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La politía come “costituzione media”

III. Il regime costituzionale migliore

3. La politía come “costituzione media”

Il IV libro della Politica27 si apre con un ampliamento metodologico, utile alla ricerca del regime costituzionale migliore. La scienza politica viene in queste righe paragonata a tecniche come la ginnastica o la medicina, ciascuna delle quali, proponendosi di essere esaustiva nel suo campo competenza, ha il compito di studiare con la stessa attenzione tutti gli oggetti che ne fanno parte. Rientra nel campo di competenza della scienza politica lo studio non solo del tipo di costituzione migliore in senso assoluto, ma anche della costituzione che si può ritenere migliore tenendo conto delle condizioni date, della costituzione presente

27 La traduzione utilizzata per Politica- Libro IV è quella a cura di L. Bertelli e M. Moggi,

in una comunità, e infine del modello di costituzione che meglio si adatta alla città (Pol. IV, 1, 1287 b 10-37). L’ampliamento del materiale conoscitivo della scienza politica rappresenta già di per sé una critica ai predecessori di Aristotele, in particolar modo a Platone, per aver puntato l’indagine sul modello costituzionale perfetto, senza tener conto dei casi concreti della realtà (Pol. IV, 1, 1287 b 40). Ad esempio Aristotele sa bene che il modello migliore potrebbe essere il regno, ma essendo impossibile da realizzare a livello empirico, perché fondato sulla straordinarietà (quasi divina) di chi regna, non lo considera, mentre si concentra molto di più su quella forma costituzionale migliore che può essere applicata in base a condizioni normali.

Seguendo i parametri aristotelici, allora, il buon politico è colui che possiede una matura conoscenza non solo della scienza politica, ma anche di tutti i casi istituzionali realizzati storicamente. La conoscenza relativa alle differenze che distinguono i vari tipi di costituzione (non solo, ad esempio, le differenze tra democrazia e oligarchia, ma anche tra le varie forme di democrazia o oligarchia) è la base di un sapere pratico chiamato da Aristotele phrónesis: si tratta di una virtù dianoetica o intellettuale trattata in E.N. VI, 8, là dove è considerata come parte fondamentale della saggezza che deve appartenere al politico.

La phrónesis non riguarda solo gli universali, ma deve conoscere anche i casi particolari, infatti è pratica, e la prassi riguarda i casi particolari: per questo anche in altri campi vi sono alcuni, gli esperti, che, pur senza conoscere l’universale, sono più capaci di agire di quelli che lo conoscono. (E. N. VI, 8, 1141 b 14-19)

Questo sapere, che permette di ben deliberare, è preliminare all’operato legislativo del politico, dato che ogni buona legge dev’essere posta in relazione al tipo di costituzione vigente, e non viceversa28.

L’analisi particolare di tutti i tipi di costituzione è esposta nei capitoli 2-7 del IV libro della Politica fino a giungere ai capitoli 8-9 dedicati all’analisi della politía. La politía viene definita come una commistione tra oligarchia e democrazia, ma con una tendenza maggiore verso la democrazia (Pol. IV, 8, 1293 b 32-33). Il primo passo per far sì che tale commistione avvenga consiste nell’identificare degli elementi caratterizzanti dell’oligarchia e della democrazia, per poi combinarli tra loro. Gli elementi che vengono analizzati sono tre: le assemblee giudiziarie, la qualificazione censitaria e l’elezione delle cariche. Rispetto alla pratica assembleare Aristotele corregge un’usanza tipica della democrazia ateniese del V secolo, e consolidatasi con Pericle, la quale consiste nell’attribuire una paga ai cittadini più poveri che partecipano alle assemblee, senza nessuna conseguenza per i ricchi che non vi partecipano, a differenza di ciò che avviene nelle oligarchie in cui i ricchi vengono multati per la loro mancata partecipazione, mentre nessun incentivo viene attribuito ai poveri che decidono di partecipare. La mescolanza dei due diversi usi tende a realizzare un tratto comune e medio che prevede multe per scoraggiare l’assenteismo dei ricchi all’assemblee e, dall’altra parte, delle remunerazioni per i meno abbienti: in tal modo si contribuisce a garantire un aspetto fondamentale quale la partecipazione alla vita pubblica. Un secondo aspetto riguarda i requisiti censitari richiesti per la partecipazione all’assemblea: nelle oligarchie è stabilito in base a un censo elevato, mentre nelle

democrazie è nullo; la proposta di Aristotele prevede di stabilire un censo medio tra quello proposto dai due regimi.

L’ultimo elemento, infine, fa riferimento alla modalità di elezione delle magistrature: nelle oligarchie si procede tramite elezione, mentre nelle democrazie sussiste la pratica del sorteggio: nella politía le cariche sono elettive, come previsto nelle oligarchie, ma, come nelle democrazie, senza alcun requisito di censo (Pol. IV, 9, 1294 a 35 – 1294 b 13).

La forma di governo misto a cui Aristotele si ispira è quella elaborata da Solone, che contiene in sé un elemento oligarchico, identificato con l’Areopago, un elemento aristocratico costituito dall’elezione dei magistrati, e infine uno democratico che prevede l’ammissione di tutti i cittadini ai tribunali. Il suo intento non è quindi solo quello di una mescolanza dei poteri tradizionali (monarchico, aristocratico e democratico), ma di un regime che sappia garantire la pacifica convivenza di due gruppi sociali opposti: i ricchi, ovvero i pochi, e i molti o i poveri29. Aristotele, in sintesi, mira a creare un regime che sappia evitare gli errori commessi da una democrazia di tipo assembleare, in cui chiunque, indipendentemente dal ceto e dal censo, può accedere alle cariche, e dove i decreti del popolo prendono il posto delle leggi (Pol. IV, 6, 1293 a 1-10). Ciò è proprio di una forma estrema di democrazia, dove i demagoghi riescono a convincere le masse, radunate in assemblea, a sottostare ai loro interessi.

Nella Costituzione degli Ateniesi si può chiaramente cogliere come il percorso del governo democratico ateniese, in particolar modo nel V secolo, abbia sempre di più virato verso il modello che si presenta come il quinto tipo di democrazia,

29 Cfr. E. Berti, Sulla costituzione mista in Platone, Aristotele e Cicerone, in Id., Nuovi studi

quella peggiore descritta in Politica IV, 6, dove tutto viene deciso in virtù delle deliberazioni popolari e il nómos perde del tutto la sua forza vincolante.

Il Consiglio dell’Areopago fu privato in questo modo del controllo sulla città. In seguito accadde che l’ordine costituzionale si allentasse sempre più, per colpa di coloro che si impegnavano in ogni modo a traviare il popolo. (Costituzione

degli Ateniesi 26, 4-10)30

Aristotele spiega così la perdita di potere dell’Areopago, l’organo che faceva da contrappeso al governo popolare, voluta dai demagoghi, uomini abili nel traviare il popolo a favore dei propri interessi.

Il popolo distante dal dominio della legge finisce per esercitare anch’esso un governo di tipo dispotico. Ciò avviene perché il popolo, con il quale si identifica il

políteuma di questo tipo di democrazia, è la massa, formata da tutti

indipendentemente dallo status sociale e dall’educazione.31 Lo status di cui Aristotele tiene conto per l’accesso al diritto di cittadinanza (e quindi prendere parte all’assemblee), non è semplicemente quello di uomo libero; per tale motivo nel suo progetto politico tende a non concedere la cittadinanza ai teti, uomini di fatto liberi, ma meno agiati, costretti a lavorare e quindi impossibilitati, per mancanza di tempo libero, a provvedere alla propria formazione (Pol. III, 5, 1278 a 3-13). Mentre la logica democratica tiene conto di un solo elemento nel determinare il diritto di cittadinanza cioè lo status di uomo libero, nel progetto politico di Aristotele la libertà rappresenta solo una precondizione necessaria, ma

30 Le traduzioni utilizzate per la Costituzione degli Ateniesi, sono quelle a cura di Anna Santoni,

Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, Cappelli Editore, Bologna, 1999, p. 97.

31 Cfr. C. Pacchiani, La ”politeia” come ”mixis” in Aristotele, Il Mulino – Rivistaweb, Fascicolo

non sufficiente per l’accesso alle cariche politiche. Godere del tempo libero è una componente essenziale della virtù del cittadino, tuttavia la scholè non è il fine a cui l’uomo tende, ma solo un mezzo per raggiungere tale fine che è appunto l’agire secondo virtù. Il concedere la cittadinanza basandosi solo sul criterio della libertà e non sull’aretè (dunque anche ai lavoratori salariati o agli stranieri) è una pratica, afferma Aristotele, utilizzata dai regimi in cui scarseggiano cittadini legittimi, ma non è un bene per la comunità. Infatti, una volta riacquisiti un numero consistente di cittadini, il criterio per l’attribuzione della cittadinanza diviene sempre più selettivo, fino ad escludere nuovamente coloro che non sono in possesso della virtù necessaria per svolgere compiti politici (Pol. III, 5, 1278 a 30-40). Infatti, come abbiamo precedentemente sottolineato, il fine ultimo del governo politico non è quello di garantire la libertà, ma far sì che ogni cittadino possa esercitare la propria capacità politica in funzione del benessere comune. La costituzione mista viene presentata in IV, 11 come quella dià ton méson (Pol. IV, 11, 1295 b 35), ovvero istituita sulla classe media. Il ragionamento che Aristotele svolge per motivare l’eccellenza di tale costituzione fa riferimento a un principio enunciato nell’Etica Nicomachea, dove la definizione di virtù è strettamente collegata a quello della medietà ( E. N. II, 8, 1108 b 11-13).

Se infatti nell’Etica è stato stabilito correttamente che la vita felice è quella vissuta secondo virtù senza impedimenti, e che la virtù è medietà, di necessità ne consegue che la vita migliore è quella media, quella medietà che è possibile per ciascuno ottenere. E questi sono necessariamente gli stessi elementi distintivi della virtù o della malvagità di una città e di una costituzione, perché la costituzione è in un certo modo la vita della città. (Pol. IV, 11, 1295 a 36- 1295 b 2)

Aristotele descrive qui un’articolazione della città fra i ricchi, i poveri, e coloro che si collocano a metà tra entrambi. Al fine di ottenere una situazione di stabilità tra le due fazioni sociali che tendono ad opporsi nella città, la costituzione migliore sarà quella fondata su un ceto medio. Convincente è la parentesi di matrice psicologica che Aristotele apre per argomentare sull’importanza del ceto medio. Il possesso di una ricchezza media porta questo ceto ad obbedire più facilmente alla ragione e non eccedere commettendo azioni ingiuste, ma esso è dotato, soprattutto, della giusta umiltà necessaria per essere governato. Questo è quello che maggiormente differenzia tale classe dai ricchi, incapaci di essere sottoposti all’autorità politica, e dai poveri, incapaci di governare (Pol. IV, 11, 1295 5-11). I ricchi e i poveri, per le loro qualità, formano una comunità di padroni e schiavi, non adatta alla comunità politica che è una comunità di liberi.

Una città tende a essere costituita quanto più possibile da uguali che si assomigliano e ciò si realizza soprattutto fra membri delle classi medie. Pertanto, necessariamente, la città meglio amministrata sarà quella formata da questi cittadini che noi diciamo costituire il suo elemento naturale. Costoro sono poi i cittadini che più sono destinati a salvarsi nella città. Infatti, non desiderano i beni degli altri, come farebbero i poveri, né gli altri i loro, come avviene quando i poveri desiderano le proprietà dei ricchi. In tal modo, senza tendere né subire insidie, vivono una vita esente da rischi. (Pol.IV, 11, 1295 b 26- 33)

L’unico elemento a cui dovrebbero aspirare i cittadini è quel tipo di uguaglianza che rappresenta la condizione necessaria per far nascere tra i cittadini sentimenti di amicizia e solidarietà: il desiderio di trattare ogni essere come capace di percepire e con rispetto verso i suoi sentimenti proprio in virtù del suo essere uguale a tutti gli altri.

Il libro IV si chiude con l’esposizione dei compiti del bravo legislatore, che deve ben ordinare le tre parti che compongono la costituzione “perché è proprio dalla loro buona disposizione che dipende la buona disposizione della costituzione” (Pol. IV, 14, 1298 b 38-39). Aristotele distingue: una parte deliberante sugli affari comuni, una che concerne le varie cariche che svolgono le funzioni di governo, e quella giudiziaria. Il modo in cui questi tre poteri sono distribuiti tra la popolazione dipende dalle varie forme di governo che vigono nella città.