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I comportamenti abusivi interni alla delibera assembleare L’abbandono

Rientrano nella seconda categoria, ovvero in quelle poste in essere internamente al momento assembleare, l’abbandono dell’assemblea in sede deliberante, l’abuso del diritto di intervento e il cosiddetto «eccesso del diritto di discussione», il rinvio dell’assemblea ex art. 2374 cod. civ. e il fenomeno dell’abuso del diritto di voto della cd. minoranza di blocco.

Partendo, ora, dall’analisi dell’abbandono dell’assemblea in sede deliberativa, va specificato che questa è la fattispecie affrontata dalla giurisprudenza più risalente e che ha segnato la collocazione storica dell’ostruzionismo assembleare agli inizi del secolo scorso. La fattispecie giuridica veniva posta in essere a causa di una lacuna desumibile dalle previsioni normative di cui agli articoli 158 e 210 cod. comm. L’abrogato codice di commercio richiedeva, per deliberare validamente, sia la presenza di tre quarti del capitale sociale e sia il voto favorevole della metà del capitale sociale. L’interpretazione letterale in senso restrittivo delle due norme giungeva dalla pronuncia di un tribunale di merito che ha risolto un noto caso di inizio secolo scorso, con la dichiarazione di nullità della deliberazione per il venir meno del quorum costitutivo durante la votazione. In altre parole, il semplice allontanamento dei soci di minoranza dal luogo dell’assemblea al momento della votazione aveva raggiunto il risultato sperato, ovvero la dichiarazione di invalidità della delibera assembleare di scioglimento anticipato della società148.

L’anzidetta prassi si riproponeva anche sotto la vigenza dell’art. 2368 cod. civ. Sicché dottrina maggioritaria interpretava la norma nel senso di considerare sufficiente l’accertamento del quorum costitutivo effettuato in apertura dell’assemblea149.

148 E’ infatti quanto accaduto nella nota sentenza del Trib. Verona, 23 novembre 1905, in Riv. dir. comm.,

1906, II, p. 84. Il caso di specie vedeva coinvolta una società anonima. Durante l’assemblea convocata per deliberare sull’opportunità del suo scioglimento anticipato al momento della votazione alcuni soci non volendo lo scioglimento, si allontanano volontariamente dalla riunione impedendo di fatto la fase deliberativa. Venendo a mancare, nel momento deliberativo, la compresenza di entrambi i quorum richiesti dalla legge, per evitare l’empasse, il presidente ricorse ad una fictio, considerando come astenuti i soci che si erano allontanati e deliberando con il voto favorevole del solo quorum deliberativo. La delibera viene prontamente impugnata dai soci ostruzionisti e il giudice di primo grado, in accoglimento dell’impugnazione, annulla la delibera per assenza della presenza di entrambe le maggioranze richieste per tutta la durata dell’assemblea. La sentenza suscitò una polemica tra due autorevoli protagonisti del tempo, Sraffa e Scialoja. Mentre Sraffa proponeva una interpretazione modificativa dell’art. 158 cod. comm. che consentisse di ricostruirne la ratio legis, giacché la norma era frutto di una mera svista del legislatore, per Scialoja optare per una tale interpretazione equivaleva a procedere illegittimamente ad una parziale abrogazione del diritto positivo. Si veda in merito, A. SRAFFA, L’ostruzionismo

nelle società anonime, in Riv. dir. comm., 1906, p. 84 e seg., V. SCIALOJA, L’ostruzionismo nelle società anonime, in Riv. dir. comm., 1906, I, p. 473. Ad una lettera inviata da Scialoja a Sraffa faceva seguito il successivo scritto di quest’ultimo, A. SRAFFA, Postilla alla lettera di Scialoja, ivi, 1906, p. 476 e seg..

149 G.C

AVALLI -M.MARULLI -C.SILVETTI,Le società per azioni, in Giur. sist. dir. civ. comm.,Torino,II, 1996,p. 154.Cfr. G. FRÉ, Società per azioni, art. 2325-2451, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1972, sub. Art. 2368, p. 320, F. FERRARA JR- F. COSTI, Imprenditori e società, Milano, 1987, p. 468; G. GRIPPO,

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Anche nel periodo ante riforma delle società del 2003, il fenomeno ostruzionistico riproponeva le stesse problematiche. Va anticipato che le soluzioni dottrinali e giurisprudenziali elaborate in risposta al fenomeno indicato trovano conferma ancora oggi considerato che la norma di cui all’art. 2368 cod. civ. non ha subito modifiche, relativamente ai quorum richiesti, per effetto della riforma. Se il problema può dirsi in parte superato relativamente all’assemblea straordinaria richiedendosi, in tale sede, soltanto una maggioranza sia per la costituzione che per la validità della delibera, l’eventuale ostruzionismo ripropone la questione del calcolo del

quorum deliberativo nell’assemblea di prima convocazione. Per la validità di tale deliberazione,

infatti, si richiede espressamente la presenza dei soci che rappresentano la metà del capitale sociale e il voto della maggioranza numerica assoluta degli intervenuti. Precisamente il problema si pone sul come configurare l’astensione del socio non votante la cui quota partecipativa sia stata calcolata nel quorum costitutivo. Diverse sono state le argomentazioni proposte dalla dottrina150, ma l’impostazione accolta dalla giurisprudenza propende per considerare ininfluente l’astensione agli effetti del quorum deliberativo. La tecnica adottata al fine di sventare gli abusi dei soci era sostanzialmente quella prevista all’art. 2373 cod. civ.: secondo tale impostazione la maggioranza andava calcolata sui soli voti dei soci votanti e quindi escludendo gli astenuti151.

nell’assemblea delle società per azioni, cit., p. 88, la quale ritiene di dover concordare con quanti in dottrina

ritengono che il quorum costitutivo debba essere perdurante anche durante la votazione. In tal senso evidenzia che: «D’altra parte, lo stesso dato normativo richiede la votazione a maggioranza numerica degli intervenuti, subordinatamente alla previsione del quorum minimo degli stessi partecipanti all’adunanza assembleare». Ciò sarebbe confermato anche in ragione del principio di democraticità. Alla luce di tale principio non sarebbe ammissibile imporre un determinato quorum per la discussione delle materie da sottoporre a delibera non necessario al momento della deliberazione stessa. Si ritiene allora di osservare, che se tale impostazione è formalmente e sostanzialmente corretta e coerente, il problema del comportamento ostruzionistico non trova però così soluzione. L’autrice, infatti, conclude per la totale inesistenza della libera giacché è ammissibile che alcuni soci escano dal locale dell’adunanza assembleare prima della votazione. Nello stesso senso, G. ROMANO-PAVONI,

Le deliberazioni delle assemblee delle società, Milano, 1951, p. 287 e seg.

150 Per una dettagliata disamina delle varie impostazioni, si veda, M.P.M

ARTINES, Teorie e prassi sull’abuso

del diritto, Padova, 2006, p. 103 e seg. L’attenzione va maggiormente riposta alle osservazioni di PELLIZZI, Sui

poteri indisponibili della maggioranza assembleare, in Riv. dir. civ., 1967, I, p. 113 che fa discendere la validità

della costituzione assembleare qualunque parte di capitale rappresentata dai soci intervenuti sostenendo l’esistenza di un generale principio di conservazione dell’ente desumibile dalle norme che disciplinano il procedimento decisionale che conduce all’approvazione delle delibere quali atti necessari per raggiungere gli scopi propri del contratto di società.

151

Trib. Milano, 26 febbraio 1973, n. 274, in Foro it., I, c. 2202. In tale occasione si specificò che la norma di cui all’art. 2373 cod. civ. è espressione di un principio generale idoneo a regolare il calcolo delle maggioranze in tutte le ipotesi di mancanza del diritto di voto. Per questa soluzione, tra le tante, Trib. Milano, 9 novembre 1987, in

Giur. comm., 1988, II, c. 967; Trib. Milano, 15 gennaio 1987, inedita; Trib. Milano, 11 aprile 1988, in Giur. it.,

1988, I, 2, c. 305; Trib. Livorno, 1 febbraio 1957, in Giur. it., 1957, I, 2, c. 986; Trib. Brindisi, 31 luglio 1953 in

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13. Segue. L’abuso del diritto di intervento e l’«eccesso del diritto di discussione».