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L’esegesi grammaticale in Pompeo e in Giuliano tra oralità e scrittura

Attualmente non esiste alcun contributo relativo ai rapporti, non solo grammaticali, tra le artes di Pompeo e di Giuliano, ancorché, come testimonia la Maestre Yenes197 nel suo apparato di loci similes, le occorrenze pompeiane in Giuliano siano notevolmente elevate (67). Questo dato assume

particolare significatività per affrancare l’ars giulianea dalla pedissequa ed infruttuosa dipendenza da Donato, a cui soltanto Giuliano avrebbe riservato il suo interesse, secondo la maggioranza degli studiosi, guidati dal Linsday198 e dal Beeson199. Anche lo Zetzel, pur ribadendo la forte ascendenza donatiana in Giuliano, così commenta200: ʻIulianus commentaries are lengthy, elementary and in in

196 Anche Pompeo sembra riferirsi con exemplum al proprio giardino: bene olebant in hospitio meo rosae (GL 5, 102,

8).

197 Cfr. Maestre Yenes, cit., 1973, CII.

198 Cfr. W. M. Lindsay, The Latin Grammarians of the Empire, «American Journal of Philology» 37, 1916, 31-41. 199 Cfr. C. H. Beeson, The Ars grammatica of Julian of Toledo, « Miscellanea F. Ehrie» 1, Città del Vaticano, 1924, 50-

70.

36 36 4 catechistic form, incorporating material on declension and conjugation into the austere analysis of Donatus. Iulianus make use of Pompeius and other commentaries, but his focus is firmly on Donatusʼ. Pompeius Maurus grammaticus spicca nel V secolo come auctor del Commentarium

artis Donati, di cui manca un’edizione critica, nonostante il desideratum palesato dall’Holtz201. L’ars Pompei202 appare come un discorso piuttosto articolato sulla tradizionale grammatica latina che ha per modello archetipico naturalmente l’ars Donati e Servii. Si sa che Pompeo si è servito di una versione più ridotta e compendiata del commentario serviano a Donato, di cui lo stesso Africano utilizza l’ars Maior e, in misura inferiore, la Minor203. Non è un caso che sia proprio

Giuliano a menzionare primus questo grammatico nel capitolo relativo al nomen: dicit Pompeius

plane scire debes quia (Iul., ars, 10, 42). È molto probabile che il Commentum artis Donati sia

ascrivibile al pieno V secolo, se Donato opera nel 354, anno in cui, stando alla testimonianza di Gerolamo, il suo maestro riceveva gli onori a Roma204. Il commento di Pompeo a Donato si segnala, tra le sterminate grammatiche a ciò deputate, non solo per la puntuale e ridondante esegesi ai lemmi del modello, ma soprattutto per un dichiarato sforzo di classificazione, fino alla parafrasi verbosa e prolissa, tanto che il Keil205 quasi si scusava di aver accolto il testo nel Corpus

grammaticorum latinorum: ʻAnte omnia igitur sciendum est, sicut de Cledonii arte dicimus, ita

Pompeii quoque librum scholis destinatum vel potius ex usu scholarum, profectum esse. Nam non solum puerorum aliquotiens a grammatico mentio facta est, sed etiam per totum librum ea est rerum tractandarum ratio, ut omnia quasi coram discipulis a praeceptore agi videanturʼ. Se ciò testimonia, senza fallo, la destinazione scolastica della sua ars, fino alla presenza addirittura di discepoli che evidentemente seguivano attenti le lezioni di Pompeo, il giudizio del Keil206 si risolve in un’aperta critica: ʻverbosa et puerilis tractandi ratio molestissima rerum tristissimorum repetitiva fastidium creans, hac sola re quodam modo vel excusatur vel intellegitur, quod scholarum consuetudinem grammaticus scribendo imitatus estʼ. Con questa seconda asserzione, il filologo distrugge e nega innovazione e freschezza stilistica in Pompeo, ma ci conferma che il grammaticus era costretto a scrivere in tal modo perché imitatus est consuetudinem scholarum; di consuetudo si tratta, quindi, laddove si verificano ripetizioni, richiami all’attenzione, esempi pletorici su ogni aspetto, anche minimo, della grammatica latina, caratteristica che conferisce a Pompeo il titulus di magister e lo assegna al filone donatiano per quanto riguarda il modus docendi.

Lo stesso concetto di fastidium e taedium anima le parole del filologo contro Giuliano207: ʻTotum librum edere inutile visum est. Pleraque enim quae Iulianus ad artem Donati attribuit aut in

201 Cfr. L. Holtz, Tradition et diffusion de l'œuvre grammaticale de Pompée, commentateur de Donat, «Revue de

Philologie, de Littérature et d’Histoire anciennes» 45, 1971, 48-83. Ridotta è la bibliografia sul personaggio e sull'opera: si veda la voce Pompeius (143) in Der neue Pauly: Enzyklopädie der Antike, hrsg. von H. Cancik und H. Schneider, Metzler, Stuttgart 1996-(Vol. 21 coll. 2313-2315), rifacimento della classica Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Neue Bearbeitung begonnen von. G. Wissowa, Metzler, Stuttgart 1894-1980.

202 Lindemann, cit., 1820 e Zago, cit., 2017 con bibliografia aggiornata.

203 Che il commento di Pompeo sia ampiamente debitore al filone donatiano ad esso precedente, e in particolare

all’opera di Sergio/Servio, è dimostrato ad esempio dalla presentazione che ne fa Beda nel suo De arte metrica, eius sententiam exponentes Pompeius vel Sergius. Cfr. Beda, De arte metrica. De schematibus et tropis, cit., 1975, 84. Cfr. Kaster, cit., 1988, 139: “the most garrulous of grammatical texts and perhaps the least esteemed can pay generous dividends to the modern reader, for it is expressed in a distinctive, lively voice that strikingly reveals the concerns of a late-antique teacher”.

204 Cfr. A. Zago, Alla scuola del grammaticus: maestri, allievi e testi nella tarda antichità, «Eruditio Antiqua» 7, 2013,

201-218.

205 GL 5, 89. 206 GL 5, 90. 207 GL 5, 315-316.

37 37 4 exemplis sacrorum librorum vel recentium scriptorum ad regulis Donati exigendis versantur aut ex iis libris antiquiorum grammaticorum quos nunc etiam habemus petita sunt. In arte tractanda autem Iulianus ita secutus est Donatum, ut integra eius verba repeteret iisque suam adnotationem interponeret; maxime ex commento Pompei diligenter ab iis qui post eum in Donati arte exponenda versati sunt, tractato, petita esse inveniʼ. Il lapidario commento licenzia anche l’ars giulianea come un coacervo di adnotationes lemmatiche a Donato, con il filtro di Pompeo, tanto da esserne inutile qualsivoglia edizione.

Al contrario, le due artes sembrano degne di essere studiate e raffrontate, anche solo per svincolare i due grammatici dalla genealogia donatiana. Pompeo e, in misura minore, Giuliano, conservano il sapore di lezioni ambientate nelle classi, con la spiegazione dettagliata di ogni minimo concetto, così commenta l’Holtz208: ʻElle doit beaucoup à un autre commentaire de la même œuvre, celui de Servius. La dépendance de Pompée à l’égard de Servius ne fait depuis longtemps aucun doute, encore que tout n’ait pas été dit sur la façon dont Pompée utilise cette source principaleʼ. A ragione il Lindsay209 per la prima volta ha parlato di una trascrizione stenografica dell’ars di Pompeo, che evidentemente non ha ricevuto né rilettura né revisione, evidenziando, fra l’altro, l’uso di un sermo cotidianus di notevole interesse per l’evoluzione del latino parlato210, che però, a tutt’oggi, non ha attirato studiosi. Lo stesso Holtz211 segue, recta via, il giudizio negativo del Keil: ʻPompée par son laisser-aller, sa volumineuse enflure, sa vacuité, représent dans la si riche littérature techinque des Africains un cas-limiteʼ. Così la Maestre Yenes212 chiosa nella sezione dedicata alle fonti giulianee: ʻPor consiguiente, difícilmente suele dejarse contemplar la originalidad en tal tipo de obras de una manera directaʻ. Holtz213, tuttavia, riconosce alcune peculiarità che di Pompeo non emergono a prima vista: ʻl’Ars de Pompée prend son temps et déroule avec lenteur les méandre d’un commentaire-fleuve, à travers le quel l’auteur, réintroduisant autour de Donat des sources plus anciennes, paraphrase le texte, en analyse patiemment les définitions, les justifie, prévien de lui-même les obiectionsʼ. Anche l’editrice214 di Giuliano rivaluta il suo grammatico: ʻSi queremos, pues, descubrir lo que de verdaderamente nuevo tiene la ars de Julián, deberemos seguir un único camino, el de despojarla de lo que no es suyoʼ. La studiosa spagnola ammette che, per restituire al Connazionale qualche elemento di novità, è d’uopo ʻspogliarloʻ di ciò che non è propriamente suo. Questo crea pregiudizi all’approccio corretto alle

artes dei due grammatici, risultando lento lo stile, farraginoso e trapuntato da una massiccia serie di

ripetizioni ed obiezioni. Entrambi, però, sono mossi da evidenti e patenti scrupoli pedagogici che li obbligano, in qualche modo, a ripetersi. Ci si trova davanti a due magistri, le cui lezioni sono trascritte da parte di un reale e concreto auditorium. L’appartenenza di Giuliano al clero spagnolo lo sollecitava moralmente ad imbastire lezioni concrete all’interno di una delle numerose scholae che nascevano aggregate a chiese e monasteri. Il suo pubblico era composto da discipuli, ai quali veniva rinverdita la lingua latina; a conferma di quanto sostenuto, si attestano numerosi espedienti didattici

208 Cfr. Holtz, cit., 1971, 48.

209 Di trascrizione stenografica ha parlato Lindsay. Cfr. Lindsay, cit., 1916, 41. Ad uno schiavo stenografo si riferisce lo

stesso Pompeo puta notarium meum volo vocare Africanum. Si hoc nomen accepit quando natus est iam non erit agnomen, sed erit cognomen. (GL 5, 141, 28-30).

210 L’insegnamento orale del docente è connotato da una sintassi volgare, non debet dici, facit stare, nonché

dall’accumularsi e dal ripetersi delle congiunzioni tamen, ideo, ergo e idcirco.

211 Cfr. Holtz, cit., 1981, 236. 212 Cfr. Maestre Yenes, cit., 1973, 29. 213 Cfr. Holtz, cit., 1981, 50.

38 38 4 in entrambi. Il Beeson215 fornisce una lucida analisi circa la grammatica giulianea in sé: ʻIt has an importance that is quite out of proportion to its interesting value. As a pedagogical document it schools and as reflecting the culture, or lack of culture, of the timesʼ. Ad un contesto scolastico rimandano le citazioni dei poeti, da Catullo a Giovenale, contenuti nell’ars216: ʻhis Catullus citation shows that this author was still known in Spain; since the tradition of Persius is Spanish we are not surprised to fin a new citation from that autorʼ.

Merita di essere menzionato il giudizio del Kaster217 che, in buona sostanza e con la suffragazione del Munzi, ritiene che il vero destinatario delle artes di Pompeo e di Giuliano non sia un semplice studente, ma piuttosto la categoria degli scholastici, ovvero studenti avanzati destinati a divenire a loro volta magistri, cui si rivolge l’avvertenza si male distinguas, potest errare puer (GL 5, 130, 31-32). Proprio questi giovani docenti in fase di formazione dovranno essere messi al corrente degli espedienti che consentono di evitare spiacevoli situazioni. L’avveniristica tesi del Kaster, tuttavia, è smontata da un esempio valido per tutti: ʻIstud quod quomodo erit scribendum? Quando pronomen fuerit generis neutri, ut puta, si dicam quod animal est? Istud erit pronomen et per ʻdʼ scribendum; quando vero ad numerum pertinuerit, ut puta, si dicam partes orationis quot sunt? Erit adverbium numeri et per ʻtʼ scribendumʼ (Iul., ars, 37, 73-78). Sembra alquanto scontato che ad una platea di futuri grammatici non si potevano propinare simili banali puntualizzazioni di natura semantico-ortografica, in quanto si presuppone che, proprio nelle vesti di magistri, essi avessero già tali minime informazioni preliminari e corrive, aspetto che, invece, assume rilievo e giustificazione, se si postulano queste nozioni indirizzate ad un gruppo di allievi che deve imparare anche i rudimenti della lingua. Ancora, le citazioni nominatim di grammatici e modelli precedenti come Pompeo, Audace, Donato e Probo, servivano ad avvalorare le spiegazioni di Giuliano, ancorate a modelli granitici noti a tutti. Ora, è impensabile che Giuliano si rivolgesse a persone comunque in parte esperte di grammatica; avrebbe significato sminuire l’intelligenza e la preparazione dei futuri grammatici che in teoria dovevano sedergli di fronte. Il dialogo, invece, non avviene tra pari, ma tra chi occupa una posizione di netta superiorità e chi, invece, deve ancora apprendere i segreti della lingua latina. Quest’ultima ipotesi, opposta a quella ventilata dal Kaster, trova ragion d’essere nella notevole rilevanza delle formule asseverative e di richiamo con cui Giuliano instaura il discorso disciplinare e metodico. Numerose sono le tracce di quest’oralità nell’ars iberica, così come le allocuzioni alla seconda persona singolare; Giuliano, come Pompeo, parla ad un onnipresente ʻtuʼ, che, pur non essendo quasi mai esplicitato, si pone al centro della sua attenzione, destinatario degli sforzi didattici dell’auctor. A conferma di quanto evinto, si notino gli imperativi presenti e le espressioni colloquiali: puta, ut puta-si dicam 85 volte, da (imperativo) 231 volte, id est (formula esplicativa) 51 volte e quare dixit 11 volte, espressioni tipiche non solo di una lezione orale, ma denotanti anche la pletora di pueri a cui si rivolgeva Giuliano che, è bene ricordare, non era un grammatico di professione. Simili dati acquistano ancora più interesse se si tiene conto del fatto che in Donato si ravvisa solo un’occorrenza per id est (nel de nomine 18 H.) e 9 per da. È altresì interessante raffrontare questo spoglio di dati con le simili inferenze rinvenute in Pompeo; anche qui si osserva una massiccia presenza di riferimenti di vario tipo alla seconda persona singolare: il primo rilievo significativo concerne l’impiego dell’imperativo puta con 265 occorrenze, analogamente a finge con 4, vide con 42, adverte con 3 e considera con 5. Sia Pompeo che Giuliano poi, impiegano le locuzioni puta si dicas per introdurre esempi. Eppure la riprova che

215 Cfr. Beeson, cit., 1924, 53. 216 Cfr. Id., ibid.

39 39 4 l’ars Iuliani, ipsa re, sia opera di un grammaticus esperto, trapela anche dalla poderosa mole di espressioni legate appunto all’insegnamento, alla didattica e alla pedagogia. In Pompeo, tuttavia, si avverte un maggior sforzo di correggere gli errori degli allievi, grazie ad una esplicitazione anticipata di esso: ʻDicit, haec res non te decipiat; non inveniuntur aliter personantia et alterius sunt generis. Ne dicas mihi ecce nomen in a exit, debet generis esse feminini; non potest fieri ut sonet femininum et sit masculinum, ut est Catilina, Agrippa, Messallaʼ (GL 5, 162, 3-7). È palese che Pompeo si rivolga ad un pubblico con un ʻtuʼ generico, rafforzato dal congiuntivo esortativo negativo, in merito alla questione di alcuni nomi maschili che possono, nonostante ciò, terminare in

a. Giuliano, invece, predilige sempre la terza persona, laddove deve far notare e prevenire errori:

ʻNam et siquis dicat magis doctor cum per se doctior dici debeat, solecismum facitʼ. (Iul., ars, 185, 61-62). Il minore infervoramento di Giuliano è traccia, ancorché non priva della sua personalità di prelato ed ecclesiastico, di un coinvolgimento più temperato. Per Giuliano, dunque, la correttezza nell’espressione latina e nel dominio di una lingua sempre più distante e poco compresa, era funzionale all’attività di esegesi, commento ed illustrazione delle Sacre Scritture, oltre che all’erudizione degli incolti, ed il Prognosticum saeculi futuri lo confermerebbe; infatti la sua ars pare destinata a chi debba intraprendere la perigliosa strada della comprensione del Verbo divino, di cui si è già discusso in precedenza. Fatta salva la certa impostazione orale delle lezioni, tratto appunto condiviso con Pompeo, la sua finalità collima con l’officium magistri scholae. La tendenza generale di Giuliano è di non dilungarsi eccessivamente nelle spiegazioni grammaticali, ma di fornire pochi esempi per riconoscere ed apprendere la categoria grammaticale di cui si occupa;

modus operandi che invece non è sempre adottato da Pompeo che, al contrario, si abbandona a

lunghe e tortuose divagazioni, come, ad esempio, accade per il De nomine, suddiviso a sua volta in

de qualitate, de speciebus proprium ed appellativum, de comparatione, de generibus, de numeris, de casibus, de numeris quasi retractanda, de figura e de analogia.

Un altro dato da rilevare, comune ai due grammatici, è l’interessante spessore delle interrogative, di preferenza in forma diretta e di breve estensione, che conferiscono al dettato un andamento oralizzante e che hanno anche l’importante funzione di segnare punti di svolta nel discorso, caratterizzando elementi indispensabili alla completa trattazione dell’argomento. Così Pompeo: ʻIsta u quid erit? Vocalis? Non potest. Num forte consonans est? Nec consonans est. Si nihil erit, quid habet esse? Nihil. Quare ergo ibi scribitur? Propter illam causam, quia pars est litterae praecedentisʼ. (GL 5, 104, 18-25). Così Giuliano: ʻParticipio quot accidunt? Sex. Quae?....quomodo generis?....quomodo tempora? Quomodo significationes?...quomodo numerus?...quomodo figura?ʼ (Iul., ars, 89, 10-13). Tale frequenza martellante di domande mira ad un’ovvia finalità didattica, ovvero ad una simulatio interrogationis, cui sono sottoposti i discenti o i futuri esegeti, come nel caso di Guliano.

Quanto indicato finora, in relazione ai palpabili punti di contatto tra Pompeo e Giuliano e cioè l’andamento marcatamente orale, l’uso di imperativi per tenere desta l’attenzione, l’appello alle

auctoritates principali (Donato, Audace, Cledonio e Probo), la simulatio interrogationis ad usum discipulorum, permette, con apprezzabile sicurezza, di concludere che Pompeo, secondo solo a

Donato, sia una fonte assai presente in Giuliano e che l’ars Iuliani fosse indirizzata propriamente ai

pueri e a chi doveva profondersi nei christiana studia; ciò si appalesa essenzialmente nella

consistente percentuale di imperativi, in una maggiore pacatezza nel discorso, a differenza di Pompeo, che più volte si mostra in disaccordo con altri antigrafi, talora anche con Donato, che viene accusato di dicere rem stultam (GL 5, 180, 32), così come non mancano critiche rivolte ad intere scuole grammaticali, come quelle elleniche, per quanto riguarda le regole degli accenti,

40 40 4

Graeci vero chaos fecerunt, totum confunderunt, ut, quamvis mille leges tractatus, non convenias

(GL 5, 130, 1-2) e nell’appello che il magister rivolge, nella sezione del de littera, con cui si rende consapevole dell’acclive percorso didattico che è in procinto di intraprendere: Quae data est

parvulis et infantulis tantum ut possint scire quemadmodum sit ars, ut plerumque infantes debent non solum intellegere, sed etiam respondere secundum intellectum, eo quod nihil habeat difficultatis (Iul., ars, 113, 4-8). Assodati simili aspetti, non si può preterire la mancanza di exempla christiana in Pompeo, che invece abbondano in Giuliano, caratteristica che spinge ad accogliere la

tesi secondo cui l’ars del vescovo fosse, in qualche modo, propedeutica al latino, ma anche asservita allo scopo più pratico, dell’esegesi. Nella sua esaustività ne nasce un’ars completa e coesa, fortemente influenzata dall’evoluzione del latino in un periodo di cambiamenti com’era il VII secolo.