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E LABORAZIONE E PRIMA ANALISI DEI DATI RACCOLTI

Luca Bellone

4. E LABORAZIONE E PRIMA ANALISI DEI DATI RACCOLTI

Le 50 unità lessicali sottoposte all’attenzione degli informatori sono state schedate sulla base dei fattori di variazione esplicitati nel questio- nario, con l’obiettivo di verificare, per ciascuna di esse, l’uso effettivo nelle situazioni di parlato spontaneo, la reale circolazione all’interno del LG torinese, la ricaduta sulla percezione dei singoli locutori. Si riprodu- cono qui le due liste di frequenza ottenute attraverso i parametri della diffusione (competenza attiva + competenza passiva) e dell’uso attivo (competenza attiva):

QUADRO I – Parametro della diffusione17

1. Altissima diffusione (termini conosciuti e usati da più del 90% del campione): antisgamo, antistupro, chiudere, chiusura, easy, muzzo, socio, tanta roba, zero (100%), guido (99%), no vabbè, nota (98%), fare [qualcosa] ogni tanto, presa male, sbam!, sbatti / sbattone, senza senso (97%), mai (u)na gioia, MILF, senza, tattico (96%), disagio, scemopagliaccio, top (95%), come se non ci fosse un domani (94%), zona (93%), bomber, degenero (91%), friendzonare, svarione (90%).

2. Alta diffusione (70%-89%): balzare (88%), cuzzare (87%), salire il nazi- smo (86%), ignorante, male male (85%), personal, onesto (83%), scartavetrare, schiumare (82%), cisti (80%), vincere (79%), regolare, tesa (78%), situa (77%). 3. Buona diffusione (40-69%): swag (68%), ciocco (59%), punkabbestia (56%), smandibolare (54%).

4. Bassa diffusione (10%-39%): bonci2 (12%).

5. Bassissima diffusione (0%-9%): bonci1 (8%).

16 La natura preliminare dello studio, unita a ragioni di spazio, non consente in questa sede

lo sviluppo di riflessioni sulla sezione sociolinguistica del questionario, per le quali si rinvia all’annunciato progetto futuro.

17 Per ragioni di attendibilità vengono validati i soli lemmi che, oltre a essere segnalati co-

me noti dagli informatori, sono stati accompagnati da una definizione congrua ed even- tualmente da uno o più esempi.

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QUADRO II – Parametro dell’uso attivo

1. Altissimo uso (termini usati da più del 90% del campione): antisgamo (98%), muzzo (96%).

2. Alto uso (70%-89%): guido (84%), sbatti / sbattone, no vabbè (82%), easy (81%), presa male, tanta roba (80%), disagio (78%), chiudere (77%), fare [qual- cosa] ogni tanto (76%), antistupro (75%), senza (74%), zona (72%), senza sen- so, zero (71%), chiusura, top (70%).

3. Buon uso (40-69%): tattico, balzare, male male (68%), come se non ci fosse un domani (67%), socio (66%), sbam! (65%), MILF (63%), mai (u)na gioia, salire il nazismo (62%), vincere (61%), svarione, cuzzare (60%), bomber (58%), ignorante, onesto (57%), nota (56%), degenero (55%), tesa (54%), scartavetrare (48%), regolare (45%), personal (42%), friendzonare (41%), ciocco, situa (40%). 4. Basso uso (10%-39%): schiumare (33%), swag (31%), scemopagliaccio (29%), punkabbestia (25%), smandibolare (20%), cisti (17%), bonci2 (12%).

5. Bassissimo uso (0%-9%): bonci1 (8%).

Da una prima lettura dei dati raccolti si rileva, a livello quantitativo, un numero elevato di parole ed espressioni conosciute da tutti i giovani (an- tisgamo, antistupro, chiudere, chiusura, easy, muzzo, socio, tanta roba, zero); è altre- sì generosa la percentuale (60%) di termini che dimostrano diffusione “altissima” (→ QUADRO I., p. 1.). La somma dei punti 1., 2. e 3. del

QUADRO I, inoltre, suggerisce che i lessemi circolanti con valore almeno

“buono” costituiscono il 98% dell’intero corpus.

Viene registrato, inevitabilmente, uno scarto considerevole tra compe- tenza attiva e passiva: i termini di uso “altissimo” sono due (antisgamo, muzzo), sedici quelli di uso “alto” (32%); nondimeno, il 50% circa dei vo- caboli si assesta su un utilizzo effettivo classificabile come “buono” (→ QUADRO II., p. 3.). Nel complesso circoscritto è il numero di lessemi

impiegati da una percentuale inferiore al 40% degli studenti (→ QUADRO

II., pp. 4. e 5.)

Significative divergenze si ricavano dalla variabile di genere: a mero li- vello esemplificativo – la questione è certo meritevole di opportuni ap- profondimenti – ci si limiterà a segnalare che termini quali antistupro, MILF, scemopagliaccio e soprattutto bomber trovano maggiore impiego reale presso parlanti di sesso maschile, mentre senza, friendzonare, top riscuotono particolare successo nella parte femminile. Poco attendibili, allo stato at- tuale del sondaggio, sono invece le variazioni in rapporto all’età e alla specifica area cittadina di provenienza.

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Secondo una prospettiva qualitativa l’indagine permette anzitutto di ribadire come la lingua dei giovani torinesi sia il risultato di un incessante processo di ricambio lessicale: appaiono in flessione – per ragioni che verranno esaminate in altra sede – alcune delle voci contrassegnate da una più profonda stratificazione storica nel LG della città (bonci2, ciocco,

cisti, punkabbestia); al contrario, la componente innovativa – da valutare sul medio-lungo periodo – dimostra ottimo dinamismo e altrettanto buona capacità di proliferazione, come attesta il sostanzioso tasso di im- piego di forme quali fare [qualcosa] ogni tanto, mai (u)na gioia, salire il nazi- smo, friendzonare. Una porzione ragguardevole di tali novità lessicali giun- ge, e si ritiene che l’andamento abbia progressione esponenziale, dalla diffusione “virale” di parole e modi di dire nelle diverse tipologie di scrit- tura-digitale dei social network: esempi sono rappresentati nel lemmario dai già citati mai (u)na gioia, salire il nazismo e friendzonare, e da vincere. Come da previsioni, tra le nuove entrate mantiene un rilievo considerevole l’anglicismo: si segnalano prestiti integrali (MILF, swag), adattati (friendzo- nare) e calchi (come se non ci fosse un domani), oltre a voci sottoposte a feno- meni di estensione indebita o specificazione semantica del corrisponden- te anglo-americano (bomber, easy).

L’osservazione del corpus, e, nello specifico, dei lessemi di più recente ingresso nell’uso (comprese le segnalazioni desunte dalla sezione “aper- ta” del questionario, tra le quali andranno qui ricordate, in quanto molto ricorrenti, almeno, ansia, variamente modulata, fango ‘persona sgradevole, traditore’, fare lo Schettino ‘essere pavido’, jolla ‘spinello’, sbabbiare ‘smaniare; dare fuori di testa’, sbocciare ‘ubriacarsi’, spararsi le pose ‘atteggiarsi, pavoneg- giare’)18, permette inoltre di confermare la vitalità della funzione ludica del LG (si vedano i suoi costanti usi antifrastici), la ricerca tenace dell’espressività linguistica (attraverso il ricorso ad anglicismi, recuperi ger- gali, linguaggio figurato, onomatopee) e il gusto consolidato per l’iperbole (antistupro, salire il nazismo, senza senso, ecc.).

L’aspetto maggiormente indicativo dell’istantanea in movimento of- ferta dall’inchiesta, sul quale occorrerà affinare la riflessione, va però sen- za dubbio individuato nella densità crescente di parole (spesso appartenen- ti al nucleo più caratteristico del LG, ossia il succitato “strato gergale inno- vante”) contrassegnate da un’elevata carica emotiva, con particolare allusio-

18 L’elenco dei termini suggeriti dagli informatori, ricchissimo, sarà senz’altro utile per

l’integrazione del questionario che verrà sottoposto nell’ambito del progetto “ampio” sul LG torinese.

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ne – a seconda dei casi trasparente, opaca, scherzosa – alla condizione di precarietà ad ampio spettro che accomuna le generazioni più giovani all’alba del terzo millennio: valgano da esempio almeno ansia, chiusura, mai una gioia, male male, presa male e l’ormai dilagante disagio.

Tra gli hashtag oggi prediletti in rete, il disagio è divenuto un vero e pro- prio “tormentone”, che trova impiego esemplare (con estremi di oscil- lazione compresi tra il malessere concreto e l’ironia spensierata) nei rac- conti e nei commenti di una molteplicità di azioni della vita quotidiana – per lo più scandite dall’incertezza e dall’inquietudine, reali o simulate –, dal licenziamento subìto alla perdita del caricabatterie del telefono, dal

frigorifero sempre più vuoto alla sessione esami alle porte19. È voce che

ha ormai fatto la sua comparsa anche nelle scritte murali della nostra e di altre città: in disagio we are not alone recita una di queste, riflesso e presagio, nella sua dimensione internazionale, icastica e dissacrante, del comune sentire di una collettività fluida e poliedrica, eppure nell’insieme compat- ta e solidale, e del linguaggio che di tale sentire è veicolo.

Riferimenti bibliografici essenziali

AMBROGIO –CASALEGNO 2004: R. AMBROGIO, G. CASALEGNO, Scrostati Gag- gio! Dizionario storico dei linguaggi giovanili, Torino, UTET, 2004.

BANFI – SOBRERO 1992: E. BANFI, A.A. SOBRERO (a cura di), Il linguaggio gio- vanile degli anni Novanta. Regole, invenzioni, gioco, Bari, Laterza, 1992.

CANOBBIO 1998: S. CANOBBIO, Baccagliare a Torino. Appunti di lavoro sul linguaggio giovanile, in “Rivista Italiana di Dialettologia”, XXII (1998), pp. 195-207.

CORTELAZZO 2010: M. A. CORTELAZZO, Giovanile, linguaggio, in “Enciclopedia dell’Italiano – Treccani”, consultabile al link http://www. treccani.it/ enci- clopedia/linguaggio-giovanile_%28 Enciclopedia_dell%27Italiano%29/. CÒVERI 1993: L. CÒVERI, Novità del/sul linguaggio giovanile, in RADTKE 1993, pp.

35-47.

FRANCESCHINI – PIERAZZO 2006: F. FRANCESCHINI, E. PIERAZZO, BaDaLì: una banca dati sul linguaggio giovanile in Toscana occidentale e in Liguria, in MARCA- TO 2006, pp. 55-61.

FUSCO – MARCATO 1994: F. FUSCO,C. MARCATO, Parlare “giovane” in Friuli, Alessandria, Dell’Orso, 1994.

19 Così commenta un informatore a riguardo: “Il disagio non lo puoi incasellare in una de-

finizione, o lo vivi o non lo puoi capire: è qualcosa che grida dai muri, ma se non lo sai ascoltare non ti parlerà mai”.

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FUSCO – MARCATO 2005: F. FUSCO, C. MARCATO (a cura di), Forme della comu-

nicazione giovanile, Roma, Il Calamo, 2005.

MARCATO 2006: G. MARCATO (a cura di), Giovani, lingue, dialetto, Atti del Con- vegno, Sappada / Plodn (Belluno), 29 giugno-3 luglio 2005, Padova, Uni- press, 2006.

RADTKE 1993: E. RADTKE (a cura di), La lingua dei giovani, Tübingen, Narr, 1993.

SAURA –STEFANELLI 2011: A.V. SAURA, S. STEFANELLI, I linguaggi giovanili, Fi- renze, Accademia della Crusca, 2011.

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T

ERRITORI CREATIVI

:

E

SPRESSIONI LOCALI PER DIMENSIONI GLOBALI

Laura Bonato

A partire dagli anni ’60 del secolo scorso nel nostro paese, in sintonia con la critica della città capitalista e con l’idealizzazione della tradizionale vita e cultura rurale, la città in genere è diventata il luogo che compro- mette memorie, legami, tessuti sociali e tradizioni, altera l’ambiente, sra- dica e omologa. “Il costrutto città-campagna è stato spesso investito di forti implicazioni di valore, come equivalente di innovazione-conserva- zione, libertà-soggezione, progresso-reazione; ma anche al contrario, [...] come equivalente di degradazione-integrità, corruzione-onestà, anonima- to-identità, isolamento-appartenenza”1. A ben vedere, però, la città, at- traverso la sua cerimonialità e l’attivazione di ‘buone pratiche’, dimostra il contrario, e cioè che offre invece momenti di aggregazione, di socializ- zazione, che generano nella maggior parte dei casi un senso di apparte- nenza, ad un gruppo e alla città stessa; è un luogo di cambiamento, di produzione e di scambio, e non solo di beni materiali ma anche – e so- prattutto – di idee e di progetti.

Recente è l’attenzione, la rivalutazione e la promozione del territorio che mette in atto interessanti piani di restauro che coinvolgono in alcuni casi interi quartieri cittadini, i quali diventano così centro di vita culturale e sociale, dove si intersecano cultura e divertimento. Gli spazi pubblici sono un elemento importante, utile per determinare le modalità attraver- so le quali avviene la produzione e la riproduzione delle forme culturali; si caratterizzano quindi come una risorsa, considerando che in ogni so- cietà l’uso dello spazio è sempre socialmente regolamentato e cultural- mente definito. È qui che si danno appuntamento i giovani per parteci-

1 A.SIGNORELLI, Antropologia urbana: introduzione alla ricerca in Italia, Milano, Guerini,

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pare al maxi aperitivo2 o per dare vita ad un evento rilevante dal punto di

vista della comunicazione di marketing, il flash mob3, che permette alla gen- te di riappropriarsi degli spazi urbani in modo diverso, gioioso e anche

politico4. Le piazze e le vie sono lo scenario della Notte Bianca, un even-

to culturale ed artistico che in un brevissimo lasso di tempo è diventato un valido strumento per promuovere la città, invitando i propri abitanti e i turisti a girare ascoltando i concerti o assistendo agli spettacoli dislocati in varie zone, entrando nei negozi aperti per l’occasione o nei musei che

si propongono in un insolito orario serale5. La piazza è senza dubbio il

punto da cui parte o in cui convergono i cortei che caratterizzano le feste storiche, che negli ultimi anni hanno incontrato un altissimo favore da parte del pubblico6.

2 Si tratta di un raduno spontaneo che, per numero di partecipanti e vastità del territorio

occupato, è diventato una vera e propria manifestazione di piazza. In particolare, i co- siddetti apéros géants dai primi mesi del 2010 stanno riscuotendo un inatteso successo in Francia, scatenando anche una battaglia tra città, a chi riunisce più gente: in alcuni casi si è arrivati fino a 50mila persone. Luogo e ora del ritrovo vengono comunicati via in- ternet e chi vuole partecipare deve solo arrivare al posto convenuto – piazze e strade del centro cittadino – con una bottiglia di vino, o della bevanda favorita, qualche bic- chiere di plastica per condividerne il contenuto ed eventualmente qualcosa da mangiare. Il successo di questi eventi nati sul web è clamoroso. In Italia, se pur il fenomeno non sembra avere le dimensioni di quello francese, in tutte le regioni si stanno moltiplicando gli inviti in rete per feste in strada, in cui ogni partecipante porta da bere, per suonare, ballare e chiacchierare in alcuni spazi della città senza spendere denaro nei locali.

3 Il flash mob è una performance collettiva di brevissima durata – massimo 10 minuti duran-

te la quale un consistente gruppo di persone, convocate attraverso i canali della rete – dai social network (soprattutto Facebook) a Msn Messenger al tam-tam virtuale degli sms –, si riunisce in uno spazio di pubblico passaggio – una stazione, una piazza – per realizzare un’azione di gruppo totalmente inaspettata e inconsueta, una coreografia o dei semplici movimenti. Il flash mob è essenzialmente una forma di aggregazione, un momento di rottura della routine quotidiana; è capace di calamitare migliaia di persone in un luogo convenuto per mandare in tilt la circolazione del traffico o, più semplicemente, per creare stupore tra i passanti e i turisti ed incoraggiare la libertà di espressione. Privilegia l’aspetto ludico: non ha uno scopo politico, né di protesta, è solo un divertimento ed è estraneo ad ogni tipo di interesse commerciale.

4 L.BONATO,Nuove occasioni di socialità, in G.L.BRAVO, Italiani all’alba del nuovo millennio,

Milano, FrancoAngeli, 2013, pp. 273-280.

5 Ovunque sia organizzata questa iniziativa mostra una città attiva, aperta e capace di

modificare i propri orizzonti proponendone sempre di nuovi. Il suo successo dipende proprio dal fatto che durante la manifestazione i cittadini possono vivere appieno la cit- tà, attraversandola, guardandola, usandola tramite le varie opportunità che offre.

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La città, lungi dall’essere semplicemente un articolato complesso inse- diativo caratterizzato da concentrazione della popolazione e differenzia- zione sociale, è una forma di vita e di pensiero e sottintende un insieme di relazioni che coinvolgono chi la abita; e attraverso i suoi edifici, le strade, le piazze, i negozi, i monumenti che la caratterizzano comunica il suo par- ticolare stile di vita. La città è dunque una dimensione socio-culturale, uno spazio di significatività nel quale progetti di vita, aspettative, prospettive future, desideri e competenze si intrecciano con le risorse che essa stessa offre; è un contesto vitale, attivo, mutevole di interazione sociale e di me- moria. Ne consegue una relazione dinamica tra gli abitanti e la propria città e una comunicazione “di tipo dialogico e bidirezionale [che] viaggia dalle cose alle persone e viceversa”7. Si tratta di una relazione quotidiana, conti- nuativa, che si fonda sul senso di appartenenza dei soggetti che rende la città qualcosa di soggettivo ed esclusivo.

Le definizioni di città sono tante e diverse a seconda dell’ambito di- sciplinare che si privilegia: tutte, comunque, contemplano due dimensio- ni fondamentali, quella sociale e quella fisica. Il costruito, i caratteri mate- riali che la costituiscono sono lo scenario percorso, attraversato da con- cetti quali comunità, cultura, identità, che necessitano appunto di un rife- rimento territoriale. L’identità urbana è evidente laddove vi è condivisio- ne di spazi, condizione che induce gli individui ad identificarsi emotiva- mente con il proprio spazio al quale si sentono di appartenere. Questi spazi, investiti di affettività, attaccamento, desideri, prospettive, memoria ecc., si trasformano in luoghi che si caratterizzano quindi per essere uni- ci, diversi dagli altri; il loro carattere identitario viene alimentato e raffor- zato attraverso l’uso dello spazio pubblico, luogo dell’incontro, della me- diazione, dello scambio e della comunicazione perché frequentato da un gran numero di persone: in passato erano strade, piazze, mercati, giardi- ni, porti, luoghi di culto, a cui oggi si aggiungono centri commerciali, ae- roporti, stazioni. L’espressione spazio pubblico rimanda contempora- neamente a due diverse dimensioni: spaziale, cioè fisica e ben identifica- bile, e sociale, scena delle relazioni sociali. È negli spazi pubblici che la gente ‘vive’ la città: è qui che sceglie di farlo pur disponendo, volendo, di altre occasioni. Ne consegue che diventa importante creare spazi ad alta qualità, invitanti per i cittadini che devono desiderare partecipare. Ma come si misura la qualità dello spazio pubblico? Di certo non solamente

7 M.CANEVACCI,La città polifonica. Saggio sull’antropologia della comunicazione urbana, Roma,

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in termini di prestazioni funzionali, fisiche ed estetiche: meglio valutare l’intensità e la qualità delle relazioni sociali che promuove, la sua capacità di mescolare gruppi e differenti tipi di comportamento e la sua abilità a stimolare identificazione ed integrazione culturale. In una società sempre più fluida, fatta di persone che hanno storie diversissime tra loro, gli spa- zi pubblici devono avere un grado di flessibilità e una capacità di acco- glienza di cui prima non si sentiva il bisogno; piazze e vie sono ‘spazi di relazione’, punti di socializzazione e di sviluppo del senso di comunità: eventi di varia natura, feste, ricorrenze celebrative ne fanno un luogo di incontro e di scambio8.

Dopo la crisi energetica degli anni ’70 del secolo scorso molte città europee hanno subito profonde trasformazioni economiche e sociali: i risultati di questi mutamenti sono rimasti impressi sul territorio urbano creando un’eredità di spazi abbandonati molto consistente e tipologica- mente varia. Aree industriali, fabbriche, capannoni, scuole, uffici, scali ferroviari, caserme sono diventati luoghi in abbandono e, se pur in ma- niera diversa, rappresentano oggi una delle sfide più importanti per lo sviluppo urbano della città. Come già accennato, la presenza di spazi ca- duti in disuso ed edifici dismessi, spesso associata a degrado sociale, può stimolare appropriati interventi per nuovi usi degli stessi. Le pratiche di riuso e nuova destinazione – anche temporanea – di strutture e spazi di- smessi della città, le potenzialità stesse insite nel loro riuso suggeriscono soluzioni creative dando vita ad una sorta di bricolage socio-organizzativo: è infatti possibile progettare interventi non solo in termini di sostenibilità ambientale ma anche di sostenibilità sociale.

Un esempio di trasformazione e rielaborazione di spazi metropolitani sostanzialmente decostruiti e riutilizzati a fini diversi, e che comporta inevitabilmente una loro rilettura, è data dai rave party, feste illegali a ritmo di musica techno, le cui location sono significative sul piano sociale. I luoghi urbani abbandonati e ‘resuscitati’ dai rave party evidenziano la condizione di transitorietà e di provvisorietà propria di chi li pratica, che si sente li- bero da vincoli sociali, politici e culturali, e il rifiuto di tutto ciò che è de- finito, dei ruoli consolidati, delle regole imposte, suggerendo la ridefini- zione della propria identità temporaneamente annullata. I luoghi dismessi della città, gli spazi pubblici inutilizzati rendono il rave un movimento nomade: appena rappresentato, vissuto, svanisce per comparire in un’al- tra sede. È un nomadismo che si risolve in una ricerca di spazi non solo

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geografici ma anche sociali e culturali: le feste diventano raduni in cui la comunità si ricostituisce.

Intenzioni organizzative e di socialità sono individuabili in due feno- meni recenti nel nostro paese, due ‘buone pratiche’, le Case di Quartiere e le social street, che sembrano porre l’accento sulla fasulla e mitizzata di- cotomia città/campagna a cui si è accennato poc’anzi.

All’inizio degli anni ’90 del secolo scorso in Italia si sono registrate le prime esperienze di programmazione e attuazione di politiche urbane in- novative, stimolate dalle istituzioni europee che spingevano le città ad adottare un nuovo approccio, a superare le politiche settoriali, a lavorare insieme ai cittadini e a mettere in comunicazione centri e periferie. In particolare Torino ha colto questa opportunità e sono nate le Case di Quartiere, ovvero spazi pubblici riqualificati con il supporto di istituzioni pubbliche, fondazioni bancarie, imprese sociali, associazioni e cittadini: garantiscono un punto di incontro e di riferimento per gli abitanti, orga- nizzano attività di vario genere, creano momenti di socializzazione e sva- go, offrono servizi, corsi e laboratori, mettono a disposizione spazi. Sono strutture in movimento continuo, capaci di adattarsi flessibilmente a nuove esigenze, proposte e richieste. La Città di Torino e la Compagnia di San Paolo hanno promosso la costituzione di una rete di collaborazio-

ne tra le Case di Quartiere9, per mettere in comune saperi, esperienze e

progetti in un’ottica di crescita, miglioramento della gestione e amplia- mento dei servizi; per creare nuove reti, tra soggetti associativi e cittadini, che attraversino la città; per condividere strumenti e sviluppare economie di scala e una sempre maggiore autosostenibilità10.

La Casa di Quartiere di San Salvario, in particolare, è un laboratorio per la progettazione e la realizzazione di attività sociali e culturali che coinvolge associazioni, cittadini, operatori artistici e culturali; è uno spa- zio aperto e multiculturale, luogo di incrocio, di incontro e di scambio di attività e persone11.

Questa Casa comprende una caffetteria, una ciclofficina, un ufficio co- working, una banca del tempo, un orto, una sala riunioni; e poi sportelli

9 Le Case del quartiere a Torino sono: +SpazioQuattro, Bagni Pubblici di via Agliè,

Barrito, Bossoli83, Casa del Quartiere di San Salvario, Casa di Quartiere Le Vallette,