• Non ci sono risultati.

Divieto dell’abuso del diritto come criterio di controllo di meritevolezza

A tal punto, va allora esaminata l’argomentazione portata a sostegno da quella dottrina che qualifica l’abuso del diritto quale criterio di controllo di meritevolezza dell’esercizio dell’atto.

286 J. E

SSER, Vorverständnis und Methodenwahl in der Rechtsfindung. Rationalitätsgrundlagen Rechtlicher Entscheidungspraxis (Frankfurt am Main), 1972, trad. it. S.PATTI,G.ZACCARIA, Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto. Fondamenti di razionalità nella prassi decisionale del giudice,

intr. di P. Rescigno, Napoli, 1983, p. 134 s. sulla scia di H.G. GADAMER, Wahrheit und Methode, Grundzüge einer

philosophischen Hermeneutik, Tubinga, 1960, trad. it. Verità e metodo, Milano, 1972, p. 316 s. Nell'innestare la

precomprensione nell'ermeneutica giuridica, Esser sottolinea l'influsso esercitato dalle rappresentazioni finali della decisione sull'applicazione del diritto, vale a dire che «sono presi in considerazione in anticipo i risultati possibili e di essi si verifica la comprensibilità del testo». L'A. colloca nella precomprensione proprio tale operazione, la quale pertanto non avviene con “metodo”, in quanto com'è noto la precomprensione non è un concetto metodologico ma analitico descrittivo, è in altri termini una condizione esistenziale dell'interprete, che però pone una questione di metodo ossia come poterla controllare così da garantire l'oggettività dell'intendere. È, questo, il profilo del pensiero di Gadamer non colto o non accettato da Betti e che ha irrimediabilmente impedito che la loro polemica potesse se non giungere ad un punto di contatto per lo meno stemperarsi. Lo segnala L. MENGONI. A

proposito della teoria generale dell'interpretazione di E. Betti, L'ermeneutica giuridica in Emilio Betti, a cura di

V. Frosini, F. Riccobono, Milano, 1994, p. 153 s. e ora in Scritti. I. Metodo e teoria giuridica, a cura di C. Castronovo A. Albanese A. Nicolussi, Milano, 2011, p. 2 17 e ss.

287 L. M

ENGONI, Teoria generale dell'ermeneutica ed ermeneutica giuridica, Ermeneutica e dogmatica

giuridica. Saggi, Milano, 1996, p. 67.

288

J. ESSER, Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto, cit., 136-137.

289 Secondo F. P

IRAINO, Il divieto dell’abuso dl diritto, cit., p. 136, questa precisazione permette di ritenere superata l'obiezione secondo cui l'identificazione dell'abuso del diritto con l'idea della deviazione dallo scopo finirebbe per far scivolare l'abuso nell'eccesso dal diritto. In tal senso, E. NAVARRETTA, Il danno non iure e

l'abuso del diritto, Diritto civile, N. Lipari, P. Rescigno (diretto da), A. Zoppini (coordinato da), IV, L'attuazione dei diritti, III, La responsabilità e il danno, Milano, 2009, p. 261. Esce smentita l'idea che si possa prefigurare una

finalità intrinseca della situazione giuridica, ossia una volta per tutte data e ricavabile mediante un'operazione ermeneutica di carattere descrittivo.

290

In ciò si annida quel che appare come una forma di concettualismo nello schema di C. Restivo, Contributo ad una teoria dell'abuso del diritto cit., p. 184-185, il quale immagina che la valutazione della conformità della condotta all'interesse protetto dalla situazione soggettiva possa compiersi in ambiente astratto così da valutare la condotta «in sé e per sé, prescindendo da ogni considerazione attinente al modo in cui essa interagisce con le sfere giuridiche implicate. Il diritto soggettivo, in questa prospettiva, viene astratto dalla trama delle relazioni in cui concretamente vive, e viene assunto come entità isolata, avulsa dal contesto delle dinamiche intersoggettive il cui esercizio genera».

88

Secondo una prima impostazione, l'operazione ermeneutica attuata mediante il divieto di abuso del diritto si risolve in una scelta tra finalità possibili e conduce non tanto all'individuazione di quella più autentica alla luce del corretto metodo ermeneutico291, quanto piuttosto alla contestazione che quella in concreto realizzata dal titolare rappresenti, nel caso di specie, la più adeguata tra quelle perseguibili sulla base della situazione soggettiva, evidenziandone la divergenza rispetto ad una diversa e preferibile finalità predicata come la sostanza della disposizione normativa. Ciò avviene a causa degli effetti dell'atto di esercizio della situazione soggettiva che si vogliono scongiurare poiché comportano un’eccessiva gravosità per chi li subisce o delle particolari modalità della loro produzione292.

Tale dottrina fonda la propria impostazione sulla concettualizzazione dell'atto abusivo come una forma di sviamento dall'interesse protetto293, con la conseguenza che all'esercente la situazione soggettiva non si contesta un comportamento illecito ma si segnala che la

291

Esattamente il contrario di quanto sostiene la linea di pensiero che assegna al divieto di abuso del diritto il compito di selezionare i fini della situazione soggettiva con l'obiettivo di imporre al titolare l'esercizio secondo un criterio di normalità ossia perseguendo determinati fini tipici: così di recente G. MERUZZI, L'exceptio doli dal

diritto civile al diritto commerciale cit., p. 351, 364.

292

È corretto e convincente affermare, come fa A. GENTILI, L'abuso del diritto come argomento cit., p. 315, che il giudizio sull'abuso si risolve nell'analisi dell'aspetto funzionale dell'atto autorizzato, ma è forse eccessiva l'esclusione di qualsiasi ruolo all'aspetto strutturale, che invece, in alcune fattispecie concrete, offre un indice decisivo del fine perseguito dal titolare della situazione soggettiva.

293 Impostazione delineata da F. P

IRAINO, Il divieto dell’abuso del diritto, p. 142 e ss. Con riferimento allo sviamento dall’interesse protetto va ricordato che il contenuto del diritto soggettivo viene determinato dall’ordinamento sulla base di una valutazione a priori delle prerogative che, tipicamente, realizzano l’interesse cui si intende dare protezione, si veda U. NATOLI, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto, cit., p. 26. La concezione dell’abuso del diritto come sviamento dall’interesse è sostenuta, con alcune differenziazioni concettuali, da R. MÜLLER ERZBACH, L’abuso del diritto secondo la dottrina teleologica, in Riv. dir. comm, 1950, I, p. 89 e ss.; SALV.ROMANO, Abuso del diritto, cit., p. 166 e ss., V.GIORGIANNI, L’abuso del diritto nella teoria

della norma giuridica, cit., p. 181 e ss.; D. MESSINA, L’abuso del diritto, p. 166 e ss.; G. M. UDA, La buona fede

nell’esecuzione del contratto, Torino, 2004, p. 321 e ss.; M. ROBLES, Abuso del diritto, e dinamiche sanzionatorie nella prospettiva costituzionale; in Rass. dir. civ., 2009, p. 770 e ss. Diversamente, L. NIVARRA, Un dibattito

palermitano su illeciti atipici, in Europa e dir. priv., 2006, p. 1019 e ss. critica l’idea che l’esercizio del diritto

sottostia al vaglio di congruità ad un fine, sia pure tutto interno all’orizzonte valutativo della regola attributiva del diritto implica sempre. Inoltre, l’A. osserva che questo esito sarebbe incompatibile con la circostanza che l’attribuzione di un diritto implica sempre la strutturazione di una sfera di libertà qualificata dentro la quale l’Inhaber può agire indisturbato sia a quando non incontrerà un altro spazio giuridicamente pieno. In senso difforme, F. D. BUSNELLI; E. NAVARRETTA, Abuso del diritto e responsabilità civile, in Dir. priv., 1997, p. 186 e ss. per i quali il sindacato sotteso alla formula dell’abuso non consiste nell’accertamento di uno sviamento dall’interesse tutelato dalla norma, in quanto darebbe luogo solo ad un eccesso dal diritto, ma nel bilanciamento tra l’interesse perseguito dall’agente e l’interesse che questi ha leso con la sua condotta. L’abuso, pertanto, si collocherebbe in una dimensione relazionale. In tal senso, P. RESCIGNO, Abuso del diritto, cit., p. 232; U. BRECCIA, L’abuso del diritto, cit., pp. 15, 64-67; D. MESSINETTI, Abuso del diritto, cit., p. 6 e ss.; F. DI MARZIO,

Teoria dell’abuso e contratti del consumatore, in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 685 e ss. C. RESTIVO, Abuso del diritto

e autonomia privata. Considerazioni critiche su una sentenza eterodossa, in S. Pagliantini (a cura di), Abuso del diritto e buona fede nei contratti, Torino, 2010 , p. 123 e ss., il quale evidenzia che facoltà e poteri non sono

attribuiti indiscriminatamente al soggetto, non gli attribuiscono una sfera di mero arbitrio, perché gli competono solo in quanto questi persegua, nel caso concreto, l’interesse assunto dalla norma. L’abuso del diritto, alla luce dello sviamento dell’interesse, si insinua in questo scarto tra la fattispecie normativa e il fatto concreto, nel quale le stesse prerogative possono essere esercitate in vista di un interesse diverso: da ciò la necessità di un accertamento solo in concreto e a posteriori. Cfr. U. BRECCIA, L’abuso del diritto, cit., p. 7, il quale sostiene che l’abuso si manifesti e si colga solo sul piano del concreto esercizio del diritto.

89

prerogativa avanzata risulta meno meritevole di protezione giuridica. Precisamente, la minor meritevolezza viene ravvisata nella circostanza che la prerogativa invocata scaturisce da un comportamento che avrebbe potuto essere evitato adottandone uno diverso i cui effetti sarebbero risultati più pertinenti al caso concreto rispetto a quelli pretesi dal titolare della situazione soggettiva e quindi, in definitiva, più giusti. Parlare di minor giustizia o meritevolezza della concreta finalità perseguita crea delle preoccupazioni, considerato che la finalità perseguita è legittimata dalla disposizione normativa in quanto inclusa nella stessa.

Come rilevato, la dottrina sul divieto di abuso del diritto ha generalmente adottato la diversa soluzione qualificando il fine della condotta abusiva come inautentico rispetto ad una postulata sostanza della disposizione normativa. Diversamente, secondo l’impostazione qui esaminata si sostiene che il reale tipo di giudizio, che il ricorso al divieto di abuso del diritto instaura, impiega i diversi criteri adottati della giustizia e della meritevolezza294.

La negazione di tutela poggia, pertanto, sulla considerazione che gli effetti perseguiti tramite l'uso abusivo sono illegittimi poiché diretti a soddisfare un bisogno considerato non incluso nella ratio della situazione soggettiva e, per questa via, appare accettabile una negazione di tutela pur in presenza di un titolo valido che legittima a quel tipo di richiesta. Sicché, soltanto ipotizzando uno stretto diritto adoperato strumentalmente e un vero diritto fatto emergere dalla lente del divieto di abuso del diritto, «che lo supera e ripristina»295.

L’impostazione di cui si tratta viene considerata, peraltro, dai propri sostenitori in linea con i dettami del giuspositivismo. Questo perché la disapplicazione del diritto posto trova la propria giustificazione nello stesso diritto posto e non si impone invece per la sua intrinseca giustezza. Si avrebbe un'interpretazione correttiva del tenore letterale della disposizione normativa296 e, dunque, in definitiva come una soluzione secondo la legge. Si è, con tutta evidenza, al cospetto di una semplificazione, che, se presa sul serio, ostacola la piena comprensione del vaglio in termini di abuso del diritto. Il dato che neppure tale semplificazione riesce a occultare è la

294Osserva A. G

ENTILI, L'abuso del diritto come argomento cit., p. 317, che «L'interprete di un sistema positivo non può appellarsi esplicitamente alla morale, l'economia, la giustizia (sebbene di fatto spesso lo faccia). Così, quanto meno sul piano della presentazione, prospetta come vero diritto la “giusta” interpretazione (correttiva) del testo legale. E per scostarsi dalla lettera, non gli resta che appellarsi alla ratio. Nella varietà delle ricostruzioni favorevoli alla figura dell'abuso c'è convergenza sul fatto che la lettera della legge è lo stretto diritto, ma la ratio legis è il vero diritto».

295 Così, in chiave descrittiva, A. G

ENTILI, L'abuso del diritto come argomento cit., 316..

296

A. GENTILI, L'abuso del diritto come argomento cit., p. 322- 323, il quale però ritiene che l'idea della correzione della lettera del dettato positivo è in realtà un'immagine rassicurante ma non corrispondente alla realtà. Questo perché nell'affermare l'abuso «l'interprete sebbene per un verso non faccia nulla di diverso da quelle correzioni del senso letterale conformi all'intenzione del legislatore che anche il positivismo giuridico ammette, per l'altro fa molto di più di quando semplicemente interpreta ed applica la disposizione secondo l'intenzione. Non solo sottrae il caso alla lettera della disposizione permissiva che lo prevede, disapplica la legge, ma lo fa rientrare sotto la ratio di un'altra norma, repressiva, e così applica un'altra legge, scelta da lui».

90

centralità assunta in sede di verifica dell'abuso del diritto dalle concrete modalità della condotta e questo è un aspetto che va tenuto sempre presente. Il sindacato di abusività riveste natura teleologica e il bisogno che alimenta l'atto di esercizio, che costituisce il primo termine del giudizio, emerge in primo luogo dalle specifiche modalità dell'azione, di cui viene messa in discussione la congruità con la finalità della situazione giuridica assunta come autentica. Sicché, il bisogno che si tenta di appagare diverge dalla ratio della disposizione attributiva ed è da tale base che emerge di un uso abusivo.

Altra parte della dottrina, riconosce nel divieto dell’abuso del diritto uno strumento di controllo di meritevolezza con diversa argomentazione. In via generale, si afferma che nel nostro sistema legislativo è implicita una norma che reprime ogni forma di abuso del diritto, sia questo di proprietà o di altro diritto soggettivo, reale o di credito. L’abuso del diritto consiste nell’esercitare il diritto per realizzare interessi diversi da quelli per i quali esso è riconosciuto dall’ordinamento giuridico297

. Considerata superata la concezione etica dell’abuso del diritto se ne individua la funzione, a volte, vedendo nello stesso uno strumento utilizzato dalle corti per legittimare e razionalizzare il controllo degli atti privati e, altre volte, vedendo una diretta estrinsecazione del principio dell’affidamento298

. Uno spunto arriva dagli autori che ravvede nell’abuso del diritto una tecnica di controllo della discrezionalità insita nell’esercizio delle prerogative private e, in particolare, delle libertà299. Precisamente, da tali autori si prende atto che per mezzo dell’abuso del diritto è possibile comparare gli interessi in conflitto che si formano all’interno del rapporto, imponendo la riduzione dell’ambito di operatività dei diritti acausali300. Altresì, si conviene che il terreno su cui opera l’abuso del diritto non è il contratto in sé ma tutti gli atti unilaterali che di questo sono esecuzione e la categoria dei diritti potestativi rispetto ai quali si pone come strumento di garanzia del normale utilizzo301.

297

F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, Le obbligazioni e i contratti, I, Obbligazioni in generale. Contratti in generale, Padova, 1999, p. 640 e ss.

298 F. R

ANIERI, Eccezione di dolo generale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 317 e ss. , secondo il quale la figura, assieme all’exceptio doli al centro dell’antitesi tra dogma della volontà e tutela dell’affidamento.

299 P. R

ESCIGNO, L’abuso del diritto, cit., p. 21, che pone sullo stesso piano le prerogative individuali e collettive.

300 P. R

ESCIGNO, L’abuso del diritto, cit., p. 22 e 90. Invero, evidenzia l’A. che sul piano della politica legislativa, il problema dell’abuso si vedrebbe ridotto nella misura in cui la legge impone la «tipicità» delle cause di esercizio dei diritti. In tal senso, il sistema si va svolgendo verso la causalità di atti che erano generalmente ritenuti come traspare dalla stessa disciplina legislativa, astratti.

301 P. R

ESCIGNO, L’abuso del diritto, cit. p. 71 e ss., il quale dedica peculiare attenzione alle potestà familiari giungendo alla conclusione che “ciò che si qualifica «abuso», o «esercizio normale», può essere presentato perciò, allo stesso tempo, come inadempimento degli obblighi connessi con la potestà, con il risultato che “il giudizio circa l’esercizio della potestà si risolve in un giudizio relativo alla corrispondenza tra potere esercitato ed interesse per cui il potere fu conferito” e che “il cosiddetto abuso della potestà si risolve dunque nella negligenza, o nella violazione, dei doveri che sono connessi alla potestà, e quindi degli interessi che attraverso gli obblighi in parola la legge tende a soddisfare”. L’A. ritiene, inoltre, con più generale riferimento ai diritti potestativi, che “una base legislativa all’affermata esigenza della tipicità può essere rinvenuta nell’art. 1355 c.c. che commina la nullitàdel

91

In particolar modo, si accoglie la concezione per cui l’abuso del diritto è una tecnica giudiziale di selezione, nella fase esecutiva del rapporto degli interessi meritevoli di tutela e, per il suo tramite, di controllo degli atti di esercizio dei diritti attribuiti dalla legge302.

Si attribuisce al divieto di abuso del diritto, quindi, una funzione selettiva da condividersi con la clausola della buona fede. Si impone, sostanzialmente, che l’atto di concreto esercizio del diritto sia limitato al perseguimento dell’interesse tutelato con la sua attribuzione303.

Tale prospettiva è confermata anche dalla struttura attribuita dal legislatore del 1942 al sistema dei diritti soggettivi, il cui riconoscimento non è, come avveniva nel codice previgente e nelle coeve codificazioni liberali, svincolato da ogni controllo, ma all’opposto subordinato, soprattutto nel campo dei diritti patrimoniali, ad una valutazione di congruità e di meritevolezza304. Un limite sostanziale alla nozione di proprietà, collegato all’interesse al cui soddisfacimento è volta l’attribuzione del diritto, va rinvenuto all’art. 840 cpv. c.c. Tale disposizione infatti limita l’estensione del diritto di proprietà stesso e non delle facoltà attribuite al proprietario. Ciò avviene in funzione della meritevolezza dell’interesse alla sua titolarità: un soggetto può vantare un diritto su di un bene nella misura in cui abbia un interesse a farlo valere. Altresì, si porta l’esempio dell’art. 1438 c.c. che limita la possibilità di far valere un diritto anche tramite relativa minaccia, all’ipotesi in cui l’atto di esercizio non sia diretto a conseguire un vantaggio ingiusto305. E, come rilevato, il vantaggio ingiusto altro non è che

contratto sottoposto a condizione sospensiva meramente potestativa, norma da cui si evince che “il limite di ammissibilità e di validità della condizione potestativa è costituito dal carattere non meramente arbitrario che deve rivestire l’avveramento della condizione. E mero arbitrio vuol dire inesistenza d’interessi meritevoli di tutela, che cercano di realizzarsi attraverso l’atto”. Circa la condizione potestativa, si veda P. VITUCCI, Conditio est in

obligatione: ex lege, in Riv. dir. civ., 1998, I, p. 23, che sottopone al generale dovere di buona fede il

comportamento discrezionale delle parti in pendenza di condizione potestativa.

302 Analogamente, mediante l’analisi della giurisprudenza, S. P

ATTI, Abuso del diritto, cit., p. 6, arriva a

medesima conclusione, ritenendo che nel nostro ordinamento si avverte l’esigenza di uno strumento adeguato a garantire un esercizio «normale» del diritto soggettivo, e tale strumento viene ravvisato nel principio dell’abuso. Altresì si indica G.M. UDA, La buona fede nell’esecuzione del contratto, cit., p. 321 e ss., che nell’abuso del diritto ravvisa una categoria giuridica non solo ammissibile “ma anche opportuna nell’ambito del sistema giuridico, in quanto impedisce la strumentalizzazione di un diritto verso finalità non meritevoli di tutela. Emergono in tal modo le coincidenze operative con la clausola di buona fede nell’esecuzione del contratto, diretta a evitare, in linea generale, la vanificazione o l’aberrazione del contratto nel suo momento finale”. Infine, si ricorda D. MESSINETTI,

Abuso del diritto, cit., p. 3 e ss., che alla nozione di abuso preferisce il “criterio della correttezza, attribuendovi il

ruolo di “criterio immediato di selezione delle attività escluse”.

303 Sul riconoscimento del divieto di abuso del diritto costituisca una clausola generale la cui operatività

travalica il campo dei diritti di credito e degli altri diritti patrimoniali è pacifico anche in giurisprudenza. Si veda, M. D’AMELIO, Abuso del diritto, cit. p. 96; SALV.ROMANO, Abuso del diritto, cit., p. 169; P. RESCIGNO, L’abuso

del diritto, cit., p. 55 e ss.

304

In F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, 2, cit. p. 286, si legge che la centralità del principio causalistico, e del connesso controllo giudiziale sulla meritevolezza degli interessi in concreto perseguiti tramite l’atto di autonomia privata nel campo dei diritti patrimoniali è ben posta in evidenza, con riferimento al diverso ma collegato problema del cd. principio di tipicità delle promesse e degli altri atti unilaterali.

305

F. LUCARELLI, Lesione d’interesse e annullamento del contratto, Milano, 1964, p. 52, il quale afferma che nell’art. 1438 c.c. non si dà, quindi, rilevanza allo smodato uso di potere da parte di chi, minacciando di far valere un diritto, costringa l’altra parte all’accordo negoziale, quanto all’ingiustizia del risultato ottenuto, cioè all’effetto

92

l’interesse meritevole di tutela, ovvero segna il limite generale all’esercizio dei diritti riconosciuti dall’ordinamento306

.

Sulla base di tali considerazioni, secondo questa diversa impostazione, l’abuso del diritto, in primo luogo, attribuisce al giudice, per il tramite della funzione selettiva307, un potere di sindacato sul concreto esercizio dei diritti soggettivi, ed in particolare di quelli potestativi, diretto a verificarne la congruità da un lato con i valori espressi dall’ordinamento, dall’altro con le finalità insite nel loro normale esercizio308. In secondo luogo, l’abuso del diritto è espressione diretta dei principi cardine dell’attuale ordinamento costituzionale, una regola implicita dell’intero sistema del diritto privato.

Si noti, però, che individuandosi abuso del diritto nel comportamento di chi esercita un diritto riconosciutogli dalla legge del contratto per realizzare un interesse diverso da quello per