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Il divieto di trattamenti inumani e degradanti, ex art 3 CEDU: Il caso Saba c Italia

L’INCIDENZA DELLA PRESCRIZIONE SULLA PIENA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLA VITTIMA DEL REATO

5. Il divieto di trattamenti inumani e degradanti, ex art 3 CEDU: Il caso Saba c Italia

Le ambigue modalità con cui, nel sistema italiano, la prescrizione si rapporta ai diritti fondamentali diventano cruciali anche nella sentenza Saba c. Italia, pronunciata dalla Corte di Strasburgo nel luglio 2014. Si tratta di una pronuncia in cui l’oggetto della violazione non è più il diritto alla vita, come nel caso Alikaj, ma il diritto a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti ex art 3 Cedu.

Anche in questo caso, i comportamenti lesivi dei diritti fondamentali della vittima vengono posti in essere da soggetti dotati di pubblica autorità, in particolare da agenti di polizia penitenziaria: la cornice entro cui le violazioni si realizzano è, infatti, il carcere di Sassari.

Dalla sentenza del tribunale di Sassari, emerge che all’interno dell’istituto penitenziario si verificarono episodi caratterizzati da una “violenza inumana”.

«Nel corso di quelle che avrebbero dovuto essere soltanto una perquisizione generale e un’operazione di trasferimento di alcuni detenuti, accompagnate dalla presentazione del nuovo comandante, i detenuti erano stati spostati dai luoghi in cui si trovavano e sottoposti ad atti di violenza gratuita. Alcuni detenuti erano stati costretti a spogliarsi, erano stati ammanettati, insultati, percossi e sottoposti ad umiliazioni. Secondo il tribunale, si trattava di un “tunnel degli orrori”»45.

Va osservato come, già a partire dalla sentenza Torreggiani46, si era attivato un processo di espansione dei diritti fondamentali dei detenuti e la sentenza Saba non fa che sottolineare «l’urgenza di estendere questo processo di rinnovamento anche sul terreno degli obblighi di tutela penale che discendono dall’art 3 della Convenzione.»47 In questo

contesto, fondamentale rilievo si è sempre assegnato al concetto di dignità umana, utilizzato come parametro per verificare la presenza di una violazione dell’art 3 CEDU. Nel 1978, con la sentenza Tyrer, in particolare, la Corte europea individuava uno dei presupposti per ritenere integrata la lesione della dignità dell’uomo nel fatto che lo stesso fosse stato considerato “un oggetto nelle mani dell’autorità”48.

Rispetto all’art 3 CEDU, si pone in modo significativo il problema della qualificazione giuridica delle condotte vietate, e ciò a causa della laconicità della norma, che non fornisce alcuna indicazione di rilievo. Facendo riferimento alle pronunce della Commissione e della Corte di Strasburgo, gli Studiosi hanno tentato a lungo di

43 Corte EDU, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c. Italia, cit., § 111. 44 Ibidem.

45 Corte EDU, 1° luglio 2014, Saba c. Italia, §§ 13 e 14. 46 Corte EDU, 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia.

47 A.BALSAMO, L’art 3 della CEDU e il sistema italiano della prescrizione: una riforma necessaria,

cit., p. 3929.

individuare i caratteri delle tre diverse categorie di violazioni, senza riuscire, però, a pervenire a soluzioni univoche.

Ciò che, invece, può essere affermato con certezza è che «ogni tortura non può che essere anche trattamento disumano e degradante e che ogni trattamento disumano non può che essere un trattamento degradante»49. Il criterio per distinguere le categorie di misbehaviours è stato individuato nella progressiva lesività, nell’intensità via via maggiore delle sofferenze o delle umiliazioni subite dalla vittima. Proprio nella sentenza Saba, la Corte europea ha precisato come si possa qualificare “trattamento inumano” una violazione perpetrata per ore, con premeditazione, capace di causare «lesioni corporali o forti sofferenze fisiche e psichiche»50. Si ha trattamento “degradante”, invece, «quando esso è tale da creare sentimenti di paura, angoscia e inferiorità idonei a umiliare, avvilire e a stroncare eventualmente la resistenza fisica o psichica della persona che lo subisce, o a portare quest’ultima ad agire contro la propria volontà o la propria coscienza»51.

Nel caso di specie, le guardie penitenziarie erano state accusate di aver obbligato il ricorrente a spogliarsi, a rimanere davanti alla sua cella con la testa contro il muro, a passare a testa bassa tra due fila di agenti armati di manganelli, a subire perquisizioni ingiustificate, accompagnate da minacce ed insulti (§§ 10, 70).

I giudici di Strasburgo hanno evidenziato come la vittima non sia stata sottoposta ad atti di violenza e non abbia subito lesioni personali; il trattamento inflitto, pur essendo deliberato, in relazione alla sua brevità, non può essere considerato alla stregua di una tortura psicologica. Si sottolinea, tuttavia, come «tale trattamento sia stato volto ad avvilire ed umiliare l’interessato in un contesto di forte tensione emotiva in cui i detenuti potevano legittimamente temere per la loro sorte».

E’ stato accertato che la vittima aveva provato sentimenti di paura, angoscia ed inferiorità e la Corte ha ritenuto che ci si trovi in presenza di un trattamento degradante con cui è stato violato, sotto il profilo sostanziale, l’art 3 della Convenzione europea dei diritti umani.

Allo scopo di accertare le responsabilità penali degli agenti relativamente alle condotte tenute a danno dei detenuti e qualificate come “trattamenti degradanti” era stato instaurato un giudizio ordinario. Secondo il tribunale i fatti contestati agli agenti di polizia penitenziaria rientravano nell’ambito del reato di “abuso di autorità contro arrestati o detenuti”, previsto dall’art 608 c.p., punito con la pena della reclusione non superiore a 30 mesi. In queste, come in ipotesi analoghe52, il rischio di prescrizione è molto elevato per il vistoso divario sussistente tra la complessità degli accertamenti processuali

49 Commissione, rapporto del 5 novembre 1969, caso Greco, in Annuario n. XII. Cfr. A.COLELLA, C’è

un giudice a Strasburgo, cit., 1815 ss. La studiosa, con riferimento allo schema definitorio utilizzato dalla

Commissione, parla di modello “a scatole cinesi”.

50 Corte EDU, 1° luglio 2014, Saba c. Italia.

51 Ibidem. Si tratta, tuttavia, di un parametro che non permette di cristallizzare una volta per tutte le

diverse condotte vietate dall’art 3, né di creare delle definizioni rigide.A tal riguardo si evocano principi affermati dalla Corte europea nella sentenza Selmouni (Corte EDU, GC, 28 luglio 1999, Selmouni c.

Francia) secondo cui «gli standard sempre più elevati richiesti nell’ambito della protezione dei diritti

umani e delle libertà fondamentali comportano, corrispondentemente e inevitabilmente, una maggiore fermezza nel valutare la gravità delle violazioni dei valori essenziali delle società democratiche» pertanto «(…) certe condotte classificate in passato come “trattamenti inumani e degradanti”, in opposizione a “tortura”, potranno essere qualificate in modo diverso in futuro».

occorrenti per ricostruire i fatti e individuare le responsabilità penali e l’entità irrisoria del trattamento sanzionatorio.

Nella pronuncia la Corte constata, in effetti, come il processo sia stato caratterizzato da importanti ritardi e che per l’eccessiva lunghezza dello stesso, già nel corso del dibattimento di primo grado, il giudice dovette pronunciare, nei confronti di sette imputati, sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione; risulta così inosservato l’obbligo delle autorità di condurre l’inchiesta con celerità53. I giudici,

pertanto, concludono ravvisando anche la violazione procedurale dell’art 3 e rispetto ad essa determinante è stato il peso esercitato dalla prescrizione che continua ad essere considerata misura inammissibile nei casi in cui la violazione del diritto fondamentale sia stata posta in essere da soggetti dotati di pubblica autorità.

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