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Donato tra emuli e grammatica

Alla luce della distinzione tra grammatica erudita e ars scholae, ribadita di recente anche dalla Bernetti218, senza dubbio l’opera di Giuliano si presenta come sintesi perfetta delle due, in quanto contiene sia una spiccata caratura euristica, prestata all’indagine ed alla ricerca, sia insegnamenti già fissati, acquisiti dagli antigrafi, e riproposti, di volta in volta, ai discepoli. Infatti l’ars in oggetto non tende ad appiattire, a differenza di quella di Cledonio, le problematiche e le questioni grammaticali, né a sintetizzare l’oggetto di studio, ovvero manca al nostro autore una chiara volontà di semplificare, cosi come si è riscontrato anche in Pompeo. Giustamente il Barwick219 e l’Holtz220, invece, assegnano alla prima categoria di grammatiche l’ars Donati, considerata come una mera raccolta di dati e di informazioni, a volte banali. Innanzitutto occorre meditare sulla voluta brevità della sua ars, assai insolita se paragonata ai corposi manuali di Sacerdote e di Prisciano. Si comprende come un simile discrimen abbia più un valore metodologico che dottrinale, ipostasi di approcci pedagogici differenti: l’uno si estrinseca nel delineare i tratti essenziali del lavoro grammaticale, abbozzando poche, ma fondamentali, nozioni, l’altro, invece, discetta in maniera approfondita per intero le categorie e gli altri fenomeni, cosicché anche le grammatiche ‘donatiane’ sono esse stesse concentrate dai riassaunti antigrafici, dalle abbreviazioni volute e dalle opportune sintesi, perseguendo lo scopo generale di semplificare le lezioni che i grammatici tenevano e fornendo quasi delle dispense che riproducessero la fruizione orale più che scritta, come anche sottolinea l’Holtz221. Questo è un ulteriore motivo che impedisce di risalire e di elencare tutte le fonti a cui il grammatico ha affidato la sua ars222; anche se alcune differenti trattazioni del nomen e

218 Cfr. Bernetti, cit., 2011-2012, XXI. 219 Cfr. Barwick, cit., 19642.

220 Cfr. L. Holtz, Prolégomènes à une édition critique du commentaire de Pompée, grammairien africain, «The Origins

of European Scholarship. The Cyprus Millennium Conference», ed. by I. Taifacos, Stuttgart 2005, 109-119.

221 Cfr. Holtz, cit., 1981, 94: ʻNe se borne pas à lire devant ses élèves sa version de l’Ars ou son interprétation de

Virgile, car l’enseignement est una parole vivant. Mais cette parole vivante n'est pas non plus continuelle improvisation. Aussi les textes techiques interviennent toujours, plus ou moin directement, dans cet enseignementʼ.

222 Cfr. A. Luthala, Latin 'Schulgrammatik' and the Emergence of Grammatical Commentaries, «Condensing Texts-

Condensed Textes», hrsg. von M. Horster-Ch. Reitz, Stuttgart 2010, 209-243, 238: ʻIt was thus over a long period that grammar developed, by trial and error, the tools which became canonical in the works of Donatus. They surpassed the other existing grammars in at last two respects. Firstly, they were the most concise, orderly and systematic of all Latin grammars known to us, and secondly, they were the most modern grammars in that they systematically used only substantial definitions of the parts of speech; indeed, Donatus was the only grammarian who failed to include the popular etymological definitions of the parts of speech in his worksʼ.

41 41 4 del verbum consentono, almeno in parte, di stabilire una pentapartizione, in virtù del maggiore o minore approfondimento dedicato alle due summenzionate categorie: 1) Donato-Diomede- Consenzio, a cui si assegano i commenti a Donato, 2) Sacerdote-Probo, 3) Cominiano-Carisio, 4) Carisio-Dositeo-Explanationes in Donatum e 5) Massimo Vittorino-Audace.

Le artes di Diomede e di Consenzio, per la loro notevole estensione, suggeriscono che entrambi si sono basati su qualche altra versione della stessa ars Donati, magari più vasta, analitica e con un numero sicuramente più elevato di exempla. Ciò testimonia l’esistenza di una salda tradizione grammaticale a Roma che ha il suo fulcro in Donatus grammaticus urbis Romae, tesi, per altro, avvalorata dalla germinazione di una numerosa trattatistica esegetica e compilativa in seno all’ars Donati, di cui è d’uopo fornire alcuni specimina diretti:

Cons. GL 5, 338, 11-17 ʻNomen est pars orationis rem unam dignam significans, sed ea ipsa quae significantur vel corporalia sunt vel incorporalia. Corporalia vel communiter vel proprie significantur, communiter, ut homo mons mare, propria ut Cicero Caucasus Hadriaticum. Incorporalia sunt, ut pietas iustitia eloquentia; et haec exceptis deorum nominibus fere semper communiter significantur. Nomini accidunt sex, qualitas, conparatio, genus, numerus, figura, casusʼ. Diom. GL 1, 320, 11-19 ʻNomen quid est? Nomen est pars orationis cum casu sine tempore rem corporalem aut incorporalem proprie communiterve significans, proprie, ut Roma Tiberis, communiter, ut urbs flumen. Sed ex hac definitione Scaurus dissentit. Separat enim a nomine appellationem et vocabulum. Et est horum trina definitio talis: nomen est quo deus aut homo propria dumtaxat discriminatione enuntiantur, cum dicitur ille Iuppiter, hic Apollo, item Cato iste, hic Brutus. Appellatio quoque est communis similium rerum enuntiatio specie nominis, ut homo vir femina mancipium leo taurus. Hoc enim animo auribusque audientis adfertur animalium esse quidem duo tantum genera, sed sine speciali discriminationeʼ.

Don. GL 4, 373, 1-6 ʻNomen est pars orationis cum casu corpus aut rem proprie communiterve significans, proprie, ut Roma Tiberis, communiter, ut urbs flumen. Nomini accidunt sex, qualitas, comparatio, genus, numerus, figura et casus. Nomen unius hominis, appellatio multorum, vocabulum rerum estʼ.

Donato si perita di definire brevemente il nome, la cui caratteristica principale è il casus, nella classica bipartizione in comuni e propri, di cui fornisce esempi. Si passa subito a isolare i sex

accidentia che gli pertengono in qualitas, conparatio, genus, numerus, figura e casus. Oltre alla

novellata distinzione, Donato nomina anche un ulteriore chiarimento volto alla tripartizione del

nomen riferentesi all’uomo, quindi ai nomi propri, dell’appellatio per i nomi comuni e del vocabulum per le cose generiche.

Più articolato, invece, è l’incipit del grammatico Narbonese, per cui il nome indica per forza una cosa nella sua specificità, circoscrivendone anche la natura. Ai donatiani communiterve propria si ritrovano, in Consenzio, corporalia aut incorporalia. Si noti anche la scelta non casuale dei tria

exempla di pietas, iustitia ed eloquentia, indicanti i pilastri del tradizionale mos maiorum romano,

quasi ad unire, nella figura del magister, la moralità con l’acribia d’analisi. Prima di elencare i sei accidenti, Consenzio tiene a precisare che i suddetti nomina incorporalia sono sempre tali, tranne quando non indicano le personificazioni delle rispettive divinità.

Rispetto a Consenzio, Diomede si avvicina di più a Donato, di cui ripete essenzialmente la categoria del nomen, mettendone in risalto la mancanza del tempus, che invece pertiene al verbo, per poi stabilirne la classica bipartizione in corporalia e incorporalia. Diomede, attraverso Scauro, si ricollege recta via a Donato, laddove, come alternativa a questa sistemazione, tripartisce in

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nomen, appellatio e vocabulum. Palese, dunque, risulta la dipendenza di entrambi dal magister grammaticorum.

Plot. Sac. GL 6, 429, 15-19 ʻVerbum est pars orationis cum tempore et persona sine casu, qua quid agatur vel actum agendumve sit indicatur. Verbo accidunt VIIII, forma, qualitas, genus, quod dicitur adfectus vel species vel significatio, figura, numerus, modus, tempus, persona, coniugatio. Verbo autem dicitur, quod verberato aere fiat, ideoque et vox aer ictusʼ.

Plozio Sacerdote definisce il verbum come pars orationis che gode del tempo e della persona, senza il caso, indicando cosa si compia, si è compiuto o si compirà. Gli accidenti sono nove, rispetto ai sette donatiani qualitas, coniugatio, genus, numerus, figura, tempus et persona (GL 4, 359, 5-6), oltre alla mancanza in Plozio, della diatesi passiva che, invece, in Donato è espressa con aut pati

significans. Ancora più stringato e apoftegmatico è quanto Probo asserisce negli Instituta Artium

ʻVerbum est pars orationis. Verbo accidunt tempus, modus, numerus, persona, genus sive qualitas, coniugatio, figura, species, accentusʼ (GL 4, 155, 34-35), secondo il quale, gli accidentia verbali si riconducono a nove, come per Plozio, e non ai sette di Donato. Il breve raffronto aiuta a stabilire che la fonte dei due grammatici, forse, sia individuabile in una tradizione eterodossa rispetto al verbo donatiano.

Char. GL 1, 152, 17-31 ʻNomen est pars orationis cum casu sine tempore significans rem corporalem aut incorporalem proprie communiterve, proprie, ut Roma Tiberis, communiter, ut urbs civitas flumen. Nomina aut propria sunt aut appellativa. Propria hominum tantum modo, quae in species quattuor dividuntur, praenomen nomen cognomen agnomen, ut Puplius Cornelius Scipio Africanus (…) Appellativa autem quae generaliter communiterve dicuntur quaeque in duas species dividuntur, quarum altera significat res corporales, quae videri tangique possunt, ut est homo terra mare, altera incorporales, ut est piestas iustitia dignitas, quae intellectu tantum modo percipiuntur, verum neque videri neque tangi possuntʼ.

La trattazione carisiana del nomen approfondisce una caratteristica tutta romana che si fonda su species quattuor: praenomen, nomen, cognomen ed agnomen. Dopo aver ratificato la consueta schematizzazione in nomina corporalia ed incorporalia, si specifica che i nomi propri sono solo quelli hominum, come, ad esempio, di Publio Cornelio Scipione Africano, così da spiegare anche le caratteristiche delle species quattuor. I nomina appellativa, a loro volta, si diramano in res

corporales, come homo, terra e mare ed incorporales, che videri nec tangi possunt, in quanto,

appunto, astratti; rivelandosi questa specificazione un’innovazione non contemplata in Donato, ma in Giuliano (Iul., ars, 13, 99-104).

Expl. in Don. GL 4, 21-25 ʻNomen est pars orationis cum casu corpus aut rem proprie

communiterve significans. Habemus in Aristotelicis et in Stoicis praeceptis et fere omnium hanc esse perfectam definitionem, quae separat a ceteris communibus rem et suam proprietatem ostendit, ut puta homo est animal rationale mortale risus capaxʼ.

Lo pseudo Sergio muove essenzialmente dall’obliterata definizione donatiana del nomen, condivisa in parte anche da Carisio, ma circoscrive, con ancora maggiore puntualità, il fatto che nomen suam

proprietatem ostendit, ovvero precisa e sostanzia la res indicata, nella sua fattispecie, secondo i

principi linguistici stoici ed aristotelici. Lo stesso esempio fornito dallo pseudo Sergio si rintraccia anche in Giuliano (Iul., ars, 11, 50-51).

43 43 4 Secondo Holtz223 sarebbero quattro i principi ispiratori dell’opera donatiana, attraverso cui si formalizza e sostanzia la pedagogia romana: il primo è rappresentato da un apprendimento per ars

minor, con domande e risposte, secondo una metodologia didattica tradizionale, che procede dal

padre al figlio, e per maior, indicante, quest’ultimo, un livello più avanzato e progredito, normativo, affrancato dalla facies dialogica; il secondo canone si fonda, invece, sulla ricerca della sintesi e sul compendio, che, a sua volta, si traduce nell’eliminazione delle definizioni categoriali; il terzo è caratterizzato dalla mancanza delle citazioni delle fonti a cui Donato si ispira, molto elusivamente esemplificate con generici alii, plerique e nonnulli, proprio in vista di un poderoso sfrondamento dei dati e degli inutili appesantimenti, ostacoli ad una rapida acquisizione delle conoscenze, mentre l’ultimo si colloca nel relegare, alla fine di ogni capitolo, la discussione di deroghe e di eccezioni alla norma, che potrebbero pregiudicare ed inficiare la voluta ricerca di semplicità224. Pertanto si deve ammettere che Donato, manifestando nella sua ars queste quattro sfaccettature, si inserisce in pieno nel solco di una tradizione grammaticale già codificata, apportando anche innovazioni nella struttura e nella gerarchia stessa delle singole artes, con l’adattamento didattico della grammatica alle varie platee. Donato determina uno iato tra chi, prima di lui, strutturava le artes in maniera autonoma, in base alle esigenze degli allievi, concedendo maggiore o minore importanza a determinate categorie a detrimento di altre, e chi, dopo, obtorto collo, non poteva più non considerare l’Ars maior e minor archetipi prodromici di una tradizione da cui era difficile prescindere225, ‘l’Ars de Donat a été bien des fois commentée au cours des âges: par Servius sur les lieux même où le maitre avait enseigné un demi-siècle avant lui, par Pompée en Afrique, par Cledonius à Constantinople, par Cassiodore à Vivarium, par Julien de Tolède en Espagne’226.

Occorre ricollegarsi alla distinzione già presentata in precedenza tra le artes appartenenti alla Schulgrammatik, brevi, dirette e dogmatiche, imperniate sulla trattazione delle categorie principali e quelle della Regulae-type, che, non prevedendo un’analisi specifica, si sedimentano su lunghe liste lessicali, funzionali alla flessione analogica. Poiché l’ars Donati rientra nel primo gruppo, i commentari confezionati in seguito dagli altri grammatici saranno, con ogni evidenza, specchio della prima tipologia, anche se nulla osta a riferimenti, più o meno espliciti, al secondo

modus operandi, come si rileva in Foca227 ed in Consenzio. La prima ars che ricalca da vicino l’opera donatiana è quella di Servio che, prima di Diomede, Mario Vittorino e pseudo Agostino,

grammaticus urbis Romae, sdogana l’insegnamento del magistero di Donato, così da poter

penetrare in Africa e a Costantinopoli con Pompeo e Cledonio. Sia il De centum metris sia il De

finalibus rientrano nel discrimen della tradizione riferentesi a Donato, oltre, ovviamente, al

commentario esegetico a Virgilio. Holtz228 parla di un Servius plenior in riferimento alla pochezza del testo serviano giuntoci (GL 4, 405-448) che non rispecchierebbe l’autentico compendio a Donato, ma soltanto uno scarno e misero sunto, quasi un brogliaccio, sintesi delle sue lezioni. Tra le opere esegetiche a Donato si annoverano anche il De littera, de syllaba, de pedibus, de accentibus e

223 Cfr. Holtz, cit., 1981, 100: ʻL’enseignement du grammaticus doit être progressif, aller du simple au complexe, de

l’essentiel a l’accessoire. On comprend pourquoi la tradition de Minor et de Maior est une: dans l’esprit de l’auteur, il n’y a pas deux grammaires, mais une seule grammaire comportant un cours élémentaire et un cours supérieurʼ.

224 Cfr. Holtz, cit., 1981, 95: ʻLa brièveté et la perfection formelle sont donc les conditions primordiales de la

mémorisationʼ.

225 Cfr. Luthala, cit., 2010, 241: ʻDonatus grammars could be viewed as epitomes of inherited grammatical doctrine.

However, their contents differ in that the more extensive treatises are more intimately associated with the study of literature than Donatusʼ.

226 Cfr. Holtz, cit., 1971, 49.

227 Cfr. Foca, De nomine et verbo. Introduzione, testo e commento a c. di F. Casaceli, Napoli 1974. 228 Cfr. Holtz, cit., 1981, 227.

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de distinctione di Sergio (GL 4, 475-485), e le Explanationes in Donatum (GL 4, 486-565), di cui si

è occupato il De Paolis229, secondo cui il Keil avrebbe diviso in due libri, l’ars minor e maior I nel primo e nel secondo il resto del testo, la cui tradizione manoscritta presenta, tuttora, notevoli punti interrogativi. Il primo libro rifletterebbe un ambiente scolastico, il cui modello è costituito da Servio, il secondo, tràdito da un codex unicus, è composto da una congerie di excerpta raccolti da un anonimo compilatore: il Sergius Bobiensis230 (GL 7, 537-539), per l’esegesi dell’ars maior I, della quale contiene il de littera, de syllaba, de accentu, de pedibus e de nominibus pedum ed il

Commentarium de oratione et de octo partibus orationis artis grammaticae Donati, che ospita

l’analisi della maior II, a torto attribuito, dal 1679, a Cassiodoro dal Garet e riedito dallo Stock231. Oltre a questi disiecta membra, costituenti comunque un tributo notevole alla fama di Donato, bisognerà attendere Pompeo che, concentrandosi solo sull’ars maior, (GL 5, 95-312), propaga in Africa la notorietà del magister, condita da un vero e proprio ambiente scolastico che riproduce l’habitus di lezioni dialogate tra magister e discipuli.

Probabilmente alla dottrina pompeiana, tra gli emuli donatiani, bisogna assegnare anche l’ars Cledonii (GL 5, 9-79, ora Bernetti), grammaticus dell’università di Costantinopoli, sulla cui vita non si può essere precisi232, poiché i pochi dati disponibili si reperiscono esclusivamente nell’intestazione incipitaria della sua ars, ma il codex unicus, Bernensis 380233, che lo tramanda, lo colloca tra la seconda metà del V e l’inizio del VI secolo. L’opera cledoniana offre interessanti spunti di riflessione in merito all’insegnamento del latino nella pars Orientis. Infatti se l’Occidente con Giuliano tenta di salvare, per quanto possibile, la conservazione del patrimonio culturale minacciato dall’avvento dei Visigoti, l’Oriente diventa rifugio e baluardo di aristocratici dotti, animati dal tentativo strenuo di studiare e trascrivere le opere degli auctores romani, favorendo non solo un’intensa produzione di codici latini, ma anche la realizzazione di grammatiche per mantenere viva la lingua latina, indispensabile strumento per chi intraprendeva la carriera di funzionario al servizio della burocrazia imperiale. Ciò è arguibile dall’uso che in Cledonio si attesta di lemmi come praefectus urbis, praefectus praetorii, proconsul, vicarius e praefectus vigilibus, escussi nella sezione dedicata al nomen (8, 5-12 Bern.) e comprovanti la difficoltà di discernere tra sintagmi grammaticali in cui praefectus mantiene il valore participiale, con reggenza del dativo, e le locuzioni nominali, con cui si esprimevano le professioni della classe dirigente, per cui praefectus era costruito con il genitivo. Ex silentio, dunque, si può concludere che l’ars Cledonii fosse rivolta a chi234doveva rivestire cariche istituzionali per i quali il dominio della lingua latina era conditio sine

qua non. Altra caratteristica della sua ars consta della mancanza di un’impostazione catechetica,

non procedendo per domande e risposte ma, svolgendo una semplice esegesi a Donato e avvalorando, in tal modo, quanto appena sostenuto circa la sua effettiva destinazione. Dell’opera di Donato ha come oggetto l’Ars minor, l’Ars maior I e II, escluso il de voce e Maior III. Accanto a Cledonio, si registrano altri grammatici che operavano in Oriente, nonostante il greco ormai fosse la

229 Cfr. De Paolis, cit., 2000, 173-221.

230 Cfr. De syllabis, de accentu, de pedibus, de nominibus pedum, a c. di L. Munzi, «Bollettino dei Classici» 3, 14, 1993,

110-115.

231 Cfr. Sergius (ps. Cassiodorus): Commentarium de oratione et de octo partibus orationis Artis secundae Donati, a c.

di F. Stock, München-Leipzig, 2005; Id., Servio e le differentiae verborum, «Atti del Seminario internazionale di studi Il testo e i suoi commenti: tradizione ed esegesi nella scoliastica greca e latina, Messina, 21-22 settembre 2000», a c. di A. Zumbo, Messina 2012, 97-105

232 Cfr. GL 5, 14, 4-6: dum ars in Capitolio die competenti tractaretur, unus e florentibus discipulis Iohannes, a

grammatico venia postulata, intendens in alterum, sciscitatus est, qua differentia dici debeat consularis.

233 Cfr. CLA, 8, 864.

45 45 4 lingua d’uso ed al latino pertinessero le sfere della burocrazia e della pubblica amministrazione. Carisio e Diomede, operanti a Costantinopoli tra il IV ed il V secolo, diffondono l’insegnamento di Donato, esemplando le loro artes sulle categorie donatiane, con l’aggiunta di giustapposizioni di sezioni tipicamente antigrafiche. Precipua caratteristica di questo compatto gruppo di grammatici orientali è la predilezione per le fonti erudite, tipica delle artes delle Regulae-type, da cui derivano pericopi di testo, trapuntate da citazioni di scrittori di norma non appartenenti ai testi della

Schulgrammatik, come, ad esempio, la presenza in Carisio delle Aphormai di Giulio Romano e di

Flavio Capro in Diomede. Conclude l’ouverture dei grammatici alterius imperii Dositeo che realizza una grammatica latina per grecofoni corredata, nell’interlinea, da una traduzione in greco. Nel VII secolo nell’occidente iberico Giuliano darà nuova linfa all’ars Donati con cui si testimonia anche la vitalità del sistema pedagogico antico, ancora in auge nella Spagna visigotica. La dottrina di Donato è destinata a trovare humus favorevole viepiù in una serie di insular grammarians, tra cui spiccano l’Ars Ambrosiana235, composta a Bobbio nel VII secolo, incentrata sulla seconda parte

dell’Ars maior (De partibus orationis, de nomine, de pronomine, de verbo, de adverbio, de

participio, de coniunctione, de praepositione e de interiectione) ed il De tropis et schematibus di

Beda. La radicata diffusione del canone donatiano ha, pertanto, due macroaree di applicazione, la

pars Occidentis con Giuliano di Toledo e la pars Orientis con Pompeo e Cledonio. Giova fornire un

quadro sinottico riepilogativo dei rapporti intercorrenti tra Donato ed i suoi imitatori/commentatori236:

Donato Ars minor Servio IV 405-448 Cledonio V 9.79 Giuliano di Toledo Pompeo V 95-

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De partibus orationis < De partibus orationis>

De nomine De nomine De nomine De nomine

De pronomine De pronomine De pronomine De pronomine

De verbo De verbo De verbo De verbo

De adverbio De adverbio De adverbio De adverbio

De participio De participio De participio De participio De coniunctione De coniunctione De coniunctione De coniunctione De praepositione De praepositione De praepositione De praepositione De interiectione De interiectione De interiectione De interiectione

235 Cfr. Ars Ambrosiana. Commentum Anonymi in Donati partes maiores, a c. di B. Löfstedt, «CCSL 133 C», Turnhout

1982.

236 Ringrazio Chiara Bernetti per avermi gentilmente fornito lo schema riassuntivo delle categorie grammaticali