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La teoria dell’abuso del diritto nel diritto sostanziale civile Brevi cenni storici

potrebbero essere ricondotte nel momento in cui fu adottata dalla giurisprudenza come motivazione di una soluzione l’equità o la civilitas al fine di correggere le durezze di un sistema giuridico assestatosi a monte.

Tuttavia, si ha l’abitudine di considerare il divieto degli atti emulativi quale punto di emersione storico del divieto dell’abuso del diritto tanto che lo stesso nome di abuso del diritto venne adoperato per indicare l’emulazione.

L’aemulatio, invero, trova le proprie origini già nel diritto romano giustinianeo il quale

represse soltanto alcuni casi di atti emulativi , ma nel periodo successivo a quello giustinianeo, quello del post-glossatori, il divieto degli atti emulativi non trova un’applicazione settoriale ma viene esteso a nuovi casi in virtù della sua elasticità. Elasticità dovuta dal fatto che i casi più svariati si sono presentati in riferimento al continuo adattamento e trasformazione del diritto, quale conseguenza del radicarsi a livello legislativo delle cd. «presunzioni» – da fatti noti, ovvero da elementi puramente materiali, si ricavano fatti ignoti – . L’applicazione del divieto degli atti emulativi passa, quindi, dai casi in cui il diritto faceva riferimento all’elemento subiettivo alle fattispecie in cui si avvertono limitazioni obiettive all’esercizio del diritto.

Dalle prime codificazioni moderne, l’aemulatio, da una parte, e presunzioni, dall’altra, si sviluppa la tendenza a creare principi rilevabili dalla stessa casistica. Con la rinascita del diritto romano ad opera dei giusnaturalisti si sviluppa la tendenza ad una rivalutazione del diritto giustinianeo che forma appunto la base delle codificazioni moderne e che fece risorgere il diritto classico caratterizzate da idee individualistiche. A parte, l’isolata esperienza del codice prussiano entrato in vigore il 1° gennaio 1794 che, ispiratosi al pensiero di Libniz (Allgmeines Landrecht für die Königlichen preussischen Staaten), accolse il divieto di quelle forme del diritto di proprietà che, per essere dirette all’esclusivo scopo di danneggiare altri, apparivano antisociali e da reprimersi, il codice francese e italiano, influenzato dal primo, hanno assorbito le tendenze giusnaturalistiche di Grozio e Pufendorf . Tali giuristi svuotavano il diritto naturale

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Per una approfondita analisi del processo storico che ha condotto alla moderna formulazione del principio generale del divieto di abuso del diritto, si rinvia a G. D’AMICO, Libertà di scelta del tipo contrattuale e frode alla

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da assolutismi etici e razionali dando maggior rilievo all’individualismo ai fini della tutela della personalità e proprietà. Persisteva un conflitto tra un pensiero dove l’aemulatio veniva così individuata nella norma scritta scevra di ogni influenza statutale, specie della proprietà fondiaria e un abuso del diritto che trovava il suo terreno nelle consuetudini con una regolamentazione dei rapporti di vicinato e delle distanze legali tra costruzioni basate su elementi obiettivi.

Con riferimento all’esperienza italiana, nel codice italiano del 1865 si riscontrava l’assenza di una disciplina dell’aemulatio, come quanto accadeva nel codice francese, ma al pari di quanto avveniva nell’esperienza francese, anche nella giurisprudenza interna si accennava al principio del divieto degli atti emulativi in materia di rapporti di buon vicinato.

Ecco, pertanto, che già a fine’800 ci si domandava se ogni forma di esercizio del diritto soggettivo fosse da considerarsi legittima e, viceversa, se gli atti del proprietario posti in essere solo al fine di nuocere, non dovessero essere considerati abusivi, anche se rientranti nel limite del diritto; se tali atti non dovessero essere tutelati, ma addirittura sanzionati con la dichiarazione di responsabilità del titolare del diritto. La soluzione a tali domande veniva data col ricorrere ai principi generali libertà e uguaglianza ai quali vennero attribuiti l’assolutezza in seguito la Rivoluzione francese. L’impiego della figura giuridica dell’abuso del diritto (“abus de droit”, “Rechtsmissbrauch”,“abuse of right”, “abuso del derecho”, ecc…) risale, invece, alla seconda metà del diciannovesimo secolo, momento caratterizzato dalle manifestazioni tipiche dell’economia capitalistica tendenti a sfuggire alle sanzioni legali .

Deve riconoscersi, come accennato, che la giurisprudenza francese ha assunto un ruolo centrale nello sviluppo del divieto dell’abuso del diritto. Questa, infatti, formulando il principio dell'abuso riconosce l’idea di un controllo «contenutistico» del diritto soggettivo, ammettendo in alcune ipotesi la responsabilità del titolare del diritto, anche se il danno era stato causato nell'esercizio del diritto stesso. Diversamente, la dottrina si presenta divisa sul punto: una parte sostiene l'assoluta insindacabilità dell'esercizio del diritto che non avesse oltrepassato i limiti stabiliti dalla legge, e conseguentemente nega l'ammissibilità del principio o gli attribuisce una portata puramente filosofica e morale; un'altra parte afferma invece l'insufficienza di una legittimità formale, ma non riesce ad elaborare un criterio unitario per determinare le forme «abusive» di esercizio del diritto, e segue strade diverse nella formulazione del principio. In tal modo muovendo dal comune presupposto secondo cui determinate forme di esercizio del diritto potessero considerarsi sindacabili anche se rientranti nei limiti stabiliti dalla legge, a seconda dei diversi contesti culturali ed ideologici, furono indicati vari parametri (morale, finalistico, intenzionale, ecc.), in base ai quali valutare l'eventuale abusività dell'esercizio del diritto.

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Con il nuovo codice civile del 1942, il divieto degli atti emulativi viene cristallizzato all’art. 833 c.c., che diventa automaticamente il riferimento normativo del divieto di abuso del diritto.

Pertanto, l’abuso del diritto, fatto discendere dagli atti emulativi come disciplinato dal codice civile, si qualifica per la cd. intentio nocendi ed, essendo considerato atto giuridicamente illecito, da luogo a responsabilità ex delicto198. Tuttavia, dare la prova della malvagia del

proprietario nel compiere gli atti emulativi ha reso sostanzialmente inoperante la norma stessa. Sicché per evitare l’«azzeramento» della disposizione codicistica199, la giurisprudenza ha integrato l’intentio con l’elemento obiettivo della mancanza di utilità: per «abuso del diritto» dove allora intendersi l’esercizio o la rivendicazione giudiziale di un diritto che in astratto spetta effettivamente a colui che lo esercita o lo rivendica, ma, che, in concreto, non comporta alcun vantaggio apprezzabile degno di tutela giuridica a favore di tale soggetto e comporta, invece, un preciso danno a carico di un tale soggetto e comporta un preciso danno a carico di un altro soggetto, e che viene esercitato o rivendicato proprio al solo, esclusivo fine di cagionare un tale danno all’altro200

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Si assiste, quindi, uno spostamento dell’indagine dall’elemento soggettivo a quello oggettivo evitando in tal modo di ridurre l’art. 833 c.c. a mera sottospecie dell’art. 2043 c.c. e configurando l’atto emulativo non quello con cui il proprietario intende nuocere o recare molestia, ma quello che in effetti reca molestia. Inoltre, la norma venne sottoposta ad un’interpretazione estensiva affinché si potesse qualificare abusivo, non solo l’atto di esercizio della proprietà, ma anche dei diritti reali di godimento come l’usufrutto, servitù, ecc. e una estensione della stessa è stata fatta anche con riferimento al condominio di edifici, nei rapporti tra le parti, oggetto di proprietà esclusiva, tra loro, ed in relazione alle parti comuni201.

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Cfr. Cass., 4 luglio 1933, n. 2511, in Foro it., 1933, I, p. 1305.

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L’articolo in esame, quale prima base normativa dell’abuso del diritto, è stato in un primo momento esteso anche in caso di comportamenti omissivi, ad esempio, per il mancato o anormale uso della facoltà di agire in difesa del diritto per rimuovere una situazione che risulti dannosa, non solo per il titolare del diritto stesso (legittimato ad agire in giudizio), ma anche per altri. L’ampia interpretazione dell’articolo in esame, verrà superata e ridimensionata ad opera degli stessi giudici di legittimità che nel corso degli anni successivi hanno realizzato una sorta di interpretatio abrogans della norma in parola. Invero, la giurisprudenza modificando il proprio orientamento degli anni sessante esclusero dal novero degli atti emulativi i comportamenti meramente omissivi posto che il termine “atti” che figura nell’art. 833 c.c., non potrebbe che intendersi riferito alle sole condotte commissive. D’altra parte, e in ciò venne ritenuto inesistente il c.d. elemento oggettivo, anche un contegno omissivo, come la mancata potatura di piante, può comportare un’utilità per il proprietario, ravvisabile, ad esempio, nel risparmio di spese e di energie psicofisiche necessarie nella potatura, in Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 1997, n. 10250, in Foro it., 1998, I, p. 69. Si veda, N.LETTIERI,G.MARINI,G.MERONE, L’abuso del diritto tra

corti nazionali ed internazionali, Napoli, 2014, p. 30.

200 Cfr. Trib. Torino, 13 luglio 1983, in Rep. civ. e prev., 1983, p. 815.

201 In tal senso, App. Torino, 12 maggio 1971, in Giur. it. 1973, I, 2, p. 1146, dove si ravvisano gli estremi

dell’atto emulativo nell’opposizione di un condomino all’ammodernamento di un edificio condominiale effettuata al solo scopo di arrecare agli altri condomini il maggio danno possibile, senza ricavare il benché minimo vantaggio.

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Altro spunto per individuare l’abuso del diritto anche in ambito civile, da alcuni autori è stato tratto dalla disposizione normativa di cui all’art. 2373 c.c., già affrontato nel precedente capitolo, in tema di conflitto di interessi nelle società per azioni. Come ribadito, tale fattispecie identifica si verifica quando la maggioranza, senza perseguire alcun interesse sociale, faccia prevalere l’interesse proprio extra-sociale sull’interesse individuale. Senza affrontare ancora tale ipotesi normativa, è stato notato che potrebbe trattarsi di «eccesso di potere», perché il voto nelle delibere assembleari è dato non solo nell’interesse proprio ma anche nell’interesse altrui202.

A partire dagli anni Novanta l’abuso del diritto acquista rilevanza anche nel campo dei contratti in ragione di criteri come la correttezza e la buona fede che rappresentano i fondamentali parametri di valutazione delle condotte del debitore e del creditore nello svolgimento del rapporto obbligatorio.

Per tal via, si individua un nuovo paradigma cui ricondurre le situazioni intersoggettive, rovesciandosi la precedente impostazione legata unicamente al divieto degli atti emulativi: si assiste al passaggio dalla sola sfera dei diritti reali a quella delle obbligazioni.

Il criterio di accertamento utilizzato nel campo dei diritti di credito diviene la buona fede di cui agli art. 1175 c.c. e 1375 c.c., poiché trattandosi di una clausola generale, consente di qualificare come illecito anche il comportamento del soggetto che abusa del proprio diritto ai danni dell’altro contraente. Il principio di buona fede, fortemente incardinato nel nostro ordinamento civilistico, è in concreto una disposizione priva di contenuto ed spetta all’interprete a dover decidere, nei limiti in cui riesca a fornire un’adeguata motivazione, se un determinato comportamento sia o meno contrario a buona fede. Sarà l’interprete a dover stabilire se l’esercizio di un dato diritto si ponga, in quanto abusivo, in contrasto con la buona fede203.

Secondo una dottrina, la buona fede rappresenta per un verso l’oggetto di un obbligo che entra nel contratto integrandone il contenuto e si specifica nel dovere (negativo) di non abusare della propria posizione al fine di non aggravare ingiustificatamente la condizione della controparte e, per altro verso, consiste nel dovere (positivo) di attivarsi per salvaguardare l’utilità della controparte nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio delle proprie ragioni. In questi termini, quindi, la violazione della buona fede è indice sintomatico di

202 P. T

RIMARCHI, Invalidità delle deliberazioni di assemblea di società per azioni, Milano, 1958, p, 171.

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S. PATTI, Clausole generali e discrezionalità del giudice, in Riv. not., II, 2010, p. 303. L’A. evidenzia la

tendenza normativa, sia a livello europeo, sia da parte di alcuni Stati membri, ad adottare le clausole generali in ragione del riscontrato dato che si tratta di una tecnica normativa più duttile e pertanto, più conveniente.

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abuso del diritto, sanzionato nelle forme tipiche della responsabilità contrattuale o, talora, attraverso rimedi che potremmo definire di esecuzione in forma specifica204.

Le prime forme di abuso del diritto nei rapporti obbligatori trovano spazi applicativi nell’ambito della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. Viene così considerato illecito e di conseguenza suscettibile di sanzione, il comportamento della parte che recede ingiustificatamente dalle trattative, in quanto tale comportamento configura una palese violazione del principio che vieta di venire contra factum proprium. Proseguendo in tale direzione, dottrina e giurisprudenza appaiono propense a far ricorso al criterio della buona fede in tutte le fasi relative all’esecuzione del contratto205. Tale è l’orientamento consolidato col

passare degli anni.