PARTE SECONDA
6. La Quellenforschung giulianea tra fonti letteraie, tecniche e teoriche: errori o volute omissioni?
Nonostante l’oggettiva osticità nella definizione delle fonti a cui Giuliano è ricorso per la compilazione della sua ars, di cui alcune sono già emerse precedentemente, è d’uopo isolare singolarmente gli elementi della stratificazione antigrafica e poetico-letteraria, sostrato di riferimento costante, per comprendere il modus operandi e gli errori presenti nella sua grammatica.
Nella sezione De nomine (13, 104-105), per spiegare quomodo dicis solem propriae
qualitatis esse, cum indicat soles ire et redire possunt, Giuliano esemplifica la qualitas nominum,
bipartita in propria ed in appellativa, citando il v. 5 del noto carme catulliano, che, stando alla fonte del grammatico, o meglio ai manoscritti B e L, è tramandato in soles ire et redire possunt in luogo del corretto occidere; è evidente che ire è lectio facilior rispetto ad occidere. La sezione De
pronomine contiene un interessante verso della Medea di Pacuvio (50, 360-361) Quisnam es tu mulier quae me tam inconsueto nuncupas nomine? (122-123 R3), la cui tradizione però non è concorde; l’editrice, infatti, accogliendo i codici B ed E, inserisce il pronome personale me, omesso da L e legge inconsueto al posto di inconsuetu tràdito da B. Tuttavia è evidente che gli antigrafi di cui Giuliano si è servito, recano lezioni errate; infatti il Ribbeck stampa quis tu es mulier quae me
insueto (e non inconsueto) nuncupasti nomine, come un ottonario giambico ( ). In Carisio (GL 1, 269, 4), nella sezione de soloecismo, per spiegare l’uso
416 Cfr. Carracedo Fraga, cit., 2003, 50-61.
417 In Corpus Christianorum series latina 115, 218-255. 418 Cfr. Carracedo Fraga, cit., 2005, 200.
78 78 4 improprio di quis al posto di quae, si trova appunto quis tu es mulier ( ); invece il verso intero, come Ribbeck l’accoglie, è attestato in Diomede (GL 1, 454, 4-5), con la stessa valenza esemplificativa; le Explanationes ad Donatum (GL 4, 563, 17-19), in relazione sempre al solecismo, riportano il verso quis es tu mulier quae me insueto nuncupasti nomine. Anche Pompeo tramanda senza alcuna variazione il verso, così come Ribbeck lo accetta con alcune precisazioni: Quis mulier
habemus et in Ennio et in Pacuvio et in ipso Terentio. Ergo est masculinum pronomen quis, femininum quae, neutrum quod (GL 5, 206, 27-29); molto probabilmente il copista ha aggiunto il
suffisso nam, poiché il grammatico sta discutendo del genus commune quisnam, comune sia per il maschile, sia per il femminle.
Nel De coniunctione (95, 37-39), in merito alla congiunzione coordinante ac, la Maestre Yenes stampa ac de re tacitus angit, et corde requirit, attribuendolo, a torto, al De laudibus Dei di Draconzio, ma il verso in questione è il 241 dall’Hexamaeron di Eugenio toletano che, tra l’altro, al posto di ac, reca correttamente Hac, ablativo femminile singolare del pronome hic-haec-hoc e non, quindi, la congiunzione che ci saremmo attesi visto il contesto. Di Ennio compaiono nell’ars ventuno occorrenze; nel De barbarismo (182, 87) Giuliano cita il noto emistichio Albai Longai, a motivo del trattamento trisillabico Albai; l’Albai Longai è parte dell’olli respondit rex, (ann. 33 V2) esametro più breve in quanto di sole dodici sillabe. Qualche problema filologico desta in ars 185, 74-75: il verso spoliantur eos et corpora nuda relinquunt (ann. 618 V2) è tramandato dal codice L1 con spoliantur, senza il preverbio de, forma, quest’ultima, attestata in buona parte della tradizione grammaticale: in Donato (GL 4, 394, 7-8) si trova spoliantur, così come in Expl. in Don. (GL 4, 564, 1) ed in Pompeo (GL 5, 291, 25); il verbo despoliantur è citato, invece, da Prisciano (GL 2, 390, 26) come esempio di forma passiva con significato attivo: vetustissimi autem multa sic
protulerunt confusa terminatione teste Capro: despoliantur pro despoliant. La Maestre Yenes non
ha considerato, sempre in relazione al solecismo (185, 51), la variante sancta in respondit Iuno
Saturnia, sancta dearum (ann. 53 V2), che, al posto dell’apposizione sancta, in Sacerdote (GL 6,
450, 20) è sostituita dalla forma pulchra. Ancora un verso dagli Annales enniani compare nell’anfibolia (189, 60-61) Aio te Aeacida, Romanos vincere posse, tràdito da Cicerone419 (Div. 2, 166), Quintiliano420 (7, 9, 6), Prisciano421 (GL 3, 234, 21) e Velio Longo (Vel. Long. 10, 192 Di Napoli): quatenus duabus vocalibus interiecta haec littera i est, duorum consonantium obtinet
vicem; sic non erit acephalus versus. Un interessante esempio di verso enniano olospondaico
occorre in ars 225, 68 Introducuntur legati Minturnensis, tramandatoci anche da Mario Vittorino (GL 6, 211, 18-22) Hexameter versus dactylicus per quot species variatur? Triginta et duas.
Quatenus? In versu duodecim syllabarum species una est. Quippe hic sine ulla varietate omnes in se spondeos habet et vocabitur spondiaco.
Merita attenzione l’epigramma in settenari trocaici di Eugenio Toletano422, De inventoribus litterarum423, collocato all’interno del De littera (115, 42-58), in una breve ricognizione sull’origine
419 Aut Herodotum cur ueraciorem ducam Ennio? num minus ille potuit de Croeso quam de Pyrrho fingere Ennius?
quis enim est qui credat Apollinis ex oraclo Pyrrho esse responsum “ai<i>o te Aeacida Romanos uincere posseˮ. primum Latine Apollo numquam locutus est; deinde ista sors inaudita Graecis est; praeterea Pyrrhi temporibus iam Apollo uersus facere desierat; postremo, quamquam sempre fuit, ut apud Ennium est “stolidum...sapientipotentesˮ, tamen hanc amphiboliam uersus intellegere potuisset “uincere te Romanosˮ nihilo magis in se quam in Romanos ualere.
420 in coniunctis plus ambiguitatis est. fit autem per casus, ut “aio ... posseˮ.
421 auctores frequentissime hyperbatis id est transitionibus utuntur, ut “aio ... posseˮ. est enim ordo “te Aeacidaˮ; id est
quod Romani te possunt uincere.
422 Cfr. G. Agosti, Epigramma longum, da Marziale alla tarda antichità, «Atti del convegno internazionale Cassino, 29-
79 79 4 delle lettere e degli alfabeti greco, latino ed ebraico, i cui primi inventores sarebbero Mosè per l’ebraico, i fenici per il greco, Nicostrata per quello latino, Abramo per il siriano ed il caldaico, Iside per l’egiziano e Gulfila per il getico; correlato all’argomento trattato da Giuliano occorre l’epigramma 39 di Eugenio. Il carme 39, di cui alcuni frammenti sopravvivono nel Libellus
carminum di Eugenio, è trasmesso sia dai manoscritti mozarabici sia carolingi. Tra i mozarabici lo
si trova nell’Anthologia eugeniana, copiata nel León AC 22, del IX ab. f. 31r con il titolo In
itineribus Litterarum ed all’interno del libellus carminum nel León AC fragm. 8; tra i testimoni
carolingi invece si annovarano il Par. Lat. 8093, parte I, del IX in. ed il Par. Lat. 2832 del IX med., con lo stesso titolo De inventoribus litterarum e nel Par. Lat. 8071 del IX, f. 9v-10r. Ne resta una copia di Jacopo Sannazzaro del 1509 oggi il Wien 3261424. Anzitutto bisogna notare la scelta piuttosto insolita del settenario trocaico per un epigramma scolastico; infatti sarebbe stato più consueto l’uso dell’esametro o del distico elegiaco come nel c. 43 di Eugenio sulle parti del corpo umano. Altrettanto curioso è il canone degli inventores litterarum; Isidoro nelle Etymologiae adotta una lista molto simile, in cui gli inventores sono menzionati in ordine cronologico: Hebraeorum
litteras a lege coepisse per Moysen: Syriorum autem et Chaldaeorum per Abraham. Unde et cum Hebraeis et numero et sono concordant, solis characteribus discrepant. Aegyptorum litteras Isis regina, Inachis filia, de Graecia veniens in Aegyptum, repperit et Aegyptiis tradidit. Graecorum litterarum usum primi Phoenices invenierunt (etym. 1, 3, 5-6; 4-1). Mosè viene citato per primo,
anteposto ad Abramo, secondo una communis opinio per cui l’ebraico sia mater di tutte le lingue, condivisa anche da Gerolamo425; a seguire si attestano Abramo con gli alfabeti siriano e caldaico ed Iside con l’egizio, come in Agostino426; infine gli alfabeti greco e latino, inventati dal fenicio Cadmo427 e Carmente, cioè Nicostrata, ordine ampiamente accettato dall’intera tradizione grammaticale428. Ancora Isidoro ripete nella cronaca posta alla fine del V libro delle Etymologiae429 conseguenzialmente Mosè, Cadmo e Carmente. Eugenio, invece, si distacca dalla sua presumibile fonte, Isidoro, disponendo gli inventori in due series: prima gli alfabeti ebraico, greco e latino, ovvero le Litterae Maiores e poi quelli siriano, caldaico, egizio e goto e così anche Giuliano, che, quindi, dipende totalmente da Eugenio piuttosto che da Isidoro430. Ora è arguibile che la fonte di Eugenio non si possa rintracciare in Isidoro che adotta, come visto, una lista di cinque inventori, mancando tra costoro Ulfila il quale, anche se attraverso la storiografia greca (Socrate, Sozomeno, Teodoreto e Giordane)431, è menzionato dal vescovo visigoto in contesti differenti, ovvero 423 Cfr. FI. Merobaudis reliquiae, Blossi Aemilii Dracontii Carmina, Eugeni Toletani episcopi carmina et epistulae, a c.
di F. Vollmer, Berlin 1905, 1-20.
424 Cfr. C. Vecce, Jacopo Sannazzaro in Francia. Scoperte di codici all’inizio del s. XVI, Padova 1988 e T. Denecker,
Condensing cultural knowledge in 7th-century Spain: The «inventors of letters» in Julian of Toledo’s Ars grammatica, «Emerita, Revista de Lingüística y Filología Clásica» 86, 1, 2018, 151-162.
425 Cfr. Hier. Comm. in Sophoniam 3, 14-19, PL 25, 1348b. Cfr. Aug. civ. 18, 39. 426 Aug. civ. 18, 3, 37.
427 Cfr. Plin. Nat. 7, 192; Audace (GL 7, 325, 3). Per Nicostrata, Pompeo (GL 5, 98, 10-12) ed Expl. (GL 4, 519, 3-4). 428 Cfr. Fontaine, cit., 1983, 58-61.
429 Cfr. etym. 5 39, 9-11: Apud Hebraeas invenit; apud Graecos Chadmus invenit litteras, qui regnavit in Thebis; apud
Latinos Carmentis nimpha sive Nicostrate, mater Evandri.
430 Cfr. P. F. Alberto, La scuola in versi: gli inventori degli alfabeti nella poesia della Spagna visigotica, «Il calamo
della memoria V. Riuso di testi e mestiere letterario nella Tarda Antichità», a c. di L. Cristante-T. Mazzoli, Trieste 2012, 267-284.
431 Socr. Scol. Hist. eccl. 6, 37; Teodoreto, Hist. eccl. 4, 33; Giordane, Iordanes. Getica, Edizione, traduzione e
commento a cura di Antonino Grillone, Paris, Les Belles Lettres (Auteurs latins du Moyen âge), 2017: Erant siquidem et alii Gothi, qui dicuntur minores, populus immensus, cum suo pontifice ipsoque primate Vulfila, qui eis dicitur et litteras instituisse.
80 80 4 nell’Historia Gothorum432 e nella Chronica mundi433; è quindi altamente probabile che la sua fonte sia Cassiodoro434, secondo l’Alberto435. Ulfila era conosciuto nella Spagna visigota come creatore di un alfabeto, pur non rientrando, almeno in Isidoro, nel canone ufficiale degli inventores litterarum, accolto invece da Giuliano. Il fatto che il Carme 39 sia abbastanza breve e che abbia un ritmo alquanto cadenzato in metro trocaico e che compaia in una grammatica, lascia supporre che il suo contesto di diffusione originario fosse scolastico e formale, con una palese finalità mnemonica, aspetto collimante con l’attività di magister svolta anche da Eugenio. Giuliano, dopo aver unito un passo di ‘Sergio’ delle Explanationes in artem Donati436 (GL 4, 519, 2-11) con l’analogo passo isidoriano (etym. 1, 4, 1), presenta i septem genera litterarum nell’ordine: hebraeae, atticae, latinae,
syriae, chaldaicae, aegyptiae e geticae. I manoscritti giulianei che tramandano il carme sono
concordi nella tradizione con quelli eugeniani Bern. 207 + Par. Lat. 7530 VIII-IX sec. f. 48r = 46r,
Erfurt. Ampl. F 10 IX sec f. 29r, Pal. Lat. 1746 IX sec. f. 87r e Par. Lat. 18520 IX sec. f. 128r. Lo
stesso carme 39 ricompare altrove nel De <in>ventoribus litterarum di un anonimo trattato grammaticale, copiato ad Erfurt, Ampl. F. 10 ff. 46r-60v, in cui sono presenti anche excerpta di Giuliano di Toledo, Foca ed il De orthographia di Alcuino437. Tuttavia, come asserisce anche la Barbero438, se in Giuliano il carme è citato a chiarimento di quanto assunto sulle origines litterarum, nell’Ampl. F. 10 lo stesso rappresenta il contenuto unico del capitolo (f. 58r), divenendo
del tutto autonomo, all’interno di una tradizione grammaticale ben più vasta.
Il manoscritto Monacensis Lat. 807 (ff. 67r-71r) riporta una versione modificata del capitolo
de littera di Giuliano con il carme 39, scritta dal Poliziano il 7 luglio 1491 a Venezia, copiata ex antiquissimo codice, appartenuto a Giovanni Gabriel439. Da quanto novellato, si comprende che l’influenza dell’elenco di inventores di Giuliano e Eugenio è proseguita nella tradizione grammaticale in parallela indipendenza dall’elenco isidoriano. Ad avvalorare ciò interviene il commentario biblico Interrogationes de littera et de singulis causis, la cui prima parte è dedicata al capitolo de littera, composto nell’VIII sec. a Verona440: Et quanta sunt genera litterarum? Septem.
Quomodo nominantur? Hebreae, graecae, latinae, syriae, chaldeae, aegyptiae, geticae, id est goticae. Volo ut etiam hoc mihi dicas, quis eas invenit? Moyses repperit hebreas; Cadmus, Aginoris filius, graecas; Nicostrata, Evandri regis mater, latinas; Abraham syras et chaldeas; Ysis regina aegyptias; Gulfila gothorum episcopus geticas (Interrogationes, 2-4, 256 Everett). La
432 Cfr. Hist. Got. 8, Tunc Gulfilas eorum episcopus Gothicas litteras adinvenit et scripturas sanctas in eandem linguam
convertit.
433 Cfr. Chron. 350, Tunc Gulfilas eorum episcopus Gothicas litteras repperit et utrumque testamentum in linguam
propriam transtulit.
434 Historia ecclesiastica tripartita 8 13, 5, CSEL 71, ed. di Jacob-Hanslik 1952, 485: Tunc etiam Ulfilas Gothorum
episcopus litteras Gothicas adinvenit et scripturas divinas in eam convertit linguam.
435 Cfr. Alberto, cit., 2012, 271.
436 Latinas litteras invenisse dicitur Carmentis, mater Evandri, quae proprio nomine Nicostrate dicta est. Carmentis
autem ideo nomen accepit, quod carminibus vaticinaretur, unde Vergilius.
437 Cfr. G. Barbero, Per lo studio delle fonti del Liber Glossarum: il ms. Amploniano F. 10, «Aevum» 56, 1993, 253-
278; Alcuino, De orthografia. Edizione critica a cura di S. Bruni, Firenze 1997 e L. Munzi, Testi grammaticali e renovatio studiorum carolingia, a c. di M. De Nonno-P. De Paolis-L. Holtz, cit., Cassino 2000, 351-388.
438 Cfr. Barbero, cit., 1993, 259.
439 G. Pesenti, Anecdota Latina 1, «Rivista di Filologia e di Istruzione Classica» 45, 1917, 70-98 e R. Sabbadini, Le
scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV, 2, Firenze 19672, (rist. 19141), 163 e Jeudy, cit., 1974, 64. 440 Cfr. R. E. McNelly, Isidorian pseudepigrapha in the Early Middle Age, «Isidoriana. Colección de estudios sobre
Isidoro de Sevilla, publicados con occasión del XIV Centenario de su nacimento», ed. by M. C. Díaz y Díaz, Léon 1961, 305-316; J. Machielsen, Clavis patristica pseudepigraphorum medii aevi, Turnhout 1990, vol. 2 A, 613-614, n. 2684 e N. Everett, The Interrogationes de littera et de singulis causis: An Early Medieval School Text, «Journal of Medieval Latin» 16, 2006, 227-275.
81 81 4 testimonianza subisce chiaramente l’influenza di altri grammatici, oltre a Giuliano; infatti Nicostrata, come madre di Evandro, si ritrova in Pompeo (GL 5, 98, 10), nelle Expl. (GL 4, 519, 2- 4) ed in Servio (GL 4, 421, 2). In tal modo il Carme 39 di Eugenio si è fuso in parte con la tradizione visigota, finendo per essere attribuito al più noto grammatico spagnolo, ovvero a Giuliano. Parallelamente alla traditio grammaticalis, il carme compare anche in opere storiche e poetiche, come le Historiae poetarum tam Graecorum quam Latinorum dialogi decem di Giglio Gregorio Giraldi del 1545 (dialog. 1, 28) ed anche negli Epigrammata et Poemata vetera di Pierre Pithou del 1590 col titolo Incerti de inventione litterarum (467). Con ciò si appalesa la straordinaria ed immensa fortuna di cui ha goduto, fin da subito, l’epigramma eugeniano, non a caso ispirato ad un tema caro ai grammatici ed ai magistri scholae, fino all’epoca rinascimentale, dimostrando così un Fortleben ed un riuso circolare del testo fra grammatica e poesia, strettamente legate nel contesto scolastico.
Nel De littera (121, 187), nella trattazione delle consonanti liquide l ed r, che possono a volte, ope metrica, non chiudere la sillaba precedente, Giuliano cita di Venanzio Fortunato441 (carm. 9, 2, 3), cum suadens coluber proiecit arbore venenum, il cui ametrico arbore fu emendanto congetturalmente dal Lorenzana, senza che la Maestre Yenes in apparato comprendesse la lezione esatta ab ore di cui P è testimone, per cui il verso corretto è cum suadens coluber proiecit ab ore
venenum442. La presenza di Venanzio è circoscritta ad altri tre esempi, tratti tutti dal medesimo carme e puntualmente mai segnalati dall’editrice nell’apparato relativo. In ars 60, 244 quis, rogo,
non moritur, morte gustante salutem, (Ven. Fort. 9, 2, 43) che, invece, stando all’optima lectio di F,
questa volta indicata, ma non accolta, suonerebbe mortem gustante salute; in ars 173, 88 all’agimus di Ergo quid hinc agimus nunc te rogo celsa potesta (Ven. Fort. 9, 2, 53), occorre preferire facimus. Anche se, com’è noto, sarebbe immetodico correggere il testo giulianeo, tuttavia si ravvisano alternative valide ed elementi utili a sanare il testo proposto dalla Maestre Yenes. In ars. 122, 199 = 131, 100 si ha omnibus sufficiunt sacrati commoda fisci, di cui si è discusso in precedenza e che non presenta alcuna corruttela nella lezione fisci, al posto della quale la Maestre Yenes ha optato, per il primo caso, per firci. Sempre da Corippo (Iust. 4, 243) ipse autem consul sacro diademate
fulgens, consul va al posto di cum sui in ars 102, 195, opinabile per senso e metrica, anche se la
lezione consul è tràdita da FQ, poiché la citazione è omessa in L1 E. Priva di fondamento è magister
hic virtutum in ars 121, 185, per il quale in apparato si segnala la variante di B ed E vistutium,
banalizzazione della lectio difficilior virtutium, come si trova nella fonte (Paul. Nol. carm. 10, 52). In ars 102, 199 et sceptro et solio praebet sibi ira magistro, errato per il senso e per lo iato, dovrebbe essere normalizzato in base alla sua fonte Ausonio (protr. 87) praefert sibi iura magistri. Un secondo caso di intervento filologico al testo giulianeo si impone in ars 102, 200 accipite et
latis vatem revocate camenis, al cui latis bisogna preferire Latiis (Auson. epist. 21, 74)
In ars 122, 200 e 131, 101, esemplificando il fenomeno prosodico della s caduca, si trova
quas potero tangam tu mihi leges tene; la Maestre Yenes indebitamente stampa quas per quae, in
spregio alla concorde testimonianza di FE; il Ribbeck interpreta questo verso come un trimetro giambico e lo inserisce tra i frammenti di palliate incertae incertorum (v. 103), che, però, Giuliano
441 Cfr. R. Strati, Venanzio Fortunato (e altre fonti) nell'Ars grammatica di Giuliano di Toledo, «Rivista di Filologia e
di Istruzione Classica» 110, 1982, 443-445.
442 La clausola ab ore venenum è presente in Drac. laud. dei I, 461-462 = Eug. Tolet. hex. 343 mellitum ex ore
82 82 4 o la sua fonte scandisce come un pentametro, con lettura trocaica di legěs443. Quest’esempio, in realtà, corrisponde al v. 1720 di Terenziano Mauro, grammatico con cui Giuliano ha una certa dimestichezza444. Infatti il verso, a causa della sua collocazione originaria, motiva l’errore metrico in cui è caduto Giuliano; esso è posizionato nel punto in cui Terenziano, dopo aver menzionato l’origine congiunta di esametri eroici e giambici (vv. 1580-1718), tratta altri metri, a partire dal pentametro, ovvero dal v. 1721; perciò i versi terenziani dal 1580 al 1720 sono esametri dattilici alternati a trimetri giambici; pertanto il Ribbeck non avrebbe dovuto accoglierlo nella sua silloge e neppure considerarlo un frammento comico adespoto. Dunque il verso in oggetto è un normale trimetro giambico e non un pentametro445.
All’interno del De schematibus (197, 52-54), per spiegare la figura dell’Hypozeusis, ovvero l’uso di clausole formate ciascuna da un soggetto e da un verbo proprio, Giuliano o il suo antigrafo cita: vinolentia invitat, inflat superbia, delectat libido, praecipitat rapacitas. Questa pericope, presente anche nell’Isidorus Iunior, è accolta dal Lindsay nella sua parziale edizione all’ars, così come appare nel testo della Maestre Yenes che, in apparato, immetodicamente, giustifica tale successione di parole con l’autorità del Lindsay, annotando in modo errato la mancanza di rapacitas nel codice L1 (Pal. Lat. 1746 f. 80v.). La studiosa invece aggiunge (197, 54) solo rapacitas ante inquietat come codd. GL1. Invece, come ha notato il Munzi446, L1 tramanda la citazione di rapacitas anteposto ad inquietat. Tuttavia il Lindsay e quindi la Maestre Yenes traspongono rapacitas alla fine della pericope, dopo praecipitat, nonostante il palese ordo verborum contrario dei manoscritti. Così lo Schindel447, che riteneva che alla base di Isidoro, Giuliano ed Isidorus Iunior fosse una fonte comune costituita da un grammatico cristiano vissuto tra Agostino ed Isidoro, allettato dalla congettura del Lindsay, pubblica la sezione con rapacitas collocato in coda, nonostante il manoscritto B, codex unicus per Isidorus Iunior, confermi la stessa dispositio verborum di Giuliano, cioè rapacitas inquietat e non praecipitat rapacitas. Lo Schindel giustifica in modo alquanto impressionistico tale scelta, preferibile per l’originale disposizione chiastica che si otterrebbe con
rapacitas dopo pracipitat, pur operando una patente violenza alla traditio codicum. Merito del
Munzi è stato di aver scoperto non solo l’errata disposizione delle lezioni, ma anche che la fonte sia individuabile nell’Ad Donatum di Cipriano: Tenacibus semper inlecebris necesse est, ut solebat,
vinolentia invitet, inflet superbia, iracundia inflammet, rapacitas inquietet, crudelitas stimulet, ambitio delectet, libido praecipitet448. Naturalmente è molto probabile che l’antigrafo, fonte comune di Giuliano e di B (Isidorus Iunior) abbia usato ad litteram il passo ciprianeo.
Concludendo, occorre approfondire la vexata quaestio relativa all’effettiva presenza di versi virgiliani nell’ars giulianea. La Maestre Yenes senza affrontare, neppure negli aspetti più generali il problema, laconicamente afferma che: ʻEl autor más veces citado es Virgilio, del cual aparecen 224
443 La scansione pentametrica presuppone l'evanescenza della s ed anche l'abbreviamento di e finale davanti ad s. Cfr. L.
Mueller, De re metrica poetarum Latinorum praeter Plautum et Terentium libri septem, Hildesheim 19672 (rist. 1894),
423.
444 Il nome di Terenziano compare a 119, 136 e 234, 8, già presente nelle fonti grammaticali giulianee: Expl. in Don.
(GL 4, 520, 5) e Mall. Theod. (37, 17 Romanini). Compare anche a 154, 30.
445 Cfr. R. Strati, Ancora sulle citazioni di Giuliano di Toledo (Ars grammatica e De partibus orationis), «Rivista di
Filologia e di Istruzione Classica» 112, 1984, 196-199.
446 Cfr. L. Munzi, Cipriano in Giuliano toletano Ars gramm. 197, 52-54 M. Y., «Rivista di Filologia e di Istruzione
Classica» 108, 1980, 320-321.
447 Cfr. Schindel, cit., 1975, 210 e Isidorus Iunior, De vitiis et virtutibus orationis liber, a c. di U. Schindel, Göttingen