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La vulnerabilità dei soggetti con disabilità

ALLE VITTIME DEBOL

2. La vulnerabilità dei soggetti con disabilità

Per quanto concerne la vittimizzazione dei soggetti con disabilità27, ossia di coloro che

presentano una «qualsiasi limitazione o perdita, conseguente a una menomazione, della

23 H.MANNHEIM, Trattato di criminologia comparata, Torino, 1975, 761.

24 Come per studiare la molecola di un determinato elemento non basta analizzare separatamente i

singoli atomi, così per studiare un fenomeno complesso come il crimine, non si può prescindere dalle interazioni che intercorrono tra le sue componenti. È stato quindi proposto in criminologia il modello (anche visivamente) efficace della “molecola criminale”, attorno al cui nucleo, costituito dal crimine, si materializzano e ruotano gli altri atomi, costituiti da agenzie di controllo, reo e vittima. I legami chimici di origine elettronica tra gli atomi sono, fuor di metafora, le relazioni di reciproca influenza che intercorrono tra tutte le componenti del microcosmo criminale. G.FORTI, L’immane concretezza, cit., 287 ss.

25 Direttiva 2012/29/UE, v. nota n. 19.

26 Proprio per prevenire i predetti rischi di mutivittimizzazione e di vittimizzazione secondaria, la

direttiva 2012/29/UE prevede, all’art. 22, che gli Stati procedano a una «valutazione individuale delle vittime di reato per individuarne le specifiche esigenze di protezione».

27 Il termine “handicap” (da hand in cap [= mano nel cappello], usato nelle gare sportive, specie nei

capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano»28, è possibile individuare fino a tre livelli di vittimizzazione. In primo

luogo, sono “vittime” della loro disabilità29, che costituisce indubbiamente un fattore di

vulnerabilità al crimine, in quanto fonte, per usare una locuzione penalistica, di una “minorata difesa” (art. 61, n. 5, c.p.)30. Inoltre, per quanto concerne i reati perpetrati tra

le mura domestiche, uno studio ha dimostrato che i figli disabili sono esposti a un elevato rischio di vittimizzazione, per effetto di quella che gli psichiatri definiscono sindrome della perdita dell’“expected normal child” (atteso figlio normale), da cui possono derivare seri problemi familiari, che, talvolta, sfociano in violenze sul minore che ha disatteso le aspettative31. A questa predisposizione bio-fisiologica (primo livello di vittimizzazione), si può aggiungere un’esperienza di effettiva vittimizzazione (secondo livello di vittimizzazione). Ancora, i soggetti con disabilità spesso sono vittime della propria incapacità di reagire all’aggressione, di attivarsi per far cessare la condotta criminosa o per chiedere aiuto (terzo livello di vittimizzazione). Molte volte, addirittura, non solo non sono capaci di comunicare la vittimizzazione che subiscono, ma nemmeno di percepirla32.

gareggiare tenendo una mano nel cappello e quindi a correre utilizzando una sola mano, al fine di equilibrare le possibilità dei concorrenti, V.VADALÀ, La tutela della disabilità, Milano, 2009, 1 ss.) ha recentemente ceduto il posto al termine “disabilità”. Tale “termine ombrello” si presta, infatti, a ricomprendere tutte le prospettive: corpo, individuo e società. Si legge, nella Classificazione OMS della disabilità “Disabilities is

an umbrella term, covering impairments, activity limitations, and participation restrictions. An impairment is a problem in body function or structure; an activity limitation is a difficulty encountered by an individual in executing a task or action; while a participation restriction is a problem experienced by an individual in involvement in life situations. Thus disability is a complex phenomenon, reflecting an interaction between features of a person’s body and features of the society in which he or she lives.” ORGANIZZAZIONE

MONDIALE DELLA SANITÀ (OMS), ICF, International Classification of Functioning, Disability and Health

(Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute), Trento, 2002, 16.

28 ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ (OMS), International Classification of Impairments,

Disabilities and Handicaps (ICIDH), http://www.who.int/en/.

29 V. L.CORNACCHIA, Vittima ed eutanasia, in E.VENAFRO -C.PIEMONTESE (a cura di), Ruolo e

tutela della vittima in diritto penale, Torino, 2004, 99.

30 L’art. 61, n. 5, c.p. prevede un’aggravante comune che si applica a chi commette un reato essendo

a conoscenza e approfittandosi di una condizione di vulnerabilità della vittima. Tale condizione può derivare da circostanze di tempo (ad es. l’ora notturna), di luogo (ad es. un luogo angusto o isolato) o di persona. Queste ultime comprendono l’eventuale debolezza fisica o psichica della persona offesa, determinata dall’età, da deficit fisici o psichici o da altra causa.M.ROMANO,Commentario sistematico del codice penale, II, 85-149, Milano, 2005, 666 ss.

31 K.P.JAUDES -J.L.DIAMOND, The handicapped child and child abuse, in Child Abuse & Neglect,

New York-Oxford Toronto, September 1985, vol. 9, 341-347.

32 Parimenti, Viano distingue quattro momenti del processo di vittimizzazione. Il primo consiste

nell’offesa oggettivamente arrecata alla vittima. Il secondo consiste nella percezione di sé stessi come vittime, nella percezione, cioè, della lesione subita come ingiusta, illegittima, illecita e ingiustificata. Il terzo stadio corrisponde al reclamo del proprio status di vittima, vale a dire alla rivendicazione pubblica dell’offesa subita, alla richiesta di aiuto, di supporto e di tutela alle agenzie formali e informali. Il quarto e ultimo consiste nel riconoscimento, nella tutela e nel supporto effettivamente tributati alla vittima a livello

In studio abbiamo avuto il caso di un ragazzo affetto da un grave ritardo mentale e da disabilità fisica, ricoverato in una struttura para-ospedaliera, che, a detta di alcune infermiere, aveva subito abusi sessuali da parte di un altro infermiere. Il ragazzo, tuttavia, non presentava alcun segno esteriore di abuso, non c’erano telecamere e le testimoni sono state ritenute inattendibili. Quel ragazzo ha subito veramente abusi sessuali? Se n’è accorto? In ogni caso non sarebbe in grado di riferirli.

Quello poc’anzi esposto è indubbiamente un “caso limite”, che, però, consente di comprendere immediatamente le ragioni per cui, con riferimento a talune categorie di vittime vulnerabili, è molto esteso quello che in criminologia viene definito “campo oscuro”33, ossia lo scarto tra criminalità reale e criminalità ufficiale. Molti dei reati

commessi rimangono ignoti, sommersi, come la base di un iceberg del quale affiora solo la cima.

Rispetto alla vittimizzazione dei soggetti con disabilità, vittime vulnerabili per antonomasia, la vittimologia può svolgere un ruolo fondamentale. Anzitutto, per prevenire gli abusi sui soggetti deboli può rivelarsi molto utile il rilevamento, da parte del vittimologo, dei fattori di rischio e dei fattori di protezione34. Nei casi in cui i fattori di rischio siano elevati e non equilibrati da fattori protettivi sarà opportuno monitorare il

sociale e istituzionale. E. VIANO, Victimology Today: Major Issues in Research and Public Policy, in E. VIANO, Crime and its victims, Washington, 1989, 3 ss.

33 Sulla nozione di campo oscuro e sulle problematiche a esso connesse, G. FORTI, L’immane

concretezza, cit., 64 ss.; nonché G.FORTI, Normatività ed empiria nel lavoro del criminologo. Il caso

Sutherland, in Riv. it. dir. pen. e proc., 1987, 364 ss.

34 I molti studi condotti sui minori vittime di reato, ivi compresi quelli relativi ai fattori di rischio e

ai fattori di protezione rispetto a esperienze di vittimizzazione, valgono a compensare, almeno in parte, la scarsità di studi condotti con specifico riferimento alle vittime disabili, in quanto si occupano anche dei minori con disabilità approdando a risultati che possono essere estesi anche agli adulti con disabilità che vivono in famiglia o in un istituto. Fattori di rischio possono essere, anzitutto, di carattere culturale, come la presenza, nella famiglia o nell’istituzione in cui vive il soggetto, di una tendenza all’uso della violenza, di punizioni o strategie educative dure e umilianti. A seguire, fattori socio-familiari sono, ad esempio, l’appartenenza a una razza o etnia diversa da quella percepita come dominante e il carattere problematico della famiglia di appartenenza. In particolare, come fattori specificamente genitoriali, vengono in rilievo la giovane età dei genitori, la natura conflittuale del loro rapporto (spesso dovuta o aggravata della disabilità del figlio), la dipendenza da alcool e droga. Infine, fattore di rischio individuale è una particolare gravità della disabilità, con forti limitazioni delle capacità motorie e/o intellettive e comportamentali. Per quanto concerne i fattori di protezione, quelli sociali e familiari sono l’esistenza di una fitta rete di supporto sociale, parentale e amicale, la fruibilità dei servizi sociosanitari, relazioni soddisfacenti con la famiglia d’origine (almeno con un componente), la capacità di gestire i conflitti. Altri fattori consistono nell’indole e nelle caratteristiche dei genitori o di coloro che assistono o circondano la potenziale vittima: la loro capacità di riconoscere i problemi del soggetto, di percepire i segnali o i rischi di abuso, l’attitudine all’empatia e alla risoluzione dei problemi. Infine, fattori protettivi individuali possono essere un buono stato fisico e/o una certa lucidità mentale (malgrado la menomazione presentata dal soggetto), un “temperamento facile”, la capacità di stabilire una buona relazione con gli altri e di adattarsi a cambiamenti e situazioni difficili.F. MONTECCHI, Dal bambino minaccioso al bambino minacciato: gli abusi sui bambini e la violenza in

contesto in cui il soggetto conduce la propria esistenza, e, se vive in famiglia, fornire ad essa un supporto concreto, non solo economico. Inoltre, compito della vittimologia sarà quello di divulgare i risultati degli studi di maggiore e più immediata utilità pratica, al fine di responsabilizzare la società e, in particolare, i soggetti più vulnerabili (o coloro che li assistono), inducendoli, da una parte, a evitare o ridurre comportamenti e distrazioni che possano accrescere il rischio di vittimizzazione e ad adottare accorgimenti o prestare particolare attenzione nelle situazioni di pericolo, dall’altra, a denunciare le violenze subite (o a segnalare i sintomi di violenze riscontrati nei soggetti assistiti), contribuendo così a erodere il campo oscuro35.

In tal senso, occorre interpretare e modulare correttamente la tendenza, inaugurata dalla vittimo-dommatica, alla “responsabilizzazione funzionale” delle vittime. Senza dubbio l’attività informativa e divulgativa dovrebbe essere sempre più sistematica e capillare, stimolando i membri della società, e in modo particolare i soggetti più a rischio (o coloro che li assistono) a collaborare alla salvaguardia dei beni giuridici di cui sono portatori. Parlare di un incremento dell’auto-responsabilità delle persone destinatarie di tutela non deve però portare a pericolose degenerazioni, nel senso di ritenere non doveroso l’intervento dello Stato, e quindi di escludere la punibilità, nei casi di assenza di ogni difesa “naturale”, ragionevolmente esigibile dalla vittima nei confronti del reo. A precludere quest’esito, come si vedrà anche nel prosieguo, è il principio di solidarietà, che impedisce di deferire la tutela dei beni ritenuti meritevoli di protezione alla sola iniziativa dei loro titolari. Se un simile esito è inaccettabile con riferimento a coloro che sarebbero, in teoria, perfettamente in grado di difendersi, lo è, a maggior ragione, per coloro che hanno capacità ridotta o nulla di reagire a fatti criminosi. Il significato di una politica criminale che incentiva la cautela delle vittime potenziali e/o di coloro che le circondano è quello di innalzare il livello di tutela e non di abbassarlo o di sostituire la tutela pubblica con una sorta di “autotutela”36.

3. La “vulnerabilità psichica”: l’eventuale incriminazione delle manipolazioni

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