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La funzione correttiva del contenuto del contratto e i suoi limiti operativi sul

Alla clausola della buona fede e correttezza è stata attribuita un’ulteriore funzione, consistente nell’attività di correzione del contenuto del contratto479

. Questo tipo di funzione è generalmente ammesso da dottrina e giurisprudenza tedesche e da altri ordinamenti continentali, che legittimano un intervento sul contenuto dell’accordo finalizzato ad assicurare il rispetto dei principi di etica materiale e comportamentale480. La tradizionale diffidenza è frutto di una concezione economica dell’attività di correzione sul contenuto patrimoniale dello scambio, invadendo in tal modo il naturale ambito operativo dell’equità e compromettendo l’essenza del principio di autonomia.

Secondo parte della dottrina, tale funzione si presenta non solo legittima sotto il profilo sistematico ma anche connaturata all’essenza stessa del criterio di correttezza, che deve garantire la coerenza tra il regolamento originariamente predisposto e l’interesse sottostante al cui soddisfacimento mira. La funzione di correzione del contenuto del contratto svolge un ruolo complementare rispetto all’attività di integrazione481. In sostanza, non si creano nuove obbligazioni (come quanto avviene con la funzione integrativa) ma si limita o si modifica il contenuto in concreto delle obbligazioni che dal contratto derivano, nei limiti di quanto previsto dalle norme imperative presenti nell’ordinamento482.

Chi ammette tale funzione correttiva cerca di individuarne anche i limiti di applicazione della stessa. Pertanto, è stato in merito rilevato che, mentre l’attività di correzione del contenuto del contratto riguarda essenzialmente il contenuto normativo, quello economico è lasciato alla libera determinazione delle parti salvo che assuma rilevanza sotto il diverso profilo della

degli obblighi di informazione nei sevizi di investimento e rimedi contrattuali, cit., p. 936 e ss.; ID, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economica, cit., p. 268.

479 A. D

I MAJO, L’esecuzione del contratto, cit., p. 421, secondo il quale la buona fede non decide soltanto il come dovrà svolgersi una certa prestazione (primaria), ma fino a quale punto essa va svolta o addirittura quale è lo scopo o funzione che deve caratterizzarne l’esercizio.

480 In argomento, si rinvia a S. W

HITTAKER – R. ZIMMERMANN, Good faith in European contract law: surveying the legal landscape, Cambridge University Press, 2000, p. 24.

481 Cfr. S. R

ODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, cit., p. 202. In F. GAMBINO, Problemi del rinegoziare, Milano, 2004, p. 150, si riscontra un esplicito riconoscimento della funzione correttiva intesa come

limite all’esercizio di una pretesa fondata sul contratto.

482 U. N

ATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio e la valutazione del comportamento delle parti secondo

le regole di correttezza, cit., p. 174, il quale ritiene più in generale che il risultato derivante dalla stretta

applicazione delle norme inderogabili non possa essere in nessun caso modificato dal giudice in base ad una valutazione della situazione di fatto secondo le regole della correttezza.

Va precisato che, secondo una parte della dottrina, la buona fede in funzione correttiva viene applicata non solo nei casi in cui è necessario limitare in concreto l’esercizio di diritti e facoltà in astratto riconosciute, ma anche nei casi in cui si ricorre alle figure dell’abuso del diritto e dell’exceptio doli. Si veda, G. MERUZZI, L’exceptio doli,

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rescissione (art. 1447 c.c.), giacché, come noto, quest’ultimo istituto svolge una funzione di diretto controllo dell’equilibrio sinallagmatico del contratto qualora la sua alterazione rispetto ai normali valori di mercato sia conseguenza di comportamenti abusivi di uno dei contraenti a danno dell’altro483. Con l’attività di correzione, giustificata dal ricorso alla clausola di correttezza, si attua in tal modo un riequilibrio tra i diritti ed obblighi derivanti dal rapporto analogo a quello realizzato nei contratti del consumatore mediante l’attuale art. 33 Cod. cons., e diretto a ristabilire la coerenza tra contenuto (normativo) dello stesso sottostante484.

Interessante è quanto sostenuto da una parte della dottrina, la quale considera legittima l’ammissibilità dell’attività di correzione alla luce dell’art. 1460 cpv., che vieta a ciascun contraente di rifiutare l’esecuzione della prestazione qualora tale rifiuto sia contrario a buona fede485. Questo dovrebbe legittimare l’applicazione della norma in funzione correttiva anche nel caso in cui un mutamento marginale dell’assetto economico dell’accordo consenta, in presenza di avvenimenti sopravvenuti rispetto al momento della sua conclusione, una più coerente aderenza tra piano di interessi sottostante e contenuto486.

Attenta dottrina riconosce la funzione correttiva della buona fede analizzando il settore della rinegoziazione. In particolare, tale opinione individua l’obbligo di rinegoziare come regola generale del diritto contrattuale mediante una lettura sistematica della disciplina dei rapporti di durata, dal suo coordinamento con le varie norme speciali che prevedono la rinegoziazione, nonché da una interpretazione dell’intero diritto dei contratti alla luce dei doveri di rinegoziazione previsti dagli artt. 6.2.3. dei Principi Unidroit e 6:111 dei Principles of

European Contract law. Sicché, tale dottrina ritiene che la rinegoziazione costituisca uno dei

settori in cui le funzioni integrativa-correttiva della buona fede operano in sinergia, garantendo nel tempo la coerenza tra l’originario piano di interessi sottostante all’accordo e il contenuto formale487.

483

L. CORSARO, L’abuso del contraente nella formazione del contratto (studio preliminare), Perugia, 1979, p. 115, il quale ricollega direttamente l’istituto di cui all’art. 1447 al divieto dell’abuso del diritto.

484 In tal senso, F. G

ALGANO, Diritto civile e commerciale, II, cit., p. 601 e 604.

485 Così, A. A. D

OLMETTA, Exceptio doli generalis, in Banca borsa tit. cred., 1998, II, p. 179 e ss., perviene alla conclusione per cui, solo arricchendo le norme di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. con l’art. 1460, comma II, c.c., sarebbe proponibile un uso in senso correttivo della buona fede.

486 A tale principio dovrebbe essersi ispirata, Cass., 7 marzo 2001, n. 3341, in Foro it., 2001, I, c. 3667 e ss.; in

Contratti, 2001, p. 995e ss., con nota L. ZAPPATA, Eccezione di inesatto adempimento e denunzia dei vizi della

cosa locata. In tale pronuncia, la S. C., mutando il proprio precedente orientamento, secondo cui il ricorso

all’eccezione di inadempimento è legittimo solo nel caso di totale mancanza della prestazione di controparte, estende il rimedio dell’art. 1460 cpv. alla exceptio non rite adimpleti contractus, affermando esplicitamente che tale disposizione va riferita «anche al caso in cui la controparte potrebbe ave già adempiuto la propria prestazione, ma in maniera inesatta», si veda, G. MERUZZI, L’exceptio doli, cit., p. 248.

487 Si veda, F. M

ACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 147 e

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