all’estero. La modalità esportativa è quella che richiede un impegno minore dal punto di vista finanziario, e quindi può essere perseguita da un numero elevato di imprese. Molte di esse, in particolare quelle con meno esperienza, cercano attraverso l’esportazione, di instaurare un primo legame con il mercato estero, per poi puntare a crescere mediante la realizzazione di investimenti diretti, attraverso i quali possono radicarsi nel territorio (a patto che siano disposte a sostenere il massimo impegno organizzativo e finanziario).

8.3.1 Le esportazioni dirette e indirette

Le esportazioni si suddividono in dirette e indirette.

La prima tipologia, fa sì che l’impresa venda all’estero direttamente attraverso la propria struttura commerciale. A differenza della modalità indiretta, essa permette di essere più vicino al cliente finale (o comunque controllare l’operato dei distributori locali), e richiede un impegno finanziario ed organizzativo maggiore, oltre che sviluppate capacità gestionali. Le esportazioni dirette, possono essere realizzate attraverso cinque modalità:

a. La rete di vendita per l’estero: l’impresa può creare una rete di vendita con i propri dipendenti o con personale a collaborazione; gli agenti della rete ricercano i potenziali acquirenti, si occupano della comunicazione e della promozione, gestiscono le negoziazioni e offrono assistenza in fase di consegna del prodotto. a. L’ufficio di rappresentanza commerciale: creato quando l’impresa consolida la

sua presenza all’estero (o vorrebbe consolidarla), si occupa di analizzare il mercato locale inviando rapporti informativi alla casa madre, sviluppare relazioni con gli attori locali, organizzare le attività logistiche, e gestire le problematiche giuridiche e amministrative dell’impresa nel paese estero.

b. La centrale logistica: collocata in un luogo strategico a seconda di dove si trovano i vari mercati in cui opera l’impresa, ha l’obiettivo di ridurre i tempi di distribuzione dei prodotti nel mercato estero.

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c. La sussidiaria commerciale estera: autonoma sia a livello strategico che operativo, segue un programma concordato con la casa-madre. Ha una propria identità commerciale e genera un risultato economico che incide sulla

performance complessiva della controllante.

b. Il commercio elettronico: noto come “e-commerce”, è costituito dalle transazioni commerciali realizzate attraverso internet, e consente alle imprese di ridurre i costi e di svolgere l’attività distributiva senza spostarsi dalla propria sede.

Le esportazioni indirette invece, prevedono la gestione delle operazioni commerciali dell’impresa tramite la presenza di un operatore indipendente, collocato nel paese estero di riferimento. Il vantaggio di tale modalità sta nella possibilità di espandersi senza affrontare investimenti significativi o intraprendere cambiamenti organizzativi e produttivi. Tali operatori vengono comunemente indicati come “intermediari internazionali” e si differenziano l’uno dall’altro sia sotto il profilo giuridico che operativo. Le tipologie più comuni sono il buyer, il broker, l’Export Management

Company (EMC), le trading companies e i consorzi.

- Il buyer opera per conto e sotto le indicazioni delle imprese acquirenti interessate ad avere un contatto continuo con i fornitori di una precisa area geografica. - Il broker mette in contatto il produttore con un acquirente estero e fornisce

consulenza per rendere più agevole la transazione (opera sia dal lato delle esportazioni che delle importazioni).

- L’EMC è un’impresa commerciale che vende all’estero beni appartenenti a più produttori della stessa filiera, la cui offerta è quindi integrabile e non in concorrenza.

- Le trading companies sono società di acquisto e vendita merci, solitamente autonome e indipendenti ma che talvolta possono agire anche solo da intermediarie per conto di terzi, senza assumersi alcun rischio. Le loro caratteristiche variano in base al paese da cui provengono: di piccole dimensioni e con elevata specializzazione geografica e merceologica sono la maggior parte di quelle italiane.

- I consorzi per l’esportazione infine, sono utilizzati soprattutto dalle imprese più piccole, perché permettono di raggiungere una dimensione tale da rendere più convenienti e sostenibili economicamente le operazioni necessarie per operare all’estero. I consorzi (territoriali), offrono alle imprese il vantaggio di sviluppare

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un’identità territoriale, e in alcuni casi anche un proprio marchio che rende il prodotto riconoscibile all’estero.

8.3.2 Accordi e alleanze strategiche

Accordi strategici e alleanze strategiche sono spesso utilizzati come sinonimi, ma in realtà delineano138. Nell’accordo lo scambio è unidirezionale e dà origine ad un trasferimento di risorse in cambio di denaro; nelle alleanze invece, l’interesse verso le risorse dell’impresa partner è reciproco, quindi tutte le parti coinvolte sono interessate allo scambio. Le forme organizzative tipiche delle alleanze sono diverse e classificate in base alla funzione della catena del valore coinvolta: alleanze di ricerca e sviluppo, di approvvigionamento, di produzione, di distribuzione. Tutte queste forme, si differenziano in base al grado di complessità, la quale dipende dal tipo di risorse e competenze condivise (al livello più basso di complessità e di risorse condivise vi sono gli accordi di piggyback, seguono franchising, accordi di produzione, licensing, non

equity JV ed equity JV).

- Il Piggyback “è l’accordo mediante il quale l’impresa di produzione o di distribuzione estera (rider) si serve della rete distributiva di un’impresa locale (carrier) per commercializzare il proprio prodotto”139.

- Il Franchising è un sistema di vendita di prodotti e servizi, basato su una stretta collaborazione tra due imprese, il franchisor (azienda affiliante) e il franchisee (azienda affiliata), che sul piano giuridico e finanziario sono indipendenti e distinte. Il franchisor concede al franchisee il diritto di utilizzo della propria formula commerciale, compreso lo sfruttamento del suo know-how e dei propri segni distintivi; fornisce inoltre assistenza e altre prestazioni necessarie a far sì che l’affiliato gestisca la propria attività con la stessa immagine dell’affiliante. Il

franchisee utilizza l’insegna (e/o il marchio), le conoscenze, i metodi commerciali,

ecc. dell’affiliante, avviando in questo modo un’attività il cui rischio di insuccesso è piuttosto basso140.

138 Marchi G., Vignola M., “Fiducia e controllo nelle aziende internazionali: le imprese italiane e la sfida

dei mercati emergenti”, FrancoAngeli, 2014, p. 10

139 Silvestrelli S., “International Marketing Mix” , Esculapio 2008, p. 60 140

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- Il Licensing indica quelle attività in cui il titolare di una proprietà intellettuale141 (licensor), garantisce a un’altra parte (licensee) il diritto di utilizzo della stessa, dietro un determinato corrispettivo. Il licensing rappresenta una strategia d’entrata ideale per quelle imprese che detengono competenze e risorse competitive ma che non hanno la capacità organizzativa o finanziaria adeguata per sviluppare autonomamente la propria presenza all’estero.

8.3.3 Joint Venture

La Joint Venture (JV) è un accordo di collaborazione tra due imprese che integrano le proprie risorse produttive (tangibili e non), le loro attività e le loro capacità manageriali e operative per il raggiungimento di prefissati obiettivi condivisi. Le JV si distinguono tra contrattuali e societarie. Le prime hanno carattere temporaneo e vengono sciolte una volta raggiunti gli obiettivi prefissati. Le altre invece, hanno finalità strategiche e pervedono la costituzione di una nova società, di solito una S.p.A.. La JV permette all’impresa entrante nel mercato estero di usufruire delle infrastrutture del partner del paese locale (Chen & Messner, 2009) e sfruttare la sua conoscenza in relazione alla concorrenza, ai bisogni e ai gusti dei consumatori locali. In aggiunta, permette l’accesso a risorse finanziarie, ad uno sviluppo in comunanza del prodotto e ad ampi canali distributivi (Wilson, 2005). Il disaccordo sulle strategie da adottare, la mancanza di controllo reciproco sulla gestione, la mancanza di una politica decisionale chiara, la mancanza di meccanismi per risolvere le controversie e l’annacquamento dei profitti, sono invece gli svantaggi tipici della Joint Venture.

8.3.4 Gli investimenti diretti esteri (IDE)

Secondo le analisi di Hill & Jones (1998) si distinguono due tipologie di investimenti diretti: quelli destinati ad acquisizioni (Brownfield investment) e quelli destinati alla costituzione di una nuova società (Greenfield investment). Un’ulteriore classificazione degli IDE può essere determinata considerando la struttura dell’impresa produttiva. In questo caso si distinguono gli IDE orizzontali, verticali e conglomerali. I primi riguardano investimenti nello settore del paese d’origine in cui si opera, e vengono

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In base al tipo di proprietà intellettuale, esistono diverse tipologie di licensing. Ad esempio, il diritto d’uso di una tecnologia o dei brevetti è chiamato “technology licensing” o “patent licensing”, per il brand si avrà il “brand licensing”, per il personaggio di un libro o un cartone animato il “character licensing”. Battersby G., Simon D., Il manuale del licensing per licensor e licensee. Le regole fondamentali per massimizzare i profitti, FrancoAngeli 2013, p. 19-20

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effettuati per aggirare barriere tariffarie o per ottenere agevolazioni fiscali. Gli IDE verticali si riferiscono invece ad investimenti diretti alle fasi produttive del bene, e nella maggior parte dei casi vengono effettuati per ridurre i costi della produzione trasferendo all’estero le fasi più costose. Gli IDE conglomerali infine, combinano gli elementi di entrambi. Attraverso gli investimenti diretti esteri è possibile: ottenere redditività di lungo periodo; costituire contatti diretti con gli attori locali (clienti, fornitori, istituzioni, intermediari, ecc.); incrementare la performance globale sulla base dei vantaggi competitivi. Gli elementi critici di questà modalità invece riguardano: la necessità di un elevato impegno in termini di risorse e capacità; il costo, la complessità e la lunghezza del processo; il rischio e l’incertezza dell’alto investimento; la necessità di intense relazioni con particolari variabili sociali e culturali.