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Sostanziale identità della correttezza e buona fede Il principio generale espressione

contratto nella sua esigenza attuativa. – 4. La funzione integrativa della buona fede e correttezza. – 5. Buona fede tra interpretazione e integrazione: strumento di bilanciamento degli opposti interessi. – 6. Buona fede e correttezza come strumento di controllo giudiziale. – 7. La funzione correttiva del contenuto del contratto e i suoi limiti operativi sul contenuto economico. – 8. Segue. Buona fede come limite «interno» agli atti di autonomia negoziale.– 9. Osservazioni conclusive.

1. Premessa.

Nel precedente capitolo, dopo aver tentato di delineare i caratteri dell’abuso del diritto, si è giunti alla conclusione per cui il divieto dell’abuso del diritto è un principio riconosciuto anche nel nostro ordinamento giuridico e opera diversamente a seconda del settore di cui si tratta. Emblematico è quanto accade nell’ambito tributario, dove il principio del divieto d’abuso ha avuto un positivo riconoscimento ma viene impiegato in chiave elusiva. Tuttavia, si è potuto notare che nel diritto contrattuale il principio perde una sua autonoma utilità, giacché richiama e, conseguentemente, rinvia con costanza alla clausola generale di buona fede.

Ai fini della presente indagine si ritiene, pertanto, opportuno esaminare in breve come la buona fede e correttezza opera in ambito contrattuale, in particolar modo, è necessario conoscere quali funzioni essa svolge.

2. Sostanziale identità della correttezza e buona fede. Il principio generale espressione della solidarietà sociale.

E’ fatto noto che quando si parla di buona fede e correttezza non si sta facendo riferimento a cosa diversa dalla cd. buona fede soggettiva. Quando si parla di quest’ultima ci si riferisce a quel tipo di buona fede che indica uno stato soggettivo consistente nella ignoranza di ledere l’altrui diritto richiesta dal legislatore in materia di possesso di buona fede (art. 1147 c.c.) e nelle tante norme in materia di invalidità del contratto, di simulazione, ecc. nelle quali si fanno salvi i diritti dei terzi di buona fede416.

416 Per la distinzione tra buona fede in senso soggettivo buona fede in senso oggettivo, si rinvia per tutti a R.

SACCO, La buona fede nella teoria dei fatti giuridici di diritto privato, Torino, 1949, p. 17 e ss; G. GIAMPICCOLO,

La buona fede in senso soggettivo nel sistema del diritto privato, in Studi sulla buona fede, Milano, 1975, p. 77 e

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Diversamente, con riferimento alla buona fede oggettiva si precisa che essa trova il principale, ma non l’unico, referente normativo nell’art. 1375 c.c. 417 e, circa la sua definizione, si ritiene di dover assumere quella suggerita da autorevole dottrina secondo cui la buona fede si compone del canone di lealtà e di salvaguardia. Sostanzialmente, essa impone non solo l’obbligo di evitare comportamenti sleali, ma anche l’obbligo di ciascuna parte di salvaguardare l’utilità dell’altra nei limiti in cui ciò non importi un apprezzabile sacrificio del proprio interesse418.

Quando si parla di buona fede e correttezza, quindi, si dà per assodata la stretta correlazione tra l’art. 1175 c.c. e l’art. 1375 c.c.419

Si conviene, infatti, con quella parte di dottrina maggioritaria che giunge ad una sostanziale identificazione tra correttezza e buona fede, in quanto rappresenterebbero entrambe termini diversi per esprimere un medesimo principio generale420. Ciò sia in ragione del fatto che non presuppongono una diversità di destinatari, alla luce di una ricostruzione storico-sistematica421, sia perché hanno una comune area di incidenza

417 Deve precisarsi, tuttavia, alla norma di cui all’art. 1375 c.c., esistono altre norme che sono espressione della

buona fede: ovvero, l’art. 1337 c.c., che sancisce l’obbligo di buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto; l’art. 1366 c.c. che sancisce la buona fede quale criterio di interpretazione del contratto; l’art. 1358 c.c. che impone l’osservanza della buona fede in pendenza di una condizione sospensiva o risolutiva del contratto; l’art. 1460, comma II, c.c. che vieta di rifiutare il proprio adempimento, in caso di inadempimento dell’altra parte, se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede, v. F. GALGANO, Il

contratto, 2011, Padova, p. 581 e ss.

418 C.M. B

IANCA, La nozione di buona fede quale regola di comportamento negoziale, cit., p. 500 ss. L’A. specifica, infatti, che «la buona fede impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere. Questo impegno di solidarietà, che si proietta al di là del contratto dell’obbligazione e dei doveri di rispetto altrui, trova il suo limite nell’interesse proprio del soggetto. Il soggetto è tenuto a far salvo l’interesse altrui ma non fino al punto di subire un apprezzabile sacrificio personale o economico. In mancanza di una particolare tutela giuridica dell'interesse altrui non si giustificherebbe infatti la prevalenza di esso sull’interesse proprio del soggetto».

419 In merito, si veda, L. B

IGLIAZZI GERI, Buona fede nel diritto civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., IV, 1988, p. 175 e ss.

420

Sulla coincidenza del significato di buona fede oggettiva con quello di correttezza, v. fra gli altri, S. RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 2004, p. 130; U. BRECCIA, Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, Milano, 1968, p. 17 e ss.; E. MOSCATI, Osservazioni in tema di buona

fede in senso oggettivo nel diritto privato italiano, in Gli allievi romani in memoria di Francesco Calasso, Roma,

1967, p. 255; A. Di MAJO, Delle obbligazioni in generale, in Comm. del cod. civ., Scialoja e Branca, art. 1173- 1176, Bologna-Roma, 1988, p. 290; V. CARBONE, La regola di correttezza e buona fede: un esempio del diritto vivente, in Il corriere giuridico, II, 2012, p. 153 e ss. In senso contrario, E. BETTI, Teoria generale delle

obbligazioni, I, Milano, 1953, p. 65, secondo il quale mentre la correttezza impone normalmente soltanto doveri di

carattere negativo, la buona fede impone degli obblighi di carattere positivo. La distinzione è critica da M. GIORGIANNI, Lezioni di diritto civile contenute nell’anno accademico 1953-1954, Catania, 1954, p. 242.

421 S. R

ODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, cit., p. 130, il quale evidenzia che l’attuale formulazione dell’art. 1175 c.c. e dell’art. 1375 c.c. discende dalla volontà di evitare gli equivoci che potevano nascere dal riferimento di ciascuno di essi al solo debitore o al solo creditore. Ciò sarebbe confermato dall’art. 73 del Progetto preliminare del Libro delle obbligazioni del 1940 che era così concepito: «Quando il debitore esegue la prestazione dovuta, l’obbligazione si estingue. Il debitore, nell’eseguire la prestazione deve comportarsi secondo le regole della buona fede». Si osservò che la norma andava soppressa, proprio perché non era da approvare una formula che limitasse al debitore il dovere di comportarsi secondo buona fede (Atti della Commissione delle Assemblee legislative chiamata a dare il proprio parere sul progetto del Codice civile. Libro delle obbligazioni,

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rappresentata dalla materia delle obbligazioni e dei contratti422. Infatti, per mezzo dell’art. 1324 c.c., l’art. 1375 c.c. sarebbe applicabile a tutte le obbligazioni non contrattuali, diverse dalle obbligazioni legali, e proprio l’art. 1175 c.c. ne è la conferma avendo una portata più generale. A fronte del mutamento di carattere generale, subito in seguito all’introduzione della Carta Costituzionale che ha accompagnato la vigenza del Codice civile del 1942, lo stesso art. 1175 c.c. non deve essere considerato come un isolato termine di riferimento, ma, al pari dell’art. 1375 c.c. e delle altre norme di cui agli artt. 1337 e 1366 c.c., deve essere considerato quale espressione del generale principio di solidarietà che caratterizza oramai il nostro sistema.

Vi è stato anche il tentativo di distinguere le due norme sotto altro punto di vista, seppur considerandole entrambe come criteri deontologici: mentre l’uno (la correttezza) imporrebbe normalmente solo doveri di carattere negativo, l’altro (la buona fede) comporterebbe obblighi di carattere positivo423. Tuttavia, si è obiettato che già nella terminologia prescelta - cioè

dovere, in relazione alla correttezza ed obbligo per la buona fede - è possibile scorgere il segno

di un non perfetto chiarimento del rapporto che corre tra correttezza ed alterum non laedere e che non può non spiegare effetti negativi sulla sistemazione della materia. Del fatto che il criterio indicato non è né di semplice definizione né di facile applicazione, e che, pertanto, non è ragionevole una tale distinzione, si possono portare ad esempio due circostanze. L’una, che la stessa operatività dell’art. 1337 c.c., altra norma espressiva della regola della buona fede oggettiva in ambito contrattuale, non è del tutto pacifica in dottrina e giurisprudenza; l’altra, la circostanza che esiste una serie di norme esplicitamente dettate per la materia contrattuale, di cui verrebbe impossibile una spiegazione in base a criteri unitari, una volta che si adotti la distinzione in esame424.

Si considera, invece, fondata e corretta l’osservazione per cui l’integrazione della norma contrattuale ad una stregua della buona fede può comportare tanto obblighi a contenuto positivo, quanto obblighi a contenuto negativo. Sicché, è il contenuto di tali obblighi a differenziarsi secondo la positività o negatività, non già il contenuto della buona fede o della correttezza a ricevere tale qualificazione425.

Roma, 1940, p. 78): la difficoltà fu, appunto, superata mantenendo la formula analoga a quella dell’inizio dell’art. 1124 c.c. cod. civ. 1865 ed introducendo quella ancora più esplicita dell’art. 1175 c.c.

422 Per la non coincidenza dell’area di operatività sull’argomentazione, meramente formale, della collocazione

topografica dell’art. 1375 c.c., v. L. BARASSI, La teoria generale dell’obbligazioni, I°: La Struttura; II°: Le Fonti;

III°: L’Attuazione, III, Milano, 1946, p. 8.

423 E. B

ETTI, La teoria generale delle obbligazioni, cit., I, p. 68.

424 S. R

ODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, cit., p. 147 e ss. il quale porta ad esempio, gli artt. 1681 e 2087, per il profilo negativo; gli artt. 1686, 1710, 1712, 1747, per quello positivo. Le difficoltà relative all’art. 1337 c.c., inoltre, erano ben evidenti anche in E. BETTI, La teoria generale delle obbligazioni, cit., p. 95-96.

425 S. R

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Una visione sistematica, pertanto, consente di giungere alla conclusione che le due norme, l’art. 1175 c.c. e l’art. 1375 c.c., sono espressione del medesimo concetto426

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Va precisato che il parametro a cui far capo nella concreta definizione del contenuto della buona fede e correttezza va tratto, in primo luogo, dai principi costituzionali nella materia dei diritti e doveri dei soggetti privati; in secondo luogo, dai lineamenti generali che il principio di solidarietà ha assunto nel sistema civilistico.

La stessa Relazione ministeriale al codice civile «richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore», operando quindi come un criterio di reciprocità una volta collocato nel quadro di valori introdotto dalla Carta costituzionale, deve essere inteso come una specificazione degli «inderogabili doveri di solidarietà sociale» imposti dall'art. 2 Cost. La sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge 427.

Alla luce di ciò, sembra legittimo ribadire che dal dovere di buona fede discenderebbero non solo limiti al potere di agire dei propri interessi ma anche l’obbligo di una parte di attivarsi per salvaguardare l’interesse dell’altra parte428

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Secondo autorevole dottrina, tale principio rappresenta un vero e proprio dovere inderogabile di non recare danno ad altri e i riferimenti più sicuri vanno rinvenuti negli artt. 2, 36, 37, 39, 41, e 42 Cost., dai quali appare evidente la volontà di mantenere in armonia le situazioni riconosciute ai privati e le attività da loro svolte con il complesso degli interessi di tutta la comunità429.

3. Buona fede e correttezza in executivis quale criterio tendente a rafforzare il