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Smith e l’economia politica novecentesca

L'eredità di Smith nel campo dell’economia politica ha dato origine a lunga serie

di sviluppi nella scienza economica, con diversi discepoli scozzesi, inglesi e francesi che hanno creato il corpus di pensiero della cosiddetta ‘economia politica classica’. Se non ci sono dubbi sul fatto che per figure come Robert Malthus, David Ricardo e Karl Marx La ricchezza delle nazioni sia stato un fondamentale punto di partenza delle loro speculazioni, altri studiosi hanno fatto propria solo una parte dell'eredità di Smith, interpretandola spesso faziosamente.

L'appropriazione della Ricchezza delle nazioni da parte di questi economisti ha scatenato alcune proteste lungo tutto il XIX secolo, ma l’efficacia di tali

rimostranze è stata sminuita dal loro concentrarsi su polemiche metodologiche che non andavano a intaccare le settarie interpretazioni del pensiero di Smith, ma rimanevano fini a loro stesse.

L’idea che l’eredità di Smith possa essere riassorbita, teoricamente e senza nuove specificazioni, all'interno di un modello classico si è rivelata più attraente per gli economisti e per gli studiosi di economia politica. Tuttavia, ci sono state anche alcune importanti obiezioni da parte di economisti che hanno cercato di riabilitare quegli elementi dell'eredità smithiana che erano stati trascurati o distorti. Prima di passarne in rassegna alcuni, è necessario ricordare in che modo molti economisti ortodossi si siano appropriati di tale eredità.

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Per quegli economisti neoclassici secondo cui la teoria dell'equilibrio generale del modello Walras-Pareto125 rappresenta il più grande risultato della teorizzazione economica moderna, Smith è importante perché si è posto un quesito di fondo: “In quali condizioni di mercato la “mano invisibile” genera la più efficiente

distribuzione delle risorse a disposizione della società sulla base di decisioni prese da agenti economici individuali?”

Da questa prospettiva è possibile considerare Smith come il precursore dei problemi fondamentali dell'economia, pur riconoscendo che le sue intuizioni hanno richiesto diversi aggiustamenti da parte delle generazioni successive. L’economista Paul Samuelson, per esempio, mostra un po’ di ingenuità nel

sostenere che il tema fondamentale dell'economia di Smith, come indicato nei primi due libri della Ricchezza delle nazioni, può essere considerato una versione sofisticata della teoria della crescita così intesa dall’economia neoclassica126

. A Samuelson non va contestato il rigoroso metodo di studio e l’esattezza matematica

della sua ricerca, quanto la semplicità con cui annovera Smith tra gli economisti neoclassici e interpreta lametafora della manoinvisibile come un deus ex machina che regola il calcolo razionale dietro le scelte individuali in ambito economico. Come si è già evidenziato nel capitolo precedente, la mano invisibile è un escamotage utilizzato da Smith per spiegare come – senza nessun calcolo

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La teoria dell'equilibrio economico generale messa a punto da L. Walras nel suo saggio

Elementi di economia politica pura (1874) teorizza come domanda, offerta e prezzi di diversi

prodotti siano correlati fra loro e determinati simultaneamente da un "equilibrio generale". Vilfredo Pareto raccoglie l’eredità di Walras e continua a lavorare allo sviluppo della teoria dell'equilibrio economico, lavoro rappresentato nella sua opera Manuale di economia politica con

una introduzione alla scienza sociale (1906).

126Paul Samuelson, On the canonical classical model in Journal economic literature, vol. 16, n 4,

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razionale – i singoli contribuiscano con le loro azioni al benessere collettivo. Che questo sia un bene o un male a Smith non interessa127.

Negli ultimi decenni alcuni economisti appartenenti alla scuola di Chicago hanno sottolineato il ruolo di Smith quale precursore di un'altra versione di neoclassicismo. Questi studiosi, tra George Stigler128, sostengono che nel basare la propria economia sulle “granitiche” fondamenta del self-interest, Smith abbia riunito morale ed economia fornendo un'acuta analisi dei comportamenti guidati dal mercato, proponendo un’approfondita descrizione degli interessi politici alla base della legislazione economica. Tuttavia, quale sostenitore dei modelli economici basati sull'interesse personale, Stigler si sorprende spesso nel scoprire che Smith, nel parlare di politica, si discosta dalla logica razionale della massimizzazione dell’interesse. Stigler non considera che Smith in ambito politico

assegna alle emozioni lo stesso ruolo che concede loro nelle questioni economiche.

Si può mettere in discussione l’esistenza di un contrasto di fondo tra economia e

politica: le valutazioni del self-interest nella Ricchezza delle nazioni non sono l'unico tema in gioco, e raramente sono caratterizzate da un alto livello di calcolo razionale. Nella Ricchezza delle nazioni, onore, vanità, autoinganno, amore per la ricchezza e bramosia hanno un ruolo quasi paragonabile a quello che rivestono nella Teoria dei sentimenti morali, dove Smith riflette su una gamma più ampia di possibili forme di interazione sociale.

127 Supra, pp. 67-68, 80-82. 128

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Il tipo ideale di legislatore cui si rivolgono entrambi i lavori di Smith non è dotato di un semplice modello economico di politica che guidi le sue azioni. A differenza dell’uomo animato da spirito di sistema – criticato nella Teoria dei sentimenti

morali129per quella presunzione che lo fa aderire a un piano d’azione dogmatico,

considerando gli individui in società come semplici pedine di una scacchiera - il legislatore di Smith deve dimostrare maggiore sensibilità verso le abitudini e pregiudizi della propria gente, adattando le leggi all’interesse personale dei singoli.

Un altro economista vicino alla scuola di Chicago ma con radici nel pensiero economico austriaco, Friedrich Hayek, ha visto aspetti positivi in ciò che altri economisti hanno considerato una mancanza di coraggio da parte di Smith: la visione a breve termine e la conoscenza imperfetta che Smith attribuisce agli agenti economici e ai legislatori. Invece di fare le pulci all'analisi del mercato economico, Hayek si concentra su un aspetto che Smith condivide con il suo amico Hume e con Bernard Mandeville: la metodologia o epistemologia che sottende la predilezione di questi autori per una spiegazione delle complesse vicende storiche e sociali come il risultato involontario di comportamenti intenzionali compiuti da individui con una visione limitata. Nel pensiero di Hayek questo rientra nell’attacco generale contro una sorta di pensiero “costruttivista”

che egli associa a forme di interventismo della democrazia sociale del XX secolo. Poiché qui si ritrovano alcuni importanti riferimenti alla critica di Smith all’“uomo del sistema” e allo scetticismo che, sulle orme di Hume, Smith adotta

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nei confronti delle visioni politiche razionaliste e utopiche, vale la pena di approfondire l’interpretazione di Hayek del pensiero di Smith.

Secondo Hayek il mercato diventa per Smith il mezzo tramite cui le conoscenze incomplete e spesso contraddittorie che i singoli individui possiedono si coordinano130. In questo modo si ottiene ciò che non può essere riprodotto in nessuna società con una pianificazione centrale, se non altro perché tale conoscenza è sottintesa e dunque non può essere articolata e trasmessa se non attraverso la partecipazione a un sistema di premi e punizioni di tipo economico. Secondo Hayek Smith adotta quella che la scuola austriaca definirebbe una posizione “oggettivista” in contrapposizione a una “soggettivista”. Questa

un'affermazione è assurda perché implica che la volontà sottesa alla conoscenza abbia una dimensione empirica oggettiva anziché essere il risultato di scelte individuali soggettive non comparabili. Qui l’aspetto preoccupante del pensiero di

Hayek consiste nell'idea che se la volontà può essere misurata in modo oggettivo, essa fornisce una base dalla quale i burocrati con intenzioni interventiste possono sostituire o integrare le scelte soggettive compiute attraverso processi di mercato. Sono molte le critiche da muovere a Hayek nel suo approccio con il pensiero di Smith. La più palese è il pretendere, da economista, di leggere gli aspetti etici della Teoria dei sentimenti morali alla luce delle teorie sviluppate nella Ricchezza, affidando alla prima un ruolo di appendice. Il secondo aspetto riguarda l’idea

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“The peculiar character of the problem of a rational economic order is determined precisely by the fact that the knowledge of the circumstances of which we must make use never exists in concentrated or integrated form but solely as the dispersed bits of incomplete and frequently contradictory knowledge which all the separate individuals possess. The economic problem of society is thus not merely a problem of how to allocate "given" resources-if "given" is taken to mean given to a single mind which deliberately solves the problem set by these data.” F. Von Hayek, The use of knowledge in society in Individualism and the economic order, pp. 77-78.

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chele azioni individuali responsabili del benessere collettivo, nonostante la loro non intenzionalità, diano adito all’idea che il Mercato, governandosi da solo senza nessun’ingerenza da parte dello stato, funzioni meglio. Nell’attacco contro le

forme di interventismo statale, Hayek attribuisce a Smith un ruolo di apologeta del capitalismo che, come si è messo in luce nel secondo capitolo, non può essere attribuito al filosofo scozzese non solo perché storicamente inesatto, ma perché inappurabile nella Ricchezza delle Nazioni. L’economista austriaco ha cercato di trovare una giustificazione etica al suo sistema economico servendosi del pensiero di Smith131.

Il secondo aspetto dell'eredità smithiana riscontrabile in Hayek riguarda il ruolo attribuito alle scienze sociali. L’economista tedesco ha esteso l'idea di un ordine generato spontaneamente all'evoluzione di istituzioni sociali fondamentali, quali il linguaggio, la legge e la morale. L'interpretazione di Hayek della teoria della giustizia di Hume come prodotto dell’ingegnosità umana è fondamentale e può

essere estesa anche a Smith. Uno degli aspetti della formulazione di Hayek sulla tesi evoluzionista è il suo “funzionalismo”. L'idea che ciò che si è evoluto attraverso un processo di selezione naturale debba servire al mantenimento dell'ordine sociale o all’attribuzione di un valore di conservazione delle istituzioni

sociali e delle abitudini esistenti, porta a identificare ciò che è per Smith è

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Citando lo storico Eric Hobsbawn, uomini come Hayek sono sempre stati fedeli a una religione economica, credendo all’equazione “libero mercato = libertà individuale”. Eric J. Hobsbawn, Il

secolo breve, BUR Rizzoli, Milano, 2000, p. 318.

È stato spontaneo trattare in maniera sintetica, seppur dettagliata, del pensiero di Hayek. Dedicare più spazio a questo autore così controverso e importante per la seconda metà del XX secolo richiederebbe la stesura di un altro testo di laurea. Non essendo interesse di questo lavoro esporre dettagliatamente l’accoglimento del pensiero illuministico scozzese e di Smith in questo autore, si consiglia la lettura dei testi La via della schiavitù e La società libera, ed. Rubbettino, 2011. Per una critica al liberalismo proprio della scuola di Chicago, si veda David Harvey, Breve

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avvenuto in maniera del tutto spontanea, con alcune forme di darwinismo sociale del XIX secolo.

Smith è stato accusato di fare affidamento su giustificazioni ottimistiche e finalistiche dell'ordine sociale. Tuttavia si è qui sottolineato l’approccio critico e non teleologico di Smith verso gli studi sociali,con particolare attenzione riservata allo studio empirico dietro l’osservazione storica compiuta dall’autore.

Una buona parte della Ricchezza delle nazioni è dedicata all'analisi di quei casi in cui gli interessi privati sono in contrasto con il bene pubblico; le tendenze costruttiviste di Smith si notano nell’ampio numero di proposte legislative istituzionali avanzate per ridurre tale conflitto; ma se nel bilancio utilizzato da Smith per giudicare quel processo sono presenti sia debiti che crediti, non c'è garanzia che l'evoluzione sociale spontanea possa portare al risultato migliore. Non è qua presente una forma di progresso naturale, semmai un pragmatismo di fondo nell’osservazione dei difetti e dei pregi della nascente società capitalista e dell’ascesa della borghesia all’alba della più grande rivoluzione industriale della

storia umana.

In tal contesto, una sorta di scetticismo di Smith – comune anche a Hume – è la tendenza ad attribuire un ruolo sostanziale alla debolezza e agli imprevisti delle attività umane. Le conseguenze involontarie non sono sempre positive, come dimostrato da Smith nella sua famosa diagnosi degli effetti negativi della divisione del lavoro, che producono “mutilazione mentale" con gravi conseguenze morali e sociali. L'importanza che Smith attribuisce a queste conseguenze si può

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comprendere appieno – sostengono Haakonseen e Winch132 – solo in riferimento ai meccanismi del reciproco adeguamento alle norme morali esposti nella Teoria

dei sentimenti morali.

I tentativi neoliberisti di monopolizzare l'eredità di Smith hanno naturalmente portato a numerose critiche da parte dei rappresentanti dell’altro estremo dello

spettro politico-economico. Ma decidere cosa sia di destra o di sinistra, ottimistico o pessimistico nel pensiero di Smith rischia di trasformarsi una sterile contesa. L’unica cosa indiscutibile è la capacità di osservazione riscontrabile nelle opere

del filosofo scozzese, che meglio di tutti, ha saputo rendersi conto del veloce cambiamento verso cui muoveva la società europea.

Si possono trovare estimatori dell'eredità di Smith anche tra gli storici economici e quei sociologi che spiegano i cambiamenti economici a lungo termine su base comparativa. Nella Ricchezza delle nazioni, “nazioni” è plurale, e buona parte del testo indaga le cause del ritardo tanto quanto le circostanze che distinguono gli Stati in progresso, statici o in declino. Uno dei grandi risultati di Smith è stato proprio allungare la scala temporale in funzione della quale valutare un cambiamento economico. Ha inoltre fornito una serie di nuovi criteri per misurare la crescita economica e giudicare i benefici della ricchezza, in contrasto con la visione a breve termine di molta letteratura mercantile da lui criticata. Questo elemento si nota nel Libro III, che considera un insieme di fattori legali, politici ed economici che sottendono la transizione fondamentale da una società feudale a una commerciale, cioè le ultime due tappe della classificazione dei tipi di società

132 In The Legacy of Adam Smith, in The Cambridge Companion to Adam Smith, (edited by) Knud

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definita da Smith. Il pensiero del Libro III può essere visto come schematico se confrontato con le Lezioni di Glasgow, una fonte importante per comprendere ciò che Smith ha in comune con Hume come storico della società civile e il modo in cui definisce quelle caratteristiche della società “moderna” che la distinguono

dalle precedenti. Questi capitoli permettono anche di comprendere come Smith abbia unito una visione cosmopolita, di respiro europeo, a una predilezione per l’empirismo di origine scozzese.

L'apprezzamento di Karl Marx sulle qualità di alcuni suoi predecessori borghesi come storici della società civile si fonda sull'idea che la teoria smithiana dei quattro stadi sia un'interpretazione materialistica dei cambiamenti storici, sebbene non ancora nella versione completa associata allo studio marxiano. Dopo un importante dibattito, condotto alla luce delle nuove versioni delle Lezioni di

Glasgow, questa interpretazione da alcuni anni ha perso valore, non da ultimo

perché impone di dare alle cause economiche una preminenza sulle variabili giuridiche e politiche, elemento che contrasta con le priorità stabilite da Smith quale filosofo giuridico e morale133.

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