• Non ci sono risultati.

L’attuale impostazione giurisprudenziale italiana

Requisito necessario ai fini del riconoscimento dell’abuso della regola di maggioranza: l’intento fraudolento. Si ritiene, dunque, necessario indicare qual è l’orientamento giurisprudenziale maggioritario italiano ai fini della configurabilità dell’abuso della regola di maggioranza.

Se è innegabile che c’è una propensione da parte della giurisprudenza a qualificare l’interesse sociale come interesse comune dei soci, questo non è sufficiente ad identificare gli elementi che devono preesistere ai fini della sua configurabilità. Una volta individuati, questi avranno dei risvolti sul piano probatorio.

Rappresentativa dell’orientamento giurisprudenziale, valido anche oggi, è la sentenza della Corte di Cassazione del 12 dicembre 2005, n. 27387123. In siffatta sentenza la Corte, chiamata a giudicare l’invalidità della deliberazione di scioglimento anticipato di una società per violazione dell’art. 2373 cod. civ. testo anteriforma del 2003, e/o per abuso (o eccesso) di potere, conferma, riassume e aggiunge dei concetti fondamentali sulla questione in esame. Infatti, in questa sede oltre a esprimere la propria adesione alla concezione contrattualistica dell’interesse sociale, ha effettuato delle precisazioni fondamentali. È condivisa, dunque,

122

L’uso del condizionale appare indispensabile perché si tratta di una questione centrale, fortemente dibattuta da una parte della dottrina ed intorno alla quale si sviluppa la discussione della vera funzione del principio di buona fede e correttezza nell’ordinamento societario. Vi è infatti chi, sostenendo una diversa lettura del principio enunciato, ne esclude una portata innovativa della sentenza in argomento. Precisamente, si ritiene che l’interpretazione in chiave contrattualistica del principio di correttezza e buona fede anche nell’ordinamento societario non può essere desunto se non dopo aver proceduto ad un’analisi della fattispecie concreta in occasione della quale il principio di diritto è stato enunciato. Secondo codesta dottrina, la fattispecie esaminata dalla Corte (deliberazione di scioglimento anticipato di una società a responsabilità limitata, deliberazione assunta in un contesto caratterizzato dalla circostanza di essere stata presa con il voto determinante di soci che contemporaneamente partecipavano ad altre società concorrenti di quella convenuta nel giudizio di impugnativa de quo) non presta il fianco all’interpretazione contrattualistica del 1375 cod. civ. e a individuarne la portata innovativa della sentenza. Diversamente sostiene che, l'esercizio di un Eigenrecht dell'assemblea e del socio di maggioranza consiste in un “potere” il cui esercizio può volgere in un “abuso”. Così conclude l’autore, non si tratta, come vorrebbe far sembrare la sentenza, di verificare se quell’esercizio sia conforme con l'obbligo del socio di perseguire, "in buona fede", il comune interesse contrattuale; ma si tratta invece di valutare i modi di esercizio di quel "diritto" e di interrogarsi se in tali modi possono cogliersi elementi di "abuso". In tal senso,P.G.JAEGER,C. ANGELICI,A.GAMBINO,R.COSTI,F.CORSI, Cassazione e contrattualismo societario: un incontro?, cit., p. 329.

123 Cass. civ., 12 dicembre 2005, n. 27387, in Il Foro it., 2006, 129, XII, p. 345, nella quale si legge: « Anche

questa Corte ha avuto modo di osservare che la deliberazione di scioglimento di una società, che sia stata adottata dai soci nelle forme legali e con le maggioranze all'uopo prescritte, può essere invalidata, in difetto delle ragioni tipiche all'uopo previste (artt. 2377 e 2379 c.c.), sotto il profilo dell'abuso o eccesso di potere, quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari per perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero per ledere i diritti del singolo partecipante (come nel caso in cui lo scioglimento sia indirizzato soltanto all'esclusione del socio), mentre, all'infuori di tali ipotesi, resta preclusa ogni possibilità di sindacato in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla suddetta decisione (vedi le sentenze nn. 4236/1983, 3628/1986, 4923/1995, 11151/1995, 9353/2003)».

37

quell’impostazione secondo la quale «l’interesse sociale si configura come l'insieme degli interessi comuni dei soci, in quanto parti del contratto di società, concretatesi nell'interesse alla produzione del lucro, alla massimizzazione del profitto sociale, inteso come massimizzazione del valore globale delle azioni o delle quote, al controllo della gestione dell'attività sociale, alla distribuzione dell'utile, alla alienabilità della propria partecipazione sociale, alla determinazione della durata del proprio investimento e, quindi, allo scioglimento della società». Viene escluso tra questi l’interesse del socio alla conservazione del proprio status poiché è ricompreso nel concetto di interesse sociale l’interesse allo scioglimento della società che è un interesse in conflitto all’accrescimento del patrimonio sociale e con la stessa massimizzazione del rendimento delle azioni. Così, ritenendo infondato il motivo di impugnazione per violazione dell’art. 2373 cod. civ., la Corte ha precisato che in tale ipotesi non può ritenersi «neppure astrattamente configurabile» la ricorrenza del conflitto di interessi giacché non esiste un interesse sociale alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale124

.

La fattispecie al vaglio della Corte viene invece sottoposta ad una verifica della configurabilità dell’abuso della regola di maggioranza. Con l’occasione quindi la Corte ha ribadito, accogliendolo, il principio di diritto espresso nella famosa sentenza “Marziale”, sentenza del 1995 n. 11151125, dalla quale emerge il riconoscimento dell’abuso del potere in presenza di violazione del principio della buona fede e della correttezza. Detti principi sarebbero applicabili nella disciplina societaria in quanto i soci, stipulando il contratto di società, divengono anch’essi membri di una struttura organizzativa di matrice contrattuale, i quali devono eseguire il contratto nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ.126

124 Cass. civ., 12 dicembre 2005, n. 27387, cit., si rinvia sul punto alla sentenza la quale ne argomenta più

ampiamente l’impossibilità di ricondurre l’ipotesi di scioglimento anticipato alla figura del conflitto di interessi. E’ possibile aggiungere, semplicemente ribadendo quanto già detto nei precedenti paragrafi, che si è sostanzialmente in presenza di un conflitto tra interessi ugualmente sociali ed è per questo impossibile ricondurre la fattispecie nell’ipotesi dell’art. 2373 cod. civ. Tra l’alto l’eventualità di un interesse sociale alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale sarebbe anche contraria alla disciplina legale stessa, di cui all’art. 2445, n. 5 testo previgente, ora art. 2484, n. 6).

125 Cass. 11151 del 1995, cit., p. 449, la quale fonda il divieto di abuso sulla scelta, da parte dell’ordinamento,

di imporre nelle deliberazioni assembleari un vincolo alla maggioranza sul principio di buona fede contrattuale e il conseguente principio di collaborazione. Secondo la Corte, infatti, tale ultimo principio devono informare l'opera dei soci nell'organizzazione della società vengono considerati la base per riconoscere la figura dell'abuso di potere, quale elemento invalidante delle deliberazioni assembleari finalizzate esclusivamente a favorire la maggioranza a danno della minoranza. Si può, quindi, affermare che il riconoscimento della figura dell'abuso di potere parte dal riconoscimento della società come contratto. I soci, con la costituzione della società, stipulano un contratto, essi, in quanto membri di una struttura organizzativa di matrice contrattuale, sono astretti a un vincolo derivante dalla causa del contratto sociale. Pertanto, i soci devono eseguire il contratto secondo il principio di buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.». Così, tra le tante, anche Cass. civ. 9353/2003, cit.

126 G. F

RISOLI, La clausola generale della buona fede in ambito societario, in Giur. comm., I, 2007, p. 85 secondo il quale sembra chiara la presa di coscienza da parte della giurisprudenza che il contratto di società non

38

Due sono le puntualizzazioni riscontrabili nella pronuncia del 2005 rispetto alla pronuncia del 1995. L’una consiste nel ritenere che «il canone di buona fede in senso oggettivo non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi i quali, nel dinamismo proprio dell'ordinamento societario, sono destinati a trovare adeguata composizione nell'ambito del procedimento deliberativo». L’altra, nel ritenere configurabile l’abuso di potere della maggioranza all’ipotesi di scioglimento anticipato, è diretta a restringerne l’applicabilità. Specificamente, ritiene indispensabile «la dimostrazione di un esercizio "fraudolento" ovvero "ingiustificato" del potere di voto, l'abuso non potendo consistere nella mera valutazione discrezionale del socio dei propri interessi ma dovendo concretarsi nella intenzionalità specificatamente dannosa del voto, ovvero nella compressione degli altrui diritti in assenza di apprezzabile interesse del votante». Sicché se l’interesse perseguito sia, anziché comune, esclusivo della maggioranza, la subordinazione della minoranza alla maggioranza non trova più la sua giustificazione nella comunione di interessi e ci si trova fuori dall’ambito in cui il procedimento può operare127.

Invero, con riferimento alla seconda puntualizzazione, già dagli anni’50 la giurisprudenza richiedeva la dimostrazione dell’elemento soggettivo ai fini l’invalidità della delibera assembleare per eccesso o abuso di potere128. In linea con l’orientamento prevalente, ad esempio, una giurisprudenza di merito, partendo dall’affermazione che le finalità sociali si risolverebbero nell’interesse di tutti i soci, compresi quelli di minoranza, ha ritenuto annullabile per eccesso o abuso di potere ogni deliberazione di aumento di capitale sociale tendente a ledere gravemente, manifestamente e intenzionalmente la posizione di uno o più soci di minoranza129. L’orientamento veniva così affermato e meglio puntualizzato anche dalla stessa

rappresenti più soltanto una fattispecie formale funzionale al riconoscimento di soggettività e personalità giuridica, ma anche e soprattutto una forma di autoregolamentazione di interessi privati. In tal senso, L. ROVELLI,

Autonomia statutaria, contrattualizzazione e ruolo delle clausole generali, in Riv. dir. imp., 2004, I, p. 5, il quale

sottolinea il ruolo della buona fede come "strumento di controllo delle modalità di adeguamento del contratto di società", attesa la natura "strutturalmente aperta alle sopravvenienze" in quanto "strumento di gestione di un fenomeno dinamico come l'impresa".

127 P. F

ERRO-LUZZI, La conformità delle deliberazioni assembleari alla legge e all’atto costitutivo, Milano, 1993, p. 174.

128

Nel 1951 la Corte di Cassazione pronuncia la prima sentenza in cui, dichiarando l’invalidità della deliberazione per eccesso di potere, avente ad oggetto la riduzione a zero del capitale sociale per perdite ed il contestuale aumento del medesimo oltre il precedente ammontare, riconosce che il fine fraudolento di eliminare i soci per estromettere dalla società del gruppo di maggioranza la disponibilità futura del capitale azionario permette di ravvisare un “illecito tale da rendere nulla deliberazione sociale”. A dire il vero, però, la dichiarazione di illeceità non trovava fondamento legale se non nella generica previsione di contrarietà all’“ordine pubblico”. Cass. 12 maggio 1951, n. 1177, Stella c. Soc. Cementerie del Transimento, in Giur. it. 1951, I, 1, p. 535. Le osservazioni del testo vengono da M. CASSOTTANA, L’abuso di potere della maggioranza a danno della

minoranza assembleare, cit., p. 28 e 29.

39

Corte di Cassazione in sede di legittimità nella medesima causa, la quale sottolineava che l’eccesso di potere sarebbe configurabile sia con riguardo al profilo del perseguimento di un interesse diverso da quello sociale, sia sotto il profilo del perseguimento di un interesse proprio di un gruppo maggioritario dei soci130. In entrambe le ipotesi, però, al fine di dichiarare annullabile una delibera assembleare per vizio di eccesso o abuso di potere è indispensabile dimostrare che la deliberazione stessa sia stata il risultato di una intenzionale attività fraudolenta della maggioranza, volta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e dei connessi diritti patrimoniali dei soci131.

E’ utile allora riprendere quanto esposto, in sintesi, dalla Corte di Cassazione nel 2005, con la pronuncia sopraindicata, la quale sostiene che l’abuso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari alternativamente quando la deliberazione: «a) non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società; deve pertanto trattarsi di una deviazione dell'atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale; b) sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli poiché è rivolta al conseguimento di interessi extrasociali»132.

Ciò comporta che grava sul socio di minoranza l’onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto133. Quindi, il socio verrebbe tutelato solo laddove provi l’intento fraudolento della maggioranza, il ché lo si avrebbe anche dimostrando induttivamente che lo scopo apparentemente perseguito dalla società è in realtà inesistente. Prova, invero, che può far leva anche su comportamenti o indizi cronologicamente successivi, in grado di rivelare ex post l’abuso della regola di maggioranza. L’onere della prova finisce, in tal modo, per costituire il limite alla tutela della minoranza, giacché l’abuso di potere, in quanto vizio di legittimità della delibera, è riscontrabile solo nella misura in cui non comporti un

130 Cass., 7 febbraio 1979, n. 818, in Foro it., 1980, I, p. 448 e seg.

131 Non è stato, invece, riscontrato eccesso o abuso nella deliberazione di riduzione del numero degli

amministratori al fine di estromettere la minoranza dal consiglio di amministrazione, non trovando tutela giuridica un interesse dei soci di minoranza alla partecipazione al consiglio di amministrazione in App. Milano, 27 settembre 1983, SISAS Spa c. SIO Spa, in Giust. civ., 1984, I , p. 570 e seg.

132 Testualmente, dalla pronuncia Cass. civ., 12 dicembre 2005, n. 27387, cit. Deve notarsi inoltre, che sulla

scorta dell’insegnamento di una famosa impostazione dottrinale, già peraltro esaminata, la Corte in motivazione sottolinea che, nella prospettiva societaria, le figure sintomatiche come elaborate dalla dottrina amministrativa dell’abuso di maggioranza costituirebbero secondo la Cassazione solo indizi di violazione dei principi della buona fede e correttezza nell’attuazione del contratto di società. Tale è l’orientamento di D. PREITE, L’abuso di

maggioranza e conflitto di interessi del socio nelle società per azioni, cit, p. 93 e seg.. In merito, si rinvia nt. __

del presente capitolo.

40

controllo giudiziario sulle libere determinazioni dell’autonomia privata provenienti dagli organi della società rispetto ai quali è preclusa qualsiasi valutazione di opportunità.