Università di Pisa
Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere
Laurea magistrale in Filosofia e Forme del Sapere
Simpatia, Self-interest e Prudent man.
I fondamenti etici ed economici del pensiero di Adam Smith.
Candidata:
Relatore:
Maria Vittoria Piga
Prof. Giovanni Paoletti
Correlatore:
Prof. Carlo Cristiano
Introduzione ... 3
Simpatia ed etica dello spettatore imparziale nella Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith. ... 7
1.1 Il paradigma settecentesco del moral sense. Shaftesbury e Francis Hutcheson. ... 10
1.2 Lo sviluppo di una scienza sperimentale della natura umana. David Hume e il principio simpatetico. ... 15
1.3 Il ruolo della simpatia nella Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith. ... 30
1.4 Il principio dell’approvazione e dell’autoapprovazione. ... 39
1.5 Merito e demerito nell’azione morale. Le virtù della benevolenza e della giustizia. ... 46
1.6 Approvazione, appropriatezza e utilità: il Prudent man e il criterio della middleconformation. ... 51
Self-interest, benevolenza e scambio. La valenza etica della Ricchezza delle Nazioni. ... 59
2.1 Coerenza e continuità di sistema. Dalla Teoria dei sentimenti morali alla Ricchezza delle nazioni. ... 59
2.2 Divisione del lavoro e corsa verso la ricchezza. La necessità dell’altro nel momento dello scambio. ... 64
2.3 La distribuzione della ricchezza. Parsimonia e incremento dell’industria contro lavoro improduttivo. ... 78
2.4 La nascita delle società commerciali. Ricostruzione storica e corso naturale del progresso. ... 86
L’eredità delle opere di Smith tra XIX e XX secolo... 93
3.1 Smith e l’economia politica novecentesca. ... 102
3
Introduzione
Motivare le scelte che hanno portato a questa tesi non è compito facile. Il pensiero di Adam Smith ha svolto un ruolo così importante dalla fine del XVIII secolo fino a oggi, che ogni ambito del sapere, dall’economia all’etica, passando per il diritto, ne ha subito l’influenza; di conseguenza, storicamente ne se sono interpretati solo
alcuni aspetti a scapito di altri di uguale importanza. Uno tra tutti, il ruolo ricoperto dalla simpatia e dal self-interest nell’intero sistema smithiano.
Partendo da queste considerazioni, la scelta di muovere dalla Teoria dei
sentimenti morali per interpretare la Ricchezza delle Nazioni è stato un passo
obbligato. Dedicando questo lavoro al ruolo svolto dalla simpatia e dal
self-interest – con accortezza verso i risvolti sociali e politici – lo sviluppo del
presente lavoro si è concentrato più sugli aspetti etici del sistema smithiano, che su quelli prettamente economici; difatti un attento conoscitore dell’economia smithiana si accorgerà che poca è l’attenzione dedicata a grandi temi quali la
circolazione della moneta, i sistemi di economia politica la disputa tra fisiocrazia e mercantilismo.
Al contrario, la lettura per intero della Teoria ha evidenziato il pensiero smithiano alla luce del sistema morale basato sul principio simpatetico. La parte iniziale del primo capitolo ricostruisce storicamente l’idea di simpatiacosì come è stata
sviluppata da Francis Hutcheson e David Hume, con cui Smith non ha mai smesso di confrontarsi.
4
Prendere il via dalla Ricchezzadellenazioni nel trattare del principio simpatetico, del self-interest e del paradigma di prudent man interpretando, di conseguenza, la
Teoria alla luce dell’opera economica, avrebbe portato a un’interpretazione di
Smith in cui l’aspetto avrebbe predominato, e in cui la matrice etica e sociale
sarebbe passata in secondo piano.
Tale scelta non è stata riputata idonea perché la lettura che questo lavoro ha compiuto su Smith ha visto nella sua figura un filosofo, prima che un economista o – per meglio dire – un filosofo che ha saputo costruire un impianto economico ornato di un indiscutibile valore morale.
Simpatia e Self-interest, se nella Ricchezza delle nazioni sono riscontrabili in quei
passi che hanno interessato buona parte del secondo capitolo, sono i veri protagonisti della Teoria dei sentimenti morali; ogni pagina ivi scritta è inseparabile da queste tematiche. Vien da sé che l’attenzione a loro riservata ha rimpiazzato quella serbata a una lettura esclusivamente economica di Smith. Lettura che ha riservato al concetto di mano invisibile, tanto per citare la teoria di Smith più famosa, un’importanza esagerata rispetto al reale valore attribuitogli dal
filosofo scozzese. Ovviamente, non si è potuto non citarne i passi in cui Smith usa questa immagine – tre, a essere precisi – ridimensionandone la portata.
Smitizzare questa metafora ha portato spontaneamente alla critica di quel pensiero economico che – dopo la dissoluzione dell’Adam Smith Problem – ha concentrato notevoli sforzi nel comprendere il pensiero morale di Smith alla luce della sua teoria economica, con la volontà di giustificare alcune speculazioni dell'economia attraverso la lettura del filosofo scozzese. In tale frangente il richiamo a Hayek è stato immediato poiché questo economista, così importante per il XX secolo, ha
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toccato temi non solo economici, ma anche etici e sociali spesso alterando il pensiero di Smith.
Altro aspetto che salterà subito all’occhio è la predilezione, nel primo capitolo, verso una bibliografia “datata”, composta quasi esclusivamente da autori italiani. L’avvalersi di filosofi come Lecaldano, Zanini, Skinner e Haakonseen è stato
imposto dal fatto che questi autori hanno concentrato gran parte dei loro studi sull’Illuminismo scozzese, inserendosi a pieno titolo all’interno di quel gruppo di
ricercatori che, dalla pubblicazione de The Glasgow Edition of the Works and
Correspondence of Adam Smith (1976) ha riletto Smith tenendo in grande
considerazione la Teoria dei sentimenti morali e le Lezioni di Glasgow. Le ricerche di questi autori, grazie all’importanza attribuita al tema della simpatia, hanno influito molto sull’impostazione del presente lavoro per ciò che riguarda una visione d’insieme del pensiero di Smith slegata da interpretazioni troppo legate all’economia classica.
Nel trattare una grande opera come la Ricchezza delle nazioni, la scelta della bibliografia critica è invece caduta su saggi di recente pubblicazione di autori stranieri quali Sen, Winch e Haakonseen, con la volontà di sottolineare la contemporaneità della riflessione di Smith nel dibattito contemporaneo. Dibattito contemporaneo che spesso e volentieri, niente di nuovo aggiunge all’infinità di saggi e teorie maturati sulle opere di Smith. Sottolineare ciò serve per comprendere la portata rivoluzionaria di un autore che ha saputo intuire l’enorme
stravolgimento storico e sociale che era sotto i suoi occhi. Se Marx, quasi un secolo dopo, ne comprese e ne spiegò i difetti, Smith studiò i meccanismi sottesi
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alla grande macchina economica che veniva a delinearsi all’alba della seconda
rivoluzione industriale.
Nel discutere di un’opera classica di tale grandezza qual è la Ricchezza delle
nazioni, è stato impossibile non attribuire una sistematica parzialità di lettura agli
interpreti che hanno preceduto gli autori sopracitati. Le ragioni storiografiche dietro questa “faziosità di pensiero” consistono nel fatto che, con l’imporsi del pensiero liberale, Smith fu letto solo per l’apporto specifico dato a esso, attribuendo all’economia smithiana caratteristiche largamente imprecise, come il
ruolo sovrastimato della mano invisibile e un ipotetico laissez-faire. Non si vuol dire che non si può dare una lettura strettamente economica della Ricchezza, evidenziando i limiti e le intuizioni; ma avendo seguito un percorso diverso, questo lavoro si è concentrato sul pensiero morale di un filosofo non intenzionato a fondare una nuova scienza, ma che è protagonista di un clima intellettuale e storico in cui sfera etica e sfera economica non potevano più essere scisse.
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Simpatia ed etica dello spettatore imparziale nella Teoria dei sentimenti morali
di Adam Smith.
Questo primo capitolo è rivolto all’analisi e alla comprensione degli aspetti
centrali del discorso sviluppato da Adam Smith nella sua prima grande opera, la
Teoria dei sentimenti morali1.
Verrà riservata particolare attenzione alle argomentazioni in favore di un’etica delle passioni umane alternativa all’egoismo e al razionalismo, caratteristici del
giusnaturalismo e delle teorie etiche dominanti i dibattiti filosofici del XVII secolo. È importante quindi delineare – anche se brevemente – il contesto culturale in cui Smith compie i suoi studi sui sentimenti morali.
La nascita dell’Illuminismo scozzese tra XVII e XVIII secolo è strettamente collegato ai rapporti tra Scozia e Inghilterra: quest’ultima, ricca e sviluppata, si
contrappone a una regione povera, arretrata e basata su un modello sociale feudale. In seguito all’unione dei due parlamenti con l’Act of Union (1707), viene a determinarsi l’unificazione politica ed economica tra i due Paesi; proprio grazie
al commercio inglese e ai benefici derivanti dalla rivoluzione industriale, la Scozia conosce in brevissimo tempo uno sviluppo paragonabile a quello delle altre nazioni europee. Questa trasformazione, avvenuta in un lasso di tempo piuttosto breve, è spiegabile con la presenza di particolari condizioni culturali, religiose e politiche che fanno della Scozia una vera e propria fucina culturale.
1In questo elaborato si farà riferimento all’edizione italiana Teoria dei sentimenti morali, BUR,
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I maggiori stimoli al rinnovamento vengono da personaggi interni all’Università
di Glasgow quali Hutcheson, Reid, Hume e Smith, a cui si deve la crescita qualitativa del sistema universitario scozzese.
Soprattutto Francis Hutcheson (1694-1746), attento all’intera tradizione morale iniziata da Hobbes e Locke, è l’iniziatore di una delle più grandi conquiste dell’Illuminismo Scozzese, cioè la coniugazione tra etica ed economia a cui tanto
deve la filosofia di Adam Smith.
La nozione di simpatia (sympathy), su cui Smith incentra la Teoria dei
sentimentimorali, nonostante venga da lui utilizzata in modo innovativo, è
influenzata daquesto clima intellettuale. Frequentando l’università di Glasgow prima come studente (sotto la guida di Hutcheson) e poi come docente di filosofia morale, egli entra a contatto con quel filone di studi sul moral sense che in Inghilterra, grazie al filosofo londinese Shaftesbury, aveva già preso piede.
La Teoria nasce e si sviluppa nel momento in cui l’indagine filosofica si sposta dalla relazione tra natura e ragione (tradizione inaugurata da Cartesio) a quella tra natura e passioni umane: l’attitudine dell’uomo alla socievolezza viene da ora in
avanti posta in primo piano.
Questo cambiamento di rotta sposta l’individuo al di fuori di un disegno
perfettamente razionale (in cui la società è prodotto di azioni che avvengono automaticamente), giungendo alla comprensione dei sentimenti e delle attitudini sociali dell’uomo2
.
2 Per questa breve ricostruzione storica del mutamento culturale, sociale ed economico del
Settecento, si è fatto riferimento a due opere di Adelino Zanini, Genesi imperfetta, Giappichelli Editore, 1995 (pp. 38-48) e Adam Smith. Economia, morale e diritto, Mondadori, 1997 (pp. 1-29.)
9
La prima stesura della Teoria coincide con il periodo di docenza di Smith presso l’Università di Glasgow (1751- 1764), in un contesto in cui l’insegnamento
accademico è strettamente legato alla Chiesa presbiteriana scozzese; ciò costringe le ricerche di Smith e di Hutcheson verso lo sviluppo di una teoria morale facilmente conciliabile con le credenze etiche cristiane.
Forte dell’eredità di Hutcheson, il discorso smithiano si presenta come
approfondimento di un modo tradizionale di concepire le questioni affrontate non solo dall’etica e dalla teologia propriamente detta, ma anche da quelle relative alla giustizia, alla produzione di ricchezza e all’amministrazione delle istituzioni
pubbliche; questo sarà l’orizzonte all’interno del quale si collocherà tutta la riflessione di Smith nel corso della sua vita.
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1.1 Il paradigma settecentesco del moral sense. Shaftesbury e Francis
Hutcheson.
Si può far risalire al filosofo inglese Shaftesbury (1671-1713) la prima presentazione di una concezione radicalmente anti-hobbesiana di un individuo che, lontano dall’essere egoista e interessato al proprio piacere, è dotato di una
capacità di benevolenza da cui hanno origine la vita morale e sociale. Egli indica nell’istinto naturale proprio di ogni uomo le ragioni della socievolezza che
spingono gli uomini ad associarsi3; il soggetto di cui egli parla è indigente, caratterizzato da bisogni e desideri che lo portano a relazionarsi agli altri, a ricercare la reciprocità per colmare le proprie mancanze: ne consegue l’impossibilità che lo spirito umano sia caratterizzato dal solo desiderio di realizzare un interesse personale, poiché ciò andrebbe contro l’idea stessa di società, vista come frutto dell’istinto naturale umano in cui interesse personale e
interesse collettivo concordano già potenzialmente.
Ipotizzare che il fondamento della coesistenza degli esseri umani sia dato da un’affezione morale innata presuppone che solo grazie a tale sentimento sia
possibile spiegare la coincidenza tra interesse del singolo e interesse collettivo, poiché il primo opera per inclinazione naturale verso il bene pubblico, realizzando contemporaneamente anche il proprio interesse:
3
«Per togliere di mezzo i cavilli di una filosofia che parla tanto e in modo così futile della natura, possiamo certo stabilire con giustizia questo principio: se in una creatura c’è qualcosa di naturale, è ciò che contribuisce alla conservazione della specie stessa […]se è naturale mangiare e bere, tale è anche l’istinto sociale.» A. Shaftesbury, Sensus communis: saggio sulla libertà dell’arguzia
11
«Nelle posizioni e inclinazioni di creature singole – scrive Shaftesbury – c’è una costante relazione con l’interesse della specie o natura comune.»4
Riprendendo le indicazioni di Shaftesbury ma poggiando su un’epistemologia di
stampo lockeano, Francis Hutcheson intraprende la strada di uno svincolamento della morale da qualsiasi ingerenza hobbesiana e mandevilliana.
L’impianto della ricerca del filosofo scozzese si pone come obiettivo principale lo
sviluppo di una filosofia morale in cui i principi etici generali vengono elaborati secondo la tradizione giusnaturalistica, ma all’interno di una strada alternativa rispetto a quella del razionalismo seicentesco.
La novità introdotta da Hutcheson consiste nell’abbandonare la prospettiva propria dell’agente – prevalente nel pensiero di autori quali Hobbes e Mandeville
(che negano qualsiasi presenza negli esseri umani di tendenze di partecipazione alla vita emotiva altrui5) – al fine di far valere i sentimenti suscitati in un osservatore dalla sua partecipazione alla vita emotiva altrui.
In questa prospettiva, l’obiettivo del suo saggio A system of moral philosophy è quello di dimostrare che non tutte le azioni dell’uomo hanno origine dall’amore di
sé (self-love), ma che il desiderio del benessere altrui è condizione naturale della umanità. Il pensiero di Hutcheson possiede perciò un’articolazione più complessa
4
Shaftesbury, Saggio sulla virtù e il merito, in Saggi Morali, a cura di Paolo Casini, Laterza, 1962. P. 141.
5 È doveroso ricordare che per Thomas Hobbes l’essere umano è spinto al movimento da impulsi
meccanici interiori o provenienti da altri corpi; lo stesso sentimento compassionevole non è altro che una preoccupazione per se stessi e dunque una manifestazione della dinamica egoistica che muove gli esseri umani: «La compassione - scriveva Hobbes - consiste nell’immaginazione o finzione di una futura calamità per noi, derivante dal senso della presente calamità di un altro uomo.» In Elementi di legge naturale e politica, La Nuova Italia, 1968, p. 67.
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rispetto a quella shaftesburiana, perché evidenzia la naturale e immediata spinta degli esseri umani verso la vita in società:
«È quasi impossibile negare all’umanità un impulso naturale alla società con i suoi simili quale principio immediato […]; né dovremmo attribuire ogni associarsi alla loro indigenza. I loro differenti principi, il loro desiderio di conoscere […] avrebbero poco o nessun modo di esercitarsi in solitudine, e quindi potrebbero guidarli a frequentarsi, anche senza un immediato o estremo impulso, o un senso di indigenza.»6
Non è la sopracitata indigenza a spingere gli uomini alla socievolezza, ma un impulso naturale che rende loro capaci anche di affezioni disinteressate non subordinate al self-love e al self-interest. Queste affezioni derivano da una facoltà morale specifica della natura umana, nei cui confronti la ragione è ausiliaria e la società ambiente necessario:
«C’è perciò […] una naturale e immediata determinazione ad approvare certe affezioni e azioni a esse conseguenti; o un senso naturale di immediata perfezione in esse, non riferito ad altre qualità percepibili dai nostri sensi o dal ragionamento. Definiamo questa determinazione un istinto […]. Può essere una costante, radicata determinazione dell’animo stesso, qual è il nostro potere di giudicare e ragionare. Ed è abbastanza evidente che la ragione è solo un potere ausiliario.»7
6
Adelino Zanini, Adam Smith. Economia, morale, diritto. p.41. Il riferimento al testo originale è in F. Hutcheson, A system of moral philosophy, Millar, London, 1755, vol. I, p. 34.
7 A. Zanini, Adam Smith, op. cit., pp. 46-47. Cft. F. Hutcheson, A system of moral philosophy, op.
13
Questo naturale istinto sociale indirizza l’uomo verso la felicità pubblica come
suo scopo ultimo: non è la gratificazione verso il proprio operato che conduce i singoli verso la società, ma un innato senso sociale tendente al bene generale. L’impressione che ci sia una netta separazione tra passioni egoistiche
(selfishaffections) e passioni virtuose (generous affections) viene superata considerando che il rispetto del moral sense arricchisce l’essere umano e viene valorizzato all’interno della società:
«La più benevola e saggia costituzione di un sistema razionale è quella in cui il grado di affezione egoistica più vantaggiosa per l’individuo è conforme all’interesse del sistema; e nella quale il grado delle affezioni generose più vantaggiose per il sistema è conforme o soggetto alla più grande felicità dell’individuo.»8
La svolta del pensiero di Hutcheson consiste nel fatto che i principi socievoli della natura umana non si fondano sul self-love, ma sull’innata disposizione benevola (benevolence) verso gli altri, che conduce inevitabilmente al conseguimento del proprio interesse.
La concordanza tra affezioni egoistiche e affezioni generose va ricercata quindi in questa disposizione benevola e su un sentimento simpatetico (sympathetic sense) presenti nel genere umano, in base ai quali «quando conosciamo la condizione degli altri, i nostri cuori naturalmente provano comprensione verso di essi. Quando noi vediamo o conosciamo il dolore di cui un altro soffre, proviamo un
8 Adelino Zanini, Adam Smith. Op. cit., p. 48. Cft. F. Hutcheson, A system of moral philosophy, op.
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forte senso di pietà e la più grande inclinazione al conforto, ove nessuna passione contraria ci trattenga.»9
La passione simpatetica (sympathy) è tale da essere naturalmente contagiosa: la sofferenza altrui provoca sofferenza nell’osservatore, la gioia determina altra gioia. Ciò che sta a fondamento dell’operato e del lavoro umano è questa inclinazione affettiva degli uni verso gli altri, e non la paura e l’inganno reciproci. Hutcheson rovescia quindi l’antropologia politica di Hobbes dando un’alternativa
al selfish system: per gli esseri umani l’unico stato di natura è la società stessa dato che l’essere umano è naturalmente sociale.
Su questa tesi si gioca la netta opposizione tra moral sense e selfish system che, come si vedrà nel prossimo paragrafo, appaiono a Hume e Smith nella loro insufficienza, poiché enfatizzano una natura umana data per scontata e il cui studio non è empirico.
9
15
1.2Lo sviluppo di una scienza sperimentale della natura umana. David Hume
e il principio simpatetico.
Prima di arrivare a Smith è necessario soffermarsi, per completare la breve presentazione dell’Illuminismo scozzese, sul pensiero di David Hume, vero e
proprio rivoluzionario nel campo della ricerca sulle cause della socievolezza umana, a cui Smith è debitore per ciò che riguarda le riflessioni di carattere, morale ed economico.
Come appare chiaro nell’analisi fin qui svolta, nel corso del XVIII secolo la
trattazione del concetto di sympathy si fa sempre più preponderante; ma i due approcci teorici a cui si è fatto riferimento fino a ora si limitano a contrapporre due schieramenti diametralmente opposti: da una parte, l’approccio hobbesiano, basato su un’antropologia pessimistica, dall’altra l’approccio ottimistico di
Shaftesbury e Hutcheson. Il punto debole di questi schieramenti è che partono entrambi da una concezione dell’uomo data a priori che ha la pretesa di spiegare il funzionamento dell’intera società.
Con Hume avviene il superamento di questa dicotomia. Egli vuole indagare sull’origine del principio che guida l’azione umana, prescindendo da ogni
teleologia. Per lui fare riferimento al moral sense o al selfish system significa basarsi su una finzione che fa appello a una naturalità che non viene percepita empiricamente:
«In ogni sistema morale in cui mi sono finora imbattuto, ho sempre trovato che l’autore va avanti per un po’ ragionando nel modo consueto[…] fa delle osservazioni sulle cose umane,
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poi […] al posto delle abituali copule ‘è’ e ‘non è’ incontro solo proposizioni che sono collegate con un ‘deve’ e ‘non deve’. Dato che questi ‘deve’ e ‘non deve’ esprimono una nuova relazione, è necessario che siano osservati e spiegati.» 10
Il criterio empiristico humeano sposta la disputa da un innato moral sense all’osservazione del sentimento che porta alla mutua dipendenza tra gli individui: il filosofo scozzese riconosce l’importanza a posteriori del legame tra self-love e
interesse collettivo. Come sostiene Zanini11, Hume si prefigge il compito di far coesistere virtù naturali, non riconducibili ad alcun calcolo egoistico, con un insieme di virtù artificiali (ma non arbitrarie), superando la contrapposizione tra teorici del selfish system e i critici di questo modello, senza introdurre nessuna cesura tra self-love e benevolenza.
Come già con Hutcheson, la ricostruzione della rilevanza della simpatia contro il
selfish system hobbesiano permette di riconoscere la natura sociale dell’uomoe
lacondivisione di emozioni, sentimenti e passioni in un livello prepolitico, non in una dimensione politica o istituzionale.
Per Hume la simpatia è principio costitutivo della vita umana, che permette la comunicazione tra gli uomini; il ruolo che essa ricopre nella vita umana è decisivo perché gli individui necessitano di condividere le proprie affezioni tra di loro:
10
David Hume, Trattato sulla natura umana, Biblioteca Universale Laterza, 2008, pp. 496-497. Per chiarire il rapporto diretto tra Hutcheson e Hume, è utile fare riferimento anche allo scambio epistolare tra i due filosofi; per esempio, in una lettera del 17 Settembre 1739, Hume scrive: Non
posso essered’accordo con il vostro senso del naturale. Esso si fonda su cause finali, cioè su una considerazione che per me è abbastanza problematica. Ditemi, qual è il fine dell’uomo? È egli creato per la felicità o per la virtù?” D. Hume, Lettere, ed. F. Angeli, 1983. cit., p. 76.
11
17
«Qualunque sia la passione umana che ci muove […] di tutte la simpatia è l’anima o il principio animatore; ed essa non avrebbe alcuna forza se facessimo completamente astrazione dai pensieri e dai sentimenti altrui.»12
Il miglior metodo per convincersi di questo è quello – sostiene Hume – di dare anche solo uno sguardo generale all’universo, per convincersi di come la peggiore
pena che possa capitare a un uomo è vivere in solitudine, astraendo dai sentimenti e dai pensieri altrui.
Tutte le passioni umane, anche quelle apparentemente più egoistiche possono essere spiegate solo ammettendo che le relazioni tra gli esseri umani ruotano attorno alla capacità di farsi influenzare da emozioni e passioni altrui:
«Non c’è qualità più notevole, sia in sé e per sé, sia per le sue conseguenze, della nostra propensione a provare simpatia per gli altri, e a ricevere per comunicazione le inclinazioni e i sentimenti altrui, per quanto diversi e addirittura contrari ai nostri. […] Odio, risentimento, stima, amore, coraggio, allegria e melanconia: sono tutte passioni che sento più per comunicazione che per il mio proprio temperamento e disposizione naturali.»13
Il filosofo scozzese distingue due livelli in cui la simpatia si colloca: uno inteso prevalentemente come “contagio emozionale” e l’altro come una forma più
estensiva di relazione tra esseri umani, con ricadute nella loro vita pratica.
12 David Hume, Trattato, op. cit., pag. 380. 13
18
Il livello più elementare permette di individuare il meccanismo spontaneo che rende necessaria la trasmissione delle passioni in modo immediato e quasi automatico da un essere umano a un altro:
«Tanta stretta e intima è la corrispondenza tra le anime umane che, non appena una persona si avvicina, riversa su di me tutte le sue opinioni e, in maggiore o minore misura, trae a sé il mio giudizio. […] Questo principio della simpatia è di natura così potente e penetrante da coinvolgere la maggior parte dei nostri sentimenti e delle nostre passioni.»14
La forza di questo punto – come evidenziano Mario dal Pra e Eugenio Lecaldano15 – è l’emergere di un dato radicale sulla natura umana, ovvero la rassomiglianza tra gli esseri umani:
«Le menti di tutti gli uomini sono simili nei loro sentimenti e nelle loro operazioni, né qualcuno può mai essere mosso da un’affezione che anche tutti gli altri non possano in qualche modo provare.»16
Al profondo radicamento della simpatia nell’essere umano vanno fatte risalire influenti tendenze sociali che danno luogo all’uniformità di opinioni e condotte
interne a ogni società, impedendo di vivere in condizioni segnate da profondi disaccordi.
14
Ivi, p. 626.
15 Mario Dal Pra, David Hume e la scienza della natura umana, Laterza, 1983, pp. 256-267;
Eugenio Lecaldano, Simpatia, Cortina editore, 2013, p. 49.
16
19
Hume ipotizza anche una forma di simpatia che non agisce immediatamente, ma è mediata dall’immaginazione. Infatti è proprio sull’immaginazione che si fonda il
processo di comunicazione e partecipazione con le emozioni altrui.
È quest’ultima forma di simpatia a essere importante nella ricostruzione humeana, perché permette l’intervento dei sentimenti morali nel valutare e distinguere tra
condotte viziose e virtuose; spiegando questo secondo livello di simpatia Hume vuole rendere conto di come gli esseri umani partecipano alle passioni altrui e le provano con la stessa tensione emotiva:
«Quando una qualsiasi affezione nasce per simpatia, dapprima la si vede solo dai suoi effetti e da quei segni esteriori nel contegno e della conversazione che ce ne comunicano l’idea. Quest’idea si converte immediatamente in un’impressione, e acquista un tale grado di forza e vivacità da produrre un’emozione uguale a quella di un’affezione originaria […]. Qualsiasi oggetto sia in relazione con noi deve essere concepito con un’analoga vivacità di rappresentazione; e deve pur tuttavia avere una notevole influenza.»17
In sostanza, la simpatia humeana consiste nella trasmissione, basata sulla somiglianza, della vivacità del proprio sentimento con l’idea che si ha dei sentimenti di un’altra persona, e quest’idea ne risulta rafforzata tanto da essere trasformata in impressione: l’osservatore ha perciò quasi un suo sentimento nel
sentimento altrui.
Non è dunque una considerazione egoistica basata sul paragone e sulla semplice immaginazione (come sostiene Hobbes) a spiegare la trasformazione dell’idea di
17
20
una passione nella passione stessa. Se alla base ci fosse un principio diverso dalla simpatia, un principio basato sull’amor proprio, bisognerebbe ammettere che l’immaginazione «ha la forza di convertirci in un’altra persona e di farci “fantasticare” che, essendo noi quella persona, ricaveremmo danno dalla
situazione in cui essa si trova e quindi dolore e terrore.»18
Tale spiegazione della simpatia in termini di proiezione delle proprie emozioni sugli altri – come sostenuto da Lecaldano19 – prende notevolmente le distanze dal «mito dell’interiorità», ovvero dalla pretesa di possedere un’esperienza di sé unica
e certa; perché la simpatia, dando realtà al mondo, apre alla dimensione affettiva della vita umana in cui l’isolamento individuale è superato.
Al di là delle differenze che intercorrono tra la simpatia intesa come contagio emozionale e simpatia mediata, ci sono alcune componenti che Hume ritiene valgano per qualsiasi forma di simpatia: essa è un meccanismo che permette la trasmissione sia delle emozioni spiacevoli o dolorose, sia di quelle gradevoli. Va considerata ora l’importanza che Hume attribuisce alla simpatia per dare vita
alla valutazione morale, essendo questa principio generale di approvazione e disapprovazione; l’organizzazione del mondo morale non si rifà infatti a un
mondo basato su valori razionali, ma si fonda su una spinta istintiva fondamentale che “uniforma” socialmente gli esseri umani. La simpatia, essendo comune a tutti, si accorda con l’esigenza di sentimenti generali riuscendo a influenzare il giudizio
degli uomini.
18 Mario Dal Pra, David Hume e la scienza della natura umana, op. cit., p. 260. 19
21
In definitiva, la distinzione tra bene e male, proprio perché influisce sulle nostre azioni, non può derivare dalla ragione, ma implica un’ “impressione”, un
sentimento.
È evidente che tale discorso, come quello concernente alcune virtù naturali (benevolenza, generosità ecc.) e il principio della loro valutazione siano influenzati dalla dottrina del senso morale di Hutcheson; ma proseguendo nella lettura del terzo libro del Trattato, si nota come la dottrina humeana tenda a diversificarsi da quella di Hutcheson, considerando il senso morale come senso del giusto e dell’ingiusto.
Per la comprensione di quest’ultimo punto, è necessario concentrarsi sull’idea di
giustizia che il filosofo scozzese ha, perché (si vedrà meglio in seguito) tale virtù, insieme a quella di benevolenza, ha una collocazione significativa nella Teoria dei
sentimenti morali, ma una connotazione differente rispetto alla tesi proposta
daHume, che viene letto da Smith e dai suoi contemporanei come sostenitore di una visione utilitaristica del sentimento di giustizia.
Per Hume l’uomo non ha un senso naturale per tutte le virtù, ma alcune di esse
producono approvazione o disapprovazione sulla base di convenzioni che nascono dalle necessità del genere umano. La virtù della giustizia è una di queste convenzioni.
Dichiarando come massima indubitabile che «nessun’azione può essere virtuosa a meno che, a produrla, non vi sia nella natura umana qualche motivo diverso dal senso della sua moralità20», Hume sostiene che il senso morale o del dovere può portare il singolo a compiere azioni moralmente buone, nonostante non abbia
20
22
nessun motivo personale virtuoso. È questo il caso delle azioni rette comuni a tutta l’umanità, in cui anche chi non è spinto da motivi virtuosi, agisce ugualmente
a causa di un obbligo morale verso gli atti di giustizia, acquisendone la virtù attraverso la pratica.
Interrogandosi su quali siano i principi della giustizia, Hume esclude che tra questi ci possano essere l’amore di sé, l’interesse verso il bene pubblico o la benevolenza
privata.
La giustizia non può trovare il suo motivo fondamentale nell’amore di sé poiché, se un uomo seguisse esclusivamente tale impulso, compirebbe solo azioni violente o contrarie alla virtù della giustizia.
L’interesse pubblico, come dimostrato dall’esperienza, è un motivo troppo debole
per riuscire a influenzare tutti gli esseri umani e spingere verso azioni, quali sono quelle dettate dalla giustizia, tanto contrarie all’interesse privato.
Se la benevolenza pubblica non è l’origine della giustizia, ancora meno può
esserlo la benevolenza privata, «la considerazione per gli interessi della parte in causa»21. In altre parole, la salvaguardia della proprietà privata è garantita dalle leggi della società. Ma questa è una considerazione secondaria, poiché dipende dalle nozioni di giustizia e ingiustizia di cui Hume vuole trovare l’origine.
Non essendoci perciò motivi naturali e immediati che giustifichino la virtù della giustizia, risulta chiaro che essa sia istituita convenzionalmente dagli uomini per la conservazione della società. È una virtù “artificiale”, benché necessaria per la natura umana, un’invenzione che ha come fine la tutela della proprietà privata e fa
sì che ognuno rispetti le proprietà altrui e esigendo il rispetto della propria.
21
23
In questo senso, la spontanea e disinteressata generosità, pur non mancando nell’essere umano, è contraria alla conservazione della società non meno del bieco egoismo, poiché l’amore verso il prossimo non può essere – per quanto esteso –
onnicomprensivo e indiscriminato, ma favorirà determinati rapporti interumani a scapito di altri, determinando proprio quella opposizione di passioni, interessi e azioni contraria alla pace sociale:
«Possiamo osservare che una passione così nobile, invece di rendere adatti gli uomini ad ampie società, è quasi tanto contraria a queste società quanto l’egoismo più stretto. Infatti, fino a che ognuno ama se stesso più di qualunque altra persona e, nel suo amore per gli altri, rivolge il suo affetto soprattutto ai suoi parenti e amici, ciò dovrà necessariamente produrre un contrasto di passioni e un conseguente contrasto di azioni, che non potrà non essere pericoloso per le unioni nate da poco.»22
Pertanto il senso della giustizia, come senso generale verso l’interesse comune,
presuppone un tacito accordo che è alla base della giustizia stessa, cioè che tutti rispettino la proprietà altrui, e che ognuno sia consapevole dell’interesse personale
che soddisfa rispettando, insieme a tutta la società, le regole della giustizia:
«Osservo che è nel mio interesse lasciare a un altro il possesso dei suoi beni, purché egli agisca nello stesso modo nei miei confronti.[…] La regola della stabilità del possesso non solo deriva dalle convenzioni umane, ma sorge gradualmente e acquista forza attraverso un lento progresso e in virtù di una reiterata esperienza degli inconvenienti che sorgono dal trasgredirla. Questa esperienza ci dà ulteriori assicurazioni che la consapevolezza del
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reciproco interesse è divenuta comune a tutti i nostri compagni e ci dà fiducia sulla futura regolarità della loro condotta.»23
Non suscita problema il fatto che l’interesse individuale (o egoismo, come anche
viene chiamato da Hume) sia un principio della natura umana capace di tanta estensione, dal momento che l’interesse di ciascuno è generalmente connesso con
quello della comunità:
«La giustizia trova la sua origine nelle convenzioni umane e queste ultime vanno intese come rimedio a certi inconvenienti che derivano dal concorso di certe qualità della mente umana e della situazione degli oggetti esterni. Le qualità della mente umana sono l’egoismo e la generosità limitata e la situazione degli oggetti esterni è data dalla loro facilità di cambiare possessore e dalla loro scarsezza rispetto ai bisogni e ai desideri degli uomini […]. È per frenare l’egoismo che gli uomini sono stati obbligati a distinguere tra beni propri e beni altrui. […] La benevolenza limitata dell’uomo e la sua precaria condizione generano questa virtù (la giustizia) solo in quanto la rendono necessaria per l’interesse pubblico e per l’interesse di ogni individuo.»24
Dopo che gli uomini apprendono che egoismo e generosità limitata rendono inadatti alla società, sono spinti naturalmente a sottoporre queste affezioni al necessario freno di regole che possano rendere i rapporti umani più sicuri e vantaggiosi. È una preoccupazione verso il proprio interesse a verso l’interesse pubblico a spingere verso la formulazione delle leggi della giustizia.
23 D. Hume, Trattato, op. cit., pp. 517-518. 24
25
Come principio di approvazione morale, la giustizia, fondandosi sulla simpatia, diviene spontanea per l’essere umano. Infatti, nonostante la giustizia sia nata solo per ragioni egoistiche all’interno della più piccola e antica comunità umana, opera all’interno di una società sempre più grande e numerosa, non lasciando tuttavia gli
uomini estranei alle sofferenze altrui. È proprio grazie alla simpatia che, all’interno di una grande società, gli uomini partecipano disinteressatamente alle
ingiustizie subite dagli altri, comprendendone la sofferenza e le ingiustizie di cui sono vittime:
«Quando l’ingiustizia è così lontana da noi da non influenzare in alcun modo il nostro interesse, essa pur tuttavia ci risulta sgradevole. […] Partecipiamo del dolore altrui per
simpatia; e poiché ogni cosa che nelle azioni umane provoca dolore viene chiamata vizio, e
qualsiasi cosa che provoca soddisfazione viene denominata virtù: questa è la ragione per cui il senso del bene e del male morale deriva dalla giustizia e dall’ingiustizia. […] Così l’interesse egoistico rappresenta il motivo originario che fa sorgere la giustizia; mentre una
simpatia con l’interesse pubblico costituisce la fonte dell’approvazione morale che
accompagna questa virtù.»25
Il senso della giustizia si fa perciò più comprensivo e autentico fondandosi sulla simpatia poiché, nonostante trovi la sua origine nell’interesse individuale e su una convenzione, esso opera in seguito in maniera autonoma e naturale, come immediato piacere per le azioni tendenti alla pace sociale e immediato disagio verso azioni opposte, anche se è rafforzato
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da nuove convenzioni e dall’educazione ricevuta. È la simpatia a fare dell’interesse pubblico l’interesse del singolo:
«Per tutte le virtù che hanno una tendenza al bene pubblico; tutto il loro merito deve derivare dalla nostra simpatia con coloro che da esse ricavano un qualche vantaggio; così come le virtù che hanno una tendenza a favorire il bene della persona che le possiede derivano il loro merito dalla nostra simpatia con questa persona.»26
Alla forza della simpatia va attribuito il sentimento di approvazione che nasce dalla vista di tutte le virtù che sono utili alla società o a coloro che le possiedono, e che formano la parte più importante della morale. Questa osservazione è estendibile anche alla giustizia. Sebbene questa sia artificiale, il senso della sua moralità è naturale: è l’accordo degli uomini per una condotta giusta che rende
vantaggioso alla società ogni atto giusto. Ma una volta che questo atto tende al bene comune, è approvato naturalmente; se non fosse così, nessun accordo e nessuna convenzione potrebbe mai produrre il sentimento di approvazione.
L’importanza della simpatia per la società e per la virtù della giustizia viene
sottolineata da Hume anche nella conclusione del suo Trattato:
«L’interesse su cui si fonda la giustizia è il più grande che si possa immaginare e si estende a tutte le epoche e a tutti i luoghi. Nessun’altra invenzione può mai essergli adeguata: esso è
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evidente e si manifesta al primo formarsi della società. Tutte queste sono cause che rendono salde e immutabili le regole della giustizia; immutabili almeno quanto la natura umana.»27
Il discorso humeano sul senso morale, intenso come senso del giusto e dell’ingiusto, si differenzia notevolmente da quello di Hutcheson. Tuttavia,
considerando il caposaldo della dottrina humeana del carattere artificiale del senso della giustizia, è chiara l’influenza dell’interpretazione utilitaristica della virtù e del senso morale di Hutcheson. Ma d’altra parte, per quanto riguarda la simpatia,
per Hume – nonostante ne metta in evidenza il carattere disinteressato nel giudizio morale – questa diventa il potente principio che chiarisce in sé lo stesso senso morale come principio di azione e approvazione. Non a caso, mirando indirettamente a Hutcheson, egli afferma che «coloro che risolvono il senso morale in certi istinti originari della mente umana, possono difendere la causa della virtù con sufficiente autorità; ma a loro manca il vantaggio che invece hanno coloro che spiegano il senso morale mediante una generale simpatia con l’umanità»28
.
A questo proposito, come si è dimostrato, larga parte del III libro del Trattato è dedicata allo studio della simpatia come principio immediato e automatico in grado di spiegare non solo le virtù artificiali, ma anche processi culturali e storici. In conclusione di questo paragrafo, per comprendere le differenze tra il pensiero di Hume e quello di Smith, va evidenziato come la simpatia sia per il primo un principio “neutro” che permette il rafforzamento di qualsiasi percezione, senza
27 D. Hume, Trattato, op. cit., p. 654. 28
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aggiungere connotazioni affettive ai sentimenti trasmessi, poiché agisce anche sotto l’apparenza del suo contrario (principio del confronto), attraverso cui nell’osservatore si genera una passione diversa e contraria dopo essere stato
contagiato immediatamente dalla passione altrui29.
Nel prossimo paragrafo, si indicherà l’influenza di Hume e Hutcheson sull’indagine smithiana. Da questi, il filosofo di Kirkaldy erediterà l’importanza dell’ottica di uno spettatore e la convinzione che i principi di approvazione e
disapprovazione morale vadano cercati tra le passioni degli uomini, e non nella parte razionale della natura umana.
Se Hutcheson ritiene che la simpatia, permettendo di gioire della felicità o compatire la sofferenza dell’altro, sia l’elemento imprescindibile della felicità
umana e della società civile; Hume accompagna questo sentimento all’immaginazione, elemento che, nella ricerca di Smith, spiegherà il meccanismo
attraverso cui si diviene partecipi delle affezioni altrui.
Smith ovviamente si distanzierà più da Hutcheson che da Hume, soprattutto per una questione metodologica: il primo infatti è ancora legato a un approccio che pretende di trovare una finalità nella natura umana; il metodo humeano, al contrario, sarà più congeniale, nonostante alcune discrepanze tra le teorie dei due filosofi. Hume per primo delinea i vari modi in cui la simpatia si manifesta, riconoscendole il potere di unire la dimensione singola dell’individuo con quella
sociale.
Il limite della ricerca humeana sta nell’aver mantenuto un approccio troppo speculativo, nonostante l’obiettivo di basare la ricerca morale sul metodo
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empirico. Smith, al contrario, tenterà di fondare una morale che nasce realmente dal basso, costruendo la genesi dei sentimenti morali attraverso l’osservazione
della società a lui contemporanea, non allontanandosene come fa Hume con il suo scetticismo.
È per questo motivo che nell’apparato della Teoria dei sentimenti morali
acquisteranno importanza le nozioni di coscienza, autocontrollo, dovere e diritti. Nel superare i suoi predecessori, lo sforzo maggiormente compiuto da Smith sarà quello di sviluppare e integrare il loro approccio, fornendo soprattutto gli strumenti per giudicare la propria condotta personale.
Smith si impegnerà a trattare sistematicamente l’intera cerchia dei sentimenti morali per dimostrarne l’origine dal solo sentimento simpatetico.
30
1.3 Il ruolo della simpatia nella Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith.
Come è stato spiegato nel precedente paragrafo, con Hume avviene il superamento della dicotomia tra moral sense e selfish system e un’elaborazione del concetto di simpatia molto diversa da quella offerta dai suoi predecessori, poiché basata su un criterio di ricerca empirico.
Ad Adam Smith si deve un ulteriore passo avanti nell’elaborazione di tale
nozione, alternativa a quella humeana ma da cui viene ripreso metodo di ricerca e concezione epistemologica.
L’intera Teoria dei sentimenti morali30
, come teoria costruita sul rapporto tra un
Io agente e un Io spettatore, si sviluppa in due ambiti ben precisi: tra esperienza e immaginazione, cioè l’esperienza dell’agente e l’approvazione di colui che cercadi
immedesimarsi con i sentimenti di chi agisce.
In apertura dell’opera, la correlazione tra questi due ambiti viene subito delineata: l’esperienza a cui si richiama Smith è la descrizione dei rapporti umani su cui si basa la società civile e da cui deriva l’interesse che si prova verso i sentimenti e la
sorte altrui:
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In questi paragrafi non verranno presi in considerazione tutti i cambiamenti apportati da Smith alla sua opera, dalla prima pubblicazione del 1759, fino all’ultima del 1790, anno della morte dell’autore. Va però precisato che le diverse modifiche al testo, nonostante non propongano trasformazioni radicali sulla concezione che l’autore ha della natura umana, presentano ampliamenti e precisazioni che armonizzano l’immagine della condotta umana della Teoria con quella presente ne La ricchezza delle nazioni, di cui si discuterà nel secondo capitolo del presente lavoro.
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«Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono chiaramente presenti nella sua natura alcuni principi che lo rendono partecipe delle fortune altrui, e che rendono per lui necessaria l’altrui felicità.»31
L’immaginazione viene introdotta poco dopo come fattore indispensabile
per la comprensione dei sentimenti altrui; infatti – come già affermato da Hume – l’interesse verso la sorte dell’altro non deriva da un sentimento morale dato aprioristicamente, ma da un’eventuale immedesimazione con la
sorte dell’agente:
«Lo spettatore deve, prima di tutto, tentare, per quanto può, di mettersi nella situazione dell’altro. Deve fare interamente proprio il caso del suo compagno […] sforzandosi di rendere più perfetto possibile quell’immaginario scambio di situazione su cui si basa la simpatia.»32
L’immaginazione permette di comprendere le emozioni dell’altro, aiutando lo
spettatore a raffigurarsi le passioni che egli stesso proverebbe se fosse al posto dell’agente.
Dal momento che non è possibile avere un’esperienza diretta e certa di ciò che gli altri provano, l’unico modo per entrare in contatto con i sentimenti altrui è provare
31
Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali, p. 81. Nella sez. III della VII parte dell’opera, aggiunta nell’ultima edizione (1790), Smith ripudia il pessimismo antropologico di Hobbes e Mandeville. Come già notato da Hume, questi ultimi deducono che dal solo self-love abbia origine l’interesse che gli esseri umani hanno per il benessere altrui e l’armonia della società.
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a immedesimarsi con essi, cercando di capire ciò che essi stessi proverebbero nella stessa loro situazione.
Di qualunque natura sia la passione che sorge nell’agente, una passione simile nasce, al pensiero della situazione che la suscita, nell’animo dello spettatore. È per merito dell’immaginazione se lo spettatore, comprendendo la situazione dell’altro,
manifesta un sentimento simpatetico.
La partecipazione alle fortune (o sfortune) altrui, che Smith evidenzia in apertura dell’opera, si basa su questo fondamento, grazie a cui si articolano, come verrà
dimostrato in seguito, i giudizi morali all’interno della società:
«La parola simpatia ora può, senza eccessiva improprietà, essere usata per denotare il
nostro sentimento di partecipazione per qualunque passione.»33
Definita in questo modo, la simpatia è l’elemento discriminante grazie a cui le affezioni dell’agente e quella dello spettatore coincidono. Se le passioni provate dall’agente concordano perfettamente con le emozioni simpatetiche suscitate nello spettatore, esse appaiono a quest’ultimo giuste e appropriate.
Ma nel caso in cui, riconducendo il caso a se stesso, lo spettatore non dovesse condividere le emozioni dell’agente, le disapproverebbe, trovandole ingiuste e
inappropriate.
Nella Teoria, la simpatia è un principio immaginativo dotato di un contenuto emotivo che non ha come oggetto un percezione già data e da ravvivare, ma una complessa situazione da considerare nella sua interezza:
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«La simpatia non sorge tanto dalla vista della passione, quanto dalla vista della situazione che la suscita. Proviamo a volte al posto di un altro, una passione della quale lui stesso sembra del tutto incapace, perché, quando ci mettiamo nei suoi panni, quella passione sorge in noi dall’immaginazione, nonostante non sorga in lui dalla realtà.»34
Non si tratta più del principio neutro di trasmissione ed enfatizzazione delle emozioni di cui parla Hume, ma di un’emozione provata nel concordare con le
passioni e le emozioni altrui. Provare simpatia per qualcuno significa provare piacere – sostiene Smith – nel percepire la propria condivisione emotiva verso la risposta che l’agente dà a una determinata situazione.
Essa si manifesta non solo comprendendo le emozioni altrui e riuscendo a parteciparvi emotivamente; ma soprattutto sentendo di poter convergere su di esse approvandole:
«Quale che sia la causa della simpatia, non c’è nulla che ci faccia più piacere che osservare in altri uomini una partecipazione a tutte le emozioni del nostro cuore, e nulla che ci urti quanto la manifestazione contraria.»
E più avanti:
«Quale sollievo provano gli infelici, quando trovano una persona alla quale comunicare la causa della loro sofferenza. Grazie a questa simpatia, sembra che essi alleggeriscano di una
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parte della loro angoscia, e non è fuori luogo dire che quella persona la divide con loro. Ma raccontando le loro sventure, in qualche misura essi rinnovano la loro pena […]. Tuttavia provano piacere in tutto questo e, è evidente, ne ricavano sollievo.»35
Questa particolare intensità di piacere è del tutto assente se si concepisce il processo simpatetico come mero meccanismo di trasmissione di emozioni36. La simpatia si presenta come uno stato psicologico molto complesso provato dallo spettatore nell’osservare la condotta o passione altrui: in un primo stadio, egli ricostruisce la passione e la condotta dell’altro, che possono essere piacevoli o
spiacevoli; in un secondo momento, egli approva o meno la condotta osservata; e infine, in un ulteriore terzo stadio, egli osserva la concordanza o discordanza conla persona oggetto di simpatia, verso cui proverà un piacere particolare se le nostre approvazioni concordano o un dispiacere se queste discordano37.
Smith perciò introduce una nozione di simpatia in cui l’immaginazione gioca un ruolo determinante; si è infatti visto come non si possa simpatizzare senza
35
Adam Smith, Teoria, op. cit. p. 89 e p. 91.
36
Riconoscendo una componente piacevole nel simpatizzare con l’altro, Smith si ritrova a polemizzare con Hume. Quest’ultimo, una lettera del 28 Luglio 1759 osserva come, se effettivamente la simpatia fosse sempre piacevole, «un ospedale sarebbe un luogo più divertente di una sala da ballo». Smith chiarisce tale punto in una nota della seconda edizione della Teoria (1761): “Mi è stato obiettato che, dal momento che ho fondato il sentimento di approvazione sulla simpatia, è incoerente con il mio sistema ammettere una qualche simpatia sgradevole. Rispondo che nel sentimento di approvazione esistono due cose da considerare: primo, la passione simpatetica dello spettatore; secondo, l’emozione che deriva dal suo osservare la perfetta coincidenza tra questa passione in lui e quella originaria nella passione principalmente interessata. Quest’ultima emozione, nella quale consiste il sentimento di approvazione, è sempre gradevole e dilettevole. L’altra può essere gradevole o sgradevole, a seconda della natura della passione originaria le cui caratteristiche essa deve sempre conservare.” David Hume, Lettere, ed. F. Angeli, p. 161; Adam Smith, Teoria, op. cit., p. 143, nota 15.
37
Come sottolineato da Lecaldano, Smith cattura una nozione di simpatia più complessa di quella offerta da Hume e più aperta al ruolo giocato dall’immaginazione. Infatti, oltre a dover ricostruire la situazione in cui le passioni e condotte altrui si svolgono, simpatizzare significa soprattutto approvare moralmente la condotta dell’altro. Eugenio Lecaldano, Simpatia, Cortina editore.
35
ricostruire la situazione in cui le passioni si svolgono e senza approvarle moralmente:
«Approvare, perciò, le passioni di un altro come adatte ai loro oggetti equivale a osservare che noi simpatizziamo interamente con esse, e non approvarle come tali equivale a osservare che non simpatizziamo interamente con esse.»38
Viene qua attribuita alla natura umana la capacità originaria di partecipare alle passioni altrui, evidenziando come l’essere umano non sia solo guidato da pulsioni egoistiche ma – polemizzando apertamente con quei sistemi filosofici che ricavano il desiderio di approvazione dall’amore di sé - che l’immaginario
scambio non avvenga tra la persona che osserva e le sue proprie passioni, ma tra questa persona e la persona che vive la situazione con cui si simpatizza:
«Per quanto si sostenga in modo del tutto appropriato che la simpatia deriva da un immaginario scambio di situazione con la persona principalmente coinvolta, tuttavia non si suppone che questo mio immaginario scambio avvenga nella mia persona, ma in quella della persona con cui simpatizzo. Quando mi dolgo insieme a te per la perdita del tuo unico figlio, non considero quello che io soffrirei se avessi un figlio, ma considero quello che soffrirei se fossi davvero te. […] La mia pena è del tutto per te e niente affatto per me stesso: perciò non è affatto egoistica.»39
38 Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali, p. 94. 39
36
Questo mutuo interesse tra individui, già evidenziato nelle prime pagine della
Teoria, si riduce a questo principio, su cui si articola il giudizio morale
nellasocietà, solo su questa base è possibile che la simpatia si verifichi come partecipazione a ogni passione, il suo ruolo è quello di evidenziare origine e natura del giudizio morale e rendere possibile il processo di approvazione o disapprovazione:
«La simpatia non sorge tanto dalla vista della passione, quanto dalla vista della situazione che la suscita. Proviamo a volte al posto di un altro, una passione della quale lui stesso sembra del tutto incapace, perché, quando ci mettiamo nei suoi panni, quella passione sorge in noi dall’immaginazione, nonostante non sorga in lui dalla realtà.»40
Il manifestarsi della simpatia, rispetto alla situazione che la suscita, consegue dal fatto che essa è il processo grazie a cui lo spettatore considera il rapporto tra la passione espressa e la situazione in cui si esprime. Questo è l’unico canone con
cui formulare un giudizio legato a un criterio di appropriatezza (propriety).
È quindi compito dello spettatore dare, dopo essersi posto nei panni dell’altro, un giudizio di approvazione o disapprovazione; nonostante venga sottolineato come le emozioni da lui provate siano sempre di grado inferiore rispetto a quelle provate dall’agente; sarà infatti molto difficile, per le emozioni dello spettatore, riuscire a eguagliare l’intensità di ciò che viene provato dall’agente. Ma nonostante «il
genere umanonon concepisce mai, per ciò che è capitato a un altro, quel grado di
40 Adam Smith, Teoria, op. cit., p. 86. Il funzionamento della Simpatia come principio di
approvazione morale, viene ben spiegato da A.L. Macfie e D.D. Raphael nell’introduzione dell’edizione inglese della Teoria, The Theory of moral sentiments, Oxford Press, 1976, p. 13.
37
passione che naturalmente anima la persona principalmente coinvolta»41, la sua natura simpatetica è sufficiente all’agente, desideroso della simpatia dello spettatore e della sua approvazione. Gli sforzi compiuti sia dall’agente, che
attutisce le sue emozioni a un livello comprensibile per lo spettatore; che da quest’ultimo, nel comprendere la gioia o la sofferenza dell’agente, rappresentano un punto “ideale” di mediazione tra i due soggetti.
Questi sforzi vengono ricondotti da Smith a due distinte virtù: le virtù amabili e le virtù rispettabili. Sottolineando come ci sia una grande umanità nell’atteggiamento di colui che, nonostante sia coinvolto in prima persona, manifesta un autocontrollo tale da permettere allo spettatore l’immedesimazione; in quell’atteggiamento è riscontrabile una virtù nobile: «sentire molto per gli altri
e poco per se stessi, frenare i sentimenti egoistici e secondare quelli benevoli costituisce la perfezione della natura umana».42
Le virtù amabili mostrano sensibilità verso la situazione vissuta dall’altro, mentre
le virtù rispettabili un nobile grado di autocontrollo. Per questa ragione, come si vedrà approfonditamente in seguito, l’appropriatezza di ogni passione deve essere situata in una certa medietà, proporzionata alla causa da cui l’azione nasce: se una
passione risulta, agli occhi dello spettatore, eccessiva o debole, egli non proverà nessuna simpatia verso la situazione in cui si trova l’agente.
È quindi consequenziale richiamare la differenza tra Hume, che vuole la simpatia come un sentimento già compiuto, in cui lo spettatore ricopre un ruolo del tutto subordinato; e Smith che, per tutta risposta, rappresenta la simpatia come un
41 Adam Smith, Teoria, op. cit., p. 102. 42
38
mezzo per esprimere approvazione o disapprovazione riguardo a qualsiasi passione: su questa base, lo spettatore può effettivamente svolgere un ruolo
39
1.4 Il principio dell’approvazione e dell’autoapprovazione.
Dopo aver discusso i criteri di approvazione della condotta dell’Io agente, nella III
parte della Teoria, Smith affronta il rapporto dell’Io agente con se stesso, con la propria condotta, che è soprattutto condotta sociale. Infatti, nella misura in cui si approva o meno la condotta di un Io agente “esterno”, il singolo deve sforzarsi di mettersi nei panni di uno spettatore “imparziale” che ne giudica il comportamento:
«Non riusciamo mai a esaminare i nostri sentimenti e motivazioni, non riusciamo mai a formulare nessun giudizio su di essi, se non ci spostiamo dalla nostra posizione naturale e ci sforziamo di osservarli da una certa distanza. […] Ci sforziamo di esaminare la nostra condotta come immaginiamo che la esaminerebbe ogni altro equo e imparziale spettatore.»43
Vivendo l’uomo all’interno di una società, tutte le sue passioni hanno un peso all’interno di essa, sono quindi soggette all’approvazione o disapprovazione dei
suoi simili; come se egli fosse costantemente di fronte a uno specchio «col quale possiamo, con gli occhi degli altri, analizzare l’appropriatezza della nostra
condotta.»44. L’Io agente, diventa giudice di se stesso, spettatore della propria condotta, e deve supporre che gli altri abbiano, nei suoi confronti, la stessa franchezza di giudizio con cui egli è pronto a giudicare la condotta altrui.
43
Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali, op. cit., p. 252.
44 Ivi, p. 256. La metafora dello specchi è ripresa da Hume, Trattato sulla natura umana, p. 382. Il
principio della rassomiglianza di tutti gli esseri umani, è un altro dei grandi temi humeani ripresi da Smith. Se ne fa riferimento in questo lavoro. Supra, p. 12.
40
A primo impatto, una possibile critica alla spiegazione che Smith fa del concetto di spettatore “imparziale” sta proprio nel fatto che l’imparzialità di cui egli parla
è, dal punto di vista strettamente logico, impossibile; citando lo stesso Smith «ogni facoltà di un uomo è il metro per giudicare la stessa facoltà di un altro uomo. Non ho, ne posso avere, nessun altro modo per giudicarle.»45. Come possono quindi gli uomini, non dotati di nessun innato moral sense, con la parzialità dei loro giudizi, crearne di universali?
Per ovviare a questo problema, l’analisi smithiana procede per gradi.
Il primo di questi sta nella differenza tra l’essere lodato (o biasimato) e l’essere degno di lode (o biasimo). Partendo dal presupposto che l’essere degno di merito
è caratteristica dell’uomo virtuoso, tale moralità deve essere riconosciuta dagli altri, deve suscitare negli altri sentimenti di riconoscenza. D’altra parte è nella
natura umana voler essere, non solo lodato, ma essere degno della lode. Vedersi attribuire una lode per errore non è gratificante per il virtuoso; per essere realmente soddisfatto egli deve diventare spettatore imparziale di se stesso e verificare i reali meriti della sua condotta. Seuna volta compiuto ciò, egli nota che anche nell’altro si riscontra quella simpatia che per l’agente è frutto dell’immaginazione del proprio spettatore interno, allora l’approvazione altrui
confermerà la propria autoapprovazione.
Se «la Natura, nel fare l’uomo per la società, lo fornì di un originario desiderio di
piacere e di un’originaria avversione per l’offesa verso i suoi fratelli»46, quindi di un naturale desiderio di essere conforme a ciò che dovrebbe essere approvato, è
45 Adam Smith, Teoria, op. cit., p. 98. 46
41
anche vero che da ciò deriva l’emulazione per i comportamenti lodevoli e il
timore di essere oggetto di odio e disprezzo:
«La lode e il biasimo esprimono quali siano realmente i sentimenti degli altri sulla nostra condotta; l’essere degni di lode o di biasimo, quali dovrebbero essere quei sentimenti. L’amore per la lode è il desiderio di ottenere i sentimenti favorevoli dei nostri fratelli. L’amore per l’essere degni di lode è il desiderio di diventare oggetti appropriati di quei sentimenti. La stessa affinità e rassomiglianza si verifica tra il timore per il biasimo e quello per l’essere degni di biasimo.»47
L’apparente contraddizione tra l’universalità dei giudizi su cosa sia lodevole o
biasimevole, e il fatto che ogni facoltà umana sia il metro per giudicare la stessa facoltà di un altro uomo, viene ora risolta: solo in prima istanza gli uomini sono giudici immediati di tutta l’umanità, ma l’appello spetta a «un tribunale molto più alto, al tribunale delle loro coscienze, a quello dell’immaginato spettatore imparziale e ben informato, a quello dell’uomo interiore, il grande giudice e
arbitro della loro condotta»48.
In questo modo, il singolo è sia giudice che giudicato, agente e spettatore, perfetta espressione di razionalità e passione.
Queste ultime garantiscono l’appropriatezza di ciò che riguarda l’uomo come
individuo e il confronto dei suoi interessi con quelli altrui, che vanno considerati in relazione a questi:
47 Adam Smith, Teoria, op. cit., pp. 278-279. 48
42
«Per le passioni egoistiche e originali della natura umana, la perdita o il guadagno di un piccolissimo nostro interesse sembra molto più importante, […] che la più grande preoccupazione di un altro uomo con il quale non abbiamo particolari connessioni. I suoi interessi, finché vengono esaminati da questa postazione, non riescono mai a stare a livello dei nostri. […] Prima di poter fare un appropriato raffronto tra questi opposti interessi, dobbiamo cambiare il nostro punto di vista. Non dobbiamo considerarli né dalla nostra posizione, né dalla sua, ma dalla posizione e con gli occhi di una terza persona, che non abbia particolari connessioni con nessuno dei sue, e che giudichi con imparzialità. C’è bisogno di un certo grado di riflessione e anche di filosofia, per convincerci di quanto poco ci interesserebbero le maggiori preoccupazioni del nostro prossimo, se non ci fosse il senso dell’appropriatezza e della giustizia a correggere l’altrimenti naturale parzialità dei nostri sentimenti.»49
Quindi, ciò che spinge gli uomini a sacrificare i propri interessi per quelli altrui, contrastando gli impulsi dell’amore di sé, non è il debole potere del senso di
umanità, non è un accenno di benevolenza, ma è la ragione, «l’uomo interiore, il grande giudice e arbitro della nostra condotta».
È per merito dell’uomo interiore che ogni individuo impara la propria reale
piccolezza e quella di tutto ciò che lo riguarda, correggendo le scorrette interpretazioni dell’amore di sé. Grazie all’uomo interiore, si imparano i precetti della giustizia, l’appropriatezza della rinuncia ai propri interessi a favore degli
interessi degli altri.
Non è l’amore verso il prossimo, non è l’amore verso l’intero genere umano, che
spinge gli uomini alla virtuosità, ma è l’amore verso ciò che è onorevole e
49