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La nascita delle società commerciali Ricostruzione storica e corso naturale del

«Poiché per la natura delle cose la sussistenza viene prima delle comodità e del lusso, l’attività che fornisce la prima deve necessariamente precedere quella che fornisce i secondi. La coltivazione e le migliorie della campagna devono precedere la crescita della città, che fornisce soltanto i mezzi di comodo […] questo genere di cose, che la necessità impone in generale sebbene non in tutti i paesi, è ovunque promosso dalle inclinazioni naturali dell’uomo. Se le istituzioni umane non avessero mai ostacolato queste inclinazioni umane, le città avrebbero potuto svilupparsi oltre a quanto poteva consentire il progresso e la coltivazione del territorio in cui esse erano situate.»111

Così si apre il terzo libro della Ricchezza, dedicato alla ricostruzione dell’evoluzione delle società e del passaggio dallo stato feudale a quello mercantile. Smith traccia un’ideale storia del corso naturale del progresso e della ricchezza, focalizzandosi sull’affermazione delle iniziative individuali rispetto alle

norme imposte molto spesso dalle istituzioni legislative che, facendo gli interessi della classe nobiliare, garantivano il mantenimento dei retaggi feudali. Una delle istituzioni più barbare, che ostacolava da secoli il progresso della ricchezza (che persiste, nel momento in cui Smith scrive, in Francia e Germania) era la legge sull’eredità che, attribuendo l’intero patrimonio al primogenito, ostacolava le

iniziative private degli altri membri della famiglia.

Le conseguenze di quella che Smith descrive come la violenza delle istituzioni feudali, sono state il freno al miglioramento dei terreni e delle condizioni di vita

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dei servitori e degli altri membri della famiglia. Soprattutto i primi, costretti a rispondere ai capricci dei padroni e a vivere con contratti di locazione miseri, erano intrappolati in forme di schiavitù e oppressioni ancora presenti, mentre Smith scrive, in paesi europei come Francia e Germania.

Anche gli abitanti delle città medievali vivevano in condizioni quasi servili, ma la vicinanza ai centri urbani garantiva loro una limitata liberta di viaggiare e soprattutto di comprare e vendere. Proprio in queste città medievali dell'Europa occidentale cominciarono a emergere forme di libertà e indipendenza che favorirono l’ascesa della classe borghese e mercantile.

I borghesi erano abili, nella descrizione di Smith, nello stabilire libere giurisdizioni all’interno di un sistema in cui sovrani e feudatari dominavano.

Diventarono più sicuri, a poco a poco, della loro libertà personali della loro proprietà, la loro laboriosità li rese più fiduciosi e consapevoli di poter godere liberamente dei frutti del loro lavoro. Negli spazi in cui esiste una discreta sicurezza – anticipa Smith nel secondo libro – «ogni uomo di comune intelligenza cercherà di impiegare tutto il capitale di cui dispone per procurarsi un godimento presente o un profitto futuro.» Al contrario, nelle sfortunate condizioni in cui gli individui sono costantemente oppressi dalla violenza dei loro superiori – com’è il caso delle società feudali – «gli uomini nascondono gran parte del loro capitale.»112. Ma dove il capitale non viene investito, non vi è produzione né distribuzione di ricchezza:

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«Quando [le persone] sono sicure di poter godere dei frutti della loro attività, esse cercano naturalmente di praticarla allo scopo di migliorare la loro condizione e di ottenere non soltanto le cose necessarie ma anche quelle che fanno l’agio e la raffinatezza della vita.»113

Il progresso commerciale delle città ha contribuito a introdurre libertà e alla sicurezza anche nelle campagne. La novità essenziale di questo processo fu la nascita di istituzioni giudiziarie libere e imparziali, assicurate dalla libertà di commercio e dal buon governo che non garantivano una totale libertà di azione esclusivamente alla classe feudale ma, più precisamente, anche alla borghesia. Il progresso della ricchezza – evidenziano Sen e Rothschild114 – può essere visto come un circolo virtuoso, in cui il miglioramento giuridico e politico porta al miglioramento economico e il miglioramento economico, a sua volta, porta ad un ulteriore miglioramento nelle istituzioni politiche e giuridiche. Ordine e buon governo, e con essi la libertà e la sicurezza individuale, citando Smith «è certamente di gran lunga il più importante di tutti gli effetti»115.

La distinzione tra gli aspetti economici, legali e politici rimane piuttosto vago nel racconto di Smith sulla storia del commercio. Ma risulta chiaro che egli vuole evidenziare che al progresso della ricchezza sono intimamente connesse – come effetti della libertà economica – la libertà di azione e la libertà di coltivare relazioni sociali. L’indipendenza, insieme alla sicurezza, sono tra le condizioni a cui tendono le società civilizzate. Gli affittuari si liberarono dall’oppressione dei padroni come conseguenza dell’elargizione della giustizia. I commercianti

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Idem, p. 530.

114Emma Rothschild, A. Sen, Adam Smith’s Economics, in The Cambridge Companion to Adam Smith, Cambridge University Press, 2006, pp. 336.

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divennero indipendenti in relazione ai ricchi perché non dipesero più da nessun singolo cliente per tutte la loro entrate. Essere indipendenti significa essere liberi di scegliere con chi coltivare le proprie relazioni, le proprie inclinazioni e soprattutto i propri scambi commerciali. È essere in grado di tenere in piedi una struttura senza dover dipendere da nessun padrone.

Questa ricostruzione della storia delle società a una prima lettura appare quasi idilliaca, l’impressione data è che il progresso descritto giunga, nelle società commerciali coeve al filosofo, a poggiarsi su un equilibrio di interessi individuali che si bilanciano tra loro, in un quadro in cui le istituzioni politiche e legislative, più che aiutare i singoli, spesso ne ostacolano le azioni.

In più punti della Ricchezza Smith descrive l’influenza delle istituzioni mediocri tale da ostacolare il progresso della ricchezza pubblica e gli assetti su cui essa si fonda. L’industriosità e la distribuzione della ricchezza, per esempio, sono

ostacolate anche nelle società mercantili più prospere. Una delle dispute più animate della Ricchezza riguarda, a questo proposito, lo spirito corporativo. Le corporazioni impongono norme che ostacolano la libera concorrenza e la libera circolazione di merci e persone, la proprietà che ogni uomo ha sul proprio lavoro e sul proprio salario, e la libertà di ognuno di vivere secondo le inclinazioni personali.

Anche lamentarsi della ricompensa salariale per il lavoratore significa per Smith lamentarsi dell’effetto e della causa necessari alla massima prosperità pubblica. L’ostacolo spesso imposto dalle istituzioni legislative in ambito lavorativo, il cui

ago della bilancia pende faziosamente dalla parte dei datori di lavoro, limita il progresso economico della società.

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Ma un miglioramento nelle condizioni di vita dei ranghi più bassi avvantaggia l’intera società e il progresso in materia di giustizia:

«Nessuna società può essere fiorente e felice se la maggior parte dei suoi membri è povera e miserabile. Inoltre è più che giusto che coloro i quali nutrono, vestono e alloggiano l’intero corpo sociale, debbano avere una quota del prodotto del loro proprio lavoro che li metta in grado di essere essi stessi discretamente ben nutriti, vestiti e alloggiati.»116

È anche una questione di prudenza, cercare di rendere le persone più laboriose:

«La generosa remunerazione del lavoro accresce l’operosità delle classi inferiori. I salari stimolano l’operosità che, come ogni altra qualità umana, migliora in proporzione all’incoraggiamento che riceve.»117

L’equa ricompensa salariale ha notevolmente incrementato la rendita del lavoro in

quelle nazioni agli inizi della loro storia industriale:

«La generosa remunerazione del lavoro accresce l’operosità delle classi inferiori. I salari stimolano l’operosità che, come ogni altra qualità umana, migliora in proporzione all’incoraggiamento che riceve. Un’abbondante sussistenza accresce la forza fisica del lavoratore e la piacevole speranza di migliorare le sue condizioni e di finire i suoi giorni forse nel riposo e nell’abbondanza lo spinge a impegnarsi al massimo. Conseguentemente,

116 Adam Smith, Ricchezza, op. cit., p. 169. 117

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dove i salari sono elevati troveremo sempre lavoratori più attivi, diligenti e solleciti che dove sono bassi.»118

Nonostante queste precisazioni, il problema della relazione tra la legge e interessi individuali, così com’è posto nella Ricchezza, rimane.

E tale dubbio persiste perché l’apparato smithiano composto dalla Teoria dei

sentimenti morali e dalla Ricchezza delle nazioni è orfano di una grande opera

sulla giurisprudenza capace di mettere sintetizzare l’intera questione e raccogliere in un unico organismo filosofico teoria morale, teoria economica e teoria politica. È forse proprio a causa di ciò che al pensiero di Smith sono stati attribuiti, nei successivi due secoli, intenti che non aveva, trascurandone molti aspetti essenziali.

Se nel discutere di un’opera classica non è saggio attribuire una parzialità alla letteratura successiva, nel caso della Ricchezza delle nazioni sono indiscutibili le ragioni storiche che autorizzano questa valutazione.

Con l’imporsi del paradigma liberale, il pensiero di Smith è stato considerato

quasi esclusivamente per l’apporto specifico che ha dato alla scuola economica classica; perciò la lettura dei primi due libri della Ricchezza ha assorbito l’attenzione di economisti che hanno attribuito alla dottrina economica di Smith

significati largamente imprecisi. Ciò ha portato a un abbandono dello studio della

Teoriadei sentimenti morali, relegata al ruolo di “opera giovanile” che nulla aveva

in comune con la grandezza della Ricchezza. Il terzo capitolo conclusivo

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schematizzerà la storia della fortuna del pensiero di Smith alla luce del superamento dell’Adam Smith Problem.

Per quanto chiuso il capitolo storiografico dell’inconciliabilità tra Teoria e

Ricchezza, il lavoro fin qui svolto nasce da una critica finora velata alla questione.

Fare riferimento all’Adam Smith Problem si rileva un passo obbligato per un’analisi che muove dall’ evidenziare la continuità e la coerenza di pensiero in

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L’eredità delle opere di Smith tra XIX e XX secolo.

All’inizio del primo capitolo si è brevemente ricostruito il contesto storico e

culturale che ispira gli studi di Smith: cambiano, infatti, i modelli antropologici, le classi sociali, il rapporto tra l’economia e la politica.

Perciò considerare la Ricchezza delle Nazioni come canone dell’economia politica risulta impreciso, se si guarda al quadro storico in cui Smith elabora l’opera; è opportuno ricollocare la Ricchezza all’interno di un piano sistematico e determinato di ricerca sulla morale, la storia, il diritto, l’economia e la politica.

Per comprendere la centralità della sfera economica si deve inquadrare la

Ricchezza all’interno dell’intera opera smithiana.

Dalle lezioni tenute da Smith durante la sua docenza a Glasgow si sa che i suoi corsi erano divisi in quattro parti: teologia naturale (di cui poco è giunto fino a noi) etica, giustizia e politica. Queste ultime tre parti costituiscono il progetto di una grande trilogia. Se l’etica è il grande tema della Teoria dei sentimenti

morali,giustizia e politica sono gli argomenti su cui Smith si concentra nelle

lezioni di filosofia morale tenute nell’università scozzese tra il 1762 e il 1764 e

nella Ricchezza.

L’avvertenza alla sesta edizione della Teoria aiuta a delineare il piano della

trilogia, ricordando che già nel 1759, il progetto di Smith prevedeva la composizione di tre grandi opere riguardanti ognuna i tre temi di sopra:

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«Nell’ultimo paragrafo della prima edizione della presente opera, dicevo che avrei cercato in un altro trattato di dare un resoconto dei principi generali del diritto e del governo, e dei diversi rivoluzionari mutamenti che essi hanno subito nelle varie età e periodi della società, non solo per quel che riguarda la giustizia (justice), ma per quel che riguarda l’amministrazione civile (police), le finanze e l’esercito, e qualsiasi altra cosa sia oggetto del diritto (jurisprudence). Nelle Ricerca sulle cause della ricchezza delle nazioni ho in parte mantenuto questa promessa, almeno per quanto riguarda l’amministrazione civile, le finanze e l’esercito. La teoria della giurisprudenza, che progetto da tempo, è un’opera che finora non ho intrapreso […]»119

Il tema della jurisprudence, nella sua accezione più ampia, racchiude al suo interno molti dei temi che compongono la Ricchezza delle nazioni, perché l’economia politica è, secondo Smith, oggetto di studio da parte dello statista e del

legislatore; date queste premesse, lo studio dell’origine delle cause della ricchezza delle nazioni fa parte di un ampio schema in cui l’economia politica è elevata allo

stadio di scienza con precise regole. Con la Ricchezza delle nazioni ha inizio un processo che ha portato l’economia ad assumere un nuovo ruolo all’intero degli studi sociali, attribuendo a Smith l’improprio appellativo di “padre dell’economia politica”120

.

119Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali, op. cit., p. 78. 120

Improprio perché, nonostante la “rivoluzione” compiuta da Smith, egli non fu il primo a occuparsi di economia politica. Alcuni autori prima di lui, tra cui il già citato Hutcheson e James Steuart, si occuparono di questo tema, identificando però l’economia politica come studio sul governo della cosa pubblica. Steuart definì, nove anni prima della pubblicazione della Ricchezza, l’economia politica come la scienza che mira a garantire un certo fondo di sussistenza per tutti gli abitanti, fornire ogni cosa necessaria per alimentarne i bisogni ed impiegare gli abitanti per creare tra loro reciproche relazioni. James Steuart, An Inquiry into the Principles of Political

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Nell’analisi di Smith la sfera economica è capace di funzionare seguendo leggi

proprie, ma comunque – ciò si evince dai precedenti capitoli – all’interno della sfera del diritto e della morale.

I temi su cui si articola la trilogia smithiana sono dunque i sentimenti che governano il carattere umano, le norme con cui gli individui regolano la loro vita sociale e le attività economiche con cui intrattengono scambi commerciali tra loro. Il percorso si configura come una ricostruzione via via più specifica che parte dai tratti universali della natura umana per giungere agli individui studiati all’interno

del loro ambiente sociale e storico.

Questa ricostruzione del pensiero smithiano, nonostante la sua coerenza e basandosi sulle parole scritte dall’autore stesso, è piuttosto recente. Per quasi due secoli la scuola di pensiero predominante ha voluto interpretare le due opere scritte dal filosofo scozzese in totale contrasto tra loro. Da una parte la Ricchezza

delle nazioni, in cui l’agire umano è frutto di un calcolo egoistico del singolo;

dall’altra la Teoria dei sentimenti morali, che invece sembra promuovere un’idea

di individuo interessato alle sorti e alla felicità del prossimo. Quest’errata visione, in cui il self-interest e la simpatia sono in contrasto tra loro, è passato alla storia come Adam Smith Problem.

Il compito di questo terzo capitolo non è la ricostruzione storica di questo problema, poiché oramai è largamente accettato che questo quesito sia del tutto inesistente. È interessante però capire quali siano state le argomentazioni tese al suo superamento, alcune di loro rimangono, nonostante la loro novità, piuttosto deboli alla luce di una lettura completa del pensiero di Smith.

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Una di queste sostiene che il desiderio di ricchezza caratteristico dell’agente economico è attenuato dalla presenza in lui della benevolenza e dell’altruismo.

Questa tesi affida un ruolo cruciale al prudent man, trascurando però un elemento di notevole importanza. La prudenza con cui questo soggetto morale ed economico persegue la ricchezza è diretta, come virtù, verso se stessi, non verso gli altri. Come ben nota Raffaelli, la prudenza non è sinonimo di simpatia, questa ultima permette di relazionarsi con le gioie e i dolori dell’altro, ma la virtù del

prudent man al contrario, è rivolta a se stessi poiché non frena il desiderio

sfrenato di ricchezza, aiutando a conseguirla senza correre rischi inutili e scelte azzardate. In questo senso, la ricchezza diviene ricompensa adeguata alla cautela con cui i prudent men agiscono.

Il problema generale che si affronta nel valutare l'eredità di Smith è distinguere tra gli eredi legittimi e illegittimi che forzano alcuni aspetti del pensiero di Smith per giustificare il loro pensiero.

Dalla morte di Smith nel 1790, l'eredità dell'autore de La ricchezza delle nazioni ha dominato l'eredità dell'autore della Teoria dei sentimenti morali. Le due opere hanno avuto fortune diverse e vite separate fino all’inizio del XX secolo, quando

si è cominciato a considerarle uguali per impatto e importanza teorici.

Nel caso de La ricchezza delle nazioni, c’è un gran numero di studiosi che hanno preteso di raccogliere l’eredità delle teorie ivi sviluppate da Smith. Stessa sorte non è toccata alla Teoria dei sentimenti morali. La letteratura riguardo a

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quest’opera non ha conosciuto un grande sviluppo fino alla ristampa, nel 1976, dell’intero corpus filosofico di Smith a cura di R.H. Campbell e A.S. Skinner121

. In larga misura questo stato di cose è dovuto a due fenomeni correlati: l'importanza della dimensione economica nella vita delle società europee dal 1776, e il modo in cui l'economia politica si è rapidamente sviluppata nel corso del XIX secolo come ramo autonomo delle scienze morali o sociali. L’importanza

raggiunta tra XIX e XX secolo dal pensiero liberale, è stato causa non solo delle interpretazioni spesso errate della Ricchezza delle nazioni, ma anche del disinteresse verso la Teoria dei sentimenti morali.

La rilevanza della Ricchezza per il pensiero liberale è spesso sembrata così ovvia ai discepoli di Smith, che non è stato subito evidente come alcuni aspetti economici e politici trattati in quest’opera erano presenti già all’interno della

Teoria della morale sentimenti.

Se gli economisti sono stati ben lieti di accreditare Smith come uno dei padri fondatori della loro disciplina; lo stesso non si può dire della Teoria, su cui non è esistita nessuna letteratura celebrativa fino alla seconda metà del Novecento. Solo in tempi relativamente recenti le due grandi opere di Smith sono state considerate come parti di un singolo ambizioso progetto intellettuale.

121The Glasgow Edition of the Works and Correspondence of Adam Smith, Oxford University Press.

In Italia, per esempio, la prima traduzione della Teoria dei sentimenti morali è del 1991, a cura di Adelino Zanini. Fino ad allora, erano a disposizione solo brevi estratti tradotti nella nostra lingua. Come spiegato nell’introduzione di questo lavoro, in Italia non sono mancati però grandi pensatori che si sono interessati alla morale smithiana, oltre i già citati Zanini, Lecaldano e Dal Pra, è utile ricordare, per quanto oramai datato, uno dei primi saggi in lingua italiana sul pensiero etico di Smith, Alle origini dell'etica contemporanea. Adamo Smith, di Giulio Preti. Laterza, Bari 1957. Preti ricostruisce la storia dell’etica contemporanea con un occhio di riguardo verso Hume e Smith, ponendo l’accento sull’eredità morale di questi due autori nell’epoca attuale.

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Questo approccio, a giudicare da coloro che hanno utilizzato la Teoria dei

sentimenti morali per fornire una dimensione "morale" al mondo "amorale"

raffigurato nella Ricchezza delle nazioni,ha evidenziato l’inconsistenza dell’Adam

Smith problem, ma ha anche permesso a molti economisti di leggere la Teoria dei sentimenti morali alla luce della Ricchezza delle nazioni. Ciò non è stato solo

scorretto dal punto di vista storico, ma ha continuato ad attribuire alla Ricchezza il ruolo di opera più importante.

Nel quadro tracciato finora sulla natura irregolare dell’eredità smithiana, sembra

necessario ancora una volta porre l’accento il punto di vista di Smith a riguardo. La sua ultima comunicazione con i suoi lettori era una riaffermazione della volontà sistematica che stava dietro le sue opere. Nella prefazione alla sesta edizione della Teoria, apparsa durante l'anno della sua morte, Smith ha attirato l'attenzione sulla promessa già fatta in conclusione alla prima edizione del 1759. Presentando la sua ultima e importante revisione del testo, da parte di Smith è chiaro il desiderio di considerare la Ricchezza delle nazioni come preludio di un importante lavoro sulla giurisprudenza. Compito non portato a termine a causa della morte del filosofo, la cui volontà di voler vedere distrutti gli abbozzi del nuovo lavoro dopo la sua morte è stata causa del destino a cui sono andate incontro le sue opere compiute.