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V. Il progetto economico politico di Amartya Sen

7. Le donne “mancanti”

Un tema affrontato da Sen che merita di essere trattato anche qui è sicuramente quello riguardante la condizione femminile nel mondo. Nonostante gli obiettivi che le donne sono state in grado di raggiungere dopo anni di lotte e rivendicazioni, il loro percorso verso l’emancipazione non è ancora compiuto, soprattutto in alcune aree come l’Asia orientale, in cui sussistono gravi disuguaglianze tra uomini e donne.

Dagli studi condotti da Sen è emerso come all’incirca cento milioni di donne sarebbero rimaste in vita se, nei paesi in via di sviluppo, i governi fossero stati attenti a garantire loro lo stesso livello di benessere degli uomini. Queste donne morte prematuramente, a cause delle privazioni inflitte, sono chiamate da Sen

donne mancanti169. È in effetti spaventoso notare come in uno Stato come il

Bangladesh venga tollerato che nella distribuzione di beni di prima necessità all’interno della famiglia, alla donna venga ritagliato uno spazio estremamente limitato, che prevede, ad esempio, che alle donne spetti una quantità di cibo minore, poiché si considera il lavoro di quest’ultima sostanzialmente relegato alla casa, meno impegnativo rispetto a quello dell’uomo.

L’approccio alle capacità non può di certo tollerare queste gravi disuguaglianze: le donne che soffrono la fame sono private della loro capacità di mettere in atto

funzionamenti di valore, che Sen pone come il fine di tutti gli individui, uomini e donne. Un intervento mirato sulla loro condizione richiede, non solo l’attenzione verso il loro benessere, inteso come trattamento migliore e meno iniquo, ma anche interventi indirizzati a favorire il loro ruolo attivo nella società. Sen sottolinea che porre la questione secondo termini di benessere, non è vantaggioso per le donne, in quanto questo aspetto rivela solo una minima parte del loro problema. Le donne, infatti, non devono essere considerate come degli agenti passivi che attendono gli aiuti che lo stato rende loro, poiché in tal modo non sarà mai possibile una vera e propria emancipazione. È preferibile dare alle donne la possibilità di diventare parte attiva della loro vita, aiutarle a diventare autonome provvedendo al proprio mantenimento, al fine di renderle parte del mutamento sociale del contesto in cui vivono170.

Guardare gli individui come entità che hanno esperienze di benessere significa riconoscere un loro aspetto importante, ma fermarsi a questo vuol dire avere una visione molto limitata del loro essere persone171.

Una donna non sta semplicemente bene o male, ma può e deve, in quanto individuo responsabile, decidere di agire o meno per migliorare la propria condizione di vita. Anche se ciò è facile da sostenere a livello teorico, comporta un grande impegno sociale e personale, ma soprattutto un cambiamento di prospettiva nel trattare alcuni problemi, che non significa alimentare la preoccupazione per la loro condizione di privazione, quanto piuttosto riconoscere

170 Cfr. Sen, Lo sviluppo è libertà, cit., p. 192. 171 Ivi, p. 193.

che limitarne il ruolo attivo rappresenta un danno non solo per loro stesse, ma per il benessere dell’intera comunità.

Abbiamo sì ogni ragione per non allentare la vigilanza sul benessere e il malessere femminile e continuare a essere attenti alle loro sofferenze e privazioni, ma esiste pure, soprattutto oggi, una necessità urgente e fondamentale di affrontare le rivendicazioni femminili con una approccio orientato all’agente172

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Sen suggerisce che un ruolo attivo delle donne può risultare fondamentale ai fini del benessere femminile: avere la possibilità di lavorare e di guadagnare un reddito proprio rende la donna più consapevole delle proprie capacità, cambiando la percezione sia su se stessa, sia sulle altre donne. Essenziale è cambiare l’idea che la moglie abbia un ruolo subalterno rispetto a quello del marito, idea che è frutto di un condizionamento culturale assorbito all’interno dell’ambiente famigliare.

Un punto di partenza importante consiste nell’analizzare in che modo e in base a quale criterio i ruoli e le risorse materiali sono distribuite all’interno della famiglia. Sappiamo che sulla necessità di analizzare in termini di capacità le disuguaglianze presenti all’interno nella famiglia Sen concorda con la Nussbaum, ma quest’ultima ha dato alla sua critica un taglio più nettamente politico giuridico. Infatti la famiglia, secondo la Nussbaum, non è un’istituzione naturale né privata, ma modellata dalle leggi dello stato173. La famiglia, però, rappresenta anche il nucleo fondamentale della società, l’ambiente in cui cominciano a formarsi le capacità umane, ed è quindi compito dello stato, il cui fine è quello di garantire

172 Ivi, p. 194.

per tutti i cittadini lo sviluppo delle capacità-funzioni fondamentali, fare in modo che ogni membro della famiglia si trovi in condizione di sviluppare pienamente la sua personalità.

La critica di Sen non va a toccare invece il ruolo effettivo dello Stato concentrandosi piuttosto sugli effetti positivi che la donna può produrre all’interno della società. Nella sua analisi della famiglia Sen osserva che “donne e uomini hanno sia interessi congruenti che interessi confliggenti”174, tuttavia nei processi

decisionali si può ritrovare una forma di collaborazione. Questo processo è detto da Sen “conflitto collaborativo”175

ed è un ottimo fattore per comprendere il trattamento riservato alle donne nelle famiglie. Infatti, nonostante sia agli uomini che alle donne convenga seguire dei modelli di comportamento prestabiliti, tali modelli possono, a volte, a favorire una parte rispetto all’altra. Sen, infatti, scrive:

La scelta di uno di questi assetti collaborativi entro l’insieme delle possibilità alternative genera una particolare distribuzione dei benefici comuni176.

I conflitti famigliari dovrebbero essere risolti affidandosi a modelli di comportamento che garantiscono una ripartizione dei ruoli e dei beni più o meno ugualitaria tra le parti.

Tuttavia, come notato, una maggiore attenzione verso i bisogni delle donne non migliora semplicemente la loro condizione, ma anche quella di tutti gli altri membri della famiglia e della società. È possibile per esempio osservare come l’opinione delle donne, modificata e rafforzata dall’istruzione e dall’esperienza

174 Ivi, p. 195.

175 Ibidem. 176 Ibidem.

lavorativa, non solo cambia i modi della discussione pubblica sul tasso di fertilità, ma riduce anche in maniera significativa il tasso di mortalità infantile nella famiglia177.

I ruoli costituiti all’interno della famiglia non sono dettati da nessuna necessità naturale, quanto piuttosto da fattori come il sistema di valori condiviso dall’intera comunità o il potere economico dei suoi vari membri178.

Il dominio maschile, presente in molte parti del mondo, è dovuto al fatto che è solitamente l’uomo a mantenere la famiglia dal punto di vista economico, il che produce una considerazione maggiore del marito rispetto alla moglie. Perciò il lavoro femminile al di fuori dell’ambiente domestico è fondamentale, in tal modo il contribuito della donna diventa visibile, e di conseguenza anche la sua opinione assume lo stesso peso di quella di un uomo.

L’attenzione di Sen, però, non è rivolta solo al lavoro delle donne, ma anche ai risultati positivi che l’istruzione e l’alfabetizzazione femminile possono produrre179. Le donne che hanno ricevuto un’istruzione pari a quella degli uomini avranno sicuramente una consapevolezza maggiore del proprio ruolo. Ora, essendo le donne più portate a tutelare la cura dei figli sarà più facile, una volta che esse abbiano assunto una maggiore autorità all’interno della famiglia, orientare le decisioni famigliare più inclini verso la tutela dei figli, assicurandone un maggiore benessere. In tal modo si riduce di molto non solo il tasso di

177 Cfr. Ivi, p. 196.

178 Questo punto, ovvero l’urgenza di negare qualsiasi tipo di necessità naturale legata alla

famiglia, Sen e la Nussbaum concordano, condividendo la convinzione che i modelli associativi della famiglia possano essere influenzati dall’ambiente culturale nel quale cresciamo e dal nostro livello di istruzione. Se al centro del progetto politico, in una prospettiva di matrice aristotelica, vi è lo sviluppo delle capacità individuali, la società sarà un luogo dove educare cittadini in grado di promuovere modelli famigliari in cui ogni membro è libero di mettere in pratica le proprie capacità.

mortalità infantile, ma anche la disparità di sopravvivenza fra i sessi. Sen, infatti, osserva come in paesi dove sussiste una forte disparità fra i sessi, come l’India o tutta l’area dell’Asia occidentale e dell’Africa settentrionale, il tasso di mortalità delle bambine di sesso femminile è superiore rispetto a quello dei maschi. Questo dato non è invece presente in paesi, come l’Europa o l’America, in cui le donne possono tranquillamente accedere all’istruzione scolastica.

Gli studi di Sen sono dunque tesi a dimostrare che il ruolo attivo delle donne ha un peso molto importante per il benessere e lo sviluppo economico di un paese:

Oggi, verosimilmente, nell’economia politica dello sviluppo niente ha un’importanza pari a quella di un riconoscimento adeguato della partecipazione e della funzione direttiva, politica, economica e sociale, delle donne. Si tratta di un aspetto davvero cruciale dello “sviluppo come libertà”180

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Tuttavia Sen deve constatare che questo rimane uno dei settori più trascurati nelle politiche pubbliche. Una delle ragioni è che spesso proprio l’opprimente tradizione culturale, impedisce alle donne di pensare e di desiderare una condizione migliore. Come è stato esposto in precedenza, i desideri degli individui in generale, e in particolar modo delle donne, possono essere fortemente plasmati dalla cultura nella quale sono immersi, impedendo loro di rivendicare una maggiore emancipazione. Tali problemi, come è stato sottolineato sia da Sen che dalla Nussbaum, possono essere meglio compresi tramite l’approccio alle capacità che, presupponendo una concezione spessa del bene181, riesce meglio a garantire i caratteri fondamentali del benessere.

180 Ivi, p. 205.