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L’educazione alla felicità

III. Il regime costituzionale migliore

4. La “città delle nostre preghiere”

4.3. L’educazione alla felicità

La fine del VII libro e l’intero libro VIII sono dedicati da Aristotele a uno dei temi più importanti del suo progetto politico: l’educazione pubblica. Una volta

42 Ibidem, p. 449.

esaminata la condizione della natura umana nel quadro della pólis e proposto un sistema che sappia rappresentare il modello costituzionale migliore, l’educazione assume importanza per il collegamento tra la felicità della città e quella degli individui di cui ne fanno parte: “elemento qualificante della concezione etico- politico-pedagogica di Aristotele è la non autosufficienza dell’uomo e il suo bisogno di unirsi agli altri uomini nell’organismo statale. Questo attua i suoi fini, comprensivi di quelli dei singoli cittadini, prendendosi cura di loro sia dal punto di vista della prosperità materiale sia, attraverso l’educazione, dal punto di vista della virtù morale e intellettuale.”44

Il progetto educativo è dunque affidato allo Stato, nello specifico alle leggi e alla figura del buon legislatore.

Il legame che intercorre tra le leggi e l’educazione è chiarito nelle ultime pagine dell’Etica Nicomachea, in cui l’educazione viene considerata come il mezzo per eccellenza per far sì che i giovani compiano abitualmente azioni virtuose, e non perché costretti dalla paura di una punizione. Aristotele è, infatti, convinto che un buon progetto educativo sia il più importante mezzo per garantire una genuina unità all’interno della comunità in quanto tale unità non sarebbe, come nel modello platonico, dettata da costrizioni, ma quanto piuttosto da una reale aderenza di ogni cittadino alla virtù. Nello specifico, infatti, è proprio questo il fine del progetto pedagogico aristotelico: far sì che ogni cittadino possa diventare un anér agathós. Il progetto aristotelico parte da un nesso tradizionale della cultura greca fra l’educazione del corpo e quella dell’anima, ma in questo caso, nonostante la notevole attenzione dedicata alle attività fisiche, la maggior parte

44 M. Salis, L’umanesimo di Aristotele fra politica, conoscenza e educazione, Firenze University

della trattazione è incentrata sulle componenti psichiche, dunque sull’educazione dell’anima, indispensabile per la virtù e la felicità45

.

Aristotele per prima cosa ripercorre il processo di formazione della virtù, individuandone i tre fattori chiave nella natura, nell’abitudine e nella ragione:

In primo luogo, è necessario avere, alla nascita, natura di uomo e non di qualche altro animale; e poi anche il corpo e l’anima devono essere di un certo tipo. Però alcune attitudini naturali non sortiscono alcun vantaggio, perché le abitudini possono modificarle. Infatti ci sono certe inclinazioni, ambivalenti per natura, che, per effetto delle abitudini, subiscono un’evoluzione negativa o positiva. La vita degli altri animali è, invece, per lo più regolata dalla natura, e solo in rari casi dalle abitudini, mentre l’uomo è anche guidato dalla ragione, che solo lui possiede. Perciò bisogna trovare un equilibrio tra queste tre facoltà. (Pol. VII, 13, 1332 a 41- 1332 b 6)

Aristotele concepisce la natura come l’elemento che garantisce all’individuo quell’insieme di qualità che caratterizzano il soggetto umano. Poco dopo, infatti, sottolinea come alcuni aspetti del carattere posseduti per nascita possono essere modificati dall’abitudine alle azioni virtuose. Il fattore che determina entrambi gli aspetti citati, natura e abitudine, è il lógos, la capacità esclusivamente umana che si innesta sulle inclinazioni naturali per correggere il percorso verso le abitudini scorrette46.

Poiché “delineare un quadro più preciso della paideia richiede tuttavia, preliminarmente, un’indagine relativa alle facoltà psichiche su cui il processo formativo agisce”47

, Aristotele riprende il tema della bipartizione dell’anima, posto a fondamento della distinzione di “virtù per cui l’uomo può dirsi in un certo

45 Cfr. S. Gastaldi, Bios Hairetotatos, cit., pp. 146-147. 46 Cfr. Ivi, p. 147.

senso buono” (Pol. VII 14, 1333 a 19). La spiegazione fornita in questo passo risulta più sintetica rispetto a quella data nel I libro dell’Etica Nicomachea; nella

Politica Aristotele dà per scontata la superiorità dell’uomo rispetto ad altre forme

di vita per il suo possesso della ragione. La superiorità della ragione deriva dalla sua capacità di dare ordini alle componenti irrazionali dell’anima, le nostre emozioni, che sono influenzate dal lógos anche se non partecipano del ragionamento (Pol. VII, 14, 1333 a 16-18). In questa prospettiva possiamo affermare che la ragione si comporta nei confronti delle emozioni proprio come l’artigiano che tratta la materia informe: il suo fine è quello di farla diventare un oggetto utile per la società. La gerarchizzazione presente nel pensiero psicologico di Aristotele è giustificata dal presupposto che in ogni ambito “la cosa peggiore ha come fine la cosa migliore” (Pol. VII, 1333 a 23), dunque la parte inferiore, dell’anima quella irrazionale, sarà subordinata a quella migliore, la ragione48

. Compito della città è dare ai cittadini la medesima educazione, affinché sviluppino la vita migliore possibile, e dato che non tutti gli uomini sono in grado di vivere un’esistenza dedita all’attività contemplativa, compito di “ogni uomo è sempre mirare al livello migliore che può raggiungere” (Pol. VII, 1333 a 29-30), in questo caso un cittadino in grado di compiere azioni virtuose. Coloro che sono portati per gli studi teoretici non devono essere ostacolati dalla comunità, ma in generale, la vita contemplativa per tutti i cittadini non è il fine a cui la città mira per i suoi abitanti.

Una volta chiarite le caratteristiche dell’anima e il tipo di vita preferibile per ogni cittadino, Aristotele distingue vari aspetti in cui la vita si compone, curando, come

nel caso dell’anima, quelli necessari in vista di quelle migliori. La vita di un uomo si compone di momenti che vengono ricondotti a due coppie: pace e guerra, lavoro e tempo libero (Pol. VII, 1333 a 30-33). È possibile qui istituire una distinzione gerarchica: il lavoro dev’essere compiuto in vista del tempo libero, e la guerra in vista della pace. Il lavoro e la guerra, infatti, pur essendo attività necessarie (Pol. VII, 14, 1333 a 33-36), non vengono mai compiute per il loro bene in sé, ma sempre in vista di qualcosa di migliore come la pace e il tempo libero. Aristotele rimane coerente con la critica mossa nei confronti di regimi, come quello spartano, che pone come proprio fine il dominio dispotico sulle altre popolazioni (Pol. VII, 14, 1333 b 11-14). In tal tipo di città, nessuno dei suoi abitanti sarà mai felice (Pol. VII, 14, 1333 b 23): le azioni da loro compiute potranno infatti essere definite necessarie, ma mai belle in sé. Inoltre un governo di tipo autoritario che impone il suo dominio con la forza, nella visione aristotelica, sarà sempre meno nobile di quello che si esercita su uomini liberi e uguali.

I fatti stessi, oltre che il ragionamento, dimostrano che l’impegno del legislatore deve indirizzare sia la formazione militare, sia ogni ordinamento giuridico, soprattutto a favorire la disponibilità di tempo libero e pace. (Pol. VII, 14, 1334 a 2-5)

Questa precisazione di Aristotele non pone la città ideale, in un tempo mitico al termine del progresso umano, ma, dopo un’attenta analisi delle condizioni storiche passate e presenti, come una possibilità realizzabile in un mondo, come quello presente, pieno di imperfezioni.

È bene puntualizzare cosa Aristotele intenda per scholé poiché, diversamente dalla nostra nozione moderna, il tempo libero non è inteso come quella parte della nostra vita da dedicare al puro svago o al gioco: il fine della scholé dei cittadini nella Politica non è questo, quanto piuttosto la possibilità di dedicarsi agli studi e alla vita politica. L’educazione, infatti, che necessita del tempo libero in cui svolgersi, non è riservata solo ai fanciulli, ma rimane da sfondo per l’intera vita dei cittadini. Tanto Politica quanto nell’Etica Nicomachea Aristotele espone una serie di motivi in favore di un’educazione pubblica: in primo luogo il fatto, che un’educazione uguale per tutti assicura l’uniformità necessaria per regolare la vita di persone diverse presenti nella stessa comunità, infatti mentre i genitori possono insegnare una concezione personale del bene, un insegnamento pubblico assicura che le persone condividano la stessa concezione del giusto. Il legislatore oltretutto, essendo un uomo dotato di saggezza pratica, saprà, più del padre, scegliere l’educazione migliore. Infine, in connessione con il primo motivo, è ribadito più volte che l’uomo raggiunge la sua eccellenza nella vita sociale e dunque tale interazione sarà più facile e stabile se tenuta insieme da un insegnamento di base comune.49

Aristotele descrive la crescita individuale come un continuo processo di maturazione che necessita di cause esterne, in questo caso la convivenza con gli altri, per il suo sviluppo. Supponendo infatti che un uomo adulto abbia raggiunto la piena virtù del suo carattere, se questo stesso uomo si ritroverà a vivere in un ambiente sfavorevole, potrà perdere l’eccellenza che ha raggiunto: “l’impegno civico e la presenza di buone condizioni politiche si dimostrano strumentalmente

necessari per poter sviluppare un buon carattere”50. Anche l’uomo virtuoso ha un

continuo bisogno di una comunità politica pacificata, in cui sono privilegiate le azioni moralmente belle. In tal modo l’azione educativa favorisce il superamento di qualsiasi teoria individualistica per porre come scopo più importante l’interesse della collettività51. Il progetto pedagogico aristotelico, che indirizza la crescita e lo sviluppo della persona umana, mira al pieno conseguimento delle facoltà umane attuabili nell’ambito della società, avendo come unico scopo quello di garantire la vita felice della persona.

Una volta stabiliti i fini, Aristotele indaga sui metodi in base ai quali l’educazione dev’essere messa in atto. Si tratta di un’educazione non indirizzata all’apprendimento di una professione e non è quindi adatta a chi necessita di lavorare per vivere.

Dalla fine del VII libro in poi, la Politica tratta della formazione educativa impartita dalla famiglia nella prima infanzia (dalla nascita fino ai sette anni) e dalla scuola ai ragazzi dai sette ai quattordici anni, ma non viene detto nulla riguardo alla formazione liceale (che dura dai quattordici fino ai ventuno anni circa). Il perché di tale mancanza è già stato chiarito: il fine dell’educazione, nel quadro della Politica, non è la formazione di filosofi, ma di cittadini attivi all’interno della società.

La fine del VII libro si focalizza sui bambini, dalle modalità del loro concepimento fino ai sette anni. I bambini in questo periodo sono affidati alla cura della famiglia, perché prima dei sette anni non sono in grado di apprendere gli insegnamenti del maestro, a causa di un’intelligenza non ancora pienamente

50 Ivi, p. 630.

sviluppata. Il compito della famiglia consiste nell’indirizzare le abitudini del bambino a preferire cosa è giusto, anche se ancora non ne comprendono le ragioni. Aristotele ritiene, infatti, fondamentale per l’essere umano ricordare che la sua vita è orientata verso il pieno sviluppo della ragione, che è il fine della nostra natura, e questo anche se sviluppa cronologicamente per ultimo deve sottendere l’intero processo di crescita per questo le cure parentali assumono tanta importanza.

La prima evidenza è comunque che la generazione, non diversamente da ogni altra realtà, viene da un principio, e il fine che deriva da un principio è principio di un altro fine; e, per noi uomini, la ragione e l’intelletto sono il fine della natura, di modo che uno deve orientare ad essi la formazione e il consolidamento delle abitudini. Come l’anima e il corpo sono due realtà distinte, così anche la facoltà irrazionale viene prima di quella razionale. Anche questo è evidente: l’istinto, la volontà, e pure il desiderio, sono già presenti nei bambini appena nati, mentre l’intelletto e il raziocinio si formano per natura nelle successive età. Ecco il motivo per cui la cura del corpo deve precedere quella dell’anima, e solo dopo viene la cura dell’impulso: e quest’ultimo serve per subordinarlo all’intelletto, mentre quella del corpo per subordinarlo all’anima (Pol. VII, 15, 1334 b 13-28). In questo passo Aristotele pone tre importanti priorità, per le quali: le abitudini che devono servire la ragione, il corpo deve servire l’anima, e la parte dell’anima che manca di ragione che deve servire la parte che ce l’ha.52

Dopo una breve parentesi in cui vengono poste le linee guida per il momento migliore per il concepimento (Pol. VII, 16, 1335 a7-40), Aristotele sottolinea

l’importanza che la famiglia ha per il fanciullo durante i primi anni di vita, non solo perché il nutrimento fornitogli dai genitori, e in particolar modo dalla madre attraverso l’allattamento, fa sì che il bambino possa crescere sano e in salute (Pol. VII, 17, 1336 a 7-9); ma anche perché è in questa prima fase che si sviluppano i legami affettivi. Passati i primi tre anni, all’incirca dai cinque in poi, i bambini non hanno ancora una razionalità tanto sviluppata da permettere loro l’istruzione scolastica, ma sono già in grado di essere influenzati dai discorsi. Aristotele prende molto sul serio l’influenza che i discorsi possono avere sullo sviluppo della persona, tanto da istituire i “magistrati dell’infanzia” che hanno il compito di vigilare su ciò che i bambini ascoltano (Pol. VII, 17 1336 a 30- 32): se infatti ciò su cui prestano attenzione non è appropriato alla loro età, rischia di influenzarli negativamente. Fondamentale è notare l’importanza che la città assume molto presto anche per i più piccoli: è compito del legislatore far sì che i bambini evitino l’ascolto di discorsi inappropriati, punendo chi assume tal tipo di comportamento. La logica che sta dietro a questa preoccupazione di Aristotele risiede nel fatto che “si ama di più di tutto quello che viene per primo. Perciò bisogna rendere i giovani alieni da tutte le cose volgari, in particolare quelle che implicano malanimo e cattiveria” (Pol. VII, 17 1336 b 32-35).

Il VII libro si conclude con l’annuncio che l’educazione pubblica verrà trattata interamente nell’VIII. Il progetto pedagogico pubblico si articola in due fasi: dai sette anni fino alla pubertà e dalla pubertà fino ai vent’uno (Pol. VII,17,1336 b 37-39). Da questo momento in poi l’opera del legislatore sarà importantissima: il danno provocato da una cattiva educazione ricade innanzitutto sulle istituzioni politiche vigenti.

L’VIII libro infatti, prima di concentrarsi in modo dettagliato sul progetto educativo, si apre con alcune considerazioni generali sul ruolo che spetta alla città nel progetto educativo. Aristotele sostiene che la città subirebbe un grave danno qualora l’educazione pubblica non fosse conforme al regime vigente ( Pol. VIII, 1, 1337 a 7-10). Quando Aristotele afferma che “un carattere migliore, determina un regime costituzionale migliore” (Pol., VIII, I, 1337 a 17-18), intende affermare che ciò che rende il sistema politico descritto nei libri VII-VIII migliore di ogni altro è il fatto che i suoi cittadini sono uomini ben educati e dotati di virtù53 . Nelle righe successive Aristotele critica la tendenza a lui contemporanea ad affidare l’educazione ai privati, sottraendosi a quella pubblica:

Dal momento che la città nel suo complesso ha un unico fine, è chiaro che anche l’educazione deve per forza essere una e la medesima per tutti, e deve essere gestita dalla collettività e non dai privati, come succede ai nostri giorni, quando ciascuno si cura per proprio conto della prole impartendole, individualmente, l’insegnamento che vuole. Per obiettivi comuni anche la preparazione dovrà essere comune. Analogamente, non si può credere che ogni cittadino appartenga a sé stesso; in verità, tutti insieme appartengono alla città, essendo ciascuno parte di esse. E, naturalmente, la cura per ciascuna parte mira alla cura dell’insieme. (Pol., VIII, 1, 1337 a 21-30)

Per sottolineare l’importanza dell’educazione pubblica, Aristotele argomenta che ogni cittadino appartiene alla comunità, coerentemente con l’affermazione nel primo libro (Pol. I, 2, 1253 a 18-20), che l’intero precede la parte e dunque la città è antecedente al cittadino. Ogni di individuo, in virtù del suo essere animale

politico, è parte di qualcosa di più grande che, come ribadito più volte, permette il suo sviluppo e benessere.

Aristotele dà per scontato che i suoi ascoltatori approvino il suo pensiero in merito, giacché questo sottende la comprensione del rapporto che lega il cittadino alla sua comunità politica di appartenenza. Prendere parte all’educazione della città, essendo un atto compiuto per il bene della comunità, come pagare le tasse o prestare il proprio servizio nell’esercito, è un dovere del cittadino, imposto dall’idea di appartenenza di ogni individuo alla comunità.

Una volta chiariti i fini e il metodo con cui l’educazione dev’essere impartita, Aristotele si concentra sulla scelta delle discipline da insegnare, da scegliersi fra quelle che nobilitano l’uomo e lo rendono capace di compiere azioni virtuose, mentre sono scartate quelle che lo rendono un “volgare uomo di fatica” (Pol. VIII, 2, 1337 b 10), come ad esempio le arti che sviliscono il corpo o quelle retribuite, le quali rendono l’uomo incapace di compiere azioni virtuose (Pol. VIII, 2, 1337 b 5-13).

Quelle che vengono solitamente insegnate sono quattro: scrittura, ginnastica, musica e, al quarto posto, per alcuni, il disegno. La grammatica e il disegno si insegnano per la loro utilità nella vita e perché hanno molte applicazioni: la ginnastica, invece, per il fatto che spinge al coraggio. Sull’insegnamento della musica sorgerebbe subito qualche riserva. (Pol. VIII, 1337b 23-27)

L’utilità dell’insegnamento della musica sarà il tema principale di tutto l’VIII libro. Aristotele riconduce subito infatti l’importanza della musica a tre motivi in particolare: promuove la virtù, procura piacere a chi l’ascolta e rappresenta il modo migliore per impiegare il proprio tempo libero. Particolarmente importante nel terzo capitolo sembra essere l’ultimo motivo, ovvero il suo impiego nel tempo

libero che Aristotele definisce come “la base di tutto” (Pol. VIII, 1337 b 32). Avevamo già visto, infatti, come il tempo libero, a differenza del lavoro, è qualcosa che si ricerca come bene in sé, e quindi sarebbe errato trascorrerlo nel dedicarsi al gioco, è invece più fruttuoso impiegarlo con una disciplina, come la musica, che da una parte da’ piacere e sollievo e dall’altra esorta l’uomo alla virtù (Pol. VIII, 3, 1337 b36 – 1338 a1). La musica non è dunque insegnata, come il disegno, la ginnastica e la grammatica, per la sua utilità pratica “ma perché degna di uomini liberi e bella” (Pol. VIII, 1338 a 31-32).

Tuttavia la cura del corpo precede quella dell’anima e quindi quest’ultimo verrà curato per primo, affidando i fanciulli ai maestri di ginnastica e agli educatori sportivi (Pol. VIII, 4, 1338 b 9-11).

Il tema della ginnastica è trattato prendendo come esempio il popolo spartano, per mostrare sia i benefici di un duro addestramento sportivo fin da piccoli, sia però anche i limiti di un’educazione troppo incentrata su tale disciplina (Pol. VIII, 4, 1338 b 12-19). Aristotele scrive infatti:

Dunque, non la ferocia ma il bello e il buono meritano di stare al primo posto, perché nessun lupo né alcun altro animale affronterebbero un rischio di alto valore morale, come invece farebbe un uomo di animo nobile. E quelli che spingono troppo i fanciulli su questa strada, lasciandoli nell’ignoranza delle cose necessarie, in verità preparano nient’altro che uomini di bassa lega, buoni solo ad un’unica funzione sociale, e anche in questa inferiore agli altri, come il ragionamento ci porta a dire. (Pol. VIII, 1338 b 30-36)

Aristotele non perde mai di vista quello che è il fine principale dell’educazione: rendere gli uomini in grado di compiere azioni virtuose. Il fine di una comunità,

infatti, non è mai la guerra, ma la pace, in quanto solo in una città pacificata i cittadini possono dedicarsi ad attività nobili e belle come la musica.

Quanto all’uso pedagogico della musica, essa rappresenta un passo cruciale nel processo educativo, e “this is because, as Aristotle thinks is evident, music is imitative of characters.”54

La spiegazione di tale posizione viene esplicitata nel capitolo quinto, dove Aristotele assume che la musica è un’arte mimetica cioè produce un’imitazione dell’essenza dell’oggetto rappresentato, e in tal caso riveste una funzione conoscitiva. L’ascoltatore proverà lo stesso genere di emozione provocato dall’oggetto che la musica sta rappresentando, per cui ad esempio l’ascolto di ritmi che imitano quelli di epiche battaglie può suscitare nello spettatore il