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Divisione del lavoro e corsa verso la ricchezza La necessità dell’altro nel momento

La Ricchezza prende il via con un’estesa descrizione dell’origine della ricchezza tipica delle società civilizzate e fiorenti, ricchezza distribuita anche nelle classi sociali meno abbienti come conseguenza del rendimento del lavoro e della capacità e destrezza con cui il lavoro viene generalmente impiegato e diviso:

«Tra le nazioni civili e prospere, sebbene un gran numero di persone non lavori affatto e molte di queste consumino cento volte più della maggior parte di quelli che lavorano, il prodotto di tutto il lavoro della società è tuttavia così grande che tutti ne sono spesso abbondantemente provvisti; e anche il lavoratore della classe più bassa e povera può godere dei mezzi di sussistenza e di comodo. […] Sembra che il grandissimo progresso delle capacità produttive del lavoro […] siano stati effetti della divisione del lavoro.»84.

Gli effetti della divisione del lavoro (risparmio di tempo, maggior destrezza del lavoratore, uso di macchinari differenziati), grazie alla moltiplicazione delle produzioni di tutti i differenti mestieri, dà luogo, in una società ben governata, a quella ricchezza universale che si estende fino alle classi sociali più basse.

Le cause della distribuzione della ricchezza per merito della divisione del lavoro non sono originariamente l’effetto di una saggezza umana che persegue la ricchezza generale, ma sono “la conseguenza necessaria, sebbene assai lenta e

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graduale, di una certa propensione a trafficare, barattare e scambiare una cosa con un’altra”85

, diretta conseguenza delle facoltà del ragionare e del discorrere:

«Se questa propensione [allo scambio] sia uno di quei principi originari della natura umana che non si possono ricondurre ad altre cause umane; o se, come sembra più probabile, essa sia conseguenza necessaria della facoltà della ragione o della parola, non è compito del nostro presente argomento di indagare.»86

Tuttavia, è solo all’interno delle società civilizzate che questa generale

propensione al discorrere e al barattare dà luogo alla divisione del lavoro e, di conseguenza, alla distribuzione della ricchezza a tutti gli strati della società. Già nella Teoria Smith evidenzia i vantaggi a cui va incontro la società per merito della distribuzione della ricchezza:

«Il salario del più umile lavoratore può soddisfarli [i bisogni naturali]: riesce a fornire cibo e abiti, il conforto di una casa e di una famiglia. Se esaminiamo la sua economia domestica, scopriamo che egli spende gran parte del salario in comodità, che si possono considerare come generi superflui.»87

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Adam Smith, Ricchezza delle nazioni, op. cit. p. 91. Poco prima, Smith scrive: «Ogni operaio può disporre di una grande quantità del proprio lavoro oltre a quella che gli occorre per sé […] egli può scambiare una grande quantità dei suoi beni contro una grande quantità (o uguale prezzo) dei beni degli altri.»

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Idem, op. cit. p. 91. Il passo non è infatti frutto di un gioco retorico. Già nelle Lezioni di Glasgow Smith diceva: «Se dovessimo analizzare il principio della natura umana su cui si basa questa inclinazione a trafficare, dovremmo dire che si tratta chiaramente dell’inclinazione naturale al persuadere. E più avanti «Il fondamento reale di questa inclinazione al scambio, che è causa della divisione del lavoro, non è la differenza di ingegno. È l’inclinazione a persuadere, che è così fondamentale nella natura umana.» Adam Smith, Lezioni di Glasgow, op. cit., p 449; p. 648.

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E nonostante le società moderne siano caratterizzate da un’ineguale distribuzione delle ricchezze – ciò è indubbio e Smith tende spesso a evidenziarlo – anche i più poveri e miserabili membri dispongono di beni che permettono un dignitoso sostentamento88.

Scartata la tesi di una differenza naturale delle capacità umane, («Per natura un filosofo non differisce da un facchino in talento e in inclinazioni»)89 Smith identifica due grandi principi – la disposizione a scambiare beni e il desiderio di migliorare la propria condizione – come l’origine della divisione del lavoro e della distribuzione della ricchezza:

«Il movente che spinge a spendere è la passione per il godimento presente il quale […] è in generale soltanto momentaneo e occasionale. Ma il movente che spinge al risparmio è il desiderio di migliorare la propria condizione, desiderio che si eredita dal grembo materno e accompagna fino alla tomba. […] L’aumento della ricchezza è il modo in cui la maggior parte degli uomini si propongono e desiderano di migliorare la loro condizione […] e il

88 La divisione del lavoro, per quanto produttrice di ricchezza, non è di per sé uno spettacolo

edificante. Smith mette in guardia dalle sue conseguenze deleterie: «Chi passa tutta la vita a eseguire alcune semplici operazioni, i cui effetti sono inoltre forse sempre gli stessi o quasi, non ha occasione di esercitare l’intelletto o la sua inventiva […] Perciò egli perde naturalmente l’abitudine di questo esercizio e generalmente diventa tanto stupido e ignorante quanto può diventarlo una creatura umana.» A. Smith, Ricchezza, op. cit. p. 949. Tali rischi secondo Smith possono essere arginati da un sistema educativo che comprenda tutti gli strati sociali. Cft. V, i, III della Ricchezza, pp. 928-955. Degli aspetti negativi della divisione del lavoro, esposti da Smith nel V libro, discute Tiziano Raffaelli nel suo saggio La ricchezza delle nazioni di Adam Smith, pp. 41- 43. Egli mette in luce l’eredità dello studio delle conseguenze sociali della divisione del lavoro da parte di filosofi come Mill, Durkheim e Marx. Tanta attenzione è dedicata dal filosofo di Treviri all’alienazione dell’operaio. Il lavoro umano, presupposto e risultato dello scambio, fa sì che la forza lavoro umana sia considerata prescindendo dagli individui reali. In tal modo, la forza lavorativa viene trasformata in un’entità a sé. Tuttavia Smith non analizza gli svantaggi della divisione del lavoro in questi termini. Come evidenziato, il filosofo scozzese mette in luce i disagi psicologici facilmente arginabili. Il quadro dipinto quasi un secolo dopo da Marx è molto più sconfortante. Cft Il lavoro estraniato, in Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, 1968.

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modo più probabile per aumentare la propria ricchezza è di risparmiare e accumulare parte di ciò che si acquisisce […] sembra che il movente della parsimonia prevalga in modo molto forte.»90

Il desiderio di migliorare la propria condizione è contrapposto alla tendenza alla pigrizia, la spinta al risparmio è contrapposta alla desiderio di gioire del godimento presente, e la sobrietà si oppone alla passione sfrenata per lo sperpero della ricchezza.

Quanto sopra citato può essere indubbiamente comparato agli innumerevoli passi della Teoria in cui la parsimonia e la prudenza rappresentano la condotta saggia e assennata del prudent man. È ovvio che il riferimento principale di Smith, in questa analisi, è quanto detto da lui stesso nella Teoria sul carattere della virtù91. Questo excursus sulla divisione del lavoro nella Ricchezza delle Nazioni è il primo passo per comprendere su quale equilibrio si reggono società commerciale e cooperazione tra gli individui, e quale ruolo svolge il self-interest all’interno di essa. Che relazione hanno divisione del lavoro, operosità e distribuzione della ricchezza?

Il primo passo da compiere per comprendere in che modo il self-interest agisce all’interno della Ricchezza è mettere da parte quelle teorie che astraggono dal

contesto storico e sociale da cui essa scaturisce. Tenendo conto di quanto appena detto e di quanto si dirà in seguito, non va dimenticato che Smith non scrive un’opera slegata dal tessuto sociale a lui coevo, ma l’osservazione empirica è

parte integrante della stesura della Ricchezza.

90Idem, pp. 463-464. 91

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Qualsiasi discussione sull’importanza del self interest nel pensiero di Adam Smith

non può prescindere della fama che questo concetto si è portato dietro per quasi due secoli. Fama riassunta dalla massima di George Stigler «The Wealth of nation is a stupendous palace erected upon the granite of self-interest»92.

Molte interpretazioni di Smith fanno di questa affermazione un assioma; il cosiddetto Adam Smith Problem sostiene che ci sia un’incompatibilità di contenuto tra la Ricchezza delle nazioni, in cui si asserirebbe con forza che ogni individuo sia essenzialmente egoista, e la Teoria dei sentimenti morali, basata invece sulla benevolenza e l’importanza del principio simpatetico.

Tuttavia anche l’interpretazione che dà l’Adam Smith Problem non chiarisce quale

sia la relazione tra il Self-interest e le altre motivazioni che spingono all’azione. Il primo passo è capire in che modo il self-interest agisce all’interno della

Ricchezza mettendo da parte quelle teorie che astraggono dal contesto storico e

sociale da cui essa scaturisce.

Che il self-interest sia “il granito su cui è costruito il palazzo dell’economia politica” può essere vero solo in parte, perché è innegabile che il procedere della

vita economica dipenda da esso. I consumatori rispondono al prezzo, il lavoro ai cambiamenti salariali e gli imprenditori alle opportunità, perché tutti guidati da interessi personali.

Per Smith, correre verso l’auto-miglioramento garantisce lo sviluppo continuo dell’espansione commerciale, favorisce la divisione del lavoro e rende dinamica la

92G. Stigler, Smith’s travels on the ship of the state, in History of political economy 3(02),

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vita sociale, assicurando a tutti, meno abbienti compresi, sostentamento. Questo principio è al centro dell’equilibrio della vita economica.

L’impulso a migliorarsi, operando in tal senso, sostiene il naturale sviluppo delle cose verso il progresso. L'obiettivo di Smith è dimostrare che permettere all’

interesse personale del singolo di agire liberamente porta la ricchezza prodotta ad assicurare il benessere collettivo.

Attribuire a questa visione l’emancipazione dell’economia dai vincoli della

morale significa perdere completamente di vista il valore morale che Smith attribuisce al self-interest.

Le sfumature morali che la concezione di self-interest può avere nella Ricchezza sono ben rappresentate da quello che, senza dubbio, è diventato il passaggio più famoso e più frainteso dell’opera:

«Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro desinare, ma dalla considerazione del loro interesse personale. Non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro egoismo. […] Nessuno all’infuori del mendicante sceglie di dipendere dalla benevolenza dei suoi concittadini.»93

Questo passo, più che avallare la teoria di Stigler, rappresenta le motivazioni a cui appellarsi in determinate transazioni economiche. Infatti nelle transazioni commerciali con i suddetti macellai, birrai e fornai, per quale motivo non ci si dovrebbe appellare al loro self-interest?

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Il passaggio infatti presenta una duplice linea esplicativa. Da un lato, non ci sono moventi morali, benevolenza compresa, che fanno appello a un bene incondizionato. D'altra parte, anche appellarsi all’ altrui amor proprio può, in

alcune circostanze, essere non solo opportuno, ma moralmente consentito. Soprattutto perché appellarsi esclusivamente alla benevolenza altrui crea un subdolo rapporto di dipendenza. Chi, se non un mendicante, sceglierebbe di dipendere solamente dalla benevolenza altrui? È più appropriato rivolgersi al macellaio o al fornaio potendo offrire loro qualcosa in cambio, che rivolgersi solo alla loro benevolenza.

Questo passo si concentra perciò sul modo in cui gli scambi commerciali spingono gli individui a non perdere di vista gli interessi altrui che sono in gioco. La problematica della Ricchezza non è stabilire la legittimità del self-interest come principio della motivazione umana, ma capire quanto il raggiungimento del proprio interesse può beneficiare non solo il singolo ma l’intera società.

Tuttavia, l'intervento della mano invisibile, qua intesa nella stessa accezione presente nella Teoria, regola questi particolarismi cosicché, pur nella peggiore delle amministrazioni, lo sforzo di ognuno per migliorare la sua condizione concorre a far sì che il numero delle iniziative prudenti e fortunate sia ovunque molto maggiore di quello delle iniziative imprudenti e sfortunate:

«Ognuno si sforza continuamente di trovare l’impiego più vantaggioso per qualsiasi capitale di cui possa disporre. Tuttavia egli mira al suo proprio vantaggio e non a quello della società. Ma la ricerca del proprio vantaggio lo porta naturalmente, o piuttosto necessariamente, a preferire l’impiego più vantaggioso alla società. […] Perseguendo il

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proprio interesse, egli [l’uomo] spesso promuove quello della società in modo più efficace di quanto intenda realmente promuoverlo. Non ho mai visto che sia stato raggiunto molto da coloro che pretendono di trafficare per il bene pubblico.»94

Lo sfondo su cui si articola questo agire è quello di una società commerciale in cui il perseguimento dell'interesse personale è parte involontaria del perseguimento dell'interesse generale. Come notano Raffaelli e Sen95, la spinta a migliorare la propria condizione è un movente individuale che non spinge gli uomini ad associarsi per mettere in atto un progetto comune perché la forma tipica della società commerciale è quella dell’agire individuale nel rispetto della legge. La società conta sull’involontaria collaborazione degli uomini che sono spinti al

perseguimento di azioni affini. Tale desiderio agisce a un livello puramente individuale, ed è l’agire individuale che fa da sfondo alla società commerciale.

Quindi, per quanto ci possano essere motivazioni altruistiche o benevole dietro le azioni economiche va tenuto presente che tali azioni rimangono sempre individuali, non sorgono dal desiderio di associarsi o dal voler realizzare un progetto comune. Ogni azione individuale richiede l’involontaria collaborazione

di azioni individuali dello stesso tipo. E ogni azioni individuale, anche se inconsapevolmente, tiene in considerazione le azioni altrui. Ma ciò non significa né la società sia frutto dell’unione dei bisogni di esseri indigenti naturalmente

socievoli (come sostiene Shaftesbury), ma neanche di un contratto tra individui

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Adam Smith, Ricchezza delle nazioni, op. cit., p. 581; p. 584.

95

T. Raffaelli, La ricchezza delle nazioni di Adam Smith, op. cit., p. 33; A. Sen, Adam Smith’s

Economics, in The Cambridge Companion to Adam Smith, Cambridge University Press, 2006, pp.

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che ricercano una sicurezza irrealizzabile in uno stato naturale di perenne conflitto (come avvalorato da Hobbes).

Intesa in questo modo la società, l’idea del mercato è per Smith un evento

antropologicamente dato che viene, di volta in volta, confermato dal procedere nel negozio umano. La sua fondazione è semplicemente la "naturalizzazione" di un dato socialmente elaborato; non è interesse di Smith ricercarne l’origine.

La sua fondazione non sembra essere, nella Ricchezza interesse di Smith, perché il mercato è solamente lo sfondo su cui si articola la divisione del lavoro, in quanto garante di ricchezza generale e cooperazione. Poco prima del celebre passo, Smith scrive:

«Il cucciolo lusinga la madre e il bracco tenta in mille modi di attirare l’attenzione del padrone intento a desinare quando sente bisogno di cibo. L’uomo talvolta usa le stesse arti con i suoi simili [...] Egli tuttavia non può agire così in ogni occasione. Nella società civile ha continuamente bisogno della cooperazione e dell'assistenza di un gran numero di persone, mentre la durata di tutta la vita non gli basta appena a guadagnarsi l'affetto di pochi.»96

Se si accosta questo passo a quello di apertura della Teoria97, risultano evidenti i principi della natura che spingono l'uomo a interessarsi delle sorti altrui rendendogli necessaria l’altrui felicità: la reciproca dipendenza, il bisogno della

cooperazione e dell'assistenza del maggior numero di persone. Ciò mette in

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Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, UTET, 1996, p. 92.

97«Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono chiaramente presenti nella sua natura alcuni

principi che lo rendono partecipe delle fortune altrui, e che rendono per lui necessaria l’altrui felicita.» A. Smith, Teoria dei sentimenti morali, op. cit., p. 81. Cfr supra, p. 27.

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evidenza la necessità dello scambio confermandone il ruolo sociale.

Nella Ricchezza delle Nazioni, al passo appena citato, segue la famosissima massima secondo cui “è dall'interesse del macellaio, e non dalla sua benevolenza,

che ci si deve aspettare la soddisfazione dei propri bisogni”. Tuttavia, se quanto detto finora è vero, sembra evidente che prendere questa massima per se stessa non ha alcun senso. Va compiuto perciò un passo indietro ricordando che “la

propensione allo scambio è uno dei principi originari della natura umana, conseguenza necessaria della facoltà della ragione”98

. Se nello scambio gli individui si riconoscono come agenti economici, la massima più celebre della

Ricchezza diviene più problematica se allontanata dal suo contesto. Infatti poco

prima dell’“esempio del macellaio”, Smith sostiene che inutilmente l’uomo

potrebbe aspettarsi soccorso esclusivamente dalla pura benevolenza altrui:

«L’uomo ha un bisogno quasi costante dell’aiuto dei suoi simili, ed invano se l’aspetterebbe soltanto dalla loro benevolenza. Potrà più probabilmente riuscirci se può indirizzare il loro egoismo a suo favore, e mostrare che è loro vantaggioso fare ciò che egli richiede. Chiunque offra a un altro un contratto, avanza una proposta di questo tipo: “Dammi la tal cosa, di cui ho bisogno, e te ne darò un’altra, di cui hai bisogno tu”»99

Sono presenti, nei brani sopra citati, delle sfumature non lievi da tenere bene in considerazione. Quel ‘soltanto’ innanzitutto, perché indica che Smith non pensa

affatto ad escludere la benevolenza (dato che non ne esclude la presenza), e quel ‘può indirizzare il loro egoismo a suo favore’, che implica l’operazione del

98 Supra, p. 62. 99

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persuadere e del mediare tra benevolenza e self-interest, piuttosto che il semplice indirizzare a proprio favore l’egoismo altrui. Solo chi non conosce la sfumatura tra self-interest e selfishness può confondere un legittimo interesse perseguito dal

prudent man con un interesse asociale, biecamente egoistico.

Si afferma, certo, che lo scambio non è frutto di benevolenza, ma in queste pagine non si tratta di negare la connessione tra benevolenza e interesse personale, ma di evidenziare come per Smith non sia semplicemente il puro interesse a far funzionare il mercato; non dice che il prudent man deve vivere solo in funzione del proprio interesse. Non afferma mai che è il puro egoismo a far funzionare lo scambio. In sostanza, l’atto del persuadere è ciò che il prudent man svolge all’interno del mercato, coniugando inconsapevolmente benevolenza e interesse. Anche nell’agire strumentale il problema relazionale sorge nel momento in cui l’altro non è più mezzo o condizione per il raggiungimento dello scopo personale,

ma quando diviene parte costitutiva del sistema che comprende lo sforzo dell’Io per il raggiungimento del fine prefissato.

L’insieme di queste argomentazioni serve per definire un ambito in cui è chiaramente espresso il primato di un’etica sociale rispetto a una qualsiasi sistema

individualistico. Per questa stessa ragione, lo scopo del presente lavoro è dimostrare la continuità tra la Teoria dei sentimenti morali e la Ricchezza delle

nazioni. Il progetto economico smithiano non è distinto da quello morale, sia

perché non si può parlare di sistema morale in senso egoistico; sia perché la benevolenza non è virtù morale che appartiene a un uomo giusto, distinto dall’egoistache, al contrario, ha un’etica sociale ben diversa. Il richiamo allo

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giudica in base a un’idea di “bene superiore”, ma è l’atteggiamento di chi

considera il grado delle passioni umane in relazione alla pratica che socialmente sembra essere la più appropriata in quella determinata situazione.

Nell’immagine delle condizioni su cui si fonda la società commerciale sono presenti sia il grado medio delle passioni umane che l’agire conseguente del

prudent man attraverso la dialettica tra benevolenza e interesse personale.

L’impossibilità della disgiunzione tra benevolenza e interesse personale avviene

grazie al ruolo svolto dalla simpatia nei rapporti umani.

Sullo sfondo fin qui messo in evidenza, la simpatia è il criterio di approvazione per immedesimazione che diviene, a livello sociale, un criterio di immedesimazione tra soggetti economici.

Essa perciò è legata alla logica dello scambio, dato il concreto intrecciarsi di interessi, e questo intrecciarsi, lontano da ogni interesse filantropico dell’uomo verso il suo prossimo, non può prescindere da un’influenza reciproca tra self-

interest e benevolenza. In questo senso non esiste nessuna forzatura nel voler

trovare nella Ricchezza delle nazioni la presenza del sentimento simpatetico che permea le pagine della Teoria. La simpatia risulta inerente alla logica dello